BANG BANG YOU SHOT ME DOWN INFANTILE E VIOLENTA, CHE DIVERTENTE È LA FRECCIA

aprile 18, 2013
Categoria: 6) FRECCIA VALLONE, Approfondimenti

La gara più corta, il chilometro più lungo. Quasi ogni edizione si conclude con la “volata verticale” di un gruppo ancora affollato ai piedi del Muro di Huy: spesso basta seguire gli ultimi due o tre minuti della competizione per goderne il succo. Però in quel chilometro scarso succede di tutto: attacchi da lontano, azzardi, fughe, sfide, crolli.

Foto copertina: il gruppo sul muro di Huy (foto Bettini)

Per fortuna la Freccia, come sempre, è finita in volata. Gli organizzatori avevano ritoccato il percorso per movimentarla un po’ da lontano, ma dopotutto… perché? Ben venga l’evoluzione dell’Amstel, che stava diventando una brutta copia della Freccia. Ben venga l’eterna mutevolezza e imprevedibilità della Liegi. Ma perché mai non possiamo regalarci in una, una sola classica, il divertimento minimalista e in fondo un po’ sciocco dell’epilogo in volata?
Una volata verticale, sia ben chiaro. Una volata in cui si possano godere come al rallentatore le logiche tattiche e i rivolgimenti drammatici che in uno sprint tradizionale, sul piano, scorrono via troppo rapidi per l’occhio umano.
Il “ralenti” al cinema spesso e volentieri è un effettaccio, da film d’azione spaccone che pompa emozioni facili. Quando finisce in mano a un grande regista, però, non gli si può negare quel pizzico di epica.
Ci sono classiche grandi e piccole per specialisti di ogni genere, perché non una per gli scattisti da parete estrema? Il vincitore di quest’anno, Dani Moreno, ha subito detto che da sempre questa è stata la sua gara favorita, anche se fino ad oggi il suo ruolo era stato naturalmente quello dello scudiero di Joaquim Rodriguez, probabilmente il vero fenomeno di questa disciplina.
E dopo tutto perfino chi in bici ci va da ciclista della domenica, con gli amici sulle strade di casa, sa che il divertimento puro è quello del breve strappo in cui scatenarsi in una sfida a tutto gas, senza paura di crampi, crisi di fame, mal di sella, ma abbandonandosi in pieno al gusto di un bel fuorigiri senza remore. Il bello del fiatone!
Quel fiatone che dopo 260km tirati anche se sei un professionista non puoi più cacciartelo dai polmoni, perché le gambe in croce girano a stento e il cuore si preoccupa solo dell’ordinaria amministrazione. Il ciclismo “vero” sta nel trovare la brillantezza quando si è al lumicino, questo sia chiaro; il ciclismo “vero” è quello della Liegi, ci mancherebbe.
Una volta tanto, senza esagerare, ci sta divertirsi con un ciclismo meno “vero”, meno duro e puro, più giocoso e scanzonato, non per questo meno ricco di sussulti drammatici.
E allora viva la Freccia, con Joaquim che gioca a star bene anche se le botte prese in Olanda gli fanno un gran male, e pensa alla Liegi. Però fa la mossa, si mette davanti, e nal girotondo dei marcamenti fa scappare via l’amico Dani. D’altro canto avevano condiviso la stanza fortunata nell’albergo, la leggendaria numero 11 che fu di Argentin!
Viva la Freccia, con i colombiani Henao e Betancur che fanno secondo e terzo, ma sembrano vivere una sfida tra compaesani, tutta giocata tra loro, con Henao che nemmeno si cura di Moreno (avrebbe forse vinto, se l’avesse marcato invece che guardare altrove) e Betancur che tira fuori dal cappello la bravata di un attacco “da lontano”. Tutto finisce con abbracci e pacche sulle spalle. Con tanto di divertente siparietto in merito a quale sia il gradino giusto del podio su cui salire!
È invece andata male, malissimo (sportivamente s’intende), a chi la gara l’ha presa, anche con i propri buoni motivi, troppo sul serio.
Gilbert voleva maledettamente vincere, per raddrizzare finalmente un’altra primavera zoppa. Ha macinato la squadra, poi nel finale si è trovato a dover gestire l’intera situazione in prima persona, a maggior ragione dopo le fiammate esibite sul Cauberg. Perché anche se parliamo di un gioco di meno di un km, i duecento che ci sono prima non sono uno scherzo. Resta ciclismo, e grande ciclismo, anche se lo spettatore può accontentarsi di seguire appena l’ultimo chilometro. Il ritmo di gara, le forze residue, le alleanze, vanno costruendo la situazione che si risolverà in quel rapido crepitio di fucili.
Sagan voleva maledettamente vincere, i crampi del Cauberg hanno scottato il suo orgoglio di campioncino. Ha marcato Gilbert, e come lui ha finito per scoppiare troppo presto. Perché anche se parliamo di un gioco che dura due minuti, in quei due minuti hai un solo colpo da sparare, e come nei duelli del kubrickiano Barry Lindon, sbagliare la giusta distanza all’atto di tirare può voler dire finire steso al suolo. Un gioco, ma un gioco azzardato ed equilibristico, come balzare da un tetto all’altro in una fuga a perdifiato.
La gara della sparata tutto o niente, scoppiettante, sfacciata, che come il gioco d’azzardo lascia musi lunghi e amarezza tra i perdenti, o meglio tra chi… l’ha presa male.
La gara perfetta, se vogliamo, per una ciclista perfetta (anche se per lei sono perfette tutte le gare): Marianne Vos firma la cinquina, davanti a una tenacissima Longo Borghini che gioca duro e fa sul serio fino al colpo di reni, pigliandosi una seconda piazza prestigiosissima con perizia e grinta da professionista consumata; se non la conoscessimo, non diremmo mai che nemmeno ha compiuto 22 anni.
L’immagine che ci resta in testa è però il sorriso smagliante di Marianne, a illuminare la sua maglia multicolore. E le sue parole sono il commento migliore alla Freccia Vallone, a ogni Freccia Vallone, da parte di chi questa gara l’ha capita davvero, meglio di tutti: “può sembrare strampalato, ma nonostante tutto, è ancora così eccitante! Ogni volta che vinco è come se fosse una novità… quell’esplosione di potenza, che su questa salita puoi fare una volta sola”.

Gabriele Bugada

Continuano gli interventi delle “glorie” della nostra testata in occasione del decimo anniversario dell’inizio di questa bella avventura. Stavolta è toccato a uno degli attuali membri della redazione, Gabriele Bugada.

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