LA PIOGGIA NON SPEGNE PURITO
Lo spagnolo conclude una stagione strepitosa con un trionfo in solitaria sul traguardo di Lecco, andandosene sull’ascesa di Villa Vergano. Completano il podio Samuel Sanchez, rientrato nell’ultima discesa, e Uran, ultimo ad arrendersi insieme ad un ottimo Contador. Tagliato fuori da una caduta Vincenzo Nibali, pimpante soprattutto sul Muro di Sormano. Migliore degli italiani Mauro Santamborgio, giunto ai piedi del podio.
Foto copertina: Joaquim Rodriguez giunge da solo sul traguardo di Lecco (foto Bettini)
In condizioni che hanno vanificato l’anticipo di due settimane rispetto alla tradizionale collocazione del Giro di Lombardia, Joaquim Rodriguez rilancia la sua candidatura a corridore dell’anno 2012, colmando con la prima classica monumento in carriera l’unica pecca di una stagione forse irripetibile. Sfumato per soli 16’’ il Giro d’Italia e cestinata una Vuelta quasi vinta con una dormita da principiante della tappa di Fuente Dé, a Purito mancava infatti il grande successo, colto finalmente sotto un diluvio che ha purtroppo impedito di assistere in diretta all’azione decisiva.
Nelle battute iniziali, Rodriguez ha spedito subito in avanscoperta Losada, protagonista della fuga della prima ora in compagnia di Sella e Chaves, prima di essere raggiunto in un secondo momento da Rocchetti, Bardet, Morabito, Locatelli, Salerno, Slagter e Sorensen. È stato però il leader Katusha ad infiammare in prima persona la corsa, in corrispondenza del tanto atteso ritorno del Lombardia sul Muro di Sormano, a cinquant’anni dall’ultimo precedente e a 82 km dalla conclusione. Dopo un paio di accelerazioni non troppo convinte di Nibali e Contador, lo spagnolo si è installato al comando del drappello dei big per tutta la seconda parte del Muro, riducendolo ad appena sette unità : oltre ai due sopracitati, soltanto Mollema e i prodigiosi colombiani Henao, Uran e Quintana sono riusciti a reggere l’urto.
A conti fatti, a scremare il lotto dei favoriti è stata però, più della scalata, la successiva discesa. Fatto quasi paradossale, alla luce della condotta più che prudente mantenuta dai sette, intimoriti dalla strada bagnata; eppure nella picchiata, a rientro già avvenuto, sono finiti a terra prima Ballan e Paolini, poi addirittura Philippe Gilbert, proprio quando l’ostacolo per lui più duro era ormai alle spalle, superato con perdite contenute. Tutti e tre sono stati costretti a salire in ammiraglia, ed è probabile che il ritiro del neo-campione del mondo abbia contribuito al nulla di fatto registrato sul Ghisallo, essendo venuta la necessità di mettere fuori causa un cliente scomodissimo sulla scalata di Villa Vergano.
L’ascesa simbolo del Lombardia non ha infatti visto più di un effimero allungo di Tiralongo, Hesjedal e Cunego e un più duraturo affondo di De Weert, tutti atleti che il Muro di Sormano aveva già suggerito di escludere dalla rosa dei possibili vincitori.
Nel lungo tratto pianeggiante precedente l’ultimo strappo – la vera grande pecca di un percorso altrimenti splendido e durissimo -, ad abbandonare virtualmente la lotta per il successo è stato Vincenzo Nibali, che già lo scorso anno aveva visto infrangersi in quella sezione i propri sogni di gloria, perdendo quanto accumulato con il temerario attacco sferrato sul Ghisallo. In una curva a sinistra, lo Squalo è infatti scivolato in compagnia di Tiralongo e Ten Dam, poco prima che anche il battistrada assaggiasse l’asfalto in una svolta a destra. A differenza di Gilbert, Nibali ha trovato la forza di rimettersi in sella, ma sono bastati i primi metri della salita di Villa Vergano per capire che l’appuntamento del siciliano con la prima grande classica in carriera, mancato per un soffio quest’anno a Sanremo e soprattutto a Liegi, andava ancora rimandato.
Neutralizzati i tentativi solitari di Rui Costa e Nieve, nati nella fase interlocutoria precedente, è stato Marco Marcato il primo a muoversi sull’erta finale, trovando prima la replica di Gorka Verudgo e poi quella di Alexander Kolobnev. L’attacco del russo, pimpante al Mondiale di sei giorni fa, poteva mettere in allarme i favoriti, ma i reali piani del Team Katusha sono stati svelati dall’allungo piazzato da Rodriguez pochi metri più avanti. Un attacco che i potenti mezzi televisivi non hanno purtroppo consentito di apprezzare, ma sufficientemente violento da piegare la resistenza di Contador e Uran, che pure non aspettavano altro che la mossa di Purito.
A mettere in discussione il successo dello spagnolo, dimostratosi inconfutabilmente il corridore più forte del lotto, restava ancora l’inferiorità numerica: prima due contro uno, poi quattro contro uno con il rientro sui più diretti inseguitori di Henao e Santamborgio, quindi cinque contro uno (recupero di Quintana), poi ancora sei contro uno (Zaugg), infine otto contro uno (Kessiakoff e Mollema). Tutto inutile, però, specie perché il rinfoltimento del drappello ha generato più che altro incertezza e attendismo, anziché stimolare una collaborazione che avrebbe ancora potuto riscrivere il finale del giallo.
Accolto da un pubblico sorprendente (in positivo) nel tributare un caloroso e meritatissimo benvenuto al vincitore prima e dopo l’arrivo, Rodriguez ha così reso trionfale il bilancio di una stagione già da incorniciare, coronata dal sorpasso ai danni di Bradley Wiggins nella classifica Pro Tour (peraltro abbastanza annunciato: sarebbe bastato un nono posto). Di nuovo secondo e beffato Samuel Sanchez, rientrato in extremis, per la terza volta sul podio al Lombardia, senza mai cogliere il risultato pieno. A completare il podio ha provveduto Rigoberto Uran, che insieme ad Henao ha riformato la coppia che aveva spesso salvato Froome nella seconda parte dell’ultima Vuelta, e che il Team Sky potrebbe presentare come punta al prossimo Giro d’Italia in caso non dovesse essere al via Wiggo (anche se la partecipazione dell’inglese appare sempre più probabile).
Santambrogio, ottimo quarto, è stato a sorpresa il migliore degli italiani, facendo abbondantemente meglio dei più attesi Pellizotti (12°) e Cunego (13°). Disperso invece Diego Ulissi, il cui secondo posto alla Milano – Torino aveva autorizzato a sperare in qualcosa di più.
Matteo Novarini