VUELTI NUOVI
settembre 14, 2011
Categoria: Approfondimenti
Molti i nomi nuovi che si sono espressi ad altissimo livello nella Vuelta appena conclusasi: da Juan José Cobo e Chris Froome, 1° e 2°, capaci di sovvertire gerarchie interne che volevano i gradi di capitano affidati a Menchov e Wiggins, allo sprinter Marcel Kittel, passando per Peter Sagan, grande protagonista con tre successi di tappa. Analizziamo quanto osservato durante l’ultimo GT della stagione, gettando un occhio anche all’ormai imminente Mondiale di Copenaghen.
Foto copertina: Bradley Wiggins e Chris Froome al fianco di Juan José Cobo sul podio finale della Vuelta 2011 (foto Alvaro Astiz Conde)
È stata una Vuelta all’insegna degli outsiders quella che ha salutato a Madrid il terzo successo di tappa di Peter Sagan, ragazzo-prodigio che ora pone addirittura la sua candidatura per il Campionato del Mondo di Copenaghen, forse il grande protagonista della corsa tra coloro che non hanno lottato per la classifica generale.
Outsider era infatti certamente Juan José Cobo, perlomeno in chiave maglia rossa finale. 30enne con al più un 10° posto all’attivo alla Vuelta due stagioni or sono, lo spagnolo avrebbe dovuto rappresentare una preziosa pedina per la rincorsa al terzo trionfo spagnolo di Denis Menchov, leader designato del team Geox. Ancor di più lo era Chris Froome, che come miglior piazzamento in carriera in un GT vantava fino a domenica scorsa un 36° posto al Giro d’Italia del Centenario, e che avrebbe dovuto sacrificarsi per la causa di Bradley Wiggins, sbarcato con ambizioni di vittoria a Benidorm, deciso a vendicare il ritiro all’ultimo Tour de France.
Se però Cobo ha avuto la fortuna di vedere l’uomo di punta della squadra attardato già nella 3a tappa, a causa di un problema alla sella costato a Menchov qualcosa come 1’23’’, sfruttando poi alla grande la possibilità di giocare le proprie carte, non così bene è andata al corridore Sky, costretto ad un lavoro di gregariato anche quando, dopo la cronometro di Salamanca, si è trovato in maglia rossa. Solamente nella tappa dell’Angliru, quando Cobo era ormai lanciato verso il primato, Froome ha avuto il via libera dall’ammiraglia, abbandonando Wiggins al suo destino, e dimostrando una superiorità nei confronti del tre volte olimpionico su pista che già le giornate precedenti avevano lasciato intravedere.
Solamente 13’’ hanno alla fine diviso i due inattesi protagonisti della sfida per la maglia rossa, capaci di eliminare qualsiasi residua concorrenza nello splendido testa a testa di Pena Cabarga. Un margine tanto risicato da lasciare probabilmente un certo amaro in bocca a Froome, a dispetto di un palmares in cui un podio alla Vuelta spicca su ogni altro risultato. Basti pensare ai 27’’ lasciati per strada dal britannico nella tappa di Manzaneda, quando l’allora capoclassifica si sfinì in appoggio a Wiggins. Un amaro in bocca tuttavia non così forte da impedire al nativo di Nairobi di accontentarsi di fatto del piazzamento nell’ultima settimana, non tentando nulla più di un timido scatto sull’Alto del Vivero nella frazione di Bilbao per scalzare dalla vetta un Cobo che, dal canto suo, ha legittimato il successo non soltanto con il successo nella tappa regina, ma anche con l’autorità con la quale ha controllato l’avversario negli ultimi giorni di gara, incollandosi alla ruota di Froome con una marcatura a uomo come non se ne vedevano dai tempi di quella di Claudio Gentile su Diego Armando Maradona nel Mondiale spagnolo.
A fare da contorno alla sfida anglo-spagnola è stata una schiera di comprimari di lusso, ben più blasonati dei duellanti, che hanno perso colpi con il passare dei giorni, facendo cadere uno per volta la propria candidatura al successo finale. Capeggia la fila il già più volte menzionato Wiggins, indirettamente responsabile del mancato trionfo del compagno di squadra (va però detto che nessuno o quasi avrebbe scommesso su Froome vincitore o anche solo più forte del campione nazionale britannico neppure dopo la crono), al quale è mancato qualcosa sia nel fine settimana decisivo, sia negli ultimi chilometri della prova contro il tempo di Salamanca, quando un vistoso calo nel tratto conclusivo gli impedì di mettere da parte un tesoretto più cospicuo, che avrebbe forse indotto il Team Sky a puntare su di lui sino alla fine, e sarebbe magari bastato a resistere agli assalti di Cobo.
Fallita la difesa della maglia rossa, il 4° classificato del Tour 2009 è passato a quella del podio, condotta con successo contro Bauke Mollema, anch’egli apparso per oltre metà Vuelta un serio candidato anche alla prima piazza. Una resistenza resa ad onor del vero piuttosto agevole dalla scarsa combattività dell’olandese, che, dopo aver avvicinato sensibilmente Wiggins staccandolo a Pena Cabarga, non ha di fatto neppure provato a metterlo in difficoltà nel trittico di media montagna di Noja, Bilbao e Vitoria, rinunciando abbastanza incomprensibilmente alle velleità di podio.
Se per i primi quattro classificati il piazzamento raccolto a Madrid rappresenta il migliore in carriera in un GT (perlomeno da un punto di vista numerico; il 4° posto di Wiggins al Tour 2009 vale sicuramente di più sul piano tecnico), è ben lungi dall’esserlo la quinta posizione di Denis Menchov, sul cui risultato pesa però la presenza in squadra di Cobo, che gli ha impedito di mettere a frutto negli ultimi giorni la grande condizione acquisita con il passare delle tappe. Pur distante dai livelli del Giro 2009, il russo, dopo la disdetta del guasto nella 3a tappa, è infatti cresciuto strada facendo, fino all’ottimo terzo posto sull’Angliru (lasciando anche l’impressione di non aver spinto quanto avrebbe potuto, causa Cobo al comando), smentendo almeno in parte quanti già lo vedevano in declino, complice la prova non esaltante dell’ultima Corsa Rosa.
Nella seconda metà della top 10 spiccano decisamente, dietro un Maxime Monfort clamorosamente anonimo ma altrettanto clamorosamente regolare, i nomi di Vincenzo Nibali e Jurgen Van den Broeck, entrambi partiti con ambizioni di vittoria, entrambi senz’altro delusi dai rispettivi 7° e 8° posto. Disappunto accresciuto, nel caso del belga, dal ritiro all’ultimo Tour de France, dove le avvisaglie della prima settimana avevano lasciato intravedere una gamba forse addirittura migliore di quella del 2010, quando il leader Omega Pharma fu 5°. Ad aggravare la controprestazione del siciliano è invece il suo status di campione uscente, che è peraltro per diversi giorni parso in grado di riconfermare. Anzi, alla vigilia del fine settimana più duro, quello di La Farrapona e dell’Angliru, erano in molti ad individuare proprio nel nostro portacolori il principale indiziato per la conquista della maglia rossa. Una difficilmente spiegabile e drastica flessione lo ha però estromesso dai giochi, complice probabilmente una certa demoralizzazione, che ha fatto sì che l’uomo Liquigas neppure provasse in seguito a sopperire alla condizione deficitaria con qualche invenzione tattica, malgrado un terreno abbastanza favorevole.
Completano i primi dieci Daniel Moreno, andato in calando nell’arco delle tre settimane, ma che ha impreziosito la sua Vuelta con il successo di Sierra Nevada, e Mikel Nieve, divenuto in corsa capitano della Euskaltel dopo la prematura débacle di Igor Anton.
Proprio il basco, pur essendo riuscito a dare un senso alla propria partecipazione con il successo di Bilbao dinanzi ad una marea arancione, capeggia probabilmente la lista di quanti, partiti con grandi ambizioni, sono alla fine addirittura usciti di classifica. Dal 1° posto pre-ritiro del 2010 al 33° posto con oltre 51’ di distacco del 2011: non esattamente un salto di qualità quello del leader Euskaltel, a meno che con l’espressione non si intenda un volo a piombo in un baratro di ritardi e crisi, inaugurato già sulla non certo letale ascesa di Sierra Nevada, il quarto giorno. Segue in scia Joaquim Rodriguez, che ha però fatto almeno in tempo a conquistare due traguardi di tappa e a vestire le insegne del primato, prima di cedere alla distanza come già gli accadde – con proporzioni assai più contenute – dodici mesi fa.
Addirittura ritirato Michele Scarponi, dopo aver illuso con il secondo posto di El Escorial, confermando le difficoltà dei corridori usciti dal Giro d’Italia (con lui Nibali, Anton, Rodriguez, Menchov). Ennesimo fallimento per la solita Radioshack a più punte, con Brajkovic 22°, Zubeldia 25°, Machado 32° e Kloden neppure giunto a Madrid.
Non soltanto la classifica generale ha però tenuto banco durante le tre settimane di gara spagnole, soprattutto in virtù delle appena due settimane che separano la conclusione dell’ultimo GT stagionale dalla prova iridata di Copenaghen. Benché molti fossero i papabili campioni del mondo assenti (da Philippe Gilbert a Thor Hushovd, passando per Boasson Hagen, Rojas e tanti altri), altrettanti sono i corridori che hanno scelto di testare la gamba sui tracciati molto vari proposti da un percorso che ha avuto proprio in questo aspetto il suo punto di forza (a fronte di altri assai meno convincenti, per i quali rimandiamo all’ultima parte dell’analisi).
È ad esempio il caso di Peter Sagan, forse il grande trionfatore della corsa dopo Cobo, capace di imporsi in tre frazioni tra loro estremamente differenti: a Totana, grazie allo splendido attacco di squadra della Liquigas in discesa; a Pontevedra, in un finale lievemente in salita vagamente simile a quello del Mondiale; a Madrid, in una volata di gruppo, pur priva di molti grandi nomi. La principale incognita relativa alla candidatura al titolo di Sagan è quella legata alla sua resistenza al chilometraggio di un Campionato del Mondo, ad oggi tutta da verificare. Dovesse reggere, sarebbe probabilmente lui il più temibile tra gli atleti visti in gara alla Vuelta, complice la breve ascesa d’arrivo che in Danimarca potrebbe tagliar fuori dai giochi gli sprinter più puri (Kittel, vincitore a Talavera de la Reina, è stato forse il migliore in Spagna).
Si è regalato un successo parziale – il primo dopo tre anni in un GT – anche il capitano della spedizione guidata da Paolo Bettini, Daniele Bennati, sia pure in una frazione dallo svolgimento assai particolare come quella di Vitoria, così come Francesco Gavazzi, che ha visto premiata la sua lunga fuga a Noja. L’aretino non è tuttavia apparso all’altezza dei migliori, sfiorando il successo in sprint a ranghi compatti solamente a Madrid, ma piegandosi ad un Sagan che dovrebbe trarre beneficio assai più del nostro portacolori dalla rampa finale del tracciato iridato (e il discorso vale anche sostituendo a Sagan uno tra Hushovd, Boasson Hagen, Rojas e altri).
Dovesse uscire un Mondiale più selettivo del previsto (molto più selettivo, a dire il vero, visto che le previsioni in tal senso sono di una corsa destinata a risolversi in una volata non particolarmente ristretta), si sono segnalati anche outsider quali Daniel Martin, capitano della nazionale irlandese, e il sorprendente Wouter Poels, una delle tante pedine spendibili da una rappresentativa olandese priva di un autentico leader, che avrebbe fatto più paura su un tracciato più impegnativo. Non è stata invece una sorpresa la netta affermazione di Tony Martin nell’unica crono individuale della corsa, che ha solamente rafforzato una candidatura al titolo di anti-Cancellara che già da tempo appariva come l’unica credibile.
Provando a tracciare un bilancio della Vuelta 2011, l’incertezza che ha regnato sino all’ultimo giorno ha rappresentato forse l’unica nota davvero lieta, posto che l’equilibrio dovrebbe a nostro giudizio essere una piacevole sorpresa e non il frutto di tappe di montagna con non più di due ascese significative, mediamente corte, e con salite finali quasi sempre pedalabili e rivelatesi meno selettive del previsto. Incertezza che purtroppo non si è tradotta nel grande spettacolo che ci si aspetterebbe nella terza settimana di un GT nel quale i primi due della generale sono divisi da 13’’, a causa di un tracciato andato in calando nel finale, e coronato da un’ultima frazione di montagna disegnata in maniera dissennata, con 46 km di discesa (poca) e pianura (moltissima) sapientemente piazzate a scoraggiare qualsiasi genere di iniziativa. Da censurare poi pecche organizzative quali il traguardo volante spostato a tappa in corso il penultimo giorno o la rotonda che ha falsato il finale di Haro.
Non può poi non pesare sul giudizio l’assenza dei primi uomini da corse a tappe al mondo; basti pensare che i primi undici dell’ultimo Tour de France non hanno neppure preso il via, e che per trovare un atleta piazzato alla Grande Boucle che abbia tentato di curare la classifica alla Vuelta si deve scendere al 16° posto di Haimar Zubeldia (Taaramae, 12°, ha infatti puntato solamente ad un successo di tappa, cogliendolo a La Farrapona). Certo, il dato è mitigato dalla presenza di due atleti di spicco, Wiggins e Van den Broeck, ritiratisi dal Tour, e di altri che in Francia neppure erano partiti (Nibali, Scarponi, Rodriguez, Anton), questi ultimi però ben distanti dal loro potenziale. Se a ciò si aggiunge la mancata partecipazione di molti dei principali sprinter (Cavendish e Greipel su tutti) e uomini da tappe (Gilbert, Hushovd, Boasson Hagen), ecco che il quadro di un GT in tono piuttosto dimesso si fa chiaro.
Potrebbero in tal senso giovare, in ottica 2012, i Giochi Olimpici di Londra, che, per la loro collocazione in calendario a fine luglio, dovrebbero scoraggiare molti corridori di primo piano dal partecipare al Tour de France, lasciando immaginare che possano quindi prendere il via il mese successivo alla Vuelta (anche se il tracciato assai morbido della prova a cinque cerchi potrebbe rendere il fenomeno più limitato di quanto non si pensasse fino a qualche mese fa). Il tutto unito alla già annunciata partecipazione di Alberto Contador, che dovrebbe già fornire alla prossima edizione – tribunali permettendo – il nome del principale favorito.
Matteo Novarini