VAMPIRO CAVENDISH AZZANNA LA STRADA
In una giornata di gran nervosismo, fisico (altimetria) e fisiologico (cadute, fughe e patemi vari), esce un gran bel Cavendish, che azzanna la strada con un azione repentina, degna d’un improvviso assalto draculesco. Vampiro Cavendish succhia più strada possibile e ben prima di tagliare la linea d’arrivo ha già raggranellato preziosi metri del rettilineo d’arrivo: per Farrar non c’è nulla da fare. Ed anche per i velocisti italiani, appiedati da un capitombolo a 700 metri dall’arrivo.
“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori”. Vi chiederete cosa c’entri l’incipit dell’Orlando Furioso con il Tour de France. Legittimo avere delle perplessità ma, in fin dei conti, questa estiva, schizofrenica e itinerante giostra a pedali ha un po’ del poema: non epico (o almeno non più, difatti rifuggiamo le tentazioni omeriche) ma ironico, leggero, pregiato. Dentro c’è tutto: agonismo e cavalleria come gossip e congiure di palazzo. Se poi si salpa dal Principato di Monaco per solcare la Provenza, terra di trovatori e amori gentili come pure di profumi, lavande e artiglieria, l’accostamento trova un altro barlume di giustificazione.
Il menu dice “seconda tappa: Monaco-Brignoles”, lo stomaco impone “prima tappa in linea dopo la crono”. Forze e ambizioni non ancora annegate nell’acido lattico, tutti hanno da questuare presso l’altare del Tour: tra chi scappa (Augé, Veikkanen, Clement, Dessel dopo 10km, eversione dura da sventare) e chi capitombola (il primo, Van de Walle dopo 32km) per stare davanti, ne esce la classica giornata in cui s’affetta nervosismo come le verdure della ratatouille. Persino il radioso Contador avrà tremato all’87°km, solcando la cote di Fayence, sulla quale perdé a marzo la Parigi-Nizza, stressato dalla coabitazione con Armstrong.
Inquieto è pure Franck Schleck che a Grasse degusta l’asfalto: nulla di grave ma cambia due volte la bici e rischia pure d’essere travolto dalla sua ammiraglia. Forse era inebriato dall’olezzo di Grasse, capitale mondiale del profumo, nella quale si svolge un capitolo del romanzo di Patrick Suskind (“Il Profumo”, appunto) che la definisce “luogo insignificante e nel contempo consapevole di sé” in quanto “terra promessa dei profumieri”. Un bagno di lavanda e santoreggia fa bene, di tanto in tanto, ad uno sport non certo all’acqua di rose come il ciclismo, tra frizioni bruciate, moto sgasanti, olio di catena e centottanta casacche sudacchiate.
Chiusa la parentesi delle gentili fragranze, torniamo ai brandi che s’incrociano. Il nervosismo oggi sovrano era forse dovuto al percorso. Avrebbe potuto, il Tour, cedere al lusso della Costa Azzurra (Cannes, Saint Raphael e Saint Tropez) ma ha preferito il sudore dell’entroterra. Svaniva così la citazione dalla Traviata “Di Provenza il mar, il suol”. Via il mare, resta il suol, accidentato: quasi 1500m di dislivello cosiddetto occulto rendevano il profilo della tappa più dentellato d’un pacco pignoni. Monito agli organizzatori: se la Grande Boucle è la corsa più dura al mondo lo si deve all’assenza di pianura.
Induriti i garretti dal “magia&bevi” provenzale, imbizzarriti i destrieri di carbonio sino ai settanta orari, ispirati alla tenzone dal transito in Draguignan (città dell’artiglieria) e dal traguardo a Brignoles (culla di Louis Paul Baille, generale napoleonico), i velocisti si son inferti colpi di sciabola nel primo mucchio selvaggio del Tour. Tra spintoni, sbandate, sportellate almeno sette squadre provavano a guadagnare un posto al sole: il gruppo pareva un cesto di caramelle M&M’s impazzite. Complice una secca, mal segnalata curva a sinistra a meno 700m, qualcuno ha preso la tangente, volando per le terre (compresi i nostri Bennati e Napolitano).
Così, la prima volata, solitamente foriera di carneadi, si risolveva in un assolo della particella di sodio nell’acqua Lete: Mark Cavendish. Campo sgombrato dalla falce di Madama la Fortuna, missili armati da una squadra perfetta, il Vampiro dell’Isola di Man (sorride come Bela Lugosi in Dracula) divora il traguardo di Brignoles, quattordicesima puntata della sua marcia trionfale stagionale e quinto successo Oltralpe (Oltremanica, pardon, è british). Avrà anche un Renshaw sontuoso nel trarlo fuor del pelago ma le accelerazioni su cui rimpallano i malcapitati Farrar, Feillu, Hushovd e Arashiro (nipponico, miglior piazzamento per un orientale al Tour) le ha soltanto lui. Compiuto il sacco, chissà se chiamerà Brignoles, come prima di lui Carlo V nel 1536 a città presa, Nicopolis, “città della vittoria”. Forse no, anche perché qua le campane suonano a festa.
Federico Petroni