GRAZIE VINCENZO. A IGLINSKY UNA LIEGI (QUASI) GRIGIA
aprile 22, 2012
Categoria: 7) LIEGI - BASTOGNE - LIEGI, News
Il kazako Iglinsky vince meritatamente un’edizione sottotono della Liegi, ravvivata quasi esclusivamente dalla strepitosa azione solitaria di Vincenzo Nibali, che attacca sulla Roche aux Faucons e resiste fino alla flamme rouge, concludendo comunque secondo.
Foto copertina: Nibali taglia il traguardo di Ans (foto Bettini)
Una Liegi grigia, uggiosa, trafitta qui e là da qualche raggio di sole. L’obiettivo della telecamera spesso si appanna, metafora di una situazione confusa, della nebbia di una battaglia che diventa mischia disordinata, così come trasmette la stessa deprimente sensazione la disastrosa informazione sui distacchi fornita dall’organizzazione di corsa. Nella foschia vaporosa di un gruppo polverizzato in mezzi favoriti e stelle cadute, privo di fari, si accende di improvviso la fiamma di Vincenzo Nibali, che realizza un’azione limpida, pura, lineare, e che verrà abbattuto solo dalla scheggia impazzita Iglinsky, fornito di una gran gamba, ma sparato verso la vittoria da una situazione tattica addirittura folle.
Andiamo con ordine: prima del via già assistiamo a un fatto sconcertante, la caduta di Igor Antón con tanto di frattura della clavicola. Colui che, prima della partecipazione decisa all’ultima ora di Samuel Sanchez, era il capitano della Euskaltel, finisce la sua gara prima di cominciarla. Parte una fuga a tre, nella quale va segnalata presenza dell’italiano Cataldo, unico che poi resisterà strenuamente quasi fino alle fasi calde della Rocca dei falchi: fuga pressoché irrilevante, se non per il fatto che servirà da testa di ponte per il rientro di due uomini importanti, un Rolland in bello spolvero che gioca d’anticipo per supportare il capitano Voeckler, e l’inossidabile Kyrienka, potenziale pedina per Valverde ma forse – vista l’abitudine alle lunghe gittate – già alternativa precauzionale. Dopo la Redoute resisteranno solo questi ultimi due “nuovi arrivati”, più Cataldo, al gancio ma cocciutamente presente.
Sulla Redoute, come ormai da anni è consuetudine (ma grazie al nuovo tracciato il problema è tutt’altro che drammatico), accade poco. Quel poco che accade è un nuovo rovescio della sorte, con Valverde appiedato da un problema meccanico proprio all’imbocco della salita, costretto a prendere la bici da un compagno e tentare un inseguimento semidisperato. In precedenza un rientro faticoso ma coronato da successo (pagato forse in tossine nelle gambe) era toccato a Samuel Sanchez. Anche Voeckler accusa qualche problema, ma lui sì potrà riportarsi sui migliori. Davanti Gilbert corra da leader, impiegando i due “Van” – Van Avermaet e Van Garderen – per scandire un ritmo assai sostenuto che impedisce sortite di seconde linee. A parte i problemi meccanici di cui abbiamo detto, a farne le spese sono più di tutto gli Schleck, con Andy che affonda miseramente e Frank che a stento sopravviverà, ma solo fino ai primi metri della salita successiva. Non ci sarà gara per loro e la Radioshack, che aveva molto lavorato, resta con il solo Monfort come capitano. Ben in vista invece, dietro Gilbert, Vanendert, Joaquim Rodriguez, Cunego, parecchie maglie Astana. Non tutte le impressioni della Redoute, tuttavia, troveranno riscontri.
Da qui l’andatura resta comunque sostenutissima, e in un baleno arriviamo alla Roche, vero snodo della gara. Si parte con un’accelerazione di Santambrogio che già screma il gruppo dagli uomini veloci ancora presenti, come Freire o Rojas, ma anche da Gesink (sempre più in crisi dopo i problemi personali degli anni scorsi), Visconti (se ancora qualcuno intravede per lui opzioni a questo livello), Chris Sorensen e Kroon (notte fonda in termini di punti UCI per Riis), Gerrans (effetto Australia, come già per Goss: ottimi atleti, senz’altro, ma i cui picchi godono di una stagione “con fuso orario” in termini di forma anticipata) e molti altri.
La vera selezione, però, la fa Vincenzo Nibali, con una prima frustata alla quale replicano assai faticosamente Gilbert, Vanendert e, più dietro, Mollema. Si è trattato solo di un “assaggio”, ma ha già procurato l’indigestione a molti: Cunego si dissolve, Joaquim Rodriguez arranca, Samuel Sanchez resta attardato, Scarponi occhieggia nelle retrovie. Come vedremo, però, non necessariamente la scelta di non replicare immediatamente si rivelerà erronea. A fine gara, scopriremo che della top five di giornata, il solo… Nibali (!) era in prima fila in questi momenti. Gli altri pagano caro. Gilbert si rassegnerà alla propria forma latitante con un finale mesto, Vanendert, nonostante l’ottima condizione, stenterà a finire nei dieci, Mollema, pure parso brillante, è quello che se la caverà meglio, con un opaco sesto posto. In questo senso la prestazione di Nibali acquisisce ancor più lustro, rimarcando una differenza qualitativa sostanziale rispetto al resto del parco partecipanti, anche perché, come abbiamo detto, quest’anno il livello degli iscritti era per vari versi appannato (senza con ciò togliere nulla a chi oggi ha spiccato).
Vincenzo contempla gli esiti del suo operato, e si lancia in un’altra micidiale progressione che sbriciola ulteriormente la compagine dei migliori. La scossa decisiva arriva tuttavia nel punto migliore, il falsopiano fatale con cui corona lo strappo. Qui le sagome degli avversari scompaiono disperatamente e miseramente nel punto di fuga dell’inquadratura, e il corridore siciliano comincia un’esaltante cavalcata solitaria. Posizione in sella splendida, pedalata rotonda ma non frenetica e assai efficace. Il distacco comincia a salire.
Dietro si agglomera un gruppetto di quasi venti corridori, a testimonianza di un livello invero appiattito. Un gruppetto che, a dispetto della logica e della tattica, si comporterà come una macchia di mercurio, disfandosi e ricomponendosi in sottogruppi, attacchi e contrattacchi, improvvisate e sonore dormite. A dirla tutta, se la situazione non fosse stata così scomposta, le speranze di Nibali sarebbero state poche. A meno di strampalate congiunture astrali come quella che permise la vittoria ad Andy Schleck (la media che il gruppo inseguitore tenne nel tratto di discese e falsipiani favorevoli fu di 39km/h circa: dei discreti cicloamatori avrebbero fatto meglio), con alle proprie spalle un assieme relativamente numeroso e, quel che più conta, molto strutturato in squadre chiave, la fuga è impresa impervia. Essendo presenti numerosi gregari, specie se “indubbiamente” gregari, ci si accorda, e sacrificando un uomo per squadra si fa velocità. Diverso sarebbe se nel gruppetto restassero solo capitani, ad esempio, perché nessuno vorrà rischiare di lavorare per la vittoria altrui…
Ma qui Rodriguez disponeva di Dani Moreno, Vanendert di Van den Broeck (capitano altrove, ma di sicuro non qui, non in questa situazione di corsa), Voeckler aveva Rolland (probabilmente più forte, ma già spremuto in fuga, e dunque ormai sacrificabile senza rimpianti), Martin aveva Hesjedal (un altro gregario “di lusso”, ma indubitabilmente subordinato a un corridore più scattista come Martin).
Caso a parte quello della Astana, in superiorità schiacciante con Gasparotto, Iglinsky e Kiserlovski. Qui sì che paradossalmente la superiorità numerica rendeva vantaggioso promuovere l’anarchia, perché altrimenti le altre squadre avrebbero potuto imporre proprio all’Astana uno sforzo maggiore, fino al momento in cui si fosse ristabilita la parità. Per gli altri, però, la convenienza era solo per un’azione congiunta ad alto ritmo, che portasse i capitani a giocarsela alla pari sulle rampe conclusive: a maggior ragione perché lo sparpaglio avrebbe favorito, come di fatto è accaduto, il team kazako.
Tutto il contrario. Probabilmente si assommano vari fattori: il timore per lo spauracchio Gilbert e per la rapidità di Gasparotto, da cui una diffusa volontà di isolarli, risultato attuabile solo disgregando il gruppo a suon di scatti; in più, una fiducia forse non proprio alle stelle verso gli apparentemente ovvi “capitani” al momento di dover bruciare i “gregari di lusso”; aggiungiamoci pure, anche se è difficile esserne certi, l’effetto delle sempre più incontrollabili regole UCI sui punteggi, che portano molti a correre per il piazzamento e non per la vittoria. L’esito è il caos più assoluto, con un incessante gioco al gatto e al topo che dopo innumerevoli giri del bussolotto proietta in avanti la strana coppia Rodriguez – Iglinsky. Così però il vantaggio di Nibali arriva fino ai 45”, un margine che di fatto permetterebbe una più che meritata vittoria.
Ma la stessa follia che ha permesso a Vincenzo di prendere il largo per la destrutturazione dell’inseguimento, manifestandosi in forma quasi opposta, materializzerà il dardo che abbatterà il siciliano. Difatti, benché Iglinsky non collabori minimamente all’azione, Rodriguez si danna l’anima, fuori da ogni appropriatezza tecnica (lui, in pianura!) e strategica, per dare fiato al contrattacco. Iglinsky ringrazia di tutto cuore, e speriamo che a fine gara abbia dato almeno una bella pacca sulle spalle all’atleta spagnolo. Spremendosi in questo modo, in effetti, Joaquim non ha nessunissima speranza di rimanere poi competitivo sulle rampe del Saint Nicolas. Non per niente beccherà in tutto un minuto da Iglinsky, ma, quel che la dice ancora più lunga sulla sciaguratezza della scelta, verrà bellamente passato e lasciato a mezzo minuto da tutti, e diciamo tutti, gli uomini del gruppetto, tolti Van den Broeck, spompatosi in un delirante inseguimento solitario (ma piuttosto tirare per Vanendert, o almeno tirargli la volata, era così sgradito?), e Gilbert, che si lascia andare alla deriva tra l’affetto incondizionato dei tifosi.
Davvero non troviamo una spiegazione a un gesto fuori da ogni logica ciclistica, ben diverso da quelli compiuti da Cancellara, che garantendo il successo della fuga alla Sanremo si assicurava comunque un piazzamento, e magari un pur piccola chance – altrimenti inesistente – di vincere. Qui siamo al viceversa.
Alle prime rampe del Saint Nicolas, Iglinsky si mette in testa e si fuma il Purito. Qui accade un altro episodio che dice molto di una gara sconclusionata sotto tutti i punti di vista: i distacchi forniti dall’organizzazione perdono il contatto con la realtà, continuano a riferirsi a un gruppo arretrato, senza specificarlo, e ignorano del tutto Iglinsky. Sarebbe cambiato qualcosa per Nibali? Probabilmente no, un po’ perché ci auguriamo che i diesse in auto facciano come i più pessimisti tra i telespettatori, cioè prendano manualmente il distacco, un po’ perché a quel punto c’era ben poco da fare: un uomo in fuga solitaria da oltre 20km, che ha maturato la fuga stessa con ben tre scatti di cui almeno un paio veramente ficcanti, può ben poco contro un onestissimo corridore (vincitore ad esempio di una gara dall’albo d’oro corto ma pesante come l’Eroica), che oltretutto è stato ininterrottamente a ruota fino al finale di gara. Comunque la mancanza di professionalità dell’organizzazione ASO suona davvero penosa, specie alla luce dei precedenti al Tour con distacchi inventati di sana pianta e con cartografia e altimetrie partorite da menti fin troppo creative (talora con esiti sullo svolgimento stesso della gara).
Parlando di “se” e di “ma”, avrebbe fatto meglio Vincenzo, il più forte oggi in comproprietà con il kazako e Gasparotto, ad attendere le ultime ascese per attaccare? Difficile dirlo, sinceramente da un punto di vista personale crediamo di no. Non scordiamo che sui tratti più duri della Rocca dei falchi un comunque non brillante Gilbert ha tenuto la ruota, mentre altri si sono gestiti sapendo del recupero che sarebbe seguito. La differenza Vincenzo l’ha fatta all’ennesimo scatto, nel soffocante falsopiano. Lo spazio sul Saint Nicolas, e a maggior ragione ad Ans, sarebbe stato troppo esiguo.
Glissiamo con un’ellissi il momento davvero amaro in cui Iglinsky, dalle parti della flamme rouge che contraddistingue l’ultimo km, mette nel mirino Nibali, se lo mangia, e tira dritto vincendo con una corposa ventina di secondi. Amaro non tanto per nazionalismo, ma per il tifo che sempre ci ingenera un’azione bella e coraggiosa. Il fatto che Nibali regga comunque per fare secondo, come già fece terzo alla Sanremo (lì fu il primo atleta da GT a podio in un paio di decenni, dai tempi di Fignon, Bugno e Chiappucci!), dice di azioni che portano sì il marchio dell’atleta, che ci ha abituato a tentativi d’altri tempi certo arrischiati, ma che hanno un livello di concretezza e spessore più significativo rispetto a quanto visto nella tappa del Gardeccia o al Lombardia, dove la conclusione aveva gettato un’alone di velleitarietà sull’impresa. Qui no, qui si è tratto di scelte che imboccavano l’unico cammino possibile verso la vittoria per un’atleta, ahilui, poco dotato di quelle fibre che rendono bruciante lo scatto, sia esso sul traguardo o mirato a fare un buco secco. Un cammino che non è giunto a termine, ma davvero per poco, e qui per una combinazione della sorte, e non per “necessità” come allo Sanremo, dove a esser tre si era pur sempre troppi perché Vincenzo vinca…
Degli altri attori di giornata abbiamo già detto qualcosa per ciò che concerne un Gilbert orgoglioso ma ancora offuscato, e un Joaquim Rodriguez mandato in delirio forse dal freddo. Abbiamo nominato altri protagonisti, tra i quali va sottolineata la bella prova di Gasparotto, che vince la volatina e agguanta un prestigioso podio per mettere la ciliegina alla torta Astana, ma anche a una giornata finalmente non così cupa per l’Italia, anche se secondo e terzo non sono i posizionamenti finali migliori… C’è poi Scarponi buon ottavo, che fa fruttare un Trentino fatto davvero come allenamento (e non come Cunego, invece malamente 35.esimo; speriamo che questo modo confuso di programmare gli obiettivi, che già tanti danni gli ha fatto, possa essere corretto). Ma non dobbiamo ignorare un pimpante Nocentini a ridosso della top ten. Scarponi e Nocentini hanno pagato l’isolamento, se pensiamo che nei primi cinque ci sono solo, tolto Nibali, corridori la cui squadra aveva nel finale almeno due uomini. Fa quarto infatti l’arrembante Voeckler, che era scortato da Rolland (decimo), e non sappiamo se questa ennesima prestazione fuori dalle righe, per un atleta che si è inventato mezzo campione a trent’anni suonati (ormai ne ha quasi trentatre), testimoni più del mediocre livello della gara o piuttosto dello “strano caso” della sua formazione. Quinto è Martin, che fa coppia col nono Hejsedal.
Un Vincenzo così, però, forse al Giro è sprecato, senza contare il rischio di bruciarsi dopo una stagione con già parecchie corse all’attivo. Meglio riprendere le energie e focalizzarsi sul Tour, per poi fare un pensierino, chissà mai, al Mondiale che quest’anno strizza l’occhio alle côte.
Gabriele Bugada