POLICASTRO BUSSENTINO – SERRA SAN BRUNO. NADIR TRA LE SERRE
Nella tappa più meridionale del Giro 2013 i partecipanti avranno modo di confrontarsi con la prima salita vera di questa edizione della corsa rosa. Nulla di trascendentale in programma, i 907 metri della Croce Ferrata non dovrebbero provocare grossi danni ma quei 12700 metri alle porte del traguardo non ammetteranno comunque distrazioni. A Serra San Bruno dovrebbero arrivare in molti, sulla falsariga dei finali di tappa al santuario di Montevergine, archetipo della classica salita d’inizio Giro, buona solo per valutare lo stato di forma dei campioni più attesi ma senza grandi pretese di classifica.
Sarà una tappa inversamente proporzionale alla sua dimensione geografica la quarta del Giro 2013. Nel giorno nel quale la corsa rosa toccherà il suo “nadir”, il punto geograficamente più basso, i corridori, invece, non si troveranno a scendere ma a salire con decisione, chiamati all’appello dalla prima vera ascesa proposta dal tracciato. Un appello al quale saranno in molti a rispondere perché arrivare sino ai 907 metri della Croce Ferrata sarà quasi una passeggiata, al termine di una salita più pedalabile rispetto a quella che – di suo non impegnativa – l’anno scorso ospitò il primo approdo in montagna, a Rocca di Cambio. Ci fu un po’ di selezione dodici mesi fa, ma l’ascesa era lunga quasi il doppio e presentava le pendenze più rilevanti nei chilometri conclusivi, affrontati a tutta anche perché l’arrivo era proprio in cima. Stavolta l’ascesa durerà una dozzina di chilometri e sarà simile a quella abruzzese nelle pendenze (media del 5,5%, massima del 10%), ma non coinciderà con il traguardo, distante circa 5 Km e questo dovrebbe agevolare chi avrà patito in vetta un piccolo e recuperabile distacco. Sarà comunque difficile perdere le ruote del gruppo con un tracciato simile, sempre che non ci si sia presentati al via da Napoli non al top della condizione. Più probabile un epilogo discretamente affollato, sulla falsariga dei finali al santuario di Montevergine, classico traguardo di prima tappa di montagna in recenti Giri d’Italia, che avevano visto circa una ventina di corridori appaiati contendersi il successo e altri giunti con poco ritardo. L’unica reale difficoltà di questa giornata sarà il peso della distanza perché, con i suoi 244 Km, sarà la frazione più lunga di questa edizione.
La tappa prenderà le mosse da Policastro Bussentino, località balneare affacciata sull’omonimo golfo nei pressi della foce del Bussento, fiume lungo 37 Km dei quali 5 sotterranei. Toccata Sapri (centro conosciuto per la “spigolatrice”, la protagonista della poesia con la quale Luigi Mercantini narrò nel 1857 le sfortune della spedizione di Carlo Pisacane nel Regno delle Due Sicilie), a una decina di chilometri dal via i “girini” lasceranno definitivamente la Campania alla volta della Puglia, attraversando “di volata” la Basilicata, che sarà gran protagonista della tappa del giorno successivo, quando la corsa rosa farà scalo a Matera. Nel tratto lucano odierno il gruppo transiterà ai piedi di Maratea, nota località di villeggiatura estiva dominata dal monte San Biagio, sul quale si trovano l’omonimo santuario e la troneggiante Statua del Redentore, terza in altezza (22 metri) tra quelle costruite in Europa e settima nella speciale classifica “mondiale” che vede in testa il Cristo Re inaugurato nel 2010 a Świebodzin (Polonia), alto ben 52 metri e mezzo.
Superato il ponte sulla Fiumara di Castrocucco, il tracciato di gara farà il suo ingresso nella punta dello stivale italico, seguitando a percorrere la statale tirrenica. Per evitare di allungare ulteriormente la tappa che, come abbiamo detto, sarà la più chilometrica di tutte, si è stabilito di rimanere costantemente sul tracciato “ufficiale” della SS 18, senza deviare – come sempre capitava in occasione degli altri passaggi in zona – sul vecchio itinerario che scende in riva al mare e, sfiorata l’isola di Dino (vi si trovano diverse grotte tra le quali l’Azzurra, bella quanto l’omonima caprese), risale a imboccare la nuova strada con un tortuoso tracciato a tornanti. Lambito il caratteristico centro storico a “gradoni” di Scalea, il tracciato proporrà un rettilineo pianeggiante di una decina di chilometri, lungo uno dei tratti più agevoli della “Riviera dei Cedri”, così chiamata per la diffusa e difficile coltivazione dell’agrume che giunse in Europa in tempi antichi dall’Asia sudorientale e che per questo motivo fu definita “mela assira” dallo scrittore romano Plinio il Vecchio.
Usciti da questa fase pianeggiante dopo aver rasentato i centri turistici di Diamante e Belvedere Marittimo, sedi di partenza di due recenti tappe della corsa rosa (nel 2005 e nel 2008), inizierà un tratto di circa 30 Km caratterizzato da radi “zampellotti”, termine con il quale l’ex corridore Davide Cassani suole definire le salitelle brevi e facili, una via di mezzo tra i cavalcavia e i GPM di 4a categoria tipici della prima settimana del Tour de France, dal 2011 introdotti anche al Giro d’Italia. Anche in questi casi il percorso seguirà le “onde” della statale, transitando ai piedi dei colli su cui sorgono centri come Acquappesa, ciclisticamente conosciuto per la spettacolare discesa dei “Gironi” (un tratto a tornanti che ricorda la planata dal Poggio sanremese), tradizionale antipasto all’epilogo presso le vicine Terme Luigiane, località curativa frequentata sin dal tempo dei romani e che ebbe notevole impulso prima grazie all’inconsapevole “sponsorizzazione” di San Francesco da Paola, che ne parlò in una lettera diretta al nobile Simone degli Alimena, e poi a una leggenda riguardante la regina Isabella di Francia che, secondo i racconti, avrebbe ritrovato la fertilità dopo un salutare bagno in quelle acque che un tempo si chiamavano “Bagni della Guardia”. Un richiamo tira l’altro: la “Guardia” è quella Piemontese, il centro più vicino e che ha questo nome perché nel XII secolo vi si stabilirono esuli dalla Val Pellice, scappati dalla loro terra natia a causa delle persecuzioni religiose (era “infedeli” di professione valdese) e che portarono in Calabria usi, costumi e parlata tipicamente settentrionali, tuttora in uso.
Rasentata Paola e il suo santuario – complesso costruito nel luogo dove il citato San Francesco eresse una cappella in onore del suo omonimo d’Assisi – finiranno i morbidi saliscendi e, per i successivi 80 Km, ne occuperà il posto la pianura. Con quest’assetto il gruppo, toccata la località balneare di Amantea (da non perdere la chiesa gotica di San Bernardino da Siena) passerà dal cosentino alla provincia di Catanzaro, dove il tracciato attraverserà la piana di Sant’Eufemia, la terza pianura per estensione della Calabria dopo quelle di Gioia Tauro e di Sibari (la più vasta, che sarà sfiorata dal tracciato della tappa successiva). All’uscita da quest’area, bonificata e resa fertile tra il 1910 e il 1936, il tracciato lascerà la linea di costa e si internerà in direzione del lago dell’Angitola, bacino artificiale creato nel 1966 sbarrando il corso dell’omonimo fiume e dal 1975 gestito dal WWF in quanto “zona umida d’importanza internazionale”. Sulle sue rive il gruppo saluterà la pianura per affrontare la facilissima salita (una dozzina di chilometri al 3,3%) verso Vibo Valentia, che sarà l’antipasto alla Croce Ferrata. Non si salirà dal classico versante della statale, ma da un tracciato parallelo, che toccherà il centro di Maierato e poi lambirà l’area archeologica della colonia greca di Hipponion, prevalentemente costituita dai resti delle mura, in origine lunghe 7,5 Km (ne rimangono appena 400 metri) e dotate di otto torri circolari che, a detta degli studiosi, dovevano essere alte circa 10 metri. Planati nella valle del Mesima ( il quinto fiume della regione per portata), due piccole balze con strappi fino al 12% precederanno di poco il passaggio da Soriano Calabro, centro che nel 1783 fu uno degli epicentri del più devastante terremoto verificatosi nell’Italia meridionale nel XVIII secolo, i cui effetti sono qui testimoniati dai resti della chiesa di San Domenico e del vicino convento, abbattuti da scosse arrivate fino all’undicesimo grado della Scala Mercalli. Alle porte di Soriano avrà inizio l’ascesa finale, diretta alla croce presso la quale avvenne, nel 1098, l’incontro tra il beato Lanuino e il monaco San Bruno di Colonia. Sceso in Italia dalla Francia (dove aveva fondato l’ordine dei certosini e il monastero della Grande Chartreuse), su invito di Papa Urbano II che lo volle al servizio della Santa Sede, San Bruno sarà in seguito eletto arcivescovo di Reggio Calabria, carica che rifiuterà preferendo la vita contemplativa, ritirandosi in solitudine tra le serre del vibonese dove, su di un terreno donatogli dal conte Ruggero I di Sicilia, costruì l’eremo successivamente trasformatosi nell’abbazia certosina dei Santi Stefano e Bruno. Un’oasi di pace tuttora abitata dai certosini, che in oltre 900 anni di vita fu turbata solo tre volte, prima dal citato sisma del 1783 che la rase al suolo quasi completamente e poi la soppressione della certosa decretata nel 1808 dal re di Napoli Giuseppe Bonaparte, fratello del più celebre Napoleone. Ed ora, tornati i monaci nel 1856, sarà il sottile baccano rosa del Giro a interrompere la loro “quiete”.
Mauro Facoltosi
FOTOGALLERY
Foto copertina: in una suggestiva inquadratura invernale l’attuale certosa (a sinistra) e i ruderi della vecchia certosa di Serra San Bruno (serrasanbruno.files.wordpress.com)