GIRO VS TOUR. STAVOLTA SI SFIDANO I GT

maggio 6, 2011
Categoria: Approfondimenti

Il percorso di crescita del Giro sulla ribalta mondiale continua. Prima sono arrivati i percorsi più innovativi e spettacolari, poi la competizione si è fatta via via più appassionante. E così, per la prima volta, nel 2010 la corsa italiana ha strappato al Tour il titolo di GT migliore, secondo i lettori della più importante e internazionale rivista online di ciclismo: quest’anno anche la lista dei contendenti sembra in grado di competere con quella transalpina.

Foto servizio e copertina di Giuseppe De Socio

La gara tra le gare: quella che intercorre tra Giro e Tour è una rivalità storica, capace di dividere i tifosi di ciclismo quasi più che le sfide tra gli atleti che su quelle strade si rincorrono.
Il Giro, c’è poco da dire, insegue. Si opina se insegua dappresso o da lontano: epoche diverse hanno visto le distanze assottigliarsi o viceversa farsi incolmabili; tuttavia, a radicale differenza di quanto accada nel ciclismo pedalato, in questa gara chi sta in testa non prende il vento in faccia, anzi! Similmente a quanto si verifica in molte altre gare dell’esistenza, in questa competizione chi domina gode pure di una rendita difficile da erodere. Il Tour è più grande perché è più ricco, è più ricco perché è più grande. In definitiva, e per meglio dire, il Tour è più grande perché è più grande.
Tuttavia anche in questa sfida, e qui sì c’è affinità con le battaglie tra atleti, la sorte interviene a sparigliare le carte, e se l’astuzia umana carpisce l’occasione la gara può riaprirsi.

Il Giro ha cominciato pian piano a proporre percorsi più peculiari, soprattutto venendo incontro al gusto più istintivo e talora superficiale del pubblico: a breve il Tour si è trovato costretto a giocare di rimessa, a imitare se non proprio a inseguire, scoprendosi gregario delle tendenze che venivano impostate sul lato italico delle Alpi.
Ecco allora sorgere una prima settimana più vivace, a discapito dell’ormai cristallizzato e quasi rituale susseguirsi ininterrotto di tappe per velocisti: un’istituzione che il Tour propinava con sovrana arroganza, e che aveva il suo effetto tecnico nello sfinimento dei corridori più leggeri prima ancora delle prime salite, a vantaggio dunque di una ben precisa tipologia di atleti.
Arrivano le tappe con difficoltà specifiche ad aumentare tasso tecnico e imprevedibilità strategica, gli sterrati (assimilabili al pavé della Roubaix integrato al Tour nel 2010) o i settori assai battuti dal vento.
Infine un aumento delle tappe di salita, e una contestuale riduzione via via sempre più netta delle tappe a cronometro. Se per il Giro però questo significava rafforzare la propria impronta tecnica (recentemente, va detto, esagerando in questo senso), per il Tour questa opzione implicava abdicare a un altro dei propri capisaldi ritenuti immutabili. A vantaggio degli spettatori e, molto probabilmente, della gara stessa. Un gesto d’intelligenza, oltretutto, perché questo tipo di difesa tutela da improvvisi anche se improbabili sorpassi da parte del Giro: marcando stretti l’avversario non si rischiano sorprese; tuttavia viene certamente meno una “supremazia culturale” che determinava qualità e preparazione degli atleti di punta nei GT.

In un modo o nell’altro, è suppergiù un lustro che il Giro finisce per esprimere contenuti tecnici di maggior rilievo e interesse rispetto al Tour. E bisogna ribadire “tecnici” perché dal punto di vista della godibilità si potrebbe anche dire che gli ultimi due Tour di Armstrong siano stati meno emozionanti che i Giri vinti da Cunego prima e poi da Savoldelli, però il livello tecnico espresso era ancora inconfrontabile.
Un livello tecnico che non si concretizza unicamente e ottusamente nella “forza” dell’atleta che vince l’una o l’altra gara, e men che meno nella domanda se chi vince qua vincerebbe anche là o viceversa: competizioni che, per fortuna, hanno ancora una natura intrinsecamente diversa mal si prestano a questi paragoni (anche perché “sulla carta” o “in teoria” tutto sembra ovvio: nella realtà della strada invece, ogni volta per motivi svariati, i campioni del Tour non sempre in Italia hanno fatto gli sfracelli che si sarebbe previsto).
Livello tecnico vuol dire anche complessità strategica, agonismo e combattività, imprese memorabili e gioco di squadra. Il solo 2007 vede il Tour tutto sommato “competitivo”, benché la vittoria di un Contador ancora “pulcino” dopo l’assurda espulsione del “pollo” Rasmussen non ingioielli certo quelle settimane, per di più macchiate dal ritiro dell’Astana. Dopo tutto la presenza nella top ten di Kirchen, Zubeldia, Astarloza, Popovych (e un Leipheimer già stagionato sul podio) non fa sfigurare troppo l’emergente Andy Schleck, e Pellizotti, Simoni o Arroyo; senza dire del fatto che il bello di quel Giro fu più sul “come” che sul “chi”. Al di là di quella stagione, comunque, sul 2006 non c’è lotta, così come sul 2008: e non parliamo del 2010. Il 2009 d’altro canto pur avendo offerto un Giro dal percorso “minore” ha regalato un duello ad altissima tensione tra Menchov e Di Luca, con rivali quali Basso o Sastre, mentre il Tour si impaludava nelle minacce di Armstrong per tener bassi i ritmi e nei giochetti di famiglia sul Mont Ventoux, insulto incancellabile e imperdonabile al monumento del ciclismo.

Inevitabile che lungo questa inerzia finisse per spostarsi anche l’equilibrio del livello dei partecipanti, che essendo fortemente vincolato a fattori economici e mediatici è sempre rimasto il principale punto di forza del Tour. La via dell’internazionalizzazione – che per il Giro è stata oltre che una politica consapevole anche una ricaduta positiva (una delle poche!) del pasticcio chiamato Pro Tour – si è dimostrata vincente, e così la lista dei partenti si va facendo di tutto rispetto.
Sulla qualità media complessiva con ogni probabilità il Tour prevarrà ancora, ma per quanto riguarda i principali protagonisti raramente si vedrà un confronto pari come quest’anno: complici giri di fortuna (come abbiamo anticipato poco sopra) quali il declassamento della Geox o le vicende giudiziarie di Contador, il Giro “più duro che mai” sulla carta, presenta anche una “carta”, nel senso di menù, con pretendenti di primissimo ordine. Proviamo a confrontarli con quelli – necessariamente presunti – del Tour in uno “scontro diretto”.

I FAVORITI: CONTADOR E ANDY SCHLECK

Nonostante un avvio di stagione meno luccicante del solito – da scontare pure un inverno più turbolento dell’ausicabile – Alberto Contador è il favorito principe del Giro.
Diverse spanne sopra tutti gli altri nei grandi giri, la sofferta prova del Tour 2010 depone ancor più a favore della sua netta superiorità sul rivale Schleck: pur ritrovandosi con parecchi fattori contro (catena di Andy esclusa…), vinse.
Non dimentichiamo che l’esito finale è scaturito perfino da un incrocio di destini estremo nel giorno della decisiva cronometro, quando Alberto ha sfoderato una prestazione ben al di sotto dei propri standard mentre Andy si è inventato d’emblée mago delle lancette. Difficile dire se quella di Andy fosse una “giornata sì” o una “naturale” evoluzione tecnica: correndo pochissimo, il lussemburghese non offre molti riscontri, ma di certo non lo si è visto né prima né dopo offrire altre prove convincenti contro il tempo. Contador invece, pur meno dirompente, ha dimostrato anche recentemente che l’affinità con questa specialità non è venuta meno, e che quindi quella fu proprio una tappa storta. Ad ogni modo i palmarés parlano chiaro: certo, gli albi d’oro sono quanto di meno “aureo” si possa usare per valutare campioni e corse, ma non si può dire che Andy abbia fatto chissà che cosa per smentire i propri dati, che raccontano di un corridore a cui “manca sempre qualcosa”. Per sua fortuna sembra che al Tour 2011 quello che gli mancherà sarà… un rivale all’altezza.
Su questo piano il Giro stravince: il candidato a conquistare il Tour è un “perdente”, per quanto extralusso. A favore del Tour invece c’è da dire che Andy “dovrebbe” arrivarvi nelle condizioni migliori, mentre il Contador del Giro patirà un avvicinamento, comunque sia, travagliato.

I “VECCHI” E I “GIOVANI” (CON VIRGOLETTE D’OBBLIGO)

Nomi illustri, alcuni tra i quali hanno vivacizzato il Giro 2010, hanno deciso di puntare sul Tour proprio per approfittare della probabile assenza di Contador: o – nella migliore delle ipotesi per lo spagnolo – per affrontarlo già affaticato da un Giro mostruosamente esigente. Tra loro Basso, campione rosa in carica, Vinokourov e Evans. Vinokourov naturalmente ha già dichiarato di non puntare alla vittoria finale, ma solo ad indossare la maglia gialla in qualche occasione. Basso ed Evans invece tenteranno di agguantare il proprio sogno di una vita, sfuggito sempre all’uno e all’altro per cause disparate. Escludendo i corridori d’anteguerra, fin qui è ancora Bartali a detenere il record di corridore ad aver vinto il Tour in età più avanzata: basti dire che Evans gli strapperebbe questo titolo, mentre Basso lo avvicinerebbe di molto (per soli quattro mesi…). Il “vecchio” Riis vinse trentaduenne.

Da questa particolare prospettiva colpisce osservare come, al contrario, due dei giovani corridori più promettenti affacciatisi alla top ten del Tour de France negli ultimi anni abbiano stavolta optato per il Giro d’Italia: primo fra tutti Nibali, che l’anno scorso con il podio al Giro e il trionfo alla Vuelta si è dimostrato pronto ad attestarsi su una dimensione diversa. In seconda battuta Kreuziger, il giovane più regolare ad alto livello al Tour negli ultimi anni, escludendo ovviamente Andy Schleck.
In questa categoria al Giro si sente la mancanza forte del solo Robert Gesink, atleta che per caratteristiche senz’altro sarebbe stato più adatto per il Giro, dirottato però verso il Tour dalla sua formazione, olandese quanto lui stesso, nell’orgogliosa speranza nazionalistica di infilarsi nel vuoto di potere lasciato (almeno si pensa) da Contador. Dopo un’apertura di stagione in cui si intravidero strabilianti progressi a cronometro e in discesa, Robert si è espresso nella campagna delle Ardenne ad un livello veramente infimo e deludente. C’è da augurarsi, per il bene del Tour, che questa tendenza non debba continuare, in una spirale di problemi fisici e psicologici chissà se dovuti proprio alla responabilità totale affidatagli.
Nel gioco dei rovesciamenti speculari, tuttavia, dobbiamo allora nominare il “vecchietto terribile” Sastre, presente al Giro: il suo 2010 è stato arduo… ma correre tre GT in un anno non è nemmeno tanto facile! Ed è riuscito pure a portare a casa due top ten, nonostante i guai alla schiena. Correndo in maniera anonima, forse, ma allora ricordiamoci che solo nel 2009 il buon Carlos fece sprizzare classe sulle salite del Giro.

I PRINCIPALI CONTENDENTI

A questa elegante simmetria tra “vecchi leoni” e “giovani emergenti” va affiancata una distribuzione pressoché equa di corridori giunti alla maturità, tra i 28 e i 32 anni diciamo, che si trovano al culmine delle proprie potenzialità per arricchire il proprio palmarés.
Il pezzo forte del Giro qui si chiama Menchov, presumibilmente oggi l’atleta da GT più forte dopo Contador ed Andy Schleck: dove l’onore concesso ad Andy di sopravanzare il russo è legato al risultato sul campo dell’anno scorso, perché le affermazioni concretamente ottenute sono di altro segno. Dall’altro lato delle Alpi correranno invece Samuel Sanchez e Van den Broeck, grandi campioni dimostratisi recentemente attenti e in forma sulle Ardenne, il cui limite è – in quello che sembra il leit motiv di questo confronto – apparire più dei piazzati che dei vincenti, corridori da primi cinque quasi garantiti, che però non abbiano ancora apposto il loro graffio sul primato di un GT.
Lo stesso discorso vale per Frank Schleck o Joaquin Rodriguez, anche se va detto che il secondo – ascritto per quest’anno al Giro – ha corso fino ad oggi come gregario, e svincolato da quel compito si è dimostrato subito nettamente più convinto, “cattivo” e competitivo che il buon Frank, spesso mera comparsa o zavorra nella sua pur onestissima carriera da “uomo a tappe” inventato dal nulla.
Eterno incompiuto, per malasorte o discontinuità, è Igor Anton, che vedremo al Giro non si sa con quanta voglia, ma con un percorso potenzialmente tagliato su misura: la sua dimensione internazionale è garantita non solo dalle ovvie premesse di ibericità, ma pure dalle belle esibizioni che fece sulle Ardenne. Ammesso che non si sia perso nel frattempo.

L’ago della bilancia potrebbe essere la prestazione di Wiggins: se il campione prelevato dalla pista dovesse confermarsi ad alto livello (fin qui non ne ha proprio dato l’impressione, ma le occasioni sono state poche) sarebbe un pezzo validissimo per impreziosire le gerarchie del Tour, che pure come percorso non sembra venirgli affatto incontro. Se invece i suoi risultati nello strano Tour 2009 dovessero rimanere “una tantum”, la sua presenza in Francia non aggiungerebbe nulla al livello tecnico della lotta per la maglia gialla.
In questo senso sembra offrire garanzie ben diverse, in senso positivo, Scarponi per il Giro: rispetto agli altri che abbiamo nominato va detto che la dimensione di Michele è più legata alla nostra penisola, ma alcuni confronti ad alto livello sia in tempi recenti sia nel passato paiono indicare che senza la cesura della squalifica l’atleta marchigiano avrebbe risultati più rispondenti al suo potenziale, a confermare che la sua presenza possa senz’altro qualificare la lotta per la rosa ben più di quanto in Francia non facciano molti mediocri habitué del Tour.

NUMERI, NUMERI, NUMERI

Un dato è impressionante: dei sette corridori (in grado di correre quest’anno) che abbiano già vinto un GT nell’era post-Armstrong, ben cinque saranno al Giro. E se vogliamo dire che Di Luca o Sastre non hanno reali opzioni di vittoria – ma sarà così? – pur a malincuore lo stesso discorso andrebbe fatto per Vinokourov. Eppure, anche tolti di mezzo questi tre, il ristrettissimo club dei vincenti “veri”, sul campo, continua ad opporre il solo Basso a Nibali, Contador e Menchov.
Un’altra statistica è veramente sorprendente, specialmente se si tiene conto di quanto enunciato in apertura sulla difficoltà per il GT che “insegue” di “rubare campioni” al fratello maggiore, più roboante, più titolato (anche nel senso dei titoli sui giornali), soprattutto molto ma molto più danaroso: ebbene, tanto osservando la top ten francese del 2009, quanto considerando quella del 2010, in entrambi i casi si nota che il 40% di quegli atleti si è spostato sul Giro.
Si dirà magari che Le Mével non è un campione di prim’ordine, ma d’altro canto la top ten è stata il verdetto del Tour stesso, e oltretutto lo stesso giudizio severo varrebbe per altri atleti di quelle classifiche rimasti “fedeli” al Tour, come Hesjedal o Vande Velde. Armstrong oltretutto si è frattanto ritirato… e tra i decrepiti si notano anche Kloeden (basti pensare che la sua occasione per vedere Parigi in giallo è probabilmente questa!) oppure l’incredibile Horner. Se Lovkvist trovasse solidità li varrebbe tranquillamente, anche se lo svedese potrebbe appartenere alla triste categoria degli atleti bruciati dalla HTC, squadra spremiagrumi che sembra far sfavillare i giovani per poi lasciarli infarciti di problemi fisici e psicologici.

IN CONCLUSIONE

Se proprio non vogliamo dire che il Giro quest’anno partirà con un parco di contendenti più qualificato, bisogna riconoscere che – incredibilmente – non si possa affermarlo nemmeno in merito al Tour. La differenza la potranno certamente fare seconde linee più forti portate al Tour, oppure i soliti fenomeni “scoperti” di punto in bianco da HTC, Garmin, Radioshack… Però per adesso, almeno sulla carta, almeno per quanto riguarda i grossi nomi, il Giro comanda di un’incollatura. La fortuna ci ha messo lo zampino, inutile negarlo: e non è detto che i campioni rispondano alle attese; quest’ultimo problema però vale da entrambi i versanti delle Alpi.

Uscendo, per concludere, dallo scherzo su cui si è retto tutto questo articolo, da appassionati di ciclismo dobbiamo dire che ci interessa la gara tra i corridori, e non quella tra le corse.
E per quanto riguarda le gare vere e proprie, una situazione come quella verificatasi quest’anno è davvero ideale, con due GT – ciascuno con le proprie stimolanti specificità – entrambi assiepati di un buon numero di atleti assai validi e tra loro diversificati, in modo da assicurare la battaglia più articolata e di alto livello possibile. Certo, il sogno sarebbe che gli stessi – e quindi tutti parimenti “già affaticati” – lottassero in tutte le corse, o quasi: evidentemente però le epoche passano e quei tempi non ci sono più. Anche i tempi attuali però, visti così, non sono tanto male, e certamente promettono meglio che il soporifero settennato di re Lance.

APPENDICE: UN OCCHIO A…

Purtroppo abbiamo dovuto sorvolare su una serie di nomi, non perché non li consideriamo più che papabili per una discreta se non eccellente classifica al Giro, ma perché mal si conciliavano, per giovane età o per squadra di appartenenza, al paragone tra la corsa italiana e il Tour.
Vogliamo allora ricordare velocemente alcuni tra questi possibili protagonisti del Giro imminente non rientrati nel “focus” dell’articolo.

* Pozzovivo, un Giro fatto apposta per lui? Forse troppe discese. Ma questo deve essere un anno di “risposte definitive”. O quasi. Perché i numeri ci sono, e chissà che la compagnia così simile a quella del suo Giro più brillante, con Contador e Menchov a battagliare sulla Marmolada, non gli riaccendano la miccia.

* F. Masciarelli, un ruolo da gregario o da battitore libero? Forse deciderà la strada. Stagioni difficili per lui dopo l’apparizione alla ribalta, finalmente l’abbiamo rivisto in qualche lampo isolato. Questo Giro ha molto terreno per consentirgli di tornare a brillare.

* Tiago Machado, lo si direbbe il capitano della Radioshack assistito da chioccia Popovych. Un’incognita, anche se le qualità non gli mancano e la squadra che lo supporta ama le “missioni impossibili”.

* Richie Porte, gregario di Contador, oppure? Le dichiarazioni che fece sullo spagnolo non promettono niente di buono, ma Riis dovrebbe sapersi imporre. A meno che lo stesso Riis non lo abbia portato come “paracadute”.

* Fabio Duarte, il giovane colombiano della Geox ci ha davvero impressionato sia al Trentino sia ai Paesi Baschi. Potrebbe essere in calo, ma se non lo è regalerà scintille.

* Scalatori tascabili, come Rujano o Gadret: altissima quota… in classifica? Probabilmente no. Spettacolo? Probabilmente sì!

* Virgulti: due coppie di due squadre diverse, nelle quali (senza offesa per Garzelli o Weening) questi atleti costituiscono il motivo principale di attenzione. Due colombiani nell’Acqua e Sapone: Sarmiento (1987) e Betancur (1989); due olandesi nella Rabobank, Kruijswijk (1987) e Slagter (1989). Potenziale entusiasmo nella lotta per la maglia bianca, che con queste età sarebbe davvero più bianca del bianco.

* Diego Ulissi, il nostro diarista!!!


Gabriele Bugada

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