ADDIO 2009….
gennaio 14, 2010
Categoria: Approfondimenti
All’inizio di una nuova stagione di corse, ilciclismo.it vi offre una vista retrospettiva sul 2009 ciclistico.I pagelloni complessivi degli scorsi dodici mesi vi permetteranno di rivivere, attraverso giudizi più o meno positivi, quanto accaduto lungo le strade di mezzo mondo.In questo primo capitolo prendiamo in esame le tre grandi corse a tappe del calendario internazionale, dai protagonisti ai percorsi.
ALBERTO CONTADOR: VOTO 8
Parlando di Grandi Giri, non si può non partire da Alberto Contador, l’uomo che al Tour de France ha dimostrato di essere indiscutibilmente, ora come ora, il numero uno al mondo sulle tre settimane. Alla Grande Boucle, unico GT cui il madrileno ha preso parte, Contador è stato semplicemente inarrestabile: ha staccato tutti in salita, ha battuto perfino Cancellara nell’unica lunga cronometro individuale, ha conquistato perfino la cronosquadre. Insomma, fatta eccezione per la dormita nella tappa di La Grande-Motte, con cui ha regalato una quarantina di secondi ad Armstrong (meno male: altrimenti non sarebbe stato neppure costretto ad attaccare nella tappa di Verbier, facendo così scivolare via la corsa in maniera ancor più anonima di quanto già non sia stata), il suo Tour è stato pressoché perfetto. Anzi, la sensazione netta è stata che, malgrado i 4’ e oltre rifilati al secondo, Andy Schleck, Alberto si sia tenuto spesso (leggasi: a Le Grand Bornand e sul Mont Ventoux) un discreto margine, rinunciando ad altri successi parziali e a scavare un abisso in classifica.
Perché allora solo 8? Perché accanto a questo Tour perfetto c’è stato il vuoto. Proprio perché è in grado di vincere una Grande Boucle da dominatore, Contador avrebbe probabilmente la possibilità di riuscire nell’accoppiata Giro – Tour che manca dal 1998, o quanto meno avrebbe potuto tentare il bis nel GT di casa alla Vuelta. Invece, con un preoccupante principio di “armstrongizzazione”, Alberto ha scelto di puntare solo su corse minori, per quanto prestigiose, quali Parigi – Nizza e Delfinato, di cui il secondo corso quasi da gregario di Valverde. Peccato, perché la concorrenza che ha demolito al Tour è parsa molto più agguerrita di quella che avrebbe fronteggiato al Giro o alla Vuelta.
ANDY SCHLECK: VOTO 7,5
A differenza di Contador, lui ha preso parte anche ad un secondo GT, la Vuelta Espana. Tuttavia, ci rifiutiamo di considerare la sua partecipazione all’ultimo grande giro della stagione, ritenuto che quello visto in terra spagnola non poteva essere lo stesso tizio con la stessa maglia e lo stesso nome dell’Andy Schleck che ha attaccato in tutti i modi Contador sulle strade del Tour. Anche per lui, dunque, ci dobbiamo basare unicamente sulla Grande Boucle; una Grande Boucle corsa bene, con coraggio, anche se forse con un occhio di riguardo al fratello Frank, certamente lodevole moralmente, ma deleterio in chiave agonistica. Proprio questo fattore gli ha negato una probabile vittoria di tappa sul Mont Ventoux (dubitiamo che Contador, che probabilmente non si sarebbe staccato, avrebbe alla fine sprintato), che avrebbe aggiunto qualcosa ad un Tour comunque decisamente positivo.
Non consideriamo, naturalmente, aspettando di farlo in seguito, la meravigliosa vittoria alla Liegi – Bastogne – Liegi, che farebbe schizzare alle stelle, anche e soprattutto per le sue modalità, la valutazione della stagione di Andy.
LANCE ARMSTRONG: VOTO 8,5
Non ce ne vogliano i suoi numerosissimi detrattori, ma il voto più alto tra gli specialisti dei GT lo prende Lance Armstrong, che ha saputo disputare, alla veneranda età di 38 anni, un GT di buon livello (il Giro), malgrado un grave infortunio a poche settimane dall’appuntamento, e uno straordinario (il Tour), che lo ha visto tornare sul podio, contro i pronostici di chi vedeva la sua rentrée come una mera manovra pubblicitaria. Ovviamente, è stato subito chiaro, sin dai primi giorni di Tour (non consideriamo il Giro per via del precedente infortunio cui abbiamo accennato), che l’Armstrong degli anni d’oro era tutt’altra cosa: ha pagato nella crono d’apertura, e, dopo la maglia gialla sfiorata e sfumata per pochi centesimi nella cronosquadre, si è staccato da Contador sulle non proibitive rampe di Arcalis, nonostante una frazione affrontata a passo cicloturistico. Con il passare dei giorni e delle salite, le difficoltà dell’americano, sono parse ancor più evidenti: attardato a Verbier, in difficoltà sul Piccolo San Bernardo, strabattuto ad Annecy a cronometro, nella specialità che un tempo dominava, staccato di oltre 2’ nel tappone di Le Grand Bornand. Eppure, grazie alla regolarità, alla tenacia, e anche ad un ritmo non proprio forsennato degli avversari sul Mont Ventoux, il texano è riuscito a tornare sul podio della corsa che più ama, quattro anni dopo l’ultimo trionfo giallo, e soprattutto dopo tre stagioni di inattività. Un risultato che vale sportivamente non meno di ciascuna delle sue sette vittorie, e forse, umanamente, anche qualcosa di più.
DENIS MENCHOV: VOTO 7,5
Dr. Jekyll e Mr. Hyde di questo 2009, perlomeno a livello di Grandi Giri. Il suo 7,5 è una media tra il 10 del Giro e il 4 del Tour, con l’aggiunta di un mezzo punto di bonus per la vittoria alla Corsa Rosa. In maggio, Menchov è stato pressoché perfetto: dominatore a cronometro, granitico in salita. Danilo Di Luca, l’uomo che, prima che il ciclone doping lo investisse, a detta di molti luminari del pedale, era il “vincitore morale” della corsa, non è mai riuscito a staccarlo in montagna, e ha preso sonore sberle a cronometro. E’ stato alla fine più forte anche della sfortuna, quella che lo ha fatto scivolare all’ultimo chilometro dell’ultima tappa, e della sua stessa disattenzione, che gli ha fatto perdere una manciata di secondi a Valdobbiadene.
Al Tour, lo zar d’Italia è stato irriconoscibile: lentissimo a cronometro, perennemente staccato e in affanno in salita. Tanto più che, a differenza del pur disastroso (in Francia, s’intende) Cadel Evans, non ha neppure mai tentato di dare un senso al suo Tour con un’azione da lontano, come quella che l’australiano ha intrapreso sull’Envalira nella frazione di Saint-Girons. E non possiamo giustificare la sua orribile Grande Boucle semplicemente con il Giro corso a tutta, perché anche nel 2008 il corridore del Rabobank aveva puntato forte sulla Corsa Rosa, chiudendo poi però anche il Tour nei primi cinque. La speranza è dunque che Menchov non dia eccessivo peso alla débacle di luglio, e decida di tornare al Giro a difendere la maglia rosa conquistata alla grande in questo 2009. Certo, in questo senso, un tracciato un po’ meno sbilanciato non avrebbe guastato. Ma questo è un altro discorso…
CADEL EVANS: VOTO 6,5
A livello di GT, la stagione di Evans è stata molto simile a quella di Menchov: malissimo (ma non così tanto) al Tour, benissimo (ma non così tanto) nel GT “di riserva”, nel suo caso la Vuelta. La differenza sta nel fatto che i picchi di Evans, nel bene e nel male, sono stati inferiori: non ha fatto ridere al Tour, perlomeno fino alle Alpi, non ha entusiasmato alla Vuelta, anche se, senza lo sciagurato e inaccettabile incidente di Sierra Nevada, forse la maglia oro di Valverde sarebbe stata in bilico fino alla fine.
Non rientra nella nostra valutazione la sua splendida vittoria al Mondiale di Mendrisio, che ci suggerisce però una considerazione in chiave 2010. È vero che Evans, nella prossima stagione, avrà 33 anni; altrettanto vero è però che, finora, l’australiano ha dovuto fare i conti con una sorte mai troppo favorevole, e con una fiducia nei suoi mezzi forse inferiore al giusto. Con la maglia iridata addosso, chissà che Cadel non possa trovare la sicurezza necessaria per sfatare anche il tabù GT, cosa che non gli è riuscita nemmeno alla Vuelta, malgrado l’assenza di tutti coloro che nelle passate stagioni gli avevano negato il successo finale.
IVAN BASSO: VOTO 7
Per uno che non correva da due anni, non c’è male. Per uno che sia al Giro sia alla Vuelta è partito con l’idea di vincere, il discorso è un po’ diverso. Facendo una media tra l’8 che dovremmo assegnargli nella prima ottica e il 6 della seconda, viene fuori un 7 che rispecchia abbastanza bene la stagione di Ivan Basso. Partito da Venezia con grosse aspettative, giustificate dal precedente successo al Giro del Trentino, l’Alpe di Siusi sembrava confermare il suo status di corridore più forte e solido in salita. Status che ha però iniziato a vacillare già a Pinerolo, per poi crollare sugli Appennini, dove Ivan ha messo in mostra una buona fantasia e un discreto coraggio (soprattutto nella tappa di Faenza; nella tappa del Petrano c’era il terreno per fare di più).
La storia si è ripetuta pressoché analogamente alla Vuelta, dove il varesino è stato il corridore più intraprendente (non che fosse cosa particolarmente complicata, vista la concorrenza quanto mai passiva e attendista), non riuscendo però mai a fare la differenza in montagna.
Certo, Basso, fatta eccezione per la versione sospetta del 2006, non è mai stato un corridore esplosivo, capace di fare il vuoto in salita. Il problema è che Ivan ha però fatto non uno ma dieci passi indietro a cronometro, dove ha di fatto perso il podio in entrambi i GT disputati. Non è facile dire se la cosa dipenda da una preparazione difettosa o da un fisiologico calo dovuto all’età e all’assenza di competizioni. Quello che è invece facilissimo capire è che, a meno di non ritrovare lo smalto del 2005 nelle prove contro il tempo (ci sentiamo di escludere clamorosi miglioramenti in montagna per un 32enne), Basso per vincere ancora un Grande Giro, potrà solo sperare in un lotto partenti modesto o in un’ecatombe di favoriti.
ALEJANDRO VALVERDE: VOTO 7
Non è facile dare un voto alla stagione di Valverde relativamente ai GT: è vero che ha vinto l’unico che ha disputato, ma è altrettanto vero che quell’”unico” era anche il meno prestigioso e competitivo, e che non si può ignorare la ragione per cui non ha preso parte anche al Tour de France. Alla fine optiamo per un 7. In sostanza, rispetto a Contador, anch’egli vincitore dell’unico GT disputato, mezzo punto di differenza è dovuto al diverso peso delle due vittorie (non solo per prestigio delle due corse, ma anche per come sono state conquistate), l’altro mezzo al motivo per il quale Valverde non ha potuto prendere parte al Tour.
D’altro canto, è pur vero che Valverde, pur mai dominante in salita e molto fortunato nel suicidio di Evans e della Silence-Lotto, ha gestito ottimamente le proprie energie nell’arco delle tre settimane, non andando mai realmente in difficoltà, e dando l’impressione di poter perdere la corsa solo nella tappa di Sierra de la Pandera, quando alla fine ha invece di fatto chiuso il discorso. Da notare soprattutto le ottime difese contro il tempo del murciano, che conoscevamo come specialista dei prologhi, ma certamente non come atleta in grado di chiudere al 7° posto una cronometro di 28 km (quella di Toledo del penultimo giorno). Proprio questi progressi fanno pensare che nel 2010 per Valverde possano schiudersi finalmente le porte di un Tour de France da vero protagonista per la classifica generale, fino alla fine. Fermo restando che, a meno di un clamoroso forfait di Contador, è altamente probabile che anche l’anno prossimo, in Francia, si lotti per il 2° posto.
FRANCO PELLIZOTTI: VOTO 8
Un podio al Giro e un Tour da protagonista, anche se mai in lotta per la classifica generale. A 31 anni, Franco Pellizotti ha vissuto nel 2009 la migliore stagione della sua carriera, prendendosi la rivincita per quel podio sfumato per 2’’ al Giro 2008, e sfiorando a più riprese il successo di tappa al Tour, conquistando maglia a pois e numero rosso di “super-combatif” della Grande Boucle.
Forse l’8, se rapportato agli altri voti che abbiamo assegnato fin qui, farà storcere il naso a qualcuno, ma crediamo che ogni risultato vada rapportato alle aspettative e ai mezzi del corridore. Quando Pellizotti, ad inizio Giro, dichiarava di partire con gli stessi gradi di Ivan Basso, in pochi gli davano credito, ritenendo potesse rappresentare al più una valida alternativa o una spalla di lusso al varesino. E invece no, Pellizotti ha fatto meglio di Basso in classifica generale, e ha colto quel successo di tappa che a Ivan è sfuggito, conquistando il traguardo del Blockhaus con un coraggioso attaccato ai -15 dall’arrivo.
Allo stesso modo, Franco era per tutti destinato ad un Tour in seconda linea, tentando qualche sortita di tanto in tanto per andare in caccia di qualche traguardo parziale. Il friulano ha invece praticamente passato tre settimane al vento, sempre in fuga, fallendo di un nulla la vittoria nell’orrore – pardon, tappa – di Tarbes, e restando con i big nell’unica occasione in cui ci ha veramente provato, sul Mont Ventoux (anche se, per quella circostanza, è difficile dire se sia più merito di Pellizotti o del ritmo cicloturistico tenuto dai big nella seconda metà di salita, che avrebbe offerto qualche chance di rientro anche al peggior Olaf Pollack). Insomma, una stagione da protagonista, che, alla luce dei percorsi di Giro e Tour del prossimo anno, che strizzano entrambi l’occhio agli scalatori, per Franco non è utopia pensare di replicare.
DANILO DI LUCA: VOTO 7,5/VOTO 4
Il motivo del doppio voto crediamo sia abbastanza evidente. Se fingessimo di non sapere ciò che è successo dopo, non potremmo non assegnare a Di Luca un voto più che positivo per il suo grande Giro d’Italia. Come abbiamo avuto modo di dire a suo tempo (ossia subito dopo la conclusione della Corsa Rosa), non siamo certamente tra quanti pensavano che Danilo fosse il vincitore morale del Giro per il solo fatto che Menchov non ha mai attaccato (e perché mai avrebbe dovuto, potendosi permettere di non farlo?). Tuttavia, i successi parziali di San Martino di Castrozza e Pinerolo, i 7 giorni in rosa e il 2° posto finale erano più che sufficienti per parlare in termini entusiastici del Giro di Di Luca.
Poi, però, è arrivata la CERA, è arrivata la sua positività, anzi doppia positività (dopo le tappe di Arenzano e Benevento), confermata dalle controanalisi, è arrivato il licenziamento dalla LPR, arriverà una squalifica che per un 33enne significa con ogni probabilità la fine della carriera. Fine triste per chi ha passato tre settimane a proclamarsi come il campione della gente e dello spettacolo, non senza una abbondante dose di presunzione. Se questi erano i mezzi per offrire quei presunti fuochi d’artificio, avremmo preferito qualche scatto in meno e qualche sbadiglio in più.
CARLOS SASTRE: VOTO 5,5
Fosse un altro, un 4° posto (moralmente 3°) al Giro e due successi parziali, uno dei quali nella tappa regina, basterebbero tranquillamente per garantirsi un’ampia sufficienza. Però non stiamo parlando di “un altro”, ma di Carlos Sastre, il vincitore del Tour de France 2008, l’eroe dell’Alpe d’Huez, dell’uomo dei 5 piazzamenti nei 10 al Tour, di cui tre nei primi 5 consecutivamente. Sastre era arrivato al Giro per vincere, e se non ci è riuscito è sì, in parte, a causa di un percorso molto morbido, ma anche di défaillance inspiegabili come quelle dell’Alpe di Siusi o del Blockhaus. Soprattutto, si era presentato al via della Grande Boucle, a Monaco, con analoghi intenti rispetto alla Corsa Rosa, ottenendo però risultati non solo inferiori, ma quasi catastrofici: sempre attardato in salita, mai all’attacco prima del tappone di Le Grand-Bornand, dove è rimbalzato indietro sul Col de Romme come l’ultimo dei Soler (con tutto il rispetto per il colombiano).
È vero che gli anni passano per tutti, ma nel caso di Sastre non si può liquidare la cosa semplicemente come il calo dovuto agli anni che passano: un corridore a fine carriera non stacca tutti sul Petrano come ha fatto lui, né fa il vuoto sul Vesuvio staccando di forza Ivan Basso. Il problema, specialmente al Giro, è stato più che altro la continuità, cosa che stupisce se pensiamo alla carriera del leader del Team Cervélo. Per sua fortuna, per il 2010 Zomegnan e Prudhomme gli sono involontariamente venuti incontro, proponendo percorsi a lui adattissimi; l’occasione giusta per stabilire quanto Sastre può ancora effettivamente dare.
MARK CAVENDISH: VOTO 9
In una sfilza di corridori da grandi giri, ecco l’intruso, che finisce per soffiare loro il voto più alto, in virtù soprattutto di un Tour de France clamoroso. Dopo un Giro d’Italia ottimo, anche se “macchiato” (per chiunque altro sarebbe la cosa più normale del mondo, per Cavendish è un fatto straordinario) dalla sconfitta patita da Petacchi in occasione del primo confronto tra i due, sul traguardo di Trieste, terminato con tre successi parziali, Cannonball ha costruito in terra francese quello che è finora il capolavoro della sua carriera, inanellando sei perle su altrettante possibilità (non consideriamo il traguardo, per lui decisamente troppo duro, del Montjuic). Nulla ha potuto una schiera di avversari che, Petacchi a parte, racchiudeva tutto il gota dello sprint mondiale: da Hushovd a Freire, da Bennati a Farrar. Ecco perché, anche nell’anno del rientro in grande stile di Armstrong e della definitiva consacrazione di Contador come il più grande corridore da GT del pianeta, il voto più alto di questa prima tranche di giudizi, dedicata solamente ai Grandi Giri, se lo prende un velocista.
PERCORSO TOUR DE FRANCE: VOTO 5
Avevamo la tentazione di assegnare un voto anche più basso; poi abbiamo pensato che forse, senza la Astana superlativa del 2009, avremmo assistito ad una corsa completamente diversa, e tappe come quelle di Colmar e Arcalis sarebbero risultate decisamente più battagliate. Perciò ci limitiamo ad un 5, che vuole comunque sottolineare la scarsità di spunti fornita dal tracciato francese, con Pirenei al limite del ridicolo, una tappa sui Vosgi come sempre con le salite troppo lontane dall’arrivo (anche se l’orrore di Mulhouse 2005 resta ineguagliato) e Alpi selettive, ma probabilmente insufficienti a compensare la carenza di montagne delle prime due settimane.
È giusto rimarcare il tentativo, da parte di Prudhomme e soci, di provare ad aggiungere un po’ di pepe al tracciato lavorando di fantasia. Fantasia che è però stata a nostro avviso mal riposta: il Col d’Agnès è una salita che merita di essere riproposta, ma che a 44 km dal traguardo non può dire più di tanto; l’inedito arrivo di Verbier, se non fosse stato per un Contador trascendentale, avrebbe generato distacchi di poche decine di secondi, a differenza di quanto sarebbe accaduto inasprendo i chilometri precedenti (e non era necessario chissà quale sforzo di ingegno); la tappa di Bourg-Saint-Maurice sarebbe stata ben altra cosa se fosse stato inserito, prima del Piccolo San Bernardo, il Colle di San Carlo, o se l’arrivo fosse stato posto, come da anticipazioni precedenti, a Les Arcs (che, tra l’altro, è una frazione della stessa di Bourg-Saint-Maurice). Il tutto senza considerare l’indegna frazione di Tarbes, salvata solo in minima parte dalla bella fuga di Fédrigo e Pellizotti, e non completamente compensata dalla piacevole novità del Ventoux al penultimo giorno.
La notizia positiva è che Prudhomme & co. sembrano aver imparato dai loro errori, e per il 2010 hanno proposto un percorso completamente diverso, su cui abbiamo già avuto modo di esprimerci in maniera più che positiva.
PERCORSO GIRO D’ITALIA: VOTO 5,5
Pur leggermente migliore di quello del Tour (non che fosse un’impresa), il percorso del Giro 2009 merita a nostro avviso un giudizio comunque insufficiente. Non è necessariamente un male non essere arrivati a Milano, così come la scelta di scalare prima le Alpi e poi gli Appennini non era di per sé sbagliata in partenza. Purtroppo, però, le tanto decantate Dolomiti anticipate, quelle che teoricamente avrebbero dovuto costringere tutti ad arrivare al Giro già al top della forma, hanno di fatto creato distacchi nulli o quasi, non completamente giustificabili con la scarsa belligeranza dei corridori. Passi per la Cuneo – Pinerolo che, così modificata, non aveva forse nemmeno ragione di esistere (anche se siamo del parere che con il percorso classico avremmo assistito ad un nulla di fatto o quasi), non per la scelta di proporre una tappa con una sola salita, per di più non certo letale, come teatro della sfida finale in montagna (e vista lo stato di classifica, un duello Di Luca – Menchov in un tappone vero sarebbe stato ancor più entusiasmante). È stato chiaro che Zomegnan e soci hanno tentato di compensare l’assenza di veri tapponi alpini con la cavalcata del Petrano: tracciato splendido (anche se sfruttato solo in parte dai corridori), ma di per sé non sufficiente a compensare l’assenza delle grandi montagne alpine.
Insomma, pur apprezzando l’idea di base di proporre un tracciato diverso dal solito, il percorso non arriva alla sufficienza. Viene da chiedersi peraltro se il Giro del Centenario fosse proprio l’occasione più giusta per sperimentare, e per mettere da parte Stelvio, Pordoi, Gavia e via discorrendo. Forse sarebbe stato più opportuno ricercare questa ventata di novità nel 2010, quando invece si tornerà ad un Giro molto più classico, che ricorda molto da vicino quelli del 2006 e del 2008. Semmai, la novità starà nel fatto che mai come nel 2010 la cronometro giocherà un ruolo pressoché nullo nell’assegnazione della maglia rosa. Novità di cui, francamente, avremmo fatto volentieri a meno.
PERCORSO VUELTA ESPANA: VOTO 7
Chiudiamo con l’ultimo GT della stagione, che si aggiudica, soprattutto in virtù di una concorrenza non certo feroce, la palma di miglior percorso del 2009. Ad onor del vero, anche la corsa spagnola non è stata esente da pecche, frutto però principalmente della necessità di non far fuggire verso altri lidi coloro che puntano al Mondiale. Si spiegano infatti in quest’ottica sia l’assenza di veri tapponi di montagna, con tanti colli e dislivello elevato, sia la solita terza settimana in tono minore, dovuta principalmente all’avvicinamento della prova iridata alla conclusione della Vuelta. Quella di sacrificare il livello tecnico del percorso, per avere qualche grande nome in più, anche tra coloro che non possono lottare per la maglia oro, è una scelta che forse si può non condividere, ma certamente comprensibile. Per il resto, l’unica nota negativa è stata rappresentata dalle cinque tappe per velocisti consecutive, senza grosse possibilità di variazione sul tema, prima di una frazione davvero significativa in ottica classifica generale.
Accanto a tali difetti, non possono però non essere sottolineati i cinque arrivi in salita, la buona ripartizione dei chilometri a cronometro, le tappe intermedie della seconda parte di corsa, di cui a dire il vero i corridori hanno approfittato solamente in minima parte. Se la combattività è stata abbastanza scarsa, dunque, la colpa non può essere attribuita agli organizzatori: il terreno per provarci c’era tutto.
Matteo Novarini
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