CICLOPALLONE: LA POVERA ITALIA SUCCHIARUOTE
Il triste Mondiale dell’Italia si conclude al primo turno come quattro anni fa. L’Uruguay ci manda giustamente a casa mettendo in evidenza le gravi carenze di gioco e modulo. Speculare sul risultato, difendere il pareggio e ripartire in contropiede sono ormai concetti che non reggono nel calcio moderno. L’Italia ha un passato glorioso e un presente imbarazzante. Si spera che il futuro sia quantomeno dignitoso. Le dimissioni date da Prandelli e Abete sono forse il primo passo.
Diciamolo subito. Essere succhiaruote, nel ciclismo, e perché no, anche nella vita, può portare a qualche risultato, a qualche effimera soddisfazione, ma col tempo sarà inevitabile la constatazione di una realtà misera. Prendiamo ad esempio la carriera di Alejandro Valverde, ciclista di classe e campione affermato, che per quella mancanza di coraggio o di troppo attendismo avrebbe senz’altro potuto mettere in bacheca altri trofei se in molte fasi di corsa avesse interpretato meglio la tattica da attuare, scattando al momento giusto invece di rimanere immobile e dubbioso sul da farsi, preferendo attaccarsi ad una comoda ruota – di un gregario o di un avversario – e non prendere il vento in prima persona. E così, la triste storia mondiale dell’Italia calcistica si è infranta nell’ultima partita del primo turno contro l’Uruguay, in un match che ha visto un solo tiro in porta da parte degli Azzurri, che non hanno mai impensierito la difesa della Celeste. L’interpretazione della partita ancora più difensivistica, che aveva illuso e fatto sperare nel 3-5-2 iniziale, con la coppia d’attacco Balotelli-Immobile, si è rivelata in tutta la sua miseria nel secondo tempo, quando Prandelli ha cacciato Mario (prestazione insufficiente e nervosa, condita dalla solita ammonizione) per inserire Parolo. Dal 3-5-2 si passava così a un evidente 5-4-1. L’espulsione di Marchisio poi, giusta o sbagliata che fosse, ha definitivamente affossato le speranze dell’attacco, definitivamente volatilizzatosi con l’entrata di Cassano al posto di Immobile. Era l’inizio della fine, a difesa dello 0-0, con un’Italia completamente schiacciata nella propria tre quarti e che soccombeva infine a nove minuti dal termine con un perentorio colpo di testa di Godin sugli sviluppi di un calcio d’angolo. La parata miracolosa di Buffon, qualche minuto prima, su tiro di Suárez in versione Merckx (il morso a Chiellini gli farà cambiare di diritto il suo soprannome da Pistolero a Cannibale) era stata l’inesorabile anticamera dell’imminente tracollo. Alla fine, le dimissioni congiunte di Prandelli e Abete sono state la normale conseguenza allo sfascio. Fin qui l’amara cronaca di una partita che ha visto l’Italia soccombere meritatamente ad una idea di gioco, prima che ad una reale forza dell’avversario. Verranno i tempi delle critiche, anzi sono già iniziati. C’è aria, si spera, di rivoluzione nel calcio italiano. I dirigenti saranno in grado di attuare un modello virtuoso, stile Germania, le cui fondamenta devono essere i vivai e, magari, la limitazione dei social forum e quant’altro, che distraggono spesso gli atleti conferendogli una risonanza mediatica che può rivelarsi un boomerang? Speriamo che il bastone abbia la meglio sulla carota, perché il calcio, e lo sport in generale, è prima di tutto rispetto e non dileggio degli avversari. Non vogliamo puntare il dito su qualcuno in particolare, ma le dichiarazioni di Buffon e di De Rossi a fine partita hanno confermato che nell’ambiente c’è qualche attrito e ben venga un repulisti generale finchè si è in tempo. Questa digressione pedagogica non può comunque far perdere di vista la tattica: ci auguriamo che il catenaccio italiano venga messo da parte a vantaggio di un gioco più offensivo perchè due gol in tre partite e cinque veri tiri in porta è un dato che deve far riflettere, alla luce di uno sport come quello del calcio in cui per vincere bisogna fare gol prima di tutto e non fare le barricate in difesa. Magari se il nuovo CT fosse Guidolin, noto appassionato di ciclismo, potremmo vedere un timido bagliore alla fine del tunnel e il caso di Valverde sarebbe l’esempio chiarificatore per capire il modo di evitare errori in una partita di calcio.
Giuseppe Scarfone