A VALMOREL MUOVE BENE CHI MUOVE ULTIMO. IN FRANCIA TORNA IL CICLISMO DELLA NOIA
Su un tracciato scontato, torna alla ribalta il trenino Sky e con esso il trionfante Froome, ormai favoritissimo per il Tour. Valverde ci prova “da lontano” (virgolette d’obbligo) e mostra un buona gamba, Contador attende il finale per una zampata d’orgoglio che gli si ritorce contro.
Foto copertina: Froome battezza il traguardo di Valmorel (foto ASO)
Ci eravamo abituati bene, tra Tirreno e Giro. Tappe mosse, agguati, tensione alle stelle, imprevisti atmosferici: di fronte al variegato menù di un ciclismo a tutto tondo, l’approccio Sky aveva dimostrato tutta la propria monodimensionalità, e di conseguenza aveva finito per apparire inadeguato.
Nell’amica terra di Francia, sotto il benevolo stendardo dell’ASO, torniamo invece a quelle dinamiche che già avevano imposto pomeriggi comatosi agli appassionati, con la lugubre processione in nero a scorrazzare il gruppo per monti e valli, salvo risicati scattini dell’ultimo chilometro.
Il copione non cambia verso Valmorel. Se ne va fin dal mattino una fuga, nella quale segnaliamo solo Imanol Erviti della Movistar per il ruolo tattico che andrà a svolgere, e poi per la loro intraprendenza nella salita finale l’eritreo Teklehaimanot, tornato in gruppo dopo un interminabile periodo senza corse per problemi di visto, Tim Wellens, giovanissimo atleta della Lotto, e Matthew Busche, ormai maturo corridore statunitense della Radioshack che, senza aver mai troppo brillato in carriera (a parte il jolly pescato a un campionato nazionale), oggi è andato vicinissimo al bersaglio grosso. Durante la giornata si alternano al lavoro in testa al gruppo, oltre alla Garmin del leader (che non è Froome, ma per pochi secondi il giovanissimo pistard Rohan Dennis), si distinguono in testa al gruppo la Katusha, per Dani Moreno, scopriremo poi, e la Movistar, particolarmente pimpante.
Le dinamiche della fuga sull’ascesa finale, prima delle quale non accade nulla degno di nota, vanno a suggerirci quale sarà il leit motiv della giornata: chi prima attacca, nulla stringe.
Dalla fuga prende il largo un terzetto, dove Teklehaimanot si impone come il miglior scalatore, rispetto a un egregio passista come Rabon e a uno spento Huzarski della Net App. A breve però appare dalle retrovie Wellens, che tira dritto a pieno ritmo, mentre alla sua ruota resiste, non per molto, il bravo eritreo. Anche Wellens tuttavia finirà per vedersi rimpiazzato come eroe solitario da Busche, pure lui emerso dai rimasugli della fuga che sembravano ormai attardati senza speranza.
La morale della favola è probabilmente che tira vento, che l’ascesa prevede strade larghe e rettilinee, ingannevoli, e che quindi stare in avanscoperta sia più dispendioso del previsto.
La controprova può essere, dietro, la strenua quanto improbabile resistenza di Dennis fino agli ultimi 2-3km, macinando nella pancia del gruppo un rapportone degno di un Honchar dei tempi d’oro.
Rispetto al cadenzato rullo di tamburi Sky, gli unici guizzi di ingenio sono quello di Egor Silin dell’Astana, probabilmente per fare da ponte, di esigua durata ed effetti insignificanti, a una decina dall’arrivo; e quello, ben più stimolante, di Alejandro Valverde intorno ai -7km, la cui squadra ha per lo meno il merito di aver cercato di imbastire una parvenza di gioco tattico, visto che Erviti (staccatosi dai compagni di fuga per scelta, ovvero per recuperare le forze), al momento di essere ripreso si spreme alla morte per offrire a Valverde un po’ di copertura. Ci sarebbe voluto più coraggio da parte di altri attori, per allearsi al murciano. Fuglsang, Taaramae o De Clerq, assiepati nel gruppetto, avrebbero poco da perdere e tutto da guadagnare
Ma non c’è verso. La noia impera, con i vari Lopez, Kyrienka, Thomas, Kennaugh a scandire il passo uno dopo l’altro (nemmeno “a turno”), come una bomba a razzo formata da più stadi per disegnare matematicamente una traiettoria letale.
Il vantaggio di Valverde si assesta sui 15-20” mentre dietro il gruppo si assottiglia, con la Sky sempre dominante, ma con anche la Saxo-Tinkoff in bello spolvero, con Contador, Jesús Hernándes e l’immarcescibile Michael Rogers. Perché non inventarsi qualcosa alla maniera della Movistar?
Infine ecco il turno di Porte: Valverde è riuscito quasi a isolare Froome, ma ai -2,5km decide di desistere, e viene riassorbito.
Ai -1500m ci prova Contador, provocando un immediato sparpaglio. Ma è imminente la flamme rouge, che tanto potere ha nel rianimare Chris Froome (apparso orribile nel viso e nelle movenze durante tutta l’ascesa come se patisse le pene dell’inferno: un nuovo attore da Oscar, o da Razzies, come già Thomas Voeckler?). Il capitano della Sky parte in progressione, si riporta su Contador, lo porta al gancio, e poi se lo scolla di ruota nel finale con un’altra brutale accelerazione.
Contador fa secondo, appaiato con Busche (l’avevamo dimenticato lì davanti, ma l’americano ha retto in testa fino alle ultime centinaia di metri), quarto è Valverde a una decina di secondi da Froome. Porte arriva nei dieci, a neanche mezzo minuto, e consolida la seconda piazza in generale, in vista di una di quelle doppiette che alla Sky piacciono tanto ma che nondimeno hanno un sapore terribilmente inquietante. Specialmente se i componenti di queste accoppiate dimostrano la loro classe solo un’annata qua e una là, una corsa qui e una là (Porte ha solo due mesi meno di Nibali, non è più una giovane promessa o un novellino, eppure finora non ha vinto granché, dopo la maglia bianca al Giro).
Un’altra triste riflessione si impone: Valverde ha azzardato l’attacco su un terreno che, a giudicare dalla dinamica di corsa, era particolarmente penalizzante per le mosse offensive. Pure così, è giunto terzo, tolto l’uomo in fuga dal mattino, a un pugno di secondi. Viene da chiedersi se, standosene comodo a ruota, non avrebbe potuto reggere fino alla fine e poi far valere il proprio spunto. Per fortuna nostra, ha scelto una strategia più interessante: il rischio è che ciò si trasformi in una lezione negativa, in un ulteriore invito a un gruppo già di per sé assopito affinché si aspetti tutti assieme appassionatamente la fine della gara.
Il problema è che finché si corre sui binari, vincono i treni.
Deludono molto anche le formazioni che, in parte inaspettatamente, piazzano più uomini nel selezionato gruppetto di una decina tra i migliori: la Cofidis con Taaramae e Dani Navarro, la Saxo di cui già si è detto. Che senso ha non provare nulla? Pesa forse la lotta per i punti Pro Tour, meglio due atleti ben messi che uno solo a scalare di una posizione grazie al sacrificio dell’altro. Certo che così andiamo a rivivere i tempi armstronghiani in cui i primi alleati della maglia gialla erano coloro che difendevano il proprio secondo, terzo, quarto posto, anche a discapito delle proprie pur lontane speranze di vittoria finale… a meno che, naturalmente, a quei tempi già non fosse chiarissimo che la vittoria finale era bella che assegnata fin dal via, per cui meglio proteggere i piazzamenti di rincalzo. Speriamo che non sia più quello il caso.
Vero, il percorso proprio non aiutava, né sarà troppo più entusiasmante in luglio, al Tour. Certo che però finché si esegue lo spartito prevedibile e programmato, la gara si avvicina sempre di più a una competizione tra ergometri, watt contro watt. E come ha dimostrato la cronometro di ieri, la squadra che ha più watt da scaricare sui pedali è una sola.
Gabriele Bugada