L’ANGELO CUSTODE: L’INTERVISTA
settembre 27, 2009
Categoria: Approfondimenti
E’ stato il secondo migliore italiano alla Vuelta, dopo Basso. E’ l’angelo custode di Damiano Cunego, leader designato della nazionale che domani tenterà di inanellare l’impresa mai riuscita: quattro mondiali di fila. E’, dunque, un parere autorevole, quello di Paolo Tiralongo, siciliano di Bergamo, orobico di Avola, intercettato di ritorno dall’allenamento.
Programma quotidiano?
Quattro ore e mezza, 130km e 2500 metri di dislivello, con due salite di 8-10km: Roncola e Valcava da un versante nascosto, molto duro, con tratti al 12%. Non è tanto ma a fine stagione non devi finirti, dopo una Vuelta devi tenere la condizione, non cercare di migliorare, anche perché le energie rimaste son poche.
Hai detto che devi tenere la condizione: per cosa?
Emilia e Lombardia. Sono i miei obiettivi finali, dove punto a far bene.
Bene quanto?
Cerco la ciliegina sulla torta di una stagione ottima. D’altronde, in dieci anni di carriera non ho mai vinto, anche se tanto ho fatto vincere. Lo sfizio vorrei togliermelo, dopo diciannove secondi posti.
Una vittoria ci sarebbe…
Cronosquadre al Giro del Mediterraneo del 2002. Quell’anno, però, fui secondo sul Mont Faron e secondo in classifica.
L’Emilia ti si adatta meglio del Lombardia.
E mi piace anche di più. Con il San Luca da ripetere cinque volte, si viene fuori alla distanza e con la gamba che ho, vorrei provare a vincere. Non sono mai arrivato davanti, quindi non ho riscontri, perché sono sempre andato solo per aiutare ma quest’anno è diverso. Ho più motivazioni e Cunego avrà la testa in Lombardia, anche perché l’Emilia non si addice alle sue caratteristiche, anche in passato ha corso per il piazzamento.
Hai notato che voi della Lampre andate sempre forte a fine stagione?
Sì e giuro che non c’è un motivo particolare, non riesco a spiegarmelo. Sarà il buon allenamento: quest’anno, dopo quindici giorni a luglio senza bici per recuperare, sono andato a Livigno, al ritmo di 4500m di dislivello al giorno.
E il lavoro ha pagato alla Vuelta.
Andavo in Spagna per fare una corsa d’appoggio, come sempre. Poi hanno chiesto, a me che ho sempre lavorato per gli altri, di curare la classifica. Ma senza pressioni, senza pensiero di tenere duro per la classifica. Vivevo come un nomade: alla giornata, raccoglievo quel che veniva ogni giorno. Ero stanco ma mai finito, sentivo di recuperare. Solo in due occasioni ho avuto i capogiri: la mattina della crono finale e il giorno dopo la Sierra de la Pandera, dopo il trittico in Andalusia. Non riuscivo a mangiare, a bere, nemmeno a dormire. Di solito, le salite tolgono il sonno il giorno prima, a me il giorno dopo.
La tappa più dura?
Sierra Nevada. L’abbiamo attaccata a mille, mi son staccato subito ma ho avuto la fortuna di incontrare per strada Sanchez ed Evans, che mi hanno dato ritmo. Alla sera, quando ho scaricato i dati del Garmin, non volevo crederci: avevo fatto un’ora e mezza fuorisoglia.
A proposito di Sanchez: domani sarà un osso duro.
E’ il mio favorito: sa limare, vede bene la corsa, è scaltro e può sfruttare un percorso adatto alle sue caratteristiche. Può dare la stoccata sull’ultima salita ma anche nella prima discesa.
Niente Valverde?
Ci ho parlato domenica, mi ha chiesto come era il percorso. E’ un duraccio, preferisce le corse addormentate, per poi punire tutti allo sprint. Correrà su Cunego, non lo mollerà mai. Ma tutta la Spagna fa paura: anche gente come Mosquera (che alla vuelta mi ha quasi spaventato) o Rodriguez possono essere pericolosi, quando scattano fanno male.
Gilbert?
Temo per il dislivello. Anche alla Liegi, fece uno dei suoi scatti micidiali. Poi si sgonfiò. Sono curioso anche della gara di Andy Schleck: alla Vuelta l’ho visto deconcentrato, con problemi più di testa che di gambe.
E Cancellara?
Altro avversario ostico ma io farei attenzione a Boasson Hagen.
Eppure non ha fatto una gran crono…
Attenzione: se si va piano e lo si porta in volata, li bacchetta tutti. Quanto alla crono, quando ha visto, dopo un primo giro ottimo, che faceva fatica ad arrivare al podio, ha mollato, anche pensando all’impegno di domani.
Un altro che s’è risparmiato è Millar, che ha dichiarato: “Che corro a fare la crono se tanto vince Cancellara?”
Alla fine ha avuto ragione! Scherzi a parte, sebbene io non lo avrei mai fatto, credo che sia un discorso di stanchezza. Millar ha fatto il Giro, lo Svizzera, il Tour, la Vuelta: non poteva fisicamente recuperare gli sforzi per giovedì.
L’impressione è che il percorso possa favorire un outsider, con quella salita che finisce a così pochi chilometri dal traguardo. Secondo te potrebbe succedere che i big si marchino e parta uno meno quotato, Gerrans, ad esempio?
Uno come Gerrans all’ultimo giro non avrà le forze per scattare. Domani si dovranno coprire 4600m di dislivello, in più il tracciato è tortuoso e bisogna tenere il naso avanti. In un certo tratto c’è una curva secca che obbliga, per chi è dietro, a mettere il piede a terra e fare diciannove scatti in più. Si prenderanno delle frustate non male.
Circuito duro: questo è quello che si dice ogni anno. Certo, quello di domani sembra davvero proibitivo ma la tendenza degli ultimi mondiali è quella di partire lenti, non come in tappe del Tour in cui si fanno due ore a cinquanta orari.
La nazionale italiana deve fare due cose. Essere pronta per coprire ogni azione, perché se scappa uno sull’ultima salita (o anche prima) è durissima ricucire. Poi, menare forte sin dalle prime battute. Deve rendere dura la corsa. Deve uscire una gara ad eliminazione. Tanto è questo che il mondo si aspetta, ogni anno, dagli italiani.
Per fare questo servono faticatori: su Bruseghin nessuno ha dubbi ma Visconti, invece, è adatto per questo ruolo?
Non lo so, effettivamente non abbiamo riscontri. Per lui pensavo più ad entrare nelle fughe da lontano, con Paolini.
Che ruolo avranno Basso, Pozzato e Ballan?
Saranno le alternative, movimenteranno la corsa, staneranno i rivali da lontano.
Garzelli?
Si dice che sarà il regista in corsa. La corsa durerà più di sei ore e Ballerini aveva bisogno di qualcuno in gruppo che fosse la sua voce: porterà le comunicazioni, correrà avanti e studierà lo svolgimento della corsa.
Parliamo di Cunego, tuo protetto.
Mi auguro che dia la stoccata giusta: gli hanno affidato il dopo-bettini, ha tanta pressione addosso.
E’ in grado di sostenerla?
Per me sì, quando sta bene non ha paura di nessuno, sono pochi a fare quello che fa lui.
Come lo hai trovato durante la Vuelta?
Sereno, con la testa al mondiale già dall’Olanda. Sono con lui da quattro anni, lo conosco come le mie tasche e quando vedevo che in quei giorni si appartava dopo cena, stava tranquillo da solo, capivo che già raccoglieva la concentrazione per la prova iridata.
In assenza dell’angelo custode, chi sarà l’uomo pilota per Cunego? Basso alla Vuelta ha dimostrato qualità che nel finale possono risultare utili al capitano.
Vero ma io penso più a Scarponi. Anche dopo i 200km è capace di menate micidiali che possono preparare il terreno per Cunego, allungando il gruppo. Potrebbe essere l’uomo fondamentale.
Hai disputato la corsa più bella della tua carriera, attraversi un momento di forma invidiabile: non senti che avresti meritato una convocazione in azzurro?
Mi sarebbe piaciuto ma non per la maglia in sé bensì per il percorso che con tutte quelle salite mi si adatta. Avrei certo fatto la mia parte: il lavoro duro l’ho sempre fatto. Credo però che Ballerini non mi abbia convocato perché aveva già una tattica di corsa in testa e gli uomini che conosce e di cui si fida gliela assicuravano. Certo, a chi non piacerebbe vestire la maglia azzurra? Un po’ di amarezza c’è.
Hai mai parlato con Ballerini negli ultimi tempi?
Ci siamo visti alla Vuelta di sfuggita. Tuttavia, non sono il tipo di ragazzo che chiama a destra e a sinistra per una convocazione, nella mia vita quello che ho fatto l’ho fatto perché ho dimostrato il mio valore.
a cura di Federico Petroni