EVenti di Tour
luglio 6, 2009
Categoria: Approfondimenti
A costo d’esser ripetitivi (un’attenta cronaca la trovate più in basso a firma di Matteo Novarini) vogliamo evidenziare un evento che tra due settimane, forse, evocheremo come cruciale nell’economia di questa Grande Boucle, che ha fruttato 40” ad Armstrong e Cancellara grazie all’affondo del Team Columbia.
Essendo il povero Eolo troppo inflazionato, per stigmatizzare il “drole d’étape” odierno scegliamo ben altra mitologia. Tolkien indicava in Manwe il Signore del Respiro, il cui diletto, come si legge dal Silmarillion, “sono i venti e le nuvole e tutte le regioni dell’aria”. Oggi, Manwe s’è palesato in Camargue, terra di tori e fenicotteri, di nulla e di acque morte, spazzata all’improvviso da un vento che scrosta la stantia patina di diplomazia al Tour, denudando ambizioni, gerarchie, debolezze.
33km all’arrivo. Il vento spira contrario al senso di marcia d’un gruppo sonnolento, trascinatosi tra stagni e lavanda con la voglia d’un proscritto. In fondo alla via s’intravede secca una curva a destra. Può persino darsi la strada si restringa. Da lì, il vento batterà da sinistra e per almeno due chilometri, dritti come un’alabarda. La muta di levrieri della Columbia lo sa bene.
Anche Lance Armstrong lo sa. O forse no però il suo fiuto, la sua esperienza, la sua (diciamolo) classe gli fa intuire come in pentola stia bollendo qualcosa di grosso. Rimonta da dietro. Sfiora l’ignaro Contador. Piglia la curva all’interno. In un batter di ciglia si trova nel salotto buono. Lo sta imitando, pur con traiettoria diversa, esterna, Cancellara.
La Columbia apre il gas, piazzandosi a ridosso del margine destro della carreggiata, per lasciare minor spazio possibile a chi succhia le ruote per ripararsi. Il gruppo si spezza. Ma non in punto qualsiasi. La giuntura cede in corrispondenza d’una chiazza turchina, d’una danza familiare. È quella di Contador. Tranquilli, ha al fianco due compagni di squadra che lesti chiuderanno il buco. E invece no. I due gregari si spostano. Contador si guarda spaesato intorno. Il buco si dilata. La mandria di levrieri si invola. Guadagna 40”. Ma con loro c’è il lupo, Lance Armstrong.
Manwe, il Signore del Respiro, l’ha fatta grossa. La magnitudo della sua scossa non sta nella prevedibile volata vincente del Vampiro Cavendish, non nella maglia gialla consolidata da Cancellara, non nelle briciole guadagnate da Kirchen e Gerdemann in classifica. Sta invece nell’aver appena fatto esplodere l’Astana che ha lasciato da solo il capitano annunciato, Contador, davanti al suo Moloch, quell’Armstrong non solo in fuga ma che piazza Popovich e Zubeldia a dar man forte ai Colombi di Cavendish. Il pistolero che sussurrava ai canarini sarà costretto a smettere la maschera gentile per scaricare senza pietà (e senza alleati) la sua colt.
Un altro viandante dall’ego smisurato uscito rafforzato dal golpe dei Colombi è Cancellara. Nei suoi sogni ci sono i Campi Elisi colorati di giallo. Smetterà prima la cotta dorata ma è su questo che si interroga, agli aruspici chiedendo un segnale se mai potrà vincere un Tour. Passerà indenne il primo arrivo in salita? C’è chi già lo dava sulla Terra dopo la cronosquadre ma con un vantaggio robusto, un percorso favorevole (saliscendi all’inizio su strade secondarie, poi drittoni sulla statale verso Montpellier) e rivali stanchi (Columbia) o spaccati (Astana) dovrebbero rafforzarne il primato.
Inciso: il numero di Cancellara e Armstrong (rimonta da dietro prima della curva) è da nostromi navigati e “degno di pieno teatro”: anche in questi piccoli gesti s’intravede la statura del campione. O forse, coi tempi che corrono, soprattutto.
Questa folata d’imprevedibilità ha tirato su di morale un Tour partito in sordina e inconsueto nell’inscenare partenze incipriate come in questi due giorni, pur al netto dell’asfissiante cayenna. Ebbe a dire Levi Leipheimer: “Il vento è un elemento cruciale nelle corse: in Italia succede una volta ogni dieci anni che il gruppo si spacchi per il vento, in Francia il rischio c’è sempre”. Noi aggiungiamo alla citazione dell’americano una buona dose di “controllo burocratico” della corsa. A rendere la Grande Boucle la corsa più dura al mondo tutto fa brodo, Manwe compreso.
Federico Petroni