UNO ZAR A BUCKINGHAM PALACE
Giunto forse all’ultimo grande evento della carriera, Alexandre Vinokourov saluta il ciclismo con la medaglia d’oro olimpica, battendo in uno sprint a due Rigoberto Uran. Medaglia di bronzo per Alexander Kristoff, che regola un gruppetto comprendente Luca Paolini e Vincenzo Nibali. Beffata la Gran Bretagna, che si è vista sfuggire all’ultimo giro un drappello di una trentina di atleti.
Foto copertina: Alexandre Vinokourov taglia a braccia alzate il traguardo davanti a Buckingham Palace (foto Bettini)
Alle soglie dei 38 anni e del ritiro, Alexandre Vinokourov pareva aver concluso la sua carriera sul ciglio del percorso della 9a tappa del Tour 2011; un finale non degno di una storia anche controversa e macchiata dal doping, ma contrassegnata da alcune dimostrazioni di coraggio e fantasia senza eguali nel ciclismo contemporaneo.
L’epilogo giusto il kazako – un totem in patria – lo ha scritto alla fine con la maglia della sua nazionale, alla quale aveva già regalato una medaglia d’argento a Sydney 2000. Un’ultima pagina impeccabile non soltanto perché questa volta il metallo è stato quello più pregiato, ma anche e soprattutto perché Vino si è imposto alla sua maniera: su un percorso agevole, non per lui, senza i galloni di favorito, cogliendo di sorpresa gli avversari perfino al momento dello sprint.
La prima pennellata del suo ultimo affresco il campione di Petropavl l’ha data sul finire dell’ultimo dei nove giri in programma, stretti fra i tratti in linea da Londra all’anello di Box Hill. Proprio all’ultimo momento utile, Vino è riuscito a saltare sul treno buono, rientrando su un maxi-gruppo di testa costituitosi in più fasi: prima l’affondo di Nibali, già evaso al passaggio precedente, insieme a Philippe Gilbert; quindi il contrattacco di Bauer, Phinney, Fuglsang, Paolini, Boom e Chavanel; a seguire, il rientro scaglionato di una ventina di atleti, mentre Nibali e soci, passati all’azione intorno a metà percorso, si ricongiungevano con gli attaccanti della prima ora (Roelandts, Pinotti, Beppu, Menchov, O’Grady, Duggan, Westra, Castroviejo, Brajkovic, Schar, Kristoff e Park, quest’ultimo però già rimasto attardato).
Al comando si è formato un drappello di una trentina di corridori (32, probabilmente, anche se la BBC ha cambiato più volte idea su numero e soprattutto composizione della testa della corsa) che la Gran Bretagna, pur capace di mantenere sempre il distacco al di sotto del minuto, ha forse sottovalutato. Wiggins, Froome, Millar e Stannard, incaricatisi di controllare la gara sin dalle battute iniziali, non hanno avuto la forza di colmare i 50 secondi abbondanti che li separavano dai fuggitivi, e il supporto delle altre formazioni non è andato oltre qualche tirata di Sieberg per la Germania e alcune di Eisel, che il risultato ha esentato dal fornire spiegazioni su un lavoro non giustificabile con gli interessi della nazionale austriaca, ma curiosamente funzionale a quello di un suo compagno nel Team Sky.
Il divario è così rimasto sostanzialmente costante per tutti i 50 km che separavano l’ultima salita dall’arrivo, grazie soprattutto al sacrificio di Luis Leon Sanchez e Castroviejo per Valverde e di Schar e Albasini per Cancellara. Proprio quest’ultimo ha finito involontariamente per concedere un’ultima chance agli inseguitori, finendo contro una transenna ad una decina di chilometri dal termine, sottraendo ai battistrada l’apporto degli elvetici e causando analoga sorte ad altri incolpevoli attaccanti.
Il successivo rallentamento, più che consentire il rientro del plotone, ha però aperto la strada a tentativi di anticipare la volata, sulla carta questione piuttosto ristretta (principalmente Valverde, Paolini, Chavanel, Kristoff e Gilbert, quest’ultimo però sfinitosi per decine di chilometri in un tentativo solitario senza speranza). E a cogliere l’attimo fuggente, come spesso è capitato di vedere nell’ultimo quindicennio, è stato ancora una volta Vino, unico a fiondarsi alla ruota di Rigoberto Uran quando all’arrivo mancavano 7 km circa.
Un po’ sorprendentemente, le molte nazionali con più di un rappresentante non sono state in grado di mettere in piedi un vero inseguimento, con il solo Fuglsang a farsi carico dell’impossibile missione di riagguantare la coppia di testa. Vinokourov e Uran, all’opposto, non hanno indugiato un istante in chiacchiere alla ricerca dell’accordo, facilitati dal trovarsi nell’unica gara al mondo in cui un secondo posto non è troppo dissimile da un primo.
Come già era evidente da un paio di chilometri, il duo kazako-colombiano si è presentato davanti a Buckingham Palace a giocarsi la medaglia più pregiata, in uno sprint che ha fatto emergere tutta la differente esperienza tra i due pretendenti. Uran, dopo aver invitato vanamente invitato Vinokourov a passargli avanti a 300 metri dalla linea bianca, si è voltato per controllare la posizione degli inseguitori, commettendo il capitale sbaglio di farlo senza tenere sott’occhio l’avversario diretto. Avvedutosi dell’ingenuità del giovane colombiano, Vino ha anticipato lo sprint, guadagnando in un amen quella manciata di metri che non ha lasciato spazio alla rimonta di Uran.
Alle loro spalle, mentre il vincitore iniziava ad assaporare il gusto di un’uscita di scena che pare partorita da uno sceneggiature hollywoodiano, Kristoff si è imposto agilmente in una volata carica di rimpianti, escludendo dal podio Phinney e Lagutin. Migliore degli azzurri è stato Luca Paolini, 9° e forse un po’ deluso, benché neppure lontanamente ai livelli padroni di casa. Cavendish, vincitore sperato e aspettato dal pubblico londinese, ha chiuso a 40’’ dal vincitore, dovendo anche subire l’onta di perdere l’insignificante sprint per la 26a posizione per mano di Greipel e Boonen.
L’occasione del riscatto per i britannici arriverà già con la prova a cronometro di mercoledì, anche se Wiggins, pure tra i favoriti per le medaglie, non godrà del ruolo di uomo da battere nella stessa misura di Cavendish quest’oggi. Stando a quanto è successo nella prova in linea, non è detto che debba dispiacersi.
Matteo Novarini