LA COLUMBIA INVENTA, LANCE NE APPROFITTA

luglio 6, 2009
Categoria: News

La squadra di Mark Cavendish organizza un inatteso ventaglio a 30 km dall’arrivo, che consente a venticinque corridori di avvantaggiarsi. Tra questi la maglia gialla Cancellara, che salva il primato, e Mark Cavendish, che conquista il secondo successo di tappa consecutivo, battendo Thor Hushovd. Tra i big, davanti resta solo Lance Armstrong, che guadagna 40’’ sugli altri favoriti, e ordina a Popovych e Zubeldia di tirare, malgrado Contador sia rimasto indietro. Possibile frattura in casa Astana.

Nell’economia di un Tour de France, frazioni come quella di oggi altro non sono altro che tappe “prima di” o “dopo” la crono/i Pirenei/le Alpi e via discorrendo. Se la Monaco – Brignoles di ieri era “la tappa dopo il prologo”, l’odierna Marsiglia – La Grande-Motte era “la tappa prima della cronosquadre”. Etichette che denotano un interesse non propriamente stellare verso queste frazioni. E se da parte del pubblico la cosa è ampiamente giustificabile, riesce difficile trovare delle valide motivazioni per l’inizio relativamente lento di questa Grande Boucle, anche oggi ben lontana dalle medie folli che hanno caratterizzato le prime tappe delle edizioni passate.
Da Marsiglia a La Grande-Motte, si diceva, ossia da una città che dà ormai del tu al Tour de France, in virtù dei 32 arrivi di tappa precedenti quello di quest’anno, a una che ritrova la corsa più amata dai francesi dopo 37 anni. Due località ciclisticamente care al Belgio, nel complesso: nel 1971, nella Orcières-Merlette – Marsiglia, il giorno dopo l’epocale scoppola di Orcières, quando Luis Ocana gli rifilò quasi 9’ in 134 km, Eddy Merckx attaccò in partenza, e dopo una giornata ad una media irreale (46,2 km/h su 251 km, e si parla di quarant’anni fa) recuperò 2’ al rivale, pur venendo battuto sul traguardo dal nostro Luciano Armani; a La Grande-Motte, due successi belgi in altrettanti arrivi, grazie a Reybrouck e Teirlinck.
A testimonianza di un avvio di Tour più tranquillo del solito, oggi è mancata la tradizionale battaglia per azzeccare l’azione buona. È bastata una manciata di chilometri perché nascesse la fuga destinata a caratterizzare questa 3a tappa del Tour, dal momento che Bouet, Dumoulin, De Koert e Perez Moreno, in appena una decina di chilometri, hanno messo tra sé e il gruppo quasi 5’. Il margine del quartetto è salito vertiginosamente, fino a sfiorare i 13’ poco dopo il traguardo volante di La Fare-les-Oliviers, in prossimità dello Stagno di Berre, riserva di acqua salmastra caratteristica della Camargue, al pari del più grande, e anch’esso costeggiato in questa frazione, Stagno di Verriès. Un vantaggio recuperabile, ma che iniziava a far pensare che la seconda volata consecutiva potesse essere scongiurata. A supporto dei fuggitivi parlava anche la statistica, visto che negli ultimi tre anni, la 3a tappa non si è mai risolta in volata: nel 2006 Kessler si involò sul Cauberg per trionfare a Valkenburg; l’anno successivo Cancellara si inventò un capolavoro nella tappa di Compiègne, attaccando all’ultimo chilometro; nella scorsa edizione, una lunga fuga premiò Samuel Dumoulin sul traguardo di Nantes.
Il vantaggio dei fuggitivi ha poi vissuto un po’ di quei saliscendi che tanto ci piacerebbe vedere anche nelle altimetrie della prima settimana del Tour. Il passaggio da Eyguières, città della famiglia de Sade, deve aver infatti ispirato al gruppo una pausa piuttosto masochista, al limite del suicidio, nell’inseguimento, in virtù della quale il margine della testa della corsa, dopo essere sceso a 8’ e spiccioli, è tornato a superare gli 11’. Il plotone si è poi nuovamente svegliato, e già sul secondo e ultimo GPM di giornata, il Col de la Vayède (700 metri al 7,4%. Se al Giro si classificasse come GPM ogni dente di questo genere, i punti complessivamente messi in palio per la maglia verde arriverebbe a sfiorare quota 5000), il vantaggio era sceso a 8’.
Il Tour ha quindi reso omaggio alla meravigliosa Arles, città di monumenti romani e dell’Abbazia di Montmajour, prima di dirigersi nuovamente verso il mare. È in questa fase che Marzio Bruseghin, forse, da amante del buon vino qual è, con la mente ai Coteaux-des-beaux-de-Provence di Mouriès, altra località visitata dal Tour quest’oggi, ha pensato bene di tentare di diventare il primo uomo a laurearsi in “Sapore e consistenza degli asfalti francesi”, finendo a terra per il secondo giorno consecutivo, dopo che ieri era stata una delle innumerevoli vittime della pericolosità del percorso. Iniziano a diventare obiettivamente troppe le cadute, già numerosissime ieri. Forse quella di oggi può essere classificata come semplice incidente di corsa, ma resta il fatto che per ritrovare una tale quantità di cadute nei primissimi giorni di un Grande Giro è necessario tornare al via del Giro 1996 dalla Grecia, dove la superficie delle strade assomigliava a forme di Emmental.
“Selvaggio vento dell’Ovest, respiro dell’autunno già vivo, che invisibile fai morire le foglie, e le trascini come fantasmi fuggenti da un mago…”. Se parlando di una corsa ciclistica si citano i primi verso di “Ode al Vento dell’Ovest” di Percy Shelley, ci sono solamente due possibilità: 1) chi sta scrivendo è matto; 2) il vento ha giocato un ruolo importante nella tappa. Pur non potendo escludere a priori la prima ipotesi, quel che è certo è che oggi, anche se magari la direzione del vento non era esattamente quella, una bella ode al vento dovrebbe scriverla Lance Armstrong, unico dei grandi della classifica a sfruttare a proprio vantaggio una fantasiosa e spettacolare iniziativa del Team Columbia, che poco prima di Sylvéréal, ad una trentina di chilometri dal traguardo, ha generato un ventaglio del tutto inatteso. Una menata di Michael Rogers ha, infatti, provocato una frattura nel gruppo, che ha lasciato davanti appena 25 corridori, tra cui tutti i Columbia, ma soltanto Lance Armstrong tra i favoriti per la maglia gialla.
Il gruppetto ha guadagnato immediatamente una trentina di secondi, prima che dietro Saxo Bank, Garmin e Silence riuscissero a trovare un accordo, che ha però vissuto troppe pause perché l’inseguimento potesse avere successo. Il margine dei primi, che intanto avevano riassorbito i quattro fuggitivi della prima ora, si è stabilizzato intorno ai 35’’, prima di salire a quaranta nel finale, per via dello sprint.
Qualche ardito cantore delle due ruote avrebbe potuto bollare la frazione odierna come “la tappa dei due mostri”. La leggenda vuole che la Camargue fosse anticamente tormentata da una sorta di dragone, detto tarasque, e che il già citato stagno di Vaccarès ospitasse un essere con corpo di uomo e gambe caprine. Pur senza possedere orribili sembianze (ma già ieri è stata rilevata un’inquietante somiglianza tra il suo sorriso e quello di Dracula), Mark Cavendish è in questo momento il mostro degli sprint, un velocista capace di fornire un senso di onnipotenza e facilità nel vincere senza eguali in questo momento. Oggi è toccato a Thor Hushovd doversi arrendere allo strapotere del britannico dell’Isola di Man, che da ragazzino amava il freddo e adesso domina nella fornace del Tour, anche oggi lanciato alla perfezione da Mark Renshaw. A questo punto, con due vittorie nelle prime due tappe in linea, il poker alla Grande Boucle dello scorso anno rischia di essere addirittura migliorato.
In virtù del ventaglio, la tappa odierna ha lasciato un segno anche sulla classifica generale: se Cancellara non si è fatto sorprendere, non altrettanto si può dire per Contador, Wiggins, Kloden, Evans, Leipheimer, Kreuziger e Nibali, che hanno così dovuto subire il sorpasso di Tony Martin, ora 2° a 33’’ dalla testa, e soprattutto di Lance Armstrong, 3° a 40’’. Ma il principale tema di discussione, nelle prossime ore, non saranno tanto i secondi guadagnati dal texano, quanto piuttosto la sua decisione di ordinare a Popovych e Zubeldia, gli altri due Astana facenti parte del primo gruppo, di dare man forte al tentativo dei Columbia. Polemiche che rischiano di spaccare i già fragili equilibri di casa Astana, ma a nostro giudizio decisamente fuori luogo, dal momento che Armstrong, tra gli uomini al comando, era decisamente il più accreditato in ottica vittoria finale. Era insomma nell’interesse dell’Astana alimentare il tentativo, non potendo rinunciarvi per la presenza di corridori pur ottimi quali Rogers, Kirchen, Martin e Gerdemann, sulla carta inferiori al sette volte vincitore del Tour. È comprensibile che Contador possa non prendere benissimo la cosa, ma tatticamente la scelta era obbligata.
Forse per via dei palazzi edificati negli anni ’60 da Jean Balladur, colui che diresse la costruzione della località, praticamente dal nulla, che ai suoi sostenitori ricordano piramidi precolombiane, ma in cui ci pare di riscontrare punti di contatto con le Vele di Scampia, il Tour ha deciso di non ripartire da La Grande-Motte, ma di trasferirsi a Montpellier, sede della partenza e dell’arrivo della cronosquadre di domani. Prova di cui in tutta franchezza non sentivamo la mancanza, ma che certamente finirà per pesare meno sulla classifica finale rispetto ai classici biliardoni di 50 km. Se non altro, gli organizzatori ci hanno risparmiato gli sbarramenti. Meglio così: la cronosquadre non ci piace, ma se va fatta, che la si faccia per davvero.

Pronto? Cavendish c'è! (foto Bettini)

Pronto? Cavendish c'è! (foto Bettini)

Matteo Novarini

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