UN GIRO PIÙ UMANO (MA NON TROPPO)
Svelato a Milano il percorso del Giro d’Italia 2012. Partenza danese da Herning il 5 maggio, conclusione nel capoluogo lombardo il 27. Sette le tappe di montagna, sei delle quali con arrivo in salita, ma il tracciato si presenta globalmente meno estremo di quello delle ultime due edizioni. 40 i chilometri a cronometro, distribuiti tra prima e ultima tappa, cui si affiancano i 32 della cronosquadre di Verona.
Foto copertina e articolo di Giuseppe De Socio
È stato “umano” l’aggettivo più ricorrente nei commenti a caldo alla presentazione del Giro d’Italia 2012, che scatterà a Herning, in Danimarca, il 5 maggio prossimo, per concludersi a Milano dopo 21 tappe e 3477 km. “umano” perché più avaro di trasferimenti (anche se va sottolineato come solamente due frazioni, la 2a e la 17a, partano dalla sede d’arrivo del giorno precedente), e soprattutto perché meno imbottito di salite, perlomeno nelle prime due settimane, e più attento alle esigenze dei velocisti, che potranno giocarsi un buon numero di traguardi senza dover fare i conti con insidie, salitelle e strappetti collocati ad arte nei chilometri finali di frazioni per il resto pianeggianti.
Certo, un po’ meno in linea con questa nuova tendenza appare la scelta di far prendere il via dalla città natale di Bjarne Riis, che costringerà gli atleti, dopo un esordio a cronometro di 8700 metri e due biliardi che richiederanno però la massima attenzione alle minacce del vento, che già mieté vittime in Olanda nell’edizione 2010, ad un maxi-trasferimento per rientrare in Italia, a Verona. Dopo questo viaggio aereo, in effetti, la corsa vedrà tuttavia ridursi di circa 600 km gli spostamenti tra le sedi d’arrivo e quelle di partenza delle tappe successive, chiaramente sotto l’impulso delle crescenti proteste da parte di corridori e squadre nel maggio scorso.
Per l’appunto a Verona il Giro vivrà la sua prima giornata in territorio nostrano, con una cronosquadre di 32 km che, eventuali ventagli al Nord permettendo, dovrebbe rappresentare il primo vero scoglio della corsa, capace di creare già qualche differenza significativa tra gli aspiranti alla maglia rosa. Decisamente più riposante si presenta la 5a tappa, da Modena a Fano, terza opportunità per i velocisti, che dovranno quindi farsi probabilmente da parte fino alla settimana successiva. I tre giorni seguenti offriranno infatti terreno fertile per gli attaccanti, a cominciare dalla Urbino – Porto Sant’Elpidio di venerdì 11, con il tratto di strade bianche che porterà ai GPM di Pitino-Madonnella e del Passo della Cappella, a 75 km dal termine, quale punto focale di una frazione che si manterrà comunque nervosa anche nella fase finale, comprendente lo strappo di Montelupone ad una quarantina di chilometri dal traguardo.
E se la 6a frazione, qualora dovesse essere affrontata ad andatura contenuta, potrebbe ancora lasciare aperte le porte agli sprinter più resistenti, nulla potranno le ruote veloci nel fine settimana, che si aprirà con il primo arrivo in salita, in vetta alla pedalabilissima ascesa di Rocca di Cambio (17,5 km al 4,5%), e proseguirà con il secondo, che riporterà il Giro a Lago Laceno, dove nel 1998 Alex Zulle si guadagnò i gradi di favorito principe di quella edizione. L’ascesa del Colle Molella, l’ultima di un’infinità di asperità disseminate lungo il tracciato, solamente due delle quali premiate con un GPM, terminerà in realtà a 4 km dal traguardo, ma i 9,7 km al 6,1% della scalata rappresenteranno comunque il primo vero test montano per i big.
Superate altre due frazioni interlocutorie a Frosinone e Montecatini Terme, intramezzate dall’insidiosa tappa di Assisi, con striscione posto in cima ad una salita di 4 km, sarà la Seravezza – Sestri Levante del 17 maggio ad offrire nuovo terreno per agguati, con quattro GPM ad animare i 157 km del percorso, l’ultimo dei quali ai -10 dalla conclusione.
Nulla, tuttavia, se paragonato a ciò che attenderà i corridori a partire dal week-end successivo, dopo la sesta e penultima tappa per velocisti di Cervere. La Cherasco – Cervinia di sabato 19 aprirà infatti la fase calda del Giro, con il Col de Joux a fare da antipasto all’interminabile ascesa verso i 2001 metri del primo traguardo alpino, lo stesso che nel 1997 lanciò Ivan Gotti verso la conquista della sua prima maglia rosa milanese. Altrettanto minaccioso il profilo altimetrico dell’indomani, con la terribile ascesa della Valcava, riportata in auge dal Lombardia di ventiquattro ore fa, ad aprire una serie di colli che porterà per la prima volta la carovana ai 1280 metri del Pian dei Resinelli, dopo aver scavalcato Forcella di Bura e Culmine di San Pietro.
Appena il tempo di recuperare con il secondo giorno di riposo e una frazione non particolarmente minacciosa a Falzes (attenzione però allo strappo a 2 km dal traguardo per raggiungere il paese tanto caro a Damiano Cunego), prima di inoltrarsi nelle Dolomiti, teatro di due frazioni, intervallate dalla facilissima San Vito di Cadore – Vedelago – un biliardo di 121 km -, capaci di rivoluzionare la classifica generale. La prima, da Falzes a Cortina d’Ampezzo, attraverso Valparola, Duran, Staulanza e Giau, era già nota da giorni; la seconda, con partenza da Treviso e arrivo all’Alpe di Pampeago, rappresenta a detta di alcuni la vera giornata chiave del Giro, a dispetto di passi meno altisonanti rispetto a quelli della frazione successiva. Dopo l’infilata Manghen – Pampeago, già proposta nel 1999 e nel 2008, la corsa proporrà infatti un inedito prolungamento della seconda scalata fino ai 2006 metri del Passo Pampeago, prima di una breve discesa, dell’ascesa al Passo di Lavazè e di una nuova picchiata su Tesero, prima di riaffrontare i terribili 4 km finali dell’Alpe.
Terreno ideale per attaccare senza dover per forza attendere l’ultima salita, cosa che invece non si può dire della tappa regina “designata”, la Caldes – Passo dello Stelvio di sabato 26 maggio, più lunga e sicuramente più dura a livello di salite e dislivello, ma forse meno azzeccata nel disegno. Servirà infatti una strategia di squadra ben congegnata per evitare che i quasi 40 km che separano la vetta del Mortirolo, scalato dall’inedito e leggermente meno impegnativo versante di Tovo (parola di Paolo Savoldelli, che sulle rampe che rivelarono definitivamente al mondo Marco Pantani ha lasciato il Giro del ’99), tarpino le ali ad eventuali attaccanti, che potrebbero così ritrovarsi obbligati a rimandare la battaglia ai 22 km finali verso la Cima Coppi.
Il sipario sulla gara calerà quindi il giorno successivo a Milano, al termine di una cronometro di 31,5 km che porterà a 40 il computo totale dei chilometri contro il tempo: leggermente meglio rispetto agli anni passati, ma probabilmente ancora troppo pochi in rapporto alle montagne presenti.
Già, perché, malgrado i proclami di disegno più “umano” – per tornare all’aggettivo più in voga –, peraltro giustificati, l’impressione è che si sia comunque di fronte ad un percorso decisamente favorevole agli scalatori, con una terza settimana di gusto decisamente zomegnanesco (decisamente nello stile dell’ormai ex patron, in particolare, il Pampeago con tempi supplementari e il nuovo lato del Mortirolo, tirato fuori dal cilindro per poterlo concatenare con lo Stelvio). La vera differenza sarà rappresentata dall’abolizione o quanto meno riduzione di difficoltà nascoste, disseminate nei finali di tappe all’apparenza interlocutorie, e di rampe di garage lievemente fini a se stesse, che hanno rappresentato forse le vere pecche nelle creazioni di Zomegnan, cui va tuttavia l’indiscutibile merito di aver fornito un impulso di innovazione e sperimentazione e di aver ridato lustro internazionale ad una corsa che andava sempre più riducendosi ad un campionato nazionale italiano a tappe.
Per quel che ci riguarda, ci sentiamo di promuovere l’opera prima del neo-direttore Acquarone, d’altro canto accolta da un coro pressoché unanime di approvazione al momento della presentazione, benché probabilmente un tantino (eufemismo) influenzato dalla situazione (e in questo senso ci sembra giusto lodare il tante volte bistrattato – spesso legittimamente – Marino Bartoletti, che ha avuto il coraggio di bacchettare la partenza danese, al di là dell’opinione che ognuno può avere in merito). All’organizzazione spetterà ora l’assai più impegnativo compito di assemblare una start list all’altezza, magari approfittando della collocazione a fine luglio dei Giochi Olimpici di Londra, che potrebbero scoraggiare qualche big con ambizioni a cinque cerchi dalla partecipazione al Tour. In questo, soprattutto, il nuovo corso del Giro dovrà dimostrarsi quanto meno all’altezza del precedente.
Matteo Novarini