L’AUSTRALIANO IRIDATO: EVANS STAVOLTA CI PRENDE
Diplomazia e intrighi per quasi 250km, poi un grande botto che lascia in piedi solo nove pedine. Tra chi tira, chi spinge e chi sta a ruota il rompicapo è di difficile soluzione: ci pensa un indomabile Rodriguez a trovare una via d’uscita saltando uno spartitraffico, poi dalla gabbia aperta così scappano via anche Kolobnev e Evans; ma l’australiano è quello che vola più in alto.
“Mondiale insidioso”. Il ritornello degli sconfitti di giornata è stato lo stesso, da chi ha esagerato con un’esibizione di forze straripanti come Cancellara, a chi non ha avuto le energie per imporsi pur essendo rimasto nel lotto ristrettissimo degli eletti che si apprestavano ad affrontare Novazzano per la diciannovesima e ultima volta – ed è il caso di Cunego.
In effetti la definizione sembra perfetta per un Mondiale deciso da uno spartitraffico, il cui marciapiede si interrompeva solo in quei pochi metri sufficienti perché il solo Joaquin Rodriguez si infilasse nel varco, e di nuovo in quelli successivi, necessari a rientrare in carreggiata dopo aver guadagnato venti metri grazie al minor raggio di curva.
Questa metaforica buchetta da pallottoliere del Superenalotto ha selezionato un tris vincente che si è tradotto nel podio mondiale: a Rodriguez si accodano un paio degli atleti meno controllati tra i superstiti di un percorso rivelatosi durissimo solo nel finale, Evans e Kolobnev. La gara è decisa: una gara incerta, perfino nei termini del suo svolgimento tattico. Eppure il percorso si prestava, come nel caso delle donne e degli under 23, ad essere piegato alla legge del più forte, in una selezione lenta ma inesorabile che fin dai primi giri consumasse il gruppo come fosse uno stoppino. Invece, la gara è diventata, appunto, insidiosa: la gestione delle fughe iniziali ha trasformato una potenziale super-Liegi in una sorta di tappa da GT, solo che qui non c’è nessuna classifica generale per consolare chi è rimasto indietro a guardarsi.
Ben venga la vittoria di Evans, dopo tante amarezze, defaillance e lacrime di delusione arrivano infine quelle di gioia. Un vero e proprio premio alla carriera, che va a ricompensare uno dei peraltro rari guizzi di iniziativa dell’australiano (anche oggi l’iniziativa era embrionalmente altrui, ma non sottilizziamo). Per la gioia, tra l’altro, dell’UCI, che vede sponsorizzato in maniera eccellente il prossimo Mondiale a testa in giù in quel di Geelong (ma eccezionalmente si parte fuor di circuito, da Melbourne, patria di Cadel) e che si ritrova iridato un corridore da sempre fuori da mirini, manette e cappi vari in virtù del suo carattere mite e amabile – se non vogliamo dire remissivo –, amato a Aigle anche perché simbolo e leva di quell’internazionalizzazione che in genere sottintende toni anglofoni più che terzomondisti. Evans in ogni caso merita in pieno il successo grazie ad un’ultima salita presa di petto ad un ritmo altissimo, allo scatto veemente che taglia fuori i compagni d’avventura minacciosamente veloci e alla tenuta da vero cronoman che gli permette addirittura di incrementare il vantaggio nei chilometri finali.
Merita il successo anche perché era lì, pronto, uno dei magnifici nove che sono emersi in cima all’Acqua Fresca nell’ultimo giro, a loro volta una selezione della ventina scampata al penultimo Novazzano: perché tutto il vaglio è stato lì, il gruppo che poi sarà dei migliori è giunto ai meno 20km dall’arrivo corposo, nutrito di una cinquantina abbondante di unità comprese svariate ruote veloci.
Certo, a quel punto il dislivello poi si è fatto sentire eccome: Evans, Cunego, Sanchéz, Valverde sono nomi pesanti quando il tracciato si fa impegnativo; Gilbert, l’uomo più a misura su un’altimetria a metà strada (tecnica, non geografica) tra Fiandre e Ardenne; poi c’era il blocco Saxo Bank con un Cancellara in stato di furore divino, un lupo da Mondiale sornione e mordace come Kolobnev, e per concludere un Breschel evidentemente carico; infine, il Joaquin Rodriguez che non ti aspetti, unico reduce tra costoro delle azioni a lunga gittata che avevano caratterizzato quasi nove decimi di gara. Tutti i favoriti erano ad ogni modo presenti, con un chiaro marchio all’insegna della qualità e come previsto anche delle doti ascensionali, perlomeno al di fuori del citato gruppo Saxo.
Un merito dunque essere lì, anche se poi si vince in uno e ci si consola a medaglia in altri due. Per gli altri polvere in faccia (Cunego, Basso e Pozzato appaiono alla telecamera pressoché usciti da una trincea), sedere a terra come un Cancellara tra lo sconsolato e lo spezzato, evanescenza come Sanchez e ancor più Valverde, imbrigliati dalle involuzioni tattiche del proprio team.
Com’è andata di fatto la gara?
Molto è dipeso dallo sganciamento di una fuga robusta ma non trascendentale dopo una cinquantina di km. Tra costoro si produrrà in una prova straordinaria il solo Stangelj, capace di tenere e riproporsi all’arma bianca dopo altri 200km e quasi 3000m di dislivello affrontati in fuga. Per il resto ordinaria amministrazione. Con una nota di demerito, per gli azzurri: l’Italia è fuori, come quasi tutte le grandi nazioni peraltro, ma a differenza degli altri sembra l’unica intenzionata a lavorare con un – al solito – monumentale Bruseghin, esaurito in un’infilata infinita di giri col basto in testa.
A quel punto evidentemente Ballerini opta per operare un prepotente rimescolamento di carte e letteralmente bruciando due uomini per raggiungere il proprio fine (Scarponi e Visconti) crea una controazione comprendente anche due atleti potenzialmente dirompenti come Ballan e Paolini. L’idea è buona, ma le stelle non stanno a guardare così nel mucchio selvaggio scopriamo anche nomi come Boonen, Kirchen, Cobo e Rodriguez, oltre a onestissimi comprimari con licenza di sorprendere come Barredo, Taaramae o Hoogerland (sarà quest’ultimo, che abbiamo già apprezzato alla Vuelta, il più scoppiettante nelle fasi clou della gara).
L’idea non è comunque da buttare, è come minimo un bel bluff pokeristico su cui Italia e Spagna possono o meno decidere di investire: intanto l’Australia si deve dannare per cercare di contenere il gap, sostenuta principalmente dall’Olanda.
Il problema è che quando il vantaggio arriverà intorno ai 2’ saranno proprio la Spagna prima e l’Italia poi a impegnarsi a tutta dimostrando di non credere nelle proprie opzioni avanzate: e se la Spagna a posteriori ha sbagliato, l’Italia dimostra di aver fatto una gran confusione. Il problema infatti è che la corsa è stata sì impegnativa, ma di fatto è esplosa in un crescendo di tuoni e fulmini nei due giri conclusivi. Forse per due formazioni col privilegio di essere tanto attrezzate sarebbe stata più premiante una condotta in stile Italia a Varese, diciamo, meno mirata al risparmio a tutti i costi delle punte epperò potenzialmente foriera di un finale da condurre in forze.
Bene o male la Spagna ci è arrivata, con ben tre uomini fra i nove “eletti”: l’Italia invece ha sparato come cartucce Basso e soprattutto un brillante Pozzato per portare a termine il ricongiungimento sulle fughe nel corso del penultimo giro. È vero che questa fiammata, ignorata dalla regia svizzera, è valsa la restrizione del lotto complessivo degli uomini da Mondiale a una ventina di atleti (tra cui un coraggioso Vinokourov che prova l’anticipo ai meno 25km), tuttavia il costo è stato altissimo. Dato per disperso un invisibile Garzelli, tutti gli altri hanno svolto diligentemente il proprio compitino, telecomandati dall’ammiraglia: ma stavolta era “il piano” ad avere qualche falla, perché un Cunego isolato nel finale era destinato al macello, in quanto “favorito” e quindi tenuto d’occhio, blindato e bastonato dagli altri reduci di questi strani ma duri 250km.
Basti pensare che un determinatissimo Cancellara ha provato a ripetizione l’azione decisiva, probabilmente era dotato di maggior forma fisica e morale elevato rispetto al veronese: eppure non c’è stato verso, abbastanza ovviamente in salita ma più sorprendentemente nemmeno in discesa e in pianura. Certo, sono stati momenti di grande tensione emotiva, sembrava che la gara fosse costantemente sospesa a un filo, quello che legava Cancellara agli altri; una piccola scossa l’avrebbe spezzato involando lo svizzero verso uno storico doppio trionfo. Ma la ragnatela che invischiava i nove era assai difficile da infrangere. Lo stesso dicasi per Sanchez in discesa, o per Valverde e Gilbert. Non a caso dunque a evadere sono stati proprio i tre nomi meno attesi, mancava solo Breschel se vogliamo (che comunque non sarebbe andato lontano su Novazzano).
In definitiva su questo percorso non poteva che vincere un atleta eccellente, questo è certo: ma se tra gli under 23 e le donne abbiamo assistito a uno scontro a viso aperto che ha premiato suppergiù il più forte in campo, tra gli uomini la complessità tattica ha trasformato “il catino” di Mendrisio in un grande bussolotto della lotteria: anche se nulla toglie che i fortunati siano stati davvero bravi, gli “sfortunati” un poco meno brillanti – in ogni senso – di quanto dovrebbe essere chi aspira alla maglia iridata.
Gabriele Bugada