EVANS, “GUERRIERO” D’ORO

settembre 30, 2009
Categoria: Approfondimenti

Vi deliziamo con un originale ritratto del campione del mondo, l’umile “soldato” che viene dall’Oceania e s’è rivestito d’oro in quel di Mendrisio. Non è un combattente nato, nonostante la genesi gaelica del suo nome, la sua carriera è finora passata per cocenti cotte, ma sembra arrivata l’ora del riscatto per un uomo sul cui astro mai si sono addensate le nubi del doping.

“We are not what you think we are. We are golden!” Lo pensa, non lo urla, non è nel suo stile. Con Mika, però, è d’accordo. Cadel Evans non è come pensiamo. E’ fatto d’oro. Per grattare la ruggine del perdente c’è voluto “un mondiale in casa lontano da casa”, con una salita conosciuta come le proprie tasche, da bere tutta d’un fiato per tuffarsi a testa bassa verso il sogno iridato. Grattata la scorza, scopri che Cadel è fatto d’oro bianco che, come il prisma di Dark Side of the Moon, rifrange i colori dell’arcobaleno.

L’Eden di Evans non si raggiunge con l’ascensore, né con le scale mobili ma con una scala a pioli d’aste in quercia e gradini in ferro. Era destinato alla bicicletta, cresciuto nell’Australia profonda col surf o le due ruote unici compagni di giochi, tuttavia la sua carriera è costellata di piccoli passi e sonore batoste. Fosse una chiave sarebbe un passepartout, senza che però avesse spalancato mai la porta del successo: mai una classica, mai una tappa in un grande giro, mai un grande giro.

Cotte, quelle sì. Come quella volta verso Folgaria, Giro del 2002, dove buscò, la rosea indosso, diciassette minuti in un amen. Delusioni, pure, di quelle che mordono i garretti più d’un Mortirolo. Come i Tour 2007 e 2008 persi per ottantuno secondi (non a Tour ma in tutto). Come gli infortuni che tra il 2004 e il 2005 parevano averlo eclissato. Come quella dipinta nei volti della troupe che nella Grande Boucle 2008 lo aveva ripreso convinta d’una sua vittoria.

Ma proprio il nome di quel documentario rappresenta il vertice della ruota di Madama la Fortuna. “Yell for Cadel” che in gaelico significa “Pronti per il Guerriero”. Già, Cadel vuol dire guerriero. Non lo diresti condottiero e infatti è un oplite. Non fosse umile, avrebbe già smesso, con tutte quelle batoste, inferte pure da Madre Natura. L’eleganza del cinghiale. Lo stile è brutto, storta la testa, l’incavo oculare disegnato apposta per meglio far scorrere le lacrime. Pedala gobbo e, novello Rigoletto, sembra cantare “Cortigiani, vil razza dannata!” ai suoi rivali, mentre sfuria in vani sforzi. Non è mai riuscito a staccare nessuno. Non lo ha fatto nemmeno a Mendrisio. Il suo problema è guadagnare quei venti metri. Ieri c’è riuscito approfittando di un Kolobnev e di un Rodriguez voltati.

La commozione di Cadel Evans sul podio di Mendrisio (foto Scanferla)

La commozione di Cadel Evans sul podio di Mendrisio (foto Scanferla)

E così quegli occhi turchesi si sono indorati di una rugiada di lacrime, per la prima volta. Forse nello sport: vuoi che d’amore non abbia mai pianto questa tenera faccia da boxer (non boxeur)? Ama, palpita ed è sposato con Chiara, la cui passione si indovina dagli occhi, si capisce da come, all’arrivo, Cadel baci l’anello, si legge dai racconti della coppia. Lei suona il piano, lui, tra un Chiaro di Luna e l’altro, ne rimane ammaliato. E i vicini protestano. “Ma non perché infastiditi: mi chiedono di aprire le finestre perché anche loro vogliono ascoltare”, dice la coppia, cui va aggiunta una terza, l’adorata cagnetta tascabile Molly, ghiotta dei salumi che spesso Cadel porta a casa come trofeo.

Trofeo che porterò in giro con l’orgoglio di chi s’è riscattato – storia tipica dell’emigrante, a pedali e non – per un anno intero, prima volta che l’iride avvolge un uomo da corse a tappe dopo l’Olano del 1995. Ci teneva, a vincere in casa, senza fretta, però, perché di Mondiali casalinghi ne può vantare ben tre. Dalla sua casa di Stabio, infatti, ci si volge a ovest e s’intravedono le meraviglie a giardino di Varese; ci si volge ad est e l’alba irradia il sogno della salita di Novazzano. L’anno prossimo poi, in Australia, il traguardo di Geelong sarà posto a 20 km dalla sua villa di Barwon Heads, dove conserva una Mustang del ’66, sulla quale, Rayban agli occhi, pare uscito da un telefilm anni ’70.

La storia è strappalacrime. Il ciclismo moderno pure, ma per la frustrazione, le ombre che ogni vittoria solleva. Pur senza essere pronti a fare i Muzio Scevola, su Evans le voci non si sono mai addensate come fosche nubi. Un piccolo aneddoto che fa sperare. Tramite SMS, Evans ha chiesto ad Aldo Sassi, che mette a disposizione la tecnologia del Centro Mapei per aiutarlo: “Come posso fare per migliorare?” La risposta: “Cambia preparatore”. La mano sul fuoco, ormai, non la si metterebbe neppure se il Papa inforcasse una bici ma Evans fa di tutto, lui cinghiale sgraziato, lui Rigoletto mai domo, lui timido passionale, per farci avvicinare le dita alle fiamme. D’altronde: “Non tutto quel ch’è oro brilla, né gli erranti sono perduti… Nuova sarà la lama ora rotta e re quei ch’è senza corona”. Parola di Tolkien.

Federico Petroni

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