LA COLOMBIA SALTA IN SELLA: FUOCO E FIAMME TRA LE NEVI FRIULANE
La Sky prende in mano la tappa, e intavola una strategia offensiva incentrata su Urán, che vince la tappa. Nibali però gestisce la situazione mentre la corsa esplode in una serie di allunghi e crolli nei muri al 20% dopo Sella Nevea. Un altro secondo posto per Betancur, che dichiara di non aver voluto chiudere sul connazionale per spirito di patria. Wiggo traballa ma regge bene, sempre forte Evans.
Foto copertina: Uran affronta quasi senza sentire la fatica le tremende rampe del Montasio (foto Bettini)
La tappa è lunga e avventurosa, ma all’ascesa finale si arriva pressoché compatti.
Fin lì ci si diverte con tattiche ad ampio raggio e il folklore offensivo dell’enfant du pays: c’è presto spazio per una fuga robusta, da Tour de France, con volti inattesi e impavidi come quelli di Viviani, Gatto e Bennati. Velocisti atipici lanciati in una pazza escursione tra le montagne (per esser certi di farcela nel tempo massimo, forse). Una fuga, comunque, che stuzzica fantasie napoleoniche di grandi strategie, con pedine importanti spinte in avanti, e a coppie, da Garmin così come da Radioshack: Millar e Dekker da un lato, Popovych e Machado dall’altro. Gregari di lusso, già capitani o prime punte in passato: oggi potenziali appoggi per assalti a lunga gittata da parte di chi, come Hesjedal o Kiserlovski, potrebbe nutrire grandi ambizioni.
Hesjedal, però, crolla già sulle rampe strette e serpeggianti verso Cason di Lanza. Il suo Giro d’Italia, per la generale almeno, finisce qui. Venti minuti il suo ritardo sulla linea del traguardo. Arrivederci per una vittoria di tappa, se la salute o le forze torneranno per tempo. Ryder rientra nella sua dimensione, il suo exploit l’ha avuto e con esso ha colto l’occasione della vita: era un anno fa.
Un po’ a sorpresa sulla prima grande salita c’è la Sky a rullare un ritmo intenso, dopo che l’Astana si era fatta carico come da copione della testa del gruppo, apparendo tuttavia disponibile a lasciare spazio alla fuga.
Con Zandio e Siutsou e menare le danze le vittime si assiepano in fondo al gruppo, e cedono metri e minuti. Oltre a Hesjedal soffrono molto Henao e Samuel Sanchez, che però rientreranno in discesa; i segnali preoccupanti troveranno comunque conferma nel finale, che li vedrà perdere tre-quattro minuti a testa. Forse non una scelta azzeccatissima da parte degli uomini in nero, che sfoltiscono così la forchetta del proprio tridente per la generale.
C’è da dire che anche due uomini destinati ad affiancare Nibali in tappe come questa vengono fatti fuori: si tratta di Tiralongo e Aru, entrambi afflitti da seri problemi di salute, con febbre e dissenteria.
Sia come sia, il gruppo si sgretola, e nel tratto più duro è Pellizotti ad azzardare con il giovanissimo compagno Diego Rosa un bell’attacco, che potrebbe nei piani di Savio anche avvalersi del supporto di Jackson Rodriguez, dimostratosi nel frattempo l’uomo più forte nella fuga.
Oggi però il destino smonta ogni pianificazione troppo arzigogolata: si susseguono le cadute e gli incidenti meccanici, Nibali deve fermarsi in salita e riaggiustarsi la catena da sé (invece che scagliare via la bici: buona idea!), perde qualche centinaio di metri, ma rientra senza patemi, Rodriguez testa della corsa rompe il cambio a più riprese e mal digerisce la prospettiva di attendere Pellizotti, che da parte sua finisce per terra scendendo da Cason di Lanza. Una pletora di contrattempi che lasciano più d’un dubbio sui materiali imposti ai team per motivi essenzialmente di sponsor.
Per fortuna, ad ogni modo, nulla di grave: l’Astana conduce la discesa tecnica con Agnoli a pilotare Nibali, dopo aver sostituito gli Sky in prossimità del Gpm tramite una accelerazione brutale che sferza e allunga il gruppo. Nessun attacco dei celesti, comunque. Agnoli e Nibali scendono in sicurezza, alimentandosi, mentre dietro Wiggins tiene il ritmo pur beccando un buco dopo l’altro, sempre in tensione.
La strada spiana, il gruppo torna a rinfoltirsi e la fuga viene poco a poco assorbita di nuovo sulla spinta degli uomini in nero.
Eccoci così al momento chiave della tappa. La salita verso Sella Nevea, da cui poi ci si arrampica al Montasio, è costante e impegnativa, sempre tra il 7 e l’8%. Cataldo impone un ritmo asfissiante, Kangert si sgancia, la maglia bianca Kelderman va in bambola, dopo un po’ pure Agnoli molla, Nibali è isolato, e proprio in corrispondenza di una galleria, ai -7,5km dall’arrivo, Urán saluta la compagnia e se ne va da solo. Che hanno in mente gli Sky? Forse una giocata come quella del Criterium Internazionale, o una variazione sul tema? Difficile dirlo, sta di fatto che il colombiano prende il largo.
In un primo momento è la Fantini, con Di Luca, a provare a contenere il distacco, ma ben presto è chiaro che servono misure estreme.
E la misura estrema è Valerio Agnoli.
Gladiatorio, l’uomo di fiducia di Nibali approfitta dell’esitazione nel selezionato gruppetto per rientrare, portarsi in testa, e a denti scoperti impostare il ritmo più alto che riesca a sostenere, con l’intento di condurre col minor gap possibile il proprio capitano al tratto più aspro della salita, lì dove per un paio di km buoni le scie non conteranno più granché, visto che si salirà a 12km/h…
Urán era arrivato al minuto di vantaggio, ma da qui alla fine salirà regolarissimo mantenendo una differenza oscillante tra i 20” e i 40”.
Dietro, la corsa esita, tremola, esplode.
Nibali comincia in regolarità, allunga per prendere i residui 4” di un traguardo volante, di nuovo riprende un passo costante.
I big si affiancano, si studiano, con Scarponi che per primo chiede a Niemiec di alzare il ritmo, cosa che il polacco fa senza battere ciglio. Betancur ha un problema meccanico, ma non si perde d’animo, mentre è Intxausti – come a Lago Laceno un anno fa! – a rompere gli indugi con una bella accelerazione. Gesink incassa il colpo, e dopo poco pure Wiggins. Qualcuno però, lì davanti, si sta facendo un fuorigiri non da poco, e le sgasate poi si pagano carissime quando arrivano i muri veri, stretti tornanti che artigliano le balze della montagna come salti da capre.
Scarponi molla botta e si aggrappa alla ruota del fedele Niemiec, fermato all’uopo, Intxausti scivola giù come se la strada fosse saponata, Wiggins invece, pur scomposto e sofferente, sale regolare, senza affondare, e andrà perfino a passare il marchigiano.
Betancur è tornato con i migliori, e sorveglia le ruote dei big mentre il suo compagno Pozzovivo sembra il più pimpante nel condurre l’inseguimento all’altro colombiano, quello che in maglia Sky continua a condurre la gara in piena solitudine: il lucano scava anche un piccolo buco tra sé e Nibali, ma l’impressione è che il siciliano controlli con grande padronanza. Al suo fianco un altro polacco (l’altra nazionalità del giorno, dopo i colombiani!) sembra in buonissima forma: Rafal Majka, giovanissimo, già brillante spalla per Contador nel trionfo della Vuelta 2012.
Non azzardano nulla, invece, Kiserlovski, Evans e Santambrogio, che si attestano prudenti alla ruota di Vincenzo, che proprio nel finale del tratto più selettivo, dimostrando grande freddezza, piazza un bell’allungo con cui si riporta sull’italiano dell’Ag2R. È Evans a chiudere, prima di passare addirittura, nel finale più pedalabile dell’ascesa, a dare bei cambi a Nibali nel mantenere il vantaggio sugli staccati con robuste trenate.
Il finale in pura apnea, appassionante e animato, vede l’ennesimo problema al cambio per Nibali proprio mentre stava per lanciare una fucilata ai -1500m. È invece Betancur a involarsi di pura potenza staccando tutti. Evans e Nibali si alternano in colpi di maglio che non si sa se siano collaborazione o reciproci attacchi (o le due cose assieme): chi soffre di più è Kiserlovski, che cede di qualche secondo.
Urán arriva solitario in scioltezza, Betancur è a 20”, Nibali a 31” battendo per l’abbuono Santambrogio, Evans, Majka, Pozzovivo. Kiserlovski a metà strada, sotto al minuto, mentre a poco più di un minuto – sempre da Urán – ecco entrare Intxausti, Wiggins, Niemiec e Scarponi, Gesink. Poi cominciano a volare i minuti.
Ancora una tappa bellissima, e non solo per i paesaggi da urlo finalmente ripresi con immagini all’altezza. Giornata entusiasmante, imprevedibile, ricca di rivolgimenti, speranze frustrate, attese tradite, ma anche felici sorprese o gioie inaspettate. Grande doppietta colombiana (il solito Betancur un po’ burbanzoso dirà in televisione che lui Urán l’avrebbe pure ripreso, ma tra colombiani per “antica tradizione” non ci si insegue…!) e grande Vincenzo Nibali, che dimostra grande solidità nel non farsi incrinare da incidenti meccanici vari, come già in precedenza dalle cadute. Quando resta senza compagni gestisce il tutto con freddezza e precisione. Monumentale Agnoli, specialmente dal punto di vista psicologico, con un rientro quando già avrebbe potuto staccare la spina: strategicamente basilare, il suo contributo, per prevenire scatti a raffica o evitare drammatici surplace. Bravo Wiggins a lasciar spazio a Urán (se mai decide qualcosa in quanto capitano, voglio dire), e bravissimo, solidissimo, nel non crollare nel km per lui più aspro prima delle Tre Cime di Lavaredo. Non lascia certo tranquilli gli avversari, con una prestazione di questo spessore. Importanti i polacchi, Majka per sé e Niemiec per uno Scarponi un po’ appannato: anche lui, però, rende al meglio su altri terreni. Qualcosa di più ci si aspettava forse da Pozzovivo, ma il lucano avrà ancora tanto e tanto terreno, quel che è venuto finora per lui era il peggio: già non cadere e fare una buona crono sono risultati di spicco, per la prima settimana; il suo Giro comunque oggi, e comincia con un bello squillo. Un’ultima nota per Evans, vero leone e campione a tutto tondo, che non si tira indietro, che collabora con magnanimità e orgoglio, che ribatte colpo su colpo quando lo attaccano. A oggi il duellante più dappresso di Nibali è lui, sempre che la maglia rosa non voli dritta in Colombia, s’intende.
Gabriele Bugada