ZAUGG TUMB TUMB
Vittoria quanto mai a sorpresa per Oliver Zaugg sulle strade del Giro di Lombardia, grazie ad un’azione solitaria nata nel tratto più impegnativo dell’ascesa di Villa Vergano. Preceduti di pochi secondi Martin, Rodriguez, Basso, Niemec e Pozzovivo. Cede nel finale Philippe Gilbert, all’attacco in precedenza con Vincenzo Nibali, a sua volta autore di una splendida ma infruttuosa fuga solitaria di una quarantina di chilometri. Mai in gara per il successo Cunego, in difficoltà sul Ghisallo e pesantemente staccato sull’ascesa finale.
Foto copertina: Oliver Zaugg taglia a braccia alzate il traguardo di Lecco (foto Roberto Bettini)
Dopo Matthew Goss alla Sanremo, Nick Nuyens al Fiandre e Johan Vansummeren alla Roubaix, anche il Giro di Lombardia trova il suo vincitore a sorpresa in Oliver Zaugg, 30enne svizzero che alla vigilia pareva dover essere destinato a correre in appoggio a Jacob Fuglsang. Paradossalmente, lo svittese di Lachen, il cui trionfo era probabilmente il meno pronosticabile dei quattro, è stato anche colui che lo ha colto in maniera più netta, facendo la differenza sul temutissimo muro dell’Alpino, la rampa finale dell’ascesa di Villa Vergano, da tutti individuata come snodo chiave del nuovo tracciato lecchese della classica delle foglie morte, onestamente apparso meno azzeccato rispetto all’ultima versione comasca. Tutti o quasi i favoriti della vigilia erano infatti giunti compatti, sia pure in condizioni assai differenti, ai piedi dell’ultima delle cinque ascese di giornata, approcciata spavaldamente dagli uomini del Team Sky, autori di un lavoro sfiancante per un Rigoberto Uran poi scomparso nel momento decisivo.
Sono però bastati i primi, pedalabili chilometri di salita per tagliar fuori inappellabilmente alcuni dei big, dal tre volte vincitore Damiano Cunego, già in difficoltà sul Ghisallo e piantato sull’erta conclusiva, a coronamento di una stagione tra il disastroso e il fallimentare a livello di classiche (altrettanto modeste erano state le prestazioni sulle Ardenne, sulle quali il veronese aveva imperniato la prima parte di stagione), riscattata solamente in parte dal buon Tour de France, a Samuel Sanchez, come Cunego giunto al Lombardia dopo una preparazione cinese non propriamente indovinata. Ancor prima aveva alzato bandiera bianca Vincenzo Nibali, giustificato però dalla splendida azione solitaria di cui si era reso protagonista in precedenza per quasi 40 km.
Un attacco, quello del siciliano, favorito dal forcing operato da Luca Paolini nella discesa della Colma di Sormano, capace di frazionare il gruppo in più tronconi, e sferrato all’imbocco della salita del Ghisallo, quando all’arrivo mancavano ancora 54 km, con una violenza tale da costringere ben presto alla resa Philippe Gilbert, Jacob Fuglsang, lo stesso Paolini, Santambrogio e Le Mevel, che avevano in un primo tempo provato ad accodarsi allo scatenato messinese. Analoga sorte hanno incontrato i tentativi di inseguimento di Visconti e Pozzovivo tra gli altri, riassorbiti senza eccessivi patemi da un plotone che nel mentre vedeva però lievitare il distacco dalla testa della corsa, giunto fino a 1’40’’ poco dopo lo scollinamento.
La lunga discesa non ha mutato significativamente le distanze, autorizzando Nibali ad alimentare sogni di gloria spezzati però dal successivo tratto pianeggiante, diciassette interminabili chilometri che rappresentano la vera pecca di un tracciato molto impegnativo – probabilmente anche più di quello delle scorse edizioni – ma che ancora necessita di essere affinato.
Neutralizzata ai -17 dal traguardo l’azione più bella e coraggiosa di giornata (senza nulla togliere a Vansummeren, Bertazzo, Pasqualon, Corioni, Arashiro e Astarloza, fuggitivi della prima ora che è d’obbligo quanto meno menzionare, benché il tentativo non abbia mai davvero impensierito il gruppo), e con altri grandi nomi rimasti indietro, come detto, già sulle rampe meno impegnative dell’ultima ascesa, quella di Zaugg restava tuttavia ancora una candidatura assai poco credibile, con Gilbert, Rodriguez, Basso e Martin, tra gli altri, in posizione ideale per tentare l’assalto. Ed in effetti il varesino ci ha provato, tentando di sopperire con una lunga progressione alla mancanza di cambio di ritmo che tante corse gli è costata nell’arco della sua carriera.
Quando però ci si attendeva la stoccata di un Rodriguez o di un Philippe Gilbert, a trovare la forza di incrementare ulteriormente la già sostenuta andatura è stato proprio il corridore della Leopard, la corazzata forse più deludente della stagione, trovatasi a riscattare parzialmente ma insperatamente una sfilza infinita di piazzamenti prestigiosi per altri, ma non per il Cancellara o lo Schleck di turno.
Solamente Domenico Pozzovivo è riuscito ad opporre una resistenza credibile allo scatto dell’elvetico, perdendo però brillantezza dopo poche pedalate, fino ad essere riagganciato prima da Rodriguez e Daniel Martin, quindi da Basso e Niemec, con Gilbert incartatosi proprio laddove con una condizione migliore è lecito immaginare avrebbe lasciato tutti sul posto.
Mai, nei 9 km restanti, si è avuta l’impressione che il volo di Zaugg potesse interrompersi, complice un ultimo chilometro tortuoso (ed estremamente suggestivo) che ha nascosto lo svizzero alla vista degli inseguitori, in realtà distanti appena una manciata di secondi. È così che, quando Basso e compagni sono sbucati sul breve rettilineo d’arrivo, Zaugg aveva ormai superato a braccia alzate la linea del traguardo, cogliendo a 30 anni quello che è non il primo successo di prestigio in carriera, ma il primo in assoluto, se si escludono due cronosquadre (1a tappa della Coppi & Bartali 2010 in maglia Liquigas e 1a tappa della Vuelta 2011 con la Leopard).
A doversi mangiare le mani per essersi visto sottrarre da un outsider (per non dire carneade) l’ultima classica monumento della stagione è stato Daniel Martin, andato a precedere nell’ordine Rodriguez, Basso, Niemec e Pozzovivo, staccati di 8’’. Altrettanti in più quelli accusati da Visconti, Gilbert, Betancur e Chiarini, andati a completare la top 10 con un piazzamento soddisfacente solamente per quest’ultimo.
Si chiude così con l’ennesima sorpresa una stagione in cui, tra le gare regine del calendario, solamente la Liegi e il Giro d’Italia hanno visto il successo del favorito principale della vigilia (Gilbert e Contador rispettivamente, cui potremmo aggiungere il Cavendish di Copenaghen), a fronte di una quantità di corse dall’esito tutto fuorché previsto (si pensi, oltre alle già citate classiche, alla Vuelta di Cobo). Già da domani, però, sarà tempo di pensare al 2012: a Milano sarà svelato nei dettagli un Giro a grandi linee già noto a tutti, quarantotto ore prima della presentazione di un Tour per cui vale sostanzialmente lo stesso discorso. Molti degli sconfitti illustri di oggi potranno già meditare sul riscatto.
Matteo Novarini