L’ÉTAPE DU JOUR: SAINT GAUDENS – TARBES
Anche l’ultima giornata pirenaica offrirà pochi spunti d’interesse, almeno sul piano della classifica generale. Difficile, quasi impossibile pensare di sfruttare le difficoltà di giornata per attaccare la corazzata dell’Astana: troppo lontane dall’arrivo le prime, troppo invicibile, almeno per il momento, la seconda. Oggi sarà un’altra occasione d’oro per gli attaccanti di giornata, alla caccia di un prestigioso successo.
Idem con patate. Il percorso della terza ed ultima tappa pirenaica sembra ricalcato, almeno nella costruzione generale, su quella della frazione di Saint Girons. Le “patate” sono l’Aspin e il Tourmalet, miti del Tour cacciati in un angolo: non saranno gli ingredienti principali di questa frazione, ma un semplice contorno, piazzati come sono a 100 e 70 Km dalla conclusione. Il rischio serio è di vedere una fotocopia della tappa di ieri, senza però gli attacchi in montagna da parte dei primattori. La supremazia dell’Astana è, in questo momento, troppo netta e questo tracciato non agevola certo i tentativi di chi punta a far saltare il banco. Anche Nocentini potrebbe arrivare tranquillamente a Tarbes con la maglia gialla ancora sulle spalle e, visti i tracciati delle prossime tappe, mantenerla almeno fino venerdì, quando si tornerà a pedalare in montagna.
Dunque, anche oggi dovrebbero avere gioco facile gli attaccanti di giornata, sempre che le loro forze non si spengano strada facendo, in un finale totalmente pianeggiante che favorisce di più il rientro del gruppo. In caso di ricongiugimento, se non ci saranno estremi tentativi nei chilometri conclusivi la tappa dovrebbe chiudersi con uno sprint folto, ma non troppo, magari con dentro qualche velocista se il Tourmalet sarà stato affrontato con calma (vedi Hincapie, che nella tappa di ieri ha finito la tappa nel gruppo maglia gialla, giunto a Saint Girons con un ritardo di 1’54”). Tappe simili, all’interno di una corsa a tappe non stanno male se proposte “una tantum”, ma ripetute nel tempo finiscono per stufare. Perdonate l’irreverente paragone ma, in questo non irresistibile Tour de France, questa Saint Gaudens – Tarbes ci ricorda troppo la corazzata Potëmkin. Quella di fantozziana memoria, però.
SOUVENIRS DU TOUR 1
Nonostante Tarbes sia una comunità marcatamente più importante, sotto molteplici aspetti, della piccola “San Gaudenzio”, è quest’ultima ad avere un ruolo maggiormente prevalente nella storia del Tour, dall’alto dei nove arrivi di tappa che vi si sono conclusi. Con l’eccezione dell’ultima tappa arrivata a Saint Gaudens, disputata esattamente dieci anni fa e vinta dal russo Konychev, si è sempre trattato d’impegnative frazioni pirenaiche, un elenco inaugurato da Gino Bartali nel 1950. È proprio in questa giornata che si verificò la storica aggressione al toscano sul Col d’Aspin, evento che convinse la nazionale italiana a ritirarsi l’indomani, nonostante in maglia gialla ci fosse Fiorenzo Magni. Dopo Bartali qui ha trionfato anche Defilippis, nel 1957.
A dire il vero, Tarbes vanta un maggior numero di soste, arrivando ad un totale di 14 presenze sul percorso. Tolte, però, le meno prestigiose partenze di tappa, rimangono appena 3 arrivi, suggellati dalle vittorie del belga Jean Aerts nel 1933, del francese Antonin Magne nel 1934 e del “nostrano” Serafino Biagioni nel 1951.
SOUVENIRS DU TOUR 2
L’edificio principale di Saint Girons, grosso borgo del dipartimento dell’Ariège, è la collegiata romanica eretta tra l’XI e il XII secolo e classificata “Monument historique”, così come il chiostro della scomparsa abbazia di Bonnefonds, l’oratorio di Notre-Dame-de-la-Caoue ed il mercato del grano. Dal Boulevard Jean Bepmale si può godere uno dei più avvincenti panorami aperti sulla catena pirenaica.
“Saint-Gaudinois” celebri sono diversi personaggi del mondo dello sport: tra gli altri ricordiamo il pilota di Formula 1 Yves Giraud-Cabantous e i rugbisti William Servat e Pierre Berbizier, che è stato commissario tecnico della nazionale italiana dal 2005 al 2007.
Tarbes è il capoluogo del dipartimento degli Alti Pirenei, città abitata da quasi 49000 anime, numero che sale a 85000 unità contando anche la conurbazione della “Grand Tarbes”. Il suo aspetto è moderno, a dispetto d’un nome citato per la prima volta nel V secolo, quando era chiamata “Civitas Turba ubi castrum Bigorra”. Per questo motivo non vanta grandi emergenze monumentali, con l’unica eccezione del chiostro del XIV secolo, proveniente dall’abbazia di Saint-Sever-de-Rustan ed oggi rimontato nel Jardin Massey. Degne di nota anche le scuderie, situate nei pressi della cattedrale: vi sono allevati cavalli da competizione e sono le più celebri di Francia.
“Tarbais” celebri sono lo scrittore Théophile Gautier, il politico Bertrand Barère de Vieuzac, il maresciallo Ferdinand Foch (tra i grandi protagonisti della vittoria alleata nella prima guerra mondiale), il musicista Gilles Servat, la cestista Céline Dumerc, i rugbisti Lionel Beauxis, Philippe Dintrans e Julien Laharrague e il dirigente sportivo Bernard Lapasset, attuale presidente della federazione francese di rugby e dell’International Rugby Board.
LA MÉTÉO
Fine settimana di sole per il Tour de France. Il sole splenderà su tutto il percorso della nona frazione, con temperature elevate alla partenza ed all’arrivo e più miti sulle cime delle salite (previsti 21°C ai 1490 metri dell’Aspin e 18°C ai 2115 metri del Tourmalet). Al via da Saint Girons ci saranno 24°C, con un tasso d’umidità del 63% circa e ventilazione debolissima; a Tarbes farà sensibilmente più caldo, complice l’orario d’arrivo anticipato di circa 60 minuti rispetto al solito (in serata la carovana sarà impegnata nel lungo trasferimento verso Limoges): si rasenteranno i 30° C, sempre in una situazione di vento debole, mentre il livello d’umidità scenderà al 50%.
BOULE DE CRISTAL
Un’altra tappa di montagna adatta agli attaccanti. Il Col d’Aspin e il Tourmalet sono troppo lontani dall’arrivo e, quindi, gli uomini di classifica non si muoveranno ma staranno comunque molto attenti. Prevedo un attacco di gente forte in salita, sicuramente vedremo in prima fila la maglia a pois per conquistare punti preziosi. Per quanto riguarda il gruppo sarà sempre controllato dalla maglia gialla, imprimendo un’andatura regolare.
LA TERNA SECCA DI LUCA ZANASCA
1° Popovich
2° Botcharov
3° Moncoutié
Mauro Facoltosi & Luca Zanasca
UN DIABLO AL GIORNO
Claudio Chiappucci commenta con noi l’ottava tappa e vede l’Astana già sul gradino più alto a Parigi, gli attacchi di oggi sono stati importanti, ma velleitari e hanno messo in evidenza lo strapotere dei kazaki.
Spacciati invece i reduci dal Giro, nessuno è in forma, forse hanno speso troppo. Italiani un flop.
A cura di Andrea Mastrangelo
Una tappa vivace e spenta allo stesso tempo, ci hanni provato in tanti, numerosi attacchi anche da parte dei big: Evans e Schleck su tutti. Attacchi però troppo morbidi e senza seguito tanto che alla fine è andata via la solita fuga di seconde linee, come ieri e come sarà domani. Queste tappe non favoriscono di certo i tentativi dei big che trovano troppa pianura prima del traguardo. L’australiano fa bene a provare, ma da così lontano è impossibile; poi l’Astana è padrona assoluta della corsa, lascia fare, ma non è debolezza, anzi, hanno la corsa in mano e nessuno gliela leva, nemmeno il conflitto interno Armstrong-Contador li impensierisce. Alla fine credo sarà Contador a spuntarla, anche se la squadra sembra essere votata più alla causa del texano; in fondo, quando lavora lo fa per entrambi e in salita poi va chi ne ha di più: lo spagnolo.
Per domani prevedo la fotocopia della giornata odierna, andrà una fuga di seconde linee. Se dovessi scommettere su qualcuno direi Kloden, oggi ci ha provato e potrebbe essere un’arma in più per gli Astana; inoltre vedo bene gli spagnoli che nelle fughe son sempre ben rappresentati, come nella giornata odierna dopotutto.
Oggi farei un grande applauso a Casar, 170km di fuga; Efimkin invece mi ha deluso, ovviamente non ha tirato un metro, lì davanti non è servito a nulla, avrebbero dovuto fermarlo per dare una mano al suo compagno in giallo; spesso i russi corrono un po’ di testa loro e alla fine non combinano un granchè. Dopo una fuga a ruota mi aspettavo sicuramente facesse la differenza, invece era alla frutta pure lui e così ha speso energie senza alcuna utilità per la causa AG2R; se dovessi dargli un voto di certo non raggiungerebbe la sufficienza.
Nocentini dovrà fare molta fatica per tenere il giallo, può resistere una settimana, ma potrebbe anche perderla domani. Le fughe vanno e non ha una grandissima squadra, anzi, poi se corrono così… Speriamo bene anche perché è l’unico italiano, con Nibali, che può dare un senso al tricolore in questo Tour. Gli altri li vedo tutti male: Pellizzotti è uscito dal Giro e non ne ha, come tutti quelli che hanno già corso la Rosa, Menchov su tutti, ma anche Sastre. Bruseghin non è in forma, Ballan non ha gare sulle gambe ed è come se non ci fosse. Furlan e Pozzato per ora non sono nemmeno pervenuti. Nibali, invece, la forma ce l’ha, anche oggi coi big, il suo limite è che non attacca mai: dovrebbe rischiare, stare a ruota non si guadagna. Lui poi non è controllato come Evans, magari riesce anche ad andare.
Fino ad ora non è stato un gran Tour, e credo che non vedremo moltissimo; Schleck è spento e gli altri big sono usciti stanchi dal Giro, Evans ci prova ma ha già perso tanto e l’Astana lo bracca. I kazaki, invece, hanno la squadra migliore e nessuno sembra impensierirli.
Se dovessi fare un bilancio fino ad ora direi che la delusione maggiore è Boonen, tante battaglie per venire a correre, ma alla fine nessun risultato; la più grande sorpresa è Tony Martin, la Columbia sforna sempre ottimi talenti e questo ragazzino se continua così io lo vedo addirittura nei cinque, a maggior ragione se i big non si risvegliano dal torpore. Avevo detto poche sorprese…chissà che non mi debba ricredere!
Claudio Chiappucci.
TANTO FUMO, POCO ARROSTO
Lo spagnolo Luis Leon Sanchez si impone a Saint-Girons, in una tappa adatta alle fughe che stava per trasformarsi in un pomeriggio di fuoco per i big della generale. Alla fine la tappa dice ben poco: Nocentini resta in giallo, i big arrivano tutti assieme, il solo Sanchez riesce a rientrare in classifica. in attesa delle prossime montagne, quando torneranno a distanza ravvicinata.
Alla fine è stata la classica tappa da fughe, ma per come si era messa nei primi chilometri sembrava che la giornata odierna dovesse rovesciare la classifica. Casar (FDJ) è il primo a prendere il largo non appena partiti; pochi chilometri e Cadel Evans (Silence), in ritardo nella generale, tenta di rientrare in classifica con una fuga d’altri tempi. Un tentativo velleitario, a 150 km dallarrivo e con tanta pianura nel finale. Dietro di lui si porta anche Andy Schleck (Saxo Bank) che spera nell’attacco frontale all’Astana, la quale risponde con le seconde linee Kloden, Paulinho e Popovych. Il lussemburghese molla subito e con lui si lasciano sfilare anche i kazaki, così Casar scollina con 50 secondi su Evans, Zabriskie (Garmin), Egoi Martinez (Euskaltel), Kern (Cofidis), Efimkin (AG2R) e 2 minuti sul gruppo principale. Lungo il tratto di pianura che separa l’Envalira dal Col de Port i sogni dell’australiano svaniscono, il vantaggio scema e da dietro rinvengono diversi uomini tra i quali Hushovd (Cervelo), Cancellara (Saxo Bank), Flecha (Rabobank), Ignatiev (Katusha), Luis Leon Sanchez (Caisse d’Epargne), Rosseler (Quick Step), Astarloza (Euskaltel-Euskadi) e Hincapie (Columbia) mentre il gruppetto riprende Sandy Casar. Dopo 113 km il tentativo di Evans si spegne definitivamente quando l’australiano, assieme a Kern, Zabriskie e Martinez, si rialza e attende il gruppo.
Gli occhi dei telespettatori ricominciano a luccicare quando all’attacco del Col de Port davanti fanno il diavolo a quattro per staccare tutti i più pericolosi avversari in caso di arrivo in volata. Allo scollinamento restano in quattro: Astarloza, Luis Leon Sanchez, l’eterno Casar e Vladimir Efimkin; dietro Andy Schleck fa scintille, la sua è un’accelerazione che spappola il gruppo. Il poker kazako Armstrong – Contador – Kloden – Leipheimer, senza tentennamenti si riporta su di lui, facendogli cambiare idea e distruggendo i sogni di noi appassionati. Il gruppo rallenta e, appena la strada spiana, rientrano anche Sastre (Cervelo), Menchov (Rabobank) e Kreuziger (Liquigas). Il siciliano Nibali (Liquigas), invece, era riuscito a tenere le ruote dei migliori, mentre per rivedere il giallo nel gruppo di testa bisogna aspettare che i primi finiscano di fare le bizze negli ultimi chilometri di salita.
La gara diventa quindi un affare a quattro. In testa tirano solo in tre, Sanchez è troppo pericoloso per il compagno ed Efimkin non può favorirlo; così sembra non esserci storia per la vittoria: il russo ha fatto tutta la tappa a ruota e ovviamente è il più fresco.
La gara si spegne per risvegliarsi a 5 chilometri dal traguardo, perché i quattro si guardano troppo e dalle ammiraglie arriva l’ordine di scatenarsi. Il primo a provarci è l’eterno Casar (si merita gli applausi per una giornata passata all’attacco), Astarloza richiude mentre Sanchez ed Efimkin perdono metri. Lo spagnolo riporta sotto anche il russo che, con un abile bluff, aveva fatto credere di non averne più, salvo poi ripartire e lasciare di stucco i compagni di fuga. Guadagna 50m di vantaggio, sembra non essercene più per nessuno, ma da dietro non si scoraggiano e ritrovano l’accordo. Il russo non riesce a fare il vuoto e anzi perde metro dopo metro tutto il vantaggio. Ai meno 200 dallo striscione Sanchez lo riprende, Casar tenta lo sprint, ma la gamba è quella che è, 170km di fuga son tanti e lo spagnolo ha vita facile. Terzo l’altro iberico Astarloza.
Andrea Mastrangelo
L’ÉTAPE DU JOUR: ANDORRA LA VELLA – SAINT GIRONS
Il Tour ricalca strade mitiche, quelle che videro Anquetil costretto nel ruolo d’inseguitore nel 1964 e Pantani all’attacco nel 1995, il giorno di Guzet – Neige. Il tracciato dell’ottava tappa, però, proporrà poche occasioni buone per tentativi interessanti, a causa della collocazione assolutamente non felice della ascese. Tentar non nuoce: un gruppetto di attaccanti ben motivati, alla luce dell’attuale situazione in classifica, potrebbe far impazzire chi dovrà controllare la corsa.
Nella seconda giornata pirenaica si andranno ad incrociare, anche se solo per un breve tratto, le rotte di una delle grandi imprese di Marco Pantani al Tour. Il 16 luglio 1995 si correva la Saint-Orens-de-Gameville – Guzet-Neige. Quattro giorni dopo il primo successo all’Alpe d’Huez, il “pirata” partì sull’impegnativa ascesa del Port de Lers, in una giornata più autunnale che estiva, con le strade pirenaiche bagnate dalla pioggia ed immerse nella bruma. Al traguardo giungerà con due minuti e mezzo sulla maglia gialla Indurain, dopo aver scalato in totale solitudine anche il successivo Col d’Agnès, l’unica difficoltà di quella giornata che verrà affrontata quest’oggi, dopo aver superato in partenza i 2407 metri dell’Envalira – è lo Stelvio dei Pirenei, il valico stradale più elevato di questa catena montuosa – e i 1250 metri del Col de Port. Sarà proprio l’Agnes l’ostacolo principale di giornata con i suoi 12,4 Km al 6% che “nascondono” quattro tratti non consecutivi, lunghi complessivamente quasi 7 Km, caratterizzati da pendenze più elevate. Comunque, difficilmente rivedremo quest’oggi un’azione che ci farà rimpiangere lo scalatore di Cesenatico poiché, ultima la discesa dall’Agnes (ancor più difficile della salita, con gli ultimi 2 Km dalla picchiata inclinati al 10,5% medio), anziché svoltare a sinistra per il Col de Latrape e Guzet Neige, si prenderà a destra la strada del fondovalle e su essa si permarrà fino a Saint Girons.
A conti fatti, dunque, questa è una frazione di media montagna, con l’ultimo colle piazzato a ben 44 Km dalla conclusione e questa situazione, di fatto, esclude la possibilità di inscenare un tentativo solitario. Più facile concertare un attacco a più attori, che potrebbe anche riservare delle sorprese, se a trovarsi impegnato nel ruolo di inseguitori sarà qualche uomo di punta, magari un Astana. Se davanti saranno in tanti, motivati e ben orchestrati, potrebbe dar vita negli ultimi 40 Km ad una sorta di cronometro a squadre, riuscendo così a tesaurizzare il distacco degli inseguitori. È una soluzione, questa, non impossibile, alla luce del terremoto poco contenuto che la tappa di Arcalis ha causato in classifica. Sempre che ci sia voglia di belligeranza e non si aspetti il finale per tentare qualcosa, come avvenuto ieri.
SOUVENIRS DU TOUR 1
Quattro volte nella storia la Grand Boucle ha posto l’epilogo di una frazione nel territorio andorrano. Tolti i già citati arrivi a Pal (1993) e Arcalis (1997 e 2009), rimane l’unico epilogo fissato nella capitale: nel 1964 si arrivò ad Andorra La Vella a capo d’un tappone pirenaico di 170 Km, che portò la carovana sui colli della Perche e di Puymorens prima e poi sui 2407 metri dell’Envalira. Su tutti i GPM scollinò il corridore che poi conquistò il successo di tappa, lo scalatore spagnolo Julio Jiménez: staccò di quasi nove minuti il gruppo, regolato allo sprint dal campione del mondo in carica Benoni Beheyt. A rimanere nella storia fu, però, la tappa successiva perché il favoritissimo Anquetil fu attaccato duramente in partenza, risalendo da Andorra La Vella verso l’Envalira: l’asso francese, che il giorno precedente era stato visto mangiare e bere smodatamente, impiegò quasi 100 Km per rientrare, dopo aver rischiato in più di un’occasione di finire fuori strada in discesa.
Saint-Girons debutterà come sede d’arrivo ma non è una novità per il Tour de France, che qui ha scelto di collocarvi quattro partenze di tappa, avvenute tra il 1984 ed il 2003. La più tristemente famosa fu quella data il 18 luglio del 1995: era il giorno della tappa diretta a Cauterets, il giorno della tragica scomparsa di Fabio Casartelli.
SOUVENIRS DU TOUR 2
Andorra La Vella è la capitale del piccolo principato incastonato nel “diadema” pirenaico, indipendente da 1190 anni e governato da due capi di stato, il presidente della repubblica francese ed il vescovo della cittadina spagnola di Seo de Urgel. La sede del potere coincide con l’edificio più importante della capitale, la Casa della Vall, dimora privata cinquecentesca nella quale il “Consiglio Generale delle Valli” (una sorta di parlamento monocamerale) tiene le sue sedute. Più antiche sono le chiese di Sant Esteve, eretta nel XII secolo, e di Santa Coloma, d’origine preromanica.
Saint-Girons è un grosso borgo (circa 6500 abitanti) del dipartimento dell’Ariège, nonché la capitale della piccola provincia guascona del Couserans. Tra i monumenti spicca la chiesa di Saint Valier (XIV – XV secolo), caratterizzata da un poderoso campanile romanico, da un portale del XII secolo e da un sarcofago coevo. Nei dintorni si trova l’antica città di Saint Lizier, che vanta resti d’epoca romana ed una cattedrale romanico-gotica (interessanti gli affreschi bizantineggianti trecenteschi). Meritevole di un’escursione è anche il villaggio medioevale di Montjoie (chiesa-fortezza trecentesca).
Di Saint-Girons è nativo Aristide Bergès, l’ingegnere che inventò la “houille blanche”, come è soprannominata oltralpe l’energia idroelettrica.
LA MÉTÉO
Partenza al fresco per l’ottava del Tour, che si muoverà dai 1213 metri s.l.m. di Andorra La Vella. Al momento del via il cielo sarà sereno, con una temperatura di circa 20°C, livelli medi di umidità e venti moderati, fino a 18-19 nodi. Nettamente più “calda” la situazione all’arrivo, dove la colonnina di mercurio salirà di almeno 6 tacche. Nessuna variazioni sui livelli di umidità, che faranno percepire una temperatura leggermente più elevata, anche a causa della quasi totale assenza di ventilazione (max 9 nodi).
BOULE DE CRISTAL
Un’altra tappa di montagna, ma questa volta non c’è l’arrivo in salita. La corsa sarà controllata dalla maglia gialla e sicuramente lascerà andare via una fuga con corridori fuori classifica. La fuga potrà essere costituita da 10 o più elementi: collaboreranno fino all’ultimo gpm e poi vedremo vari attacchi per tagliare fuori qualche possibile ruota veloce; infine, negli ultimi chilometri, vedremo continui scatti.
LA TERNA SECCA DI LUCA ZANASCA
1° Efimkin
2° Arvesen
3° Casar
Mauro Facoltosi & Luca Zanasca
10-07-2009
luglio 10, 2009 by Redazione
Filed under Ordini d'arrivo
TOUR DE FRANCE
ll francese Brice Feillu (Agritubel) ha vinto la settima tappa, Barcellona – Andorra Arcalis, percorrendo 224 km in 6h11′31″, alla media di 36,176 Km/h. Ha preceduto di 5″ il connazionale Kern e di 25″ il tedesco Fröhlinger. Miglior italiano è Rinaldo Nocentini (AG2R La Mondiale), 4° a 26″ e nuova maglia gialla. In classifica ha 6″ sullo spagnolo Contador Velasco e 8″ sull’americano Armstrong.
GIRO DONNE
La tedesca Claudia Hausler (Cervelo TestTeam) vinto la settima tappa, Andria – Castel Del Monte, percorrendo 131,2 km in 3h26′08″, alla media di 38,188 Km/h. Ha preceduto la connazionale Arndt di 1″ e la statunitense Abbott di 6″. Migliore italiana Fabiana Luperini (Selle Italia Ghezzi), 8° a 14″. La Hausler conserva la testa della corsa, con 17″ sulla Arndt e 50″ sulla Abbott. Migliore italiana Fabiana Luperini, 7° a 9′13″.
GIRO DELL’AUSTRIA
Il tedesco Andre Greipel (Team Columbia – HTC) ha vinto la sesta tappa, St. Pölten – Horn, percorrendo 189 km in 3h33′11″, alla media di 53,193 Km/h. Preceduti allo sprint l’australiano Brown e il tedesco Siedler. Miglior italiano Alessandro Bertolini (Serramenti PVC Diquigiovanni-Androni Giocattoli), 4°. Lo svizzero Michael Albasini (Team Columbia – HTC) conserva la testa della classifica, con 11″ sull’italiano Gianpaolo Caruso (Ceramica Flaminia – Bossini Docce) e 59″ sul belga Seeldrayers.
TOUR CYCLISTE INTERNATIONAL DE LA MARTINIQUE
Il francese Martial Gene (Sélection Guadeloupe) ha vinto la settima tappa, Sante Marie – Saint Esprit, percorrendo 105,2 km in 2h53′47″, alla media di 36,32 Km/h. Ha preceduto allo sprint i connazionali Ruffine e Maillet. Il francese Timothée Lefrançois (U C Nantes Atlantique) conserva la testa della classifica, con 1′20″ e 2′24″ sui connazionali Vignes e Teillet.
TROFEU JOAQUIM AGOSTINHO
Il portoghese Joäo Cabreira (Centro Ciclismo De Loule – Louletano) ha vinto la seconda tappa, Sorbal de Monte Agraço – Carvoeira, percorrendo 151,6 km in 4h07′45″, alla media di 36,714 Km/h. Ha preceduto allo sprint i connazionali Sousa e Vitorino. Passa in testa il portoghese Tiago Machado (Madeinox – Boavista), con 4″ sullo spagnolo Guerra e 9″ su Cabreira.
FEILLU DI VIA (LIBERA) ALLA FUGA RINALDO CAVALIERE IN GIALLO
Un arrivo in salita così monotono spicca – in negativo – persino al Tour. Non per niente nella dozzina dei migliori abbondano i carriarmati, che hanno aperto il gas nei due km pedalabili o addirittura di falsopiano con cui culminava l’ascesa, non proibitiva ma condotta a passo di marcetta da un’Astana in sfilata; fino allo sparo di Contador. Appassiona allora la vicenda della fuga di giornata…
C’è una fuga, là davanti, una fuga con oltre dieci minuti di vantaggio, ma per oltre 200km nessuno si danna per andare a pizzicare i quattro evasi. L’Astana gestisce l’ordinaria amministrazione, mentre la Saxo sbriga la pratica impostagli dalla maglia gialla, reale ma ormai pressoché virtuale, di Cancellara.
Là in fuga ci sono nove uomini, agglomeratisi attorno al bel tentativo di quarto chilometro operato da due spagnoli di robusta caratura, Egoi Martinez (EUS) e Ivan Gutierrez (CdE) che vengono scortati per obbligo di firma dal questurino francese di turno, il bravo Riblon (A2R) affamato di punti a pois. A loro si aggiungono un altro terzetto di transalpini, Feillu (AGR), Kern (COF) e Pineau (QST), nonché Nocentini che va a comporre un bel duo per l’Ag2R, Kuschynski della Liquigas che concede spazio a qualche bizzarro sogno di appoggio in verde e il tedesco Frohlinger nel vano tentativo di dare un senso alla stagione della ancor balbettante Milram.
L’azione procede in bellissimo accordo, con una doppia fila pulita ed efficace, tanto da far lievitare il vantaggio con l’indubbia complicità di un inseguimento non certo indiavolato. Non c’è gran mischia se non in occasione dei Gpm, collezionati con scrupolo da un Riblon che verrà poi beffato nel finale rispetto alla possibilità per la sua squadra di fare addirittura doppia maglia: ma le spoglie si spartiscono, da che mondo e mondo, e così verranno spartiti anche i miseri resti di un arrivo in salita ridotto a baruffa.
È solo quando la strada comincerà a opporre falsipiani tignosi, già prima degli ultimi 10km di salita vera, con duecento chilometri abbondanti macinati nelle gambe, che la muta di bracchi Astana si scaglierà sulle piste dei nove.
Si vive così nell’incertezza dei calcoli e delle stime, tra l’ottimismo dei nazionalisti che scoprono un Rinaldo potenziale giallo e il pessimismo della – pessima, ormai è abitudine di quest’anno – regia francese. Solo quei numeri, per quanto aridi, riscattano una fase di stanca senza spunti.
Poi inizia la salita, e dietro la stasi continua, anzi si aggrava in inerzia, mentre sul fronte più avanzato dei fuggitivi fibrilla un fuoco di fila di scatti e scattini frizzanti. Svanisce presto Kuschynski, e con lui le speranze di assistere ad alcunché di inventivo.
L’azione vincente è quella di Brice Feillu, noto fin qui come fratellino minore (di un anno solo) di Romain, tanto che L’Equipe dedicò a Brice un anno orsono un articolo intitolato “l’autre Feillu”: e non che il Feillu maggiore sia poi una celebrità (anche se ruota veloce promettente, spesso piazzato, e portatore per 24 ore di una maglia gialla e bianca un anno orsono)! Il Feillu minore è però di parecchie taglie più grande, e rasentando il metro e novanta sta una buona spanna sopra al maggiore; sebbene una silhouette scheletrica gli consenta di registrare pochi kg in più sulla bilancia. Così, di primo acchito, ci verrebbe da dire che proprio Brice è atteso da prospettive più luminose: se la scena dei velocisti compatti è a dir poco occlusa da numinose presenze d’Oltremanica – e Romain sembra finanche troppo esile per competere con certi torelli tutto nerbo – Brice pare appartenere a una categoria di gran moda, quella giacomettiana di atleti stirati o trafilati, lungagnonissimi quanto prosciugati fino all’osso (Gesink, Andy Schleck, in minor misura Kreuziger ne sono i principali esponenti).
Una buona Vuelta Asturias, conclusa con la maglia di miglior scalatore, è stata per Brice il prodromo di questa tappa pirenaica coronata pure qui dalla maglia che onora i grimpeur: praticamente – in Francia – una professione a sé stante già consegnata nelle manone affusolate di quest’altro fratellino da annoverare nel numero dei minori arrembanti, da Francesco Masciarelli al già citato Andy (ci sarebbe da capire chi è il fratello minore tra i gemelli Efimkin!).
Otto anni d’età separano il giovane trionfatore di giornata e l’altro vincitore di oggi, Rinaldo Nocentini. Li accomuna una simpatia per le Asturie, perché sul Naranco (nel 2005) Rinaldo riportò una delle sue non moltissime ma spesso pregiate vittorie. Otto anni sono trascorsi dall’ultima maglia gialla indossata da un italiano, Elli, che si tenne in prestito per qualche tappa appena increspata il simbolo del primato, a differenza di Rinaldo però perdendolo proprio alla prima ascesa. D’altronde basti pensare che Bettini era allora maglia a pois e Commesso il miglior giovane… Prima di questi, Marco Pantani, che la indossò per condurla a Parigi. I primi novanta erano trascorsi anch’essi senza grandi abbagliamenti gialli, ma solo con le comparsate importanti sì ma di corto respiro di Cipollini (c’erano gli abbuoni), Gotti o persino Vanzella.
Nocentini non è certo ciclista da tre settimane, la sua qualità risiede nella fiammata di giornata, su salite anche da intenditori, come il Mont Faron, il già citato Naranco, l’arrivo del GP Indurain (ricordiamo anche il secondo posto sul Ventoux). Così come sono da palati sopraffini le sue vittorie nelle semiclassiche, a Lugano, al Veneto, all’Appennino o alla Coppa Placci. La gran maggioranza delle sue stoccate tra i pro testimonia di una qualità da cesellatore.
Sono pochissimi i secondi che lo antepongono a Contador, è risentire degli sforzi odierni sulle salite del fine settimana, dure, benché lontanissime dal traguardo, gli lascerebbe questo retrogusto di limone, giallo ma asprigno, e nulla più. Un buon supporto di squadra (l’Ag2R cresce negli ultimi anni, e Riblon oggi è stato encomiabile) e una tenacia tutta da temprare però potrebbero lanciarlo sempre in testa fino a Colmar, o chissà perfino Verbier!
Il “gruppo dei migliori” ha offerto invece uno scenario da pompa funebre, consono forse a un ciclismo che sembra davvero aver perso la stella polare. L’Astana scandisce un passo risibile con Paulinho e poi con Zubeldia, la prima metà di salita, quella più impegnativa (che quindi esalterebbe la VAM…) se ne va 1500m/h. Nessuno osa attaccare.
Paura di esporsi? Troppo da perdere? Che cosa, poi?
Uno spettacolo deprimente: e non si dica che prevale la stanchezza di una prima settimana dura (psicologicamente, più che altro, o fisicamente per chi è cascato) , perché poi invece, agli ultimi tremila metri, i wattaggi sono schizzati alle stelle.
Dal quinto chilometro trascorrono altri duemila interminabili metri in queste ambasce, senza che si capisca se la maglia gialla interessi a qualcuno o meno, non parliamo poi della tappa che apparsa afferrabile presso Andorra città sfuma e viene regalata agli evasi. Si insegue o si molla quasi a comando, pensando che cosa si regala a chi. Ma che fine fa così l’agonismo, lo spirito di competizione? Siamo finiti su una piazza di commerci e grandi diplomazie, con i perdenti del tutto succubi dei padroni della corsa.
Ormai ai meno tre ci prova Evans, ma la sparata non è abbastanza violenta: l’australiano scattista non è, e tutti i grandi sono ancora in forze. Poi il suo giovane compagno Van de Broeck gioca la propria carta, e inesorabile si riporta sotto il gruppo (forte ancora di 30-35 unità, sulle 50 che iniziavano la salita: nemmeno una gran selezione da dietro, e per – poca – forza, a questo ritmo!). Questa scintilla di gioventù però innesca l’unico lumicino in questo cupo panorama. Brilla la fiamma di Contador, che in un istante arraffa le centinaia di metri necessarie a privare gli inseguitori della sua scia. È la mossa cruciale il primo a tentare una risposta è Andy Schleck, che però appare subito non all’altezza. Armstrong non molla mai un metro da chi va in caccia del madrileno, e ringhia come un mastino, protetto da Kloeden che lavora da ambiguo gregario (aiuta Lance a chiudere sui contrattaccanti, ma così la velocità di tutto il plotoncino che segue si alza). Sono solo un paio di chilometri, come nella tradizione armstronghiana del balzo finale per raccattare la ventina – duplicata dall’abbuono nell’era Lance –. Impossibile scavare abissi. Però Contador si mostra più forte, unico capace di fare una pur piccola differenza.
Alle sue spalle, una sporca dozzina di irriducibili, per lo più passisti inventatisti scalatori nonostante fisici cubici da rouleuer vecchia scuola. Vande Velde, Karpets, Martin, Wiggins, è tutta gente che dichiara chiaro e tondo di come la salita ormai sia altra cosa che non terreno da grimpeur. Wiggins, poi, è il più assatanato, è lui a trascinare il gruppetto sulla riga con una trenata che da sola vale quasi dieci secondi. Da segnalare l’affanno inatteso di Kreuziger in casa Liquigas, l’eccelsa difesa di Nibali (punito dalle regole per l’assegnazione dei tempi), la rinascita senza acuti dei reduci dal Giro, Sastre e Menchov, mentre appena appena più appannato è Pellizotti. Evans c’è, ma gli manca il sacro fuoco benché non la grinta, gli Schleck sono appaiati, il che significa delusione per Andy, sorpresa positiva per Frank.
Entro un minuto scarso, comunque, arrivano trentaquattro atleti. Poca più selezione di San Martino di Castrozza, molta meno che all’Alpe di Siusi, per dare un termine di paragone. E un andamento della corsa degno del Bunraku, il teatro dei burattini giapponese. Ma con molto, molto meno pathos.
Gabriele Bugada
UN DIABLO AL GIORNO
Come ogni giorno, Claudio Chiappucci racconta su ilciclismo.it le sue impressioni sul Tour de France; tra i temi della tappa, andata al francese Feillu, la conquista della maglia gialla da parte di Rinaldo Nocentini, la dimostrazione di superiorità di Contador, la poca combattività dei suoi avversari, lo strapotere Astana, simile a quello della Banesto degli anni del Diablo.
A cura di Matteo Novarini
Un italiano in maglia gialla dopo 9 anni: è certamente questa la notizia più importante della giornata e la dobbiamo a Rinaldo Nocentini. Onore al corridore aretino, che a sorpresa è riuscito a vestire il simbolo del primato nel giorno in cui tutti attendevano Armstrong o Contador. Nel 1990 ho avuto il privilegio di portare per otto giorni la maglia gialla e posso immaginare cosa possa significare per Nocentini. Vestirsi di giallo al Tour, oltre ad essere un risultato importante per lo sponsor, è anche e soprattutto un onore e vale la consapevolezza di aver raggiunto un traguardo che pochissimi atleti possono annoverare nel loro palmarès. La speranza è, a questo punto, che Nocentini non paghi già domani lo sforzo di oggi, perché i tre colli in programma potrebbero risultare troppo duri per chi si è sobbarcato una fuga come la sua. Temo però che l’Astana tenterà di conquistare le insegne del primato quanto prima, anche perché una squadra come quella kazaka è in grado di sobbarcarsi l’onere di controllare la corsa.
Il successo di tappa è invece andato a Brice Feillu (che Auro Bulbarelli aveva indicato come corridore certamente destinato a perdere contatto dalla testa). Sia il francese sia il neo-capoclassifica devono comunque ringraziare l’andatura decisamente blanda che il gruppo ha mantenuto fino addirittura a 3-4 km dal traguardo. In tutta sincerità, sono un po’ sorpreso. Non dal fatto che il gruppo abbia lasciato andare una fuga, quanto piuttosto dalla scarsissima combattività che si è vista, anche da parte di quei corridori, come Sastre e Andy Schleck, che, se vogliono vincere il Tour, devono farlo in montagna. Nemmeno i comprimari si sono mossi, fatta eccezione per Van den Broeck, la cui accelerazione ha aperto la strada ad un comunque tardivo attacco da parte di Cadel Evans. Può darsi che una causa di questo attendismo possa essere anche lo strapotere dell’Astana, che ad un certo punto è arrivata a contare sette uomini in un gruppo di cinquanta. Nel corso della mia carriera mi sono trovato di fronte ad una situazione simile, ai tempi della Banesto, quando Delgado e Bernard correvano al fianco di Indurain, e posso dire che una tale compattezza mette timore. Ciò non toglie, però, che per vincere il Tour sia necessaria una condotta di gara diversa.
Malgrado questo ritmo non proibitivo e le pendenze non terribili della salita finale, alcuni nomi eccellenti hanno deluso. È il caso di Fabian Cancellara, che diceva di sentirsi pronto ma che si è staccato da cinquanta corridori, e di tutti i protagonisti del Giro d’Italia che si sono presentati al via di questo Tour, da Menchov a Leipheimer, passando per Sastre e Pellizzotti. Difficile capire come, in un mese appena, atleti del genere possano essere calati fino a questo punto, e non penso che la cosa si possa semplicemente giustificare con la stanchezza dell’aver già affrontato un altro Grande Giro. Tra questi, il solo Leipheimer è ancora ben piazzato in classifica (4° a 39’’), ma non mi pare abbia una gamba eccezionale.
A questo punto, a logica, il capitano dell’Astana dovrebbe essere Alberto Contador, come peraltro si poteva già prevedere alla vigilia. Lo spagnolo ha messo già in chiaro la differenza in salita tra lui e gli altri: gli è bastato un solo scatto, peraltro in un tratto di salita non particolarmente impegnativo, per fare la differenza, e i 20’’ che ha alla fine guadagnato sarebbero stati anche di più, se non fosse stato per il lavoro di Cadel Evans, unico altro favorito a provarci. Penso che a questo punto la formazione kazaka metterà un po’ da parte Kloden e Leipheimer, e punterà quasi esclusivamente sullo spagnolo e su Armstrong, non necessariamente con una gerarchia ben precisa. Credo, infatti, che, in generale, la situazione verrà gestita, da parte loro, un po’ come oggi: chi è davanti se la gioca. Oggi, per esempio, ho avuto l’impressione che nel finale non ci siano state direttive dalle ammiraglie e che, anzi, Contador si sia piazzato alla ruota di Armstrong, prima di scattare, proprio per provare a sorprendere il texano.
Dando un’occhiata alla classifica generale, sorprende un po’ vedere davanti corridori come Martin e Vande Velde, molto più passisti che scalatori. Forse, è un altro sintomo dell’assenza di veri e propri camosci e di salite davvero selettive in questa Grande Boucle.
Domani sarà il giorno della seconda tappa pirenaica, anche se l’ultima vetta, il Col d’Agnès, dista oltre 40 km da Saint-Girons. Con un po’ di fantasia e di coraggio, si potrebbe anche provare a costruire un tentativo interessante. Purtroppo, però, quest’oggi, di coraggio non ne ho visto molto.
Claudio Chiappucci
L’ÉTAPE DU JOUR: BARCELLONA – ANDORRA ARCALIS
“Vamos a matar los montañeros”. Il gruppo si appresta oggi ad affrontare le montagne, che debutteranno con una delle frazione più impegnativa di questa edizione, per una summa di motiviazione che troverete nell’articolo. Una tappa, interessantissima, da non perdere, perché potrebbe destabilizzare parecchio la situazione, sia in chiave classifica, sia in chiave “relazioni interne” di alcune squadre.
.:nella foto copertina, le cime sovrastanti Arcalis (panoramio)
Finalmente non dobbiamo più dire finalmente! Sono oramai tramontati gli anni dell’impero leblanchiano, quando ci veniva propinata oltre una settimana di noia mortale (comprese le tre prove contro il tempo, in sequenza prologo – squadre – individuale lunga) prima di poter assistere agli attesi tapponi di montagna. Il nuovo direttore del Tour ha decisamente invertito tale rotta, ma stavolta è tornato sui vecchi passi, disegnando con mano più leggera le frazioni pirenaiche, copiando anche certe idee non felicissime del suo predecessore.
La tappa che i “tourini” si accingeranno ad affrontare in queste ore, pur non essendo estrema, è la più impegnativa delle tre e lascia prevedere interessanti sviluppi in chiave classifica. Sarà un concerto di quattro fattori a contribuire alla selezione: collocazione, lunghezza, arrivo in salita e situazione in classifica.
Collocazione: per il semplice fatto d’essere la prima tappa impegnativa, subito farà emergere i valori in campo e farà intendere chi sono quei corridori che, nelle scorse tappe, hanno potuto celare eventuali loro magagne nel nascosto del gruppo. Vale la frase che si sente spesso ripetere in occasioni simili: oggi non conosceremo il nome del vincitore, ma sicuramente sapremo indicare con precisione quasi assoluta chi dovrà riporre ogni speranza di classifica.
Lunghezza: questa sarà la frazione più lunga di un Tour che quest’anno non proporrà molte frazioni dal chilometraggio over 200. Finora non ne sono state affrontate di simili e, nel prosieguo, se ne incontreranno solamente altre tre.
Arrivo in salita: è la situazione più favorevole agli scalatori, perché la mancanza di una discesa successiva impedirà loro di dissipare il vantaggio eventualmente accumulato. Eventualmente perché quella di Arcalis non è un’ascesa particolarmente adatta ai mezzi dei grimpeur puri, uomini alla Pantani per intenderci. I suoi 10,6 Km al 7% sono più adatti a corridori completi come Contador, che negli scorsi mesi ha provato quest’ascesa tortuosa (s’incontrano ben 4 serie di tornanti), trovandola particolarmente idonea alla sue caratteristiche. Sul risultato finale potrebbero influire molto anche la quota (si arriverà a 2240 metri) ed il lunghissimo falsopiano in lenta ascesa che caratterizzerà i 40 Km di strada che condurranno all’attacco della salita finale. In questo tratto si potrebbe assistere alle prime schermaglie tra gli uomini di classica che, invece, difficilmente si muoveranno prima. Il programma odierno prevede altre 4 ascese – tra le quali un colle di prima categoria, il Serra-Seca – ma tutte collocate molto distanti dal gran finale di questa prima frazione pirenaica.
Infine, anche l’attuale situazione di classifica potrebbe lasciare un’indelebile impronta sulla tappa andorrana. Sarebbe più esatto dire la situazione interna di due formazioni, l’Astana e la Liquigas. Per la prima oggi avremo chiara la situazione e capiremo se tra Contador e Armstrong sono proprio tutte rose e fiori: un attrito tra i due potrebbe anche pregiudicare, psicologicamente prima che fisicamente, la condotta di gara dello spagnolo, da tutti ritenuto il gran favorito di questa edizione del Tour.
I Liquigas sforneranno un bel tridente, come fece la Bianchi nel 1981, due squadre accomunate dal colore verdino delle casacche, che solitamente vuol dire speranza. La nostra è quella di non assistere ad una replica, che van tanto di moda nel periodo estivo, della lotta fratricida Nibali – Pellizotti, messa in scena sulle strade del campionato italiano. Una “querelle” interna che rischia di far la fortuna del terzo uomo, il ceco Kreuziger.
SOUVENIRS DU TOUR 1
Sembra l’altroieri, invece sono passati ben 12 anni dall’ultimo – e finora unico – arrivo del Tour sulla cima d’Arcalis, affrontata nel 1997 al termine d’una frazione più tosta di quella odierna, che proponeva ben sei ascese, compresi i quasi 2400 metri dell’Envalira. Quel giorno dominò il tedesco Jan Ullrich, che precedette di 1’08” Pantani e Virenque e andò a conquistare la maglia gialla. Tre anni prima c’era stato il battesimo ciclistico di quest’ascesa, proposta per la prima volta nell’ultima edizione della Vuelta disputata nel mese d’aprile. Lassù vinse il colombiano Camargo, mentre nei successivi ritorni del Giro di Spagna si sono imposti gli spagnoli Igor González de Galdeano (1999), Laiseka (2000), José Maria Jiménez (cronoscalata nel 2001) e Mancebo (2005). Unica variazione sul tema il successo del recente vincitore del Giro d’Italia, il russo Menchov, nel 2007.
Uno scorcio del villaggio di Ordino, la "parrocchia" di Arcalis (wikipedia)
SOUVENIRS DU TOUR 2
Ordino-Arcalis è una delle principali stazioni di sport invernali andorrane, parte integrante del comprensorio sciistico di Vallnord, il secondo per dimensioni del piccolo principato pirenaico (63 Km di piste, che arrivano fino a 2560 metri di quota), del quale fa parte anche la stazione di Pal-Arinsal, arrivo di tappa al Tour nel 1993 (vittoria del colombiano Rincon). Arcalis ricade nel territorio di pertinenza di Ordino, una delle 7 “parròquias” nelle quali è suddiviso amministrativamente il principato: a sua volta Ordino non è unitaria, ma composta di nove villaggi, nel principale dei quali, omonimo della parrocchia, è possibile ammirare una chiesa d’origine medioevale e antiche case lignee.
LA MÉTÉO
Ancora pioggia sul Tour, sempre alternata a schiarite, nei chilometri iniziali di questa frazione, che partirà alle 11.00. A quell’ora a Barcellona si registreranno una temperatura di 22°C ed un tasso di umidità del 73%, mentre i venti spireranno moderati (max 14 nodi). Addentrandosi tra i Pireni il clima si farà più inevitabilmente più fresco, ma sarà scongiurato, almeno nel finale di gara, il rischio di nuove precipitazioni. Sul piano della temperatura, la situazione nella capitale Andorra La Vella, attraversata a 30 Km dall’arrivo, la situazione sarà simile a quella di partenza. Al traguardo, però, questa potrebbe anche scendere sotto i 15°C, con lo zero termico attestato a 3700 metri di quota. Il cielo sopra Arcalis sarà parzialmente nuvoloso mentre la velocità del vento potrà raggiungere i 20 nodi.
BOULE DE CRISTAL
Finalmente una tappa di montagna! È la prima tappa con arrivo in salita e, di solito, c’è sempre qualcuno che accusa la stanchezza delle prime tappe. Non escludo il fatto che qualche corridore tenterà di evadere dal gruppo nei primi km, c’è un colle di 1 categoria che assegnerebbe parecchi punti; insieme a questi attaccanti di giornata credo che alcune squadre con ambizioni di classifica inseriranno corridori come punto di riferimento per i loro capitani nell’ascesa finale. E poi negli ultimi 10 km vedremo i primi scatti anche se non escludo un arrivo di una 10 di unità (vedi Alpe di Siusi al Giro d’Italia).
LA TERNA SECCA DI LUCA ZANASCA
1° Contador
2° Evans
3° Andy Schleck
Mauro Facoltosi & Luca Zanasca
09-07-2009
luglio 9, 2009 by Redazione
Filed under Ordini d'arrivo
TOUR DE FRANCE
ll norvegese Thor Hushovd (Cervelo Test Team) ha vinto la sesta tappa, Gerona – Barcellona, percorrendo 181,5 km in 4h21′33″, alla media di 41,636 Km/h. Preceduti allo sprint gli spagnoli Freire Gomez e Rojas Gil. Miglior italiano Franco Pellizotti (Liquigas), 5°.
Lo svizzero Fabian Cancellara (Team Saxo Bank) conserva la maglia gialla, con 22 centesimi di secondo sull’americano Armstrong e 19″ sullo spagnolo Contador Velasco. Miglior italiano Vincenzo Nibali (Liquigas), 13° a 1′36″
GIRO DONNE
La tedesca Judith Arndt (Team Columbia HTC Women) vinto la sesta tappa, Cerro al Volturno – Sant’Elena Sannita, percorrendo 119,3 km in 3h26′20″, alla media di 34,691 Km/h. Ha preceduto la connazionale Claudia Hausler (Cervelo TestTeam) allo sprint, mentre la svizzera Brandli si è piazzata 3a a 3″. Migliore italiana Fabiana Luperini (Selle Italia Ghezzi), 6° a 5′22″. La Hausler è la nuova capoclassifica, con 12″ sulla Arndt e 38″ sulla statunitense Abbott. Migliore italiana Fabiana Luperini, 7° a 8′49″.
GIRO DELL’AUSTRIA
Il belga Dries Devenyns (Quick Step) ha vinto la quinta tappa, Wolfsberg – Judendorf, percorrendo 138,9 km in 3h23′15″, alla media di 41,003 Km/h. Preceduti di 16″ il britannico Hunt e di 22″ il russo Belkov. Miglior italiano Cristiano Fumagalli (Ceramica Flaminia – Bossini Docce), 12° a 1′45″. Lo svizzero Michael Albasini (Team Columbia – HTC) conserva la testa della classifica, con 11″ sull’italiano Gianpaolo Caruso (Ceramica Flaminia – Bossini Docce) e 59″ sul belga Seeldrayers.
TOUR CYCLISTE INTERNATIONAL DE LA MARTINIQUE
Il martinicano Olivier Ragot (DIGICEL) ha vinto la sesta tappa, Diamant – Sante Marie, percorrendo 112,5 km in 3h11′11″, alla media di 35,31 Km/h. Ha preceduto allo sprint i francesi Teillet e Hurel. Il francese Timothée Lefrançois (U C Nantes Atlantique) conserva la testa della classifica, con 1′20″ e 2′28″ sui connazionali Vignes e Teillet.
TROFEU JOAQUIM AGOSTINHO
Il portoghese Manuel Cardoso (Liberty Seguros ha vinto la prima tappa, Silveira – Benavente, percorrendo 176,3 km in 4h16′48″, alla media di 41,191 Km/h. Ha preceduto allo sprint il connazionale Marta e il tedesco Janorschke. Lo spagnolo Héctor Guerra Garcia (Liberty Seguros) conserva la testa della corsa, con 12″ e 15″ sui connazionali Blanco ed Escobar.
A BARCELLONA E’…. THOR’SDAY!
Barcellona, città di sregolati: città di Mirò e del suo surrealismo, di Gaudì e delle sue architetture viventi, di milioni di vacanzieri e delle loro scorribande notturne. E città sregolata: sporca e puzzolente pure sulle Ramblas ma ribollente d’arte e grandeur degni d’una capitale. Ma beati gli sregolati, specie nel ciclismo, perché divertono le folle e i canovacci stravolgono. La copertina spetterebbe a Thor Hushovd, vincitore sullo zampellotto del Montjuich. Meglio dedicarla, però, a chi il canovaccio non l’ha stravolto del tutto ma ci è andato molto vicino.
Beato dunque David Millar, 32enne scozzese di Malta, perché si dota del coraggio dell’eroe mancato, fonte alla quale s’abbevera gran parte del residuato di epica a pedali. Era tra i primi dieci della classifica di una corsa, il Tour, dove si regala solo a chi ripone nel cassetto i sogni in giallo e nonostante ciò ha attaccato a dopo a 14okm da Barcellona. A fargli compagnia, due irriducibili francesi (Augé e Chavanel) e un basco che porta un cognome-starnuto (Txurruka) ma un nome-romanzo (Amets, “sogno”) che incarna la figura del perfetto escapados: valigia colma di sogni e pochi trofei. Zero, nella fattispecie.
Chiunque vada in fuga ha un sogno. Pure Joan Mirò, il cui museo sorge ad un tiro di schioppo dal traguardo: la sua era una fuga dalla realtà, in un’arte fatta di schizzi, figure stilizzate e surreali (non irreali, guai). Manco a farlo apposta, amava ritrarre i suoi sogni. Chissà se avrebbe dipinto quello di Millar, mutatosi in incubo a 1500m dall’arrivo dopo essere stato di gloria. Solitaria, peraltro, visto che lo scozzese s’era involato a meno 29km sotto il diluvio.
E dire che Millar disponeva d’un bel gruzzolo, ben 1’ a 10km su un gruppo sonnacchioso o, più probabile, prudente. Appena aperto il gas, infatti, le gomme slittavano e per contare i caduti serviva il pallottoliere. Chi le busca più sonoramente è lo sfortunato Boonen cui sembra che Madama la Fortuna stia facendo scontare sulla strada la squalifica per uso di cocaina a suon di crevaisons (forature, in francese) e di chutes (cadute). Meglio così che sul divano ma d’una discoteca, perpetuando quello che certi irresponsabili chiamano soltanto “vizio”. Soffrire sulla strada aiuta a riscattarsi.
Chi soffre, oltre ad un Menchov attardato d’un minuto e ora disperso a 4’54”, è Millar dopo la meravigliosa Plaça Espanya, con la sua Font Magica di Carlos Buigas: la strada s’inerpica al 6% e l’acido lattica annega lo scozzese. In altra età (ha 32 anni) e altra benzina (ha confessato l’uso di EPO) avrebbe divorato il gradino d’asfalto della cittadella olimpica. Oggi è stata la Liquigas con la Milram a fagocitarlo, salvo poi cedere lo scettro a Thor Hushovd, minatore norvegese che ogni anno timbra il cartellino spaccando almeno un arrivo. Il suo palmares pone un problema: come definire velocista uno che, delle sette vittorie alla Grande Boucle, ha conquistato un prologo e Parigi (2006), la nervosa Saint Brieuc (2008) e il Montjuic? D’altronde, quelle colossali cosce di cui è dotato varranno pure a qualcosa.
Che gliele abbia procurate il dio del quale porta il nome? Dante, convinto che i nomi siano conseguenza delle cose, direbbe di sì. Nella mitologia nordica, Thor, dio nerboruto per eccellenza, è padrone del tuono e va in giro con un martello gigantesco, lo stesso col quale Hushovd ha fatto piazza pulita sul Montjuic. Ma non chiamatelo troll, ha pure vinto d’astuzia e non solo di forza bruta: lasciato sfogare Pozzato, attese le mosse di Freire, ha messo tutti d’accordo scoprendosi solo ai 100m. Terzo, dopo Freire, giunge Rojas Gil. Guai a dire: “beffati i corridori di casa”. In Catalunya un cantabro (Freire) e un murciano (Rojas) son visti peggio d’un norvegese, tanto i catalani, con i baschi la nazionalità più forte in paese frammentato come la Spagna, si dotano pure di partiti rappresentati nelle Cortès.
Oggi è giovedì. Altro nome con cui è noto il dio Thor è Donner e Donnerstag, in tedesco, vuol dire giovedì. Coincidenza? Macché: come si dice il quarto giorno della settimana in inglese? Thursday, il giorno di Thor. Curiosità: prima di oggi, il possente norvegese non aveva mai vinto nel giorno del suo settimanale onomastico, era pure nato di mercoledì (18 gennaio 1978). Ha sfatato un tabù.
Tabù ben saldo invece per il nostro tricolore, sia personificato (Pozzato) che metaforico (la banda italiana in Francia). Oggi lo scapestrato Pozzato, l’ambizioso Pellizotti, il redivivo Ballan e il fungo Nocentini (spunta quando meno te lo aspetti) hanno riempito la metà destra della classifica: 5°, 6°, 7°, 8°. Segnali di vita, direbbe Battiato. Eravamo partiti dagli sregolati, chiudiamo sullo sregolato italiano: Pozzato. Non è colpa sua ma da un po’ di giorni sul suo Tricolore svetta il profilo del Cremlino. Là dove non riuscì Togliatti… Che sia invece la maglia di campione bulgaro? Forse la Katusha vive di nostalgie imperialistico-sovietiche. D’altronde il suo sponsor, Gazprom, al primo sgarro ci tappa tutti i rubinetti. Comunque pare se ne stia interessando la federazione con Di Rocco.
Fila così l’ennesima tappa fetente di questo Tour de soufFrance (copyright di Albert Londres). Da Montecarlo, tra crono e zampellotti, burrasche e acquazzoni, non s’è avuto un giorno rilassato. Domani, i “touristi” arriveranno cotti alle falde di Arcalis e la selezione, la buttiamo lì, sarà spietata: anche questa (o forse soprattutto questa) è la Grande Boucle, non necessariamente il trionfo della filosofia dello sport (“vince il più forte”) ma sicuramente amata per essere così vicina alla vita di tutti i giorni, in cui contano scaltrezza, tattica, savoir faire. E mettiamoci pure il doping, a rendere il ciclismo ancor più vicino alla quotidianità, per la sua lotta (infame e durissima) contro i furbi, contro un “sistema”. A proposito: nessuno spiffero di corridoio. Apriamo l’ombrello?
Federico Petroni