L’ÉTAPE DU JOUR: VATAN – SAINT-FARGEAU
Velocisti ancora alla ribalta in una frazione che porterà idealmente il Tour nella casa del francese medio. Il percorso odierno sarà tutto un succedersi di piccoli comuni, spesso abitati d’un pugno d’anime. Si prolunga così, idealmente, la festa nazionale celebrata nella giornata di Issodoun, con una tappa che presenterà il medesimo copione della precedente: lunga fuga destinata ad esaurirsi nel finale e poi lo sprint, stavolta con l’insidio di un traguardo in pendenza.
.:nella foto copertina, il castello di Saint Fargeau (panoramio)
Il Tour prolunga la festa. Sembra che, quasi per compensare la mancanza di particolari difficoltà nei tre giorni centrali del suo cammino (è in questa frazione che avverrà il “giro di boa”), gli organizzatori abbiano pensato di spalmare i festeggiamenti nelle due giornate successive. Oggi la Grande Boucle quasi penetrerà nelle case di quello che un tempo, prima della rivoluzione, veniva considerato il “terzo stato”, il ceto che comprendeva gli strati più poveri della società. Sarà tutto un susseguirsi di piccoli centri abitati, talvolta minuscoli e praticamente sconosciuti, ma che costituiscono l’ossatura della nazione francese. Messe assieme, sede di partenza ed arrivo fan in tutto poco meno di 3800 abitanti; strada facendo si incontrerà, tra gli altri, il piccolissimo comune di Saint-Céols, i cui 36 abitanti saranno sicuramente tutti sulla strada ad applaudire il vincitore del traguardo volante che l’organizzazione ha deciso di collocare proprio nel loro paesello. Probabilmente sarà uno dei protagonisti delle prime ore, i fuggitivi che tentano l’assolo lontano dall’arrivo, per incamerare fama e denari prima che il proscenio sia occupati dai protagonisti più attesi, che anche stavolta saranno i velocisti. Questa, infatti, sarà la più semplice delle tre frazioni che faranno da “trait d’union” tra le giornate pirenaiche e quelle alpine, introdotte da una nervosa tappa tracciata sulle alture dei Vosgi, in programma dopodomani. Oggi le principali difficoltà saranno costituite da due morbidi GPM, come sempre classificati al minimo e collocati in maniera da non nuocere. Non sarà, comunque, un traguardo alla portata di tutti quello di Saint-Fargeau, posto com’è in vetta ad un zampellotto di mezzo chilometro al 6% di pendenza.
SOUVENIRS DU TOUR 1
Il gran ballo delle debuttanti. In questi termini può essere definita questa frazione che connetterà due località che, finora, mai avevano avuto l’onore d’aver in casa il Tour. Vatan è, però, già nota agli uomini di Amaury Sport Organisation, uno dei principali enti organizzatori di eventi sportivi in Francia, che non gestiscono solo il Tour ma anche corse come la Parigi – Nizza e il Tour de l’Avenir: sempre in qualità di sede di partenza Vatan ha accolto le due corse nel 2007 e nel 2002. In entrambi i casi, il vincitore della frazione è stato un italiano (Pellizotti a Limoges e Pozzato a Saint Amand Montrond). Se è vero che “non c’è il due senza il tre”….
SOUVENIRS DU TOUR 2
Vatan è comune del dipartimento dell’Indre, situato sull’altopiano calcareo noto come “Champagne Berrichonne” e sul quale si trova anche il piccolo villaggio di Saint-Valentin, saldamente legato al santo degli innamorati al punto d’esser stato definito il “Village des Amoureux” (con tanto di festa che si celebra annualmente dal 1965). Tornando a Vatan, questo centro, che non vanta particolari emergenze monumentali, fa parte di una curiosa associazione che riunisce tutti i comuni francesi che hanno un nome burlesco; nel caso specifico significa “vattene” e suona molto divertente lo slogan coniato dai “vatanais” e segnalato da un pannello all’ingresso del paese: “Vatan… Tu reviendras” (Vattene…. Ritornerai). Originari di questo “accogliente” centro sono San Sulpizio e Ferdinand de Lesseps, l’imprenditore che contribuì alla costruzione dei canali di Panama e Suez (progettato dall’ingegnere italo-austriaco Luigi Negrelli)
Con i suoi 1814 abitanti, Saint-Fargeau è il meno popoloso dei 34 comuni coinvolti come sedi di tappa dal percorso del Tour 2009. Nella botte piccola c’è il vino buono: questo centro del dipartimento dell’Yonne vanta un museo unico in Europa, dedicato alla storia del suono, ed uno spettacolare castello costruito nel 980 e rifatto nel 1453; vi trascorse l’infanzia lo scrittore di fama internazionale Jean d’Ormesson (Jean d’O) che s’ispirò a questo luogo quando scrisse “A Dio piacendo”, la sua opera prima.
LA MÉTÉO
Il sole torna a scaldare al Tour. Alla partenza da Vatan, dopo una mattina di cielo coperto e di clima fresco, tornerà a splendere proprio quando i corridori si rimetteranno in sella, mentre le temperature riprenderanno a virare verso l’alto. Il vento spirerà moderato, contribuendo ad “asciugare” ed abbattere i livelli d’umidità che, fino a poche ore prima, “galleggiavano” attorno all’80%, con impennate al 91%. La situazione migliorerà strada facendo e si taglierà il traguardo di Saint-Fargeau con una situazione tipicamente estiva: 24°C, 49% d’umidità, 16 nodi di velocità massima per il vento. Un parentesi destinata ad chiudersi, temporaneamente, tra quarantottore: le previsioni annunciano maltempo per la tappa dei Vosgi e per la frazione successiva. Poi tornerà il bello….
BOULE DE CRISTAL
Un’altra tappa dedicata alle ruote veloci. È un’occasione fondamentale per chi non ha ancora vinto una tappa e per chi vuole conquistare punti per la maglia verde. Per quanto riguarda i corridori di classifica sarà un altro giorno idoneo per riposare, senza eccessivi sforzi.
LA TERNA SECCA DI LUCA ZANASCA
1° Hushovd
2° Cavendish
3° Farrar
Mauro Facoltosi & Luca Zanasca
14-07-2009
luglio 15, 2009 by Redazione
Filed under Ordini d'arrivo
TOUR DE FRANCE
Il britannico Mark Cavendish (Team Columbia – HTC) ha vinto la decima tappa, Limoges – Issoudun, percorrendo 194,5 km in 4h46′43″, alla media di 40,702 Km/h. Ha preceduto allo sprint il norvegese Hushovd e lo statunitense Farrar. Miglior italiano Daniele Bennati (Liquigas), 9°. L’italiano Rinaldo Nocentini (AG2R La Mondiale) conserva la testa della classifica con 6″ sullo spagnolo Contador Velasco e 8″ sull’americano Armstrong.
GLI PIACE VINCERE FACILE:CAVENDISH CRUMIRO!
Concediamoci all’ironia per insaporire una tappa narcotizzata dallo sciopero dei due terzi di gruppo contrari al “silenzio radio” che si prevedeva di sperimentare oggi. Così Cavendish, cuore a vapore del trenino giallo, va a stravincere senza patemi la volata (banale) che chiude l’insulsa passeggiata odierna.
E due: ormai è un vizio. Per fortuna che – tra tutte le sue vittorie! – la coppia di gettoni staccati in occasione delle serrate di gruppo svaniscono nel mucchio di monete d’oro, altrimenti la coincidenza farebbe pensare a un accanimento anti sindacale…
Naturalmente “crumiro” si fa proprio per dire, perché la Columbia era in prima linea nella protesta odierna, e con una bella dose di furbizia ne ha pure approfittato. Braccia incrociate, ma stipendio recepito in pieno, anzi magari con un bel premio produttività.
Già a Milano l’inglese si era goduto i ritmi blandi per sprigionare la propria potenza intatta in un finale senza storia (anche nel senso di “preceduto dal nulla”): oggi la assenza-di-storia si ripete, con la variazione sul tema di una fuga per tre quarti aborigena appesa lì a un minuto, senza illusioni, senza nemmeno l’illusione di un’illusione, perché in gruppo si danno il cambio in testa a tirare almeno una decina di formazioni.
Vaugrenard (FDJ), Dumoulin (COF), Hupond (SKL) si incaricano di celebrare la festa nazionale con toni meno sanguigni che l’abituale marsigliese rintoccata in questa data sulle vie della Grande Boucle (certo, sappiamo che spesso di sceneggiata ben concordata trattatavasi: nondimeno sceneggiata godibile e animata), mentre Ignatiev (KAT) si riveste della già indossata mimetica del guastatore, poco conciliante verso i piani prestabiliti ai piani alti. Dapprima obbedisce al team, che impone di non tirare, ma poi nel finale fa di testa sua e regala qualche poderosa accelerazione che insaporisce il ricongiungimento. Come per tutti gli indisponenti, temiamo non lo aspettino grandi ricompense su questa terra.
Dicevamo del rovesciamento rispetto al copione consueto in questo Tour 2009, nel senso che sulla carta in una tappa così il lavoro sporco sarebbe toccato tutto agli uomini di Stapleton, col rischio poi di non riuscire ad organizzare quel treno che rende Cavendish più invincibile. Sì, “più invincibile” è un solecismo perché l’invincibilità non ammette comparativi: però saremmo curiosi di veder battagliare Mark in un confronto ad armi pari, un giorno di questi.
Quel giorno a quanto pare non doveva proprio essere oggi, un’altra tappa da iscrivere nella lista già numerosa delle frazioni che in questo Tour fin qui troppo spesso inguardabile si sono trotterellate ad andatura, appunto, turistica: peccato che il turismo fosse una volta l’ultima pratica cui i corridori potessero dedicarsi in terra di Francia. Ma i tempi cambiano, forse affinché i protagonisti restino. La prevedibilità, in fondo, contro ogni intuizione di buon senso, vende bene, anzi meglio.
Proprio in nome della prevedibilità si è consumata la protesta odierna. Ben riuscita peraltro, anche meglio di quella al Milano Show, perché stavolta l’interesse primo da tutelare era quello dei direttori sportivi: una categoria che fa decisamente meno fatica di quella dei pedalatori a compattarsi e a imporre le proprie priorità.
Comunque due bombe mediatiche ben mirate, in due tappe simbolo: la kermesse milanese, ingarbugliata in un nodo di tradizione e questioni aperte (Milano arrivo storico, sede della Gazzetta, ma Milano nemica delle bici; corse nelle città per il pubblico generalista, o per il loro odio; domenica montana o urbana… e via così); oggi, la festa nazionale e il suo legame con il Tour.
In questa maniera, di contro alla sperimentazione che proibiva l’impiego di radioline tra ammiraglia e atleti, si è imbastita una collaborazione collettiva che spegnesse qualsiasi tentativo di movimentare gli eventi. Si badi bene: questo sarebbe comunque potuto essere uno degli esiti del silenzio radio; una corsa chiusa, controllata oltre ogni misura per sigillare ancor più del solito le fessure attraverso cui fischia il vento dell’imprevisto. Però, ammettiamolo, una simile unità di intenti non sarebbe stata altrettanto facile da raggiungere come invece è stato elevando a totem le bandiere della protesta sindacale.
La “sicurezza”, si è invocata. Che coraggio. Dopo aver ingoiato i rospi di una cronosquadre su strade strette e sporche (di quelle dove sarebbe meglio correre le tappe in linea, piuttosto), di volate imperlate – “impirlate”? – di rotonde o curve ai meno duecento, adesso si eleva l’albero sacro della sicurezza per giustificare le radioline con cui i corridori vengono radiocomandati sulla base di ammiraglie dotate di monitor tv, radiocorsa e magari internet wi-fi.
C’è traffico di auto “nel gruppo”? Basta proibirlo. Ma chi l’ha detto che si debba chiedere per filo e per segno ogni singola istruzione al direttore sportivo. Se si riesce a entrare in contatto – in una fase di gara tranquilla, a turni, o quel che sia – ben venga. Se no, che si accenda il cervello.
E si badi: non si tratta di sminuire il ruolo tattico essenziale del “mister” nel disegnare una strategia di gara, ma di lasciare qualche spazio in questo senso al singolo corridore per rimettere in gioco quelle capacità essenziali una volta indispensabili per un ciclista di spicco che sono l’intelligenza tattica, il fiuto, l’azzardo perfino.
L’abilità del ds si può ben – anzi meglio – esprimere nel pre/vedere, nel pre/parare, nel pre/disporre lo svolgimento della tappa. Del senno di poi sono piene le fosse, ma anche il senno del “durante” abbonda, il senno ovvero della “diretta tv”. Un conto è capire il da farsi sulla base di un distacco sulla lavagnetta che arriva di tanto in tanto, un conto è vedere in faccia gli atleti scappati, capire se spingano o no, vedere immediatamente quando l’armonia della fuga si disunisce o quando c’è una doppia fila da inseguire a tutta.
Ma non è opportuno nemmeno dilungarsi troppo: gli appassionati sanno bene di che cosa stiamo parlando. E riesce addirittura sfacciato Pozzato nel rinfacciare agli spettatori di aver invocato questo tipo di “prove”.
Perché di prova, dopotutto, si trattava. Di sperimentazione. Certo, sarebbe stato bello farla di comune accordo: ma quale accordo ci potrebbe mai essere a fronte di un’iniziativa che in effetti “complica” le cose?
E adesso non valga questo episodio per condannare il tentativo. Proprio la deliberata serrata del gruppo va a privare i fatti di ogni valore dimostrativo. Non si tratta di verificare se ci sia stato più o meno spettacolo, perché qui abbiamo visto solo un braccio di ferro. Si può discutere, e ben venga, si può negoziare – e questo è doveroso – ma l’idea è buona, è va perseguita: l’ostilità dei ds ne dimostra anzi il potenziale.
Concludiamo con la cronaca della volata.
La Columbia si mette al lavoro all’ultimo chilometro. Martin breve e intenso mette in fila il gruppo, nonno Hincapie lo allunga, Renshaw lo spacca. C’è di mezzo la solita caduta, ma stavolta ancor più merito va agli alfieri di Cavendish, con la cortese collaborazione dei Garmin (per chi avesse dubbi sulla sinergia “postale” tra Stapleton, Bruyneel e Vaughters). In pratica Hushovd deve fare una prima volata per riportarsi sul trio di testa, ovvero Renshaw, Cavendish e Farrar. Un Garmin intenzionalmente o no ha fatto il buco, e Hushovd deve volare per tornare a ruota di Mark. La seconda volata per uscire di scia nemmeno la prova. Insomma: quando i Columbia sono freschi, stanno freschi gli altri, ben freschi al vento perché nemmeno riescono a tenere le ruote. Tra i comuni mortali bravo Duque – cui durante la fuga pirenaica la nazionalità colombiana era valsa l’appellativo di “scalatore tipico” da parte dei nostri baldi commentatori tv – e bene Rojas, che giustifica la fiducia datagli dalla Caisse l’altro giorno lavorando per riprendere Fedrigo e Pellizotti.
Insomma, un Team Columbia fenomenale, che però finora ha conseguito tutte e tre le vittorie in un modo così rocambolesco (caduta di massa, volata ristretta dal ventaglio, sciopero) da mantenere un retrogusto di insoddisfazione, un desiderio di testa a testa un po’ più sportivi e aperti. Con o senza radioline.
Gabriele Bugada
UN DIABLO AL GIORNO
Claudio Chiappucci fatica a trovare parole per una giornata spenta. Nemmeno la protesta, inutile secondo el Diablo, sul tema radioline riesce a ravvivare la tappa vinta da Cavendish che giorno dopo giorno dimostra di essere una categoria sopra a tutti.
A cura di Andrea Mastrangelo
Oggi non c’è molto da dire, ogni tanto tappe così capitano, non ne farei un dramma anche se so che i tifosi vorrebbero ogni giorno gran bagarre.
Dispiace per i fuggitivi di giornata che hanno perso parecchio del loro ventaggio proprio nella parte finale, perdere così brucia, anche se forse era scontato dovesse terminare in volata. Dopotutto ai velocisti non restano molte altre occasioni.
Anche oggi Cavendish ha dimostrato di non avere rivali, ha fatto una volata lunghissima rispetto ai suoi standard e rischiava di staccare tutti ugualmente, Hushovd non ha tentato nemmeno di tirare fuori il naso dalla scia, sarebbe stato inutile, Freire comincia a “pagare” l’età, il Tour non è mai stato il suo forte, ma ora si vede che forse ha perso anche lo smalto degli anni migliori. Di solito era sempre in forma anche senza gare nelle gambe, in questi giorni sembra spento. C’è da dire che non ha nemmeno una buona squadra al suo servizio, la Rabobank era votata alla causa della generale dopo la vittoria di Menchov al Giro. Il russo però non è in condizione e come lui Ten Dam e Gesink: la squadra olandese penso abbia perso ogni chance di combinare qualcosa di valido alla Grand Boucle quest’anno.
Bennati non riesce a trovare la condizione, è in crescendo dopo la botta al costato, ma come detto non ha più molte chance di giocarsela. Il nono posto non è ovviamente un buon risultato per lui, ma bisogna valutarlo alla luce dei problemi fisici che hanno caratterizzato il suo avvicinamento alla corsa francese, si vedrà, ma penso che oramai sia tardi.
In giro sento dire che tirando tutte le squadre servono su un piatto d’argento le vittorie all’inglesino di Man, che i team dovrebbero pensare di più alle tattiche. Credo che molte squadre non abbiano alcuna chance di vincere, nè in volata nè in fuga, così cercano di farsi vedere in testa al gruppo per via degli sponsor, dietro al ciclismo c’è anche questo e tante cose che sembrano assurde in realtà non lo sono. Certo non tutti lo fanno per la visibilità e qualche team potrebbe tentare qualcosa, sono in pochi quelli che possono vantare una stagione fin qui positiva, la Rabobank di cui trattavamo prima è una di queste e forse per quello non si spreme troppo per tirare, a parte l’altro giorno per Freire, ma, ripeto, son davvero poche le squadre che possono dirsi soddisfatte, nemmeno l’Astana ha vinto molto, è vero che loro mirano alla generale e quindi puntano tutte gli sforzi in quel senso, ma è anche vero che tirano molto senza portare a casa grossi risultati e potrebbero trovarsi a bocca asciutta, benchè l’ipotesi sia alquanto remota per quanto visto fin qui.
La giornata odierna è stata anche caratterizzata da una protesta sull’uso delle radioline: inutile, i problemi del ciclismo sono altri e questa è davvero l’ultima preoccupazione che si deve avere in gruppo, invece si da più peso alle radio rispetto alle questioni serie e gravi che inondano il ciclismo. Oltretutto io sono della vecchia scuola: niente radioline! I capitani fanno la corsa e gli altri di conseguenza, non capisco: il ciclismo sta divenendo troppo tecnologico, basta, non si tratta di una tattica calcistica si deve andare a sensazione, i più grandi campioni andavano a sensazione e c’era spettacolo, ora tutti con la radio il cardiofrequenzimetro e tutti regolari senza uno scatto, un piattume di emozioni che deve sparire dal ciclismo.
Poi le radioline non sono così indispensabili, nemmeno per i DS, hanno le televisioni in macchina e non si perdono certo quanto accade in mezzo al gruppo. E non è nemmeno una questione di sicurezza, le macchine vanno si più spesso tra i corridori, ma è i DS sono abituati a ciò e per le borracce sono comunque obbligati a passarle a mano affiancando gli atleti, senza parlare del fatto che in coda al gruppo c’è sempre un gran viavai, non c’è grossa differenza in termini di sicurezza, torniamo all’antico: lo spettacolo ne gioverà!
Claudio Chiappucci
L’ÉTAPE DU JOUR: LIMOGES – ISSOUDUN
Tappa per velocisti proposta nel giorno della festa nazionale francese: l’intraprendenza dei corridori transalpini costituirà una difficoltà aggiunta per i velocisti, oltre alle insidie che proporrà la strada. I saliscendi dei chilometri iniziali saranno ideali rampe di lancio per i tentativi di giornata, nei quali vedremo sicuramente protagonisti i corridori di casa, alla ricerca d’un successo che coronerà i festeggiamenti per il 14 luglio. Per Astana, Ag2r e le altre squadre coinvolte dai giochi di maglia sarà una giornata d’ordinaria ammistrazione.
Dopo una sosta rigeneratrice tra i mossi paeseggi del Limosino, il Tour si rimetterà in marcia il 14 luglio. È la festa nazionale francese, giornata nella quale i transalpini ne approfittano, quasi emulando quanto fecero 220 fa anni i “citoyens” parigini alla Bastiglia, per prendere d’assalto le strade della Grande Boucle, qualunque sia la tappa prevista dagli organizzatori. Non sempre, per questa calda giornata di metà mese (calda e sentita lo sarà sempre questa festività, indipendentemente dall’effettivo “calore” meteorologico) si riesce ad allestire una tappa di montagna, in grado di catalizzare ancor di più frotte di appassionati, comunque sempre presenti in gran numero essendo questo il tradizionale mese delle ferie francesi. È quello che accadrà quest’anno, quando il sottofondo della “Marseillaise” farà da colonna sonora alla quinta frazione tarata sulle misure dei velocisti. Per loro sarà, però, il quarto traguardo conquistato, essendo sfumato quello di Perpignan, espugnato da un uomo solo al traguardo, il francese Voeckler. Anche stavolta gli sprinter dovranno stare attenti ai francesi, che ci terranno da matti a mettersi in mostra nel giorno della festa nazionale: sicuramente tenteranno la fuga da lontano, magari promuovendola dai chilometri iniziali, i più propizi a dare il “la” a tentativi del genere per la presenza di alcuni trampolini di lancio (leggi GPM di 4a categoria). Man mano che ci si avvicinerà a Issoudun i su è giù si diraderanno ed il percorso si farà più consono alle “trenate” degli squadroni, in particolar modo negli ultimi 27 Km, insolitamente pianeggianti. In Francia la vera, autentica pianura è rarissima e questo contribuisce a rendere ancora più snervanti e massacranti le frazioni: anche queste “piccolezze” contribuiscono a comporre il quadro a tinte gialle del Tour de France, l’evento principale dal panorama ciclistico mondiale.
SOUVENIRS DU TOUR 1
Se fosse stato sede d’arrivo, quest’anno Limoges avrebbe fatto 13: una dozzina sono le occasioni nelle quali il Tour ha posto un traguardo nella cittadina francese. La prima volta trionfò il belga André Rosseel (1951), l’ultima il francese d’origini friulane Christophe Agnolutto (2000). Tra i successi di mezzo ci soffermiano sulle affermazioni “agli antipodi” di Bugno e Armstrong. Il primo tagliò il traguardo per primo nel 1988 senza levare le braccia al cielo: non si trattava di un gesto polemico, ma di un’impossibilità fisica, correndo il monzese con una placca nella spalla, reduce da una distrasosa caduta al Giro d’Italia, nella tappa di Rodi Garganico. Tutti, almeno chi seguiva già il ciclismo allora, abbiamo ancora negli occhi e nella mente il commovente arrivo di Armstrong nel 1995, quando letteralmente proiettò il suo corpo e la sua anima verso l’alto, verso quel cielo al quale era volato pochi giorni prima il suo amico Fabio.
Ricordiamo, infine, anche le vittorie italiane di Defilippis nel 1960 e di Bontempi vent’anni più tardi.
Per Issoudun si tratta di un esordio assoluto.
Issoudun, la “Tour Blanche” (panoramio)
SOUVENIRS DU TOUR 2
Capoluogo della regione storica dalla quale prende il nome (il Limousin), Limoges riveste questo ruolo anche per il dipartimento della Haute-Vienne. L’attraversa il fiume Vienne, sulla cui riva destra s’adagia il centro storico, interessante per la cattedrale di Saint-Etienne ed il museo nazionale Dubochè, interamente dedicato alla produzione tipica di Limoges, le ceramiche (in epoca medioevale, invece, era celebre per gli smalti). “Limougeauds” celebri sono il pittore Pierre-Auguste Renoir e Marie François Sadi Carnot, presidente della repubblica dal 1887 al 1894 . E’ di matrice limosina anche il termine d’uso comune “silhouette”, che trae origine dal politico Étienne de Silhouette, passato alla storia come controllore generale delle finanze di Luigi XV e per aver deciso di imporre le tasse anche ai privilegiati ed ai ricchi: in quell’occasione il suo nome venne associato ad un particolare tipo di pantaloni senza tasche (e di conseguenza, senza soldi da metterci) ed in seguito arrivò a definire i ritratti “essenziali”, realizzati seguendo l’ombra del viso.
Issoudun è un comune del dipartimento dell’Indre, erede della città gallica di “Uxeldunum”, distrutta e poi ricostruita da Giulio Cesare, piazzaforte nelle contese tra Filippo II di Francia e Riccardo Cuor di Leone. Perduto l’interesse storico dopo la rivoluzione francese, ha riacquistato fama nel secolo scorso, divenuta meta di frequenti pellegrinaggi al luogo di fondazione delle congregazioni dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù e delle Figlie di Nostra Signora del Sacro Cuore (avvenute tra il 1854 ed il 1874 ad opera del locale parroco, padre Jean Jules Chevalier). Il celebre scrittore Honoré de Balzac ambientò ad Issoudun alcuni capitoli del suo romanzo “Casa da Scapolo” (titolo originale, “La Rabouilleuse”)
LA MÉTÉO
Festa rovinata a metà per i francesi del Limosino, sulle cui terre pioverà sin dalle ore notturne. Il via della decima frazione, dunque, avverrà sotto l’acqua. Deboli precipitazioni accompagnate da un lievissimo vento caratterizzeranno le fasi iniziali, con temperatura ed umidità consone alla situazione (19°C, 80%). Marciando verso il traguardo il tempo migliorerà, ma senza virare verso il sereno: a Issoudun, dove la pioggia cesserà già in mattinata, il cielo permarrà coperto, mentre aumenteranno la temperatura (leggermente, fino a 22°C) e il vento (più sensibilmente, visto che si raggiungeranno i 12 nodi). Come è ovvio, si assisterà anche ad un drastico calo dei valori d’umidità (57%).
BOULE DE CRISTAL
Giornata transitoria. Credo che sia un’altra occasione per le ruote veloci del gruppo. Bennati , Cavendish e i vari velocisti vorranno sicuramente sprintare per vincere la tappa e per conquistare punti per la maglia verde. Di sicuro sarà una giornata di riposo per la squadra della maglia gialla, perché la corsa sarà per l’80% controllata dai team dei velocisti.
LA TERNA SECCA DI LUCA ZANASCA
1° Cavendish
2° Freire
3° Hushovd
Mauro Facoltosi & Luca Zanasca
ArMARCORD D’ARMENTIÈRES
luglio 13, 2009 by Redazione
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QUEL TOUR DI 15 ANNI FA……
Prima di tre puntate che ci faranno salire sulla macchina del tempo e tornare indietro di quindici anni, al Tour del 1994. Non vi parleremo, però, né della quarta vittoria di Miguel Indurain, né delle prime gesta di Pantani sulle strade di Francia. Nulla di tutto questo. Ci soffermeremo su tre episodi secondari, rimasti però ben impressi nella memoria di chi seguì quell’edizione. Una memoria che vi rinfreschiamo col racconto di quelle storie comprimarie, affidato alla penna del nostro storico Mario Silvano. Cominciamo narrandovi della tremenda volata – ecatombe di Armentières
*”A m’arcord” di darvi una spiegazione e di chiedere scusa ai romagnoli. Per creare l’assonanza con l’incipit di Armentières, abbiamo storpiato il titolo del capolavoro di Federico Fellini – aggiungendo una R dove questa non sussisteva – e con essa il noto intercalare dei romagnoli “a’marcord”, che in italiano vuol dire “io mi ricordo” (n.d.r.)
La prima tappa del Tour del 1994 doveva essere la festa dei velocisti e mancò poco che finisse in tragedia. E non a causa d’improvvisi cambi di traiettorie, di arrotamenti o di scorrettezze tra i corridori. Niente di tutto questo, perché – almeno per una volta – non si dovette discutere di responsabilità dei ciclisti.
E’ pur vero che negli sprint a ranghi compatti c’è sempre un po’ di pathos e cadute spettacolari non sono mai mancate nella storia del ciclismo e in particolare in quella del Tour, dove un successo di tappa è un gioiello da incorniciare e, per taluni, rappresenta la soddisfazione più grossa di una carriera.
Gomiti aperti e codate – quante se ne son viste! – ma quel giorno ad Armentières fu diverso.
C’era anche Abdoujaparov e la presenza del velocista uzbeko rimandava alla memoria quella caduta spettacolare sui Campi Elisi, nell’ultima tappa del Tour di tre anni prima, quando “Abdou”, scatenato e irruente come il solito, finì contro le transenne coinvolgendo nella caduta altri corridori.
In quel 1994 avevamo già assistito, in verità, a cadute spettacolari.
Nell’arrivo di Salamanca, al termine della prima frazione della Vuelta, Cipollini e Baffi si erano urtati durante la volata.
Il toscano era andato a sbattere contro le transenne e, dopo essere rovinato sull’asfalto, era rimasto svenuto prima di essere trasportato all’ospedale. Trauma cranico e costole rotte gli costarono la partecipazione al Giro e al Tour, compromettendogli la stagione.
E anche nella prima tappa del Giro d’Italia, un chilometro prima dell’arrivo in Via Indipendenza a Bologna, un corridore aveva sbagliato traiettoria provocando la caduta di ciclisti e spettatori.
Che ci fosse una sorta di maledizione che colpiva la prima tappa delle corse a tappe di quell’anno?
La risposta l’avremmo avuta sul rettilineo che immetteva in Place de Gaulle, dove si sarebbe conclusa la prima frazione del Tour de France.
Dopo duecento chilometri e cinque ore di corsa sotto la canicola, il gruppo si presentò compatto, secondo le previsioni della vigilia, all’ultimo chilometro della Lille – Armentières.
La proverbiale e tradizionale organizzazione del Tour sembrava non lasciare spazio a critiche di sorta. Quasi per sottolineare l’efficienza della “sua” corsa, Jean-Marie Leblanc rilevava che, per evitare possibili incidenti nel finale, le transenne sarebbero state diverse rispetto a quelle usate al Giro, con piedi d’appoggio meno sporgenti e, pertanto, meno pericolosi.
Come se ciò non bastasse negli ultimi trecento metri erano state appoggiate sopra le transenne delle placche metalliche: nessuna sporgenza avrebbe intralciato la sicurezza dei corridori.
Se fossero caduti, quindi, sarebbe stato affare loro, di quei funamboli che talvolta si dimenticavano di rispettare regole di bon ton negli ultimi metri di gara.
Quando la volata è lanciata, tutti i migliori sprinter sono nelle prime posizioni.
Il campione belga Nelissen scatta ai trecento metri finali. Abdoujaparov, che gli è a ruota, esce alla sua sinistra a centro strada.
I due sono lanciati in un appassionante testa a testa e, a cento metri dal traguardo – dopo una leggera curva sulla destra – si presentano praticamente appaiati. Nelissen, testa bassa sul manubrio, è vicino alle transenne, tanto vicino che nessuno alla sua destra può rimontarlo…..
Tra gli spettatori privilegiati della volata ci sono i poliziotti locali. Assistere ad una volata del Tour in prima fila non è cosa che capiti tutti gli anni. La consegna è stata chiara: devono stare incollati alle transenne, immobili, e saranno ricompensati da un’emozione unica.
Uno di loro si porta anche la macchina fotografica, perché una giornata cosi chissà quando ricapita: l’indomani sarebbe ritornato a dirigere il traffico, a fare contravvenzioni, ma avrebbe conservato un ricordo da mostrare in famiglia e agli amici.
Poi gli è stato ordinato di stare a cinquanta metri dall’arrivo, mica come quel collega relegato ai settecento finali che non potrà neanche immaginare com’era andata a finire.
Lui li vedrà i primi, vedrà il vincitore alzare le braccia al cielo, magari finirà pure in televisione.
Quando lo speaker annuncia che il gruppo è in prossimità del traguardo, il poliziotto non resiste. Ha la macchina fotografica, la estrae dalla tasca, si prepara a un’istantanea che potrà ingrandire e mettere in ufficio.
E’ pronto, ai cinquanta metri dalla linea d’arrivo.
La messa a fuoco è perfetta, il gomito allargato, il dito sul pulsante pronto a scattare.
Forse non ha mai assistito a una volata in vita sua e neanche immagina la velocità e l’agonismo che caratterizzano il finale a ranghi compatti di una tappa del Tour
Nelissen in quel punto è un missile: testa china sul manubrio, vicino alle transenne, non si accorge di quel tale in divisa. Il belga stringe appena sulla sua destra e l’urto è inevitabile: il poliziotto vola letteralmente per aria, vola Nelissen e dietro di lui Jalabert, Fontanelli e Gontchenkov cadono rovinosamente sull’asfalto.
Abdoujaparov schizza via e si aggiudica la tappa, ma poco importa chi abbia tagliato per primo il traguardo.
L’attenzione di tutti è concentrata su quanto appena accaduto, che ha dell’incredibile.
Ci sono corridori a terra, chiazze di sangue ovunque, si teme il peggio.
Jalabert ha sbattuto la faccia, gli incisivi sono schizzati via. Nelissen è immobile a terra (sarà solo trauma cranico, per fortuna), e accanto a lui c’è Fontanelli in lacrime, con la bici accartocciata e la nera impronta della moltiplica stampata sulla guancia.
Il replay della ripresa televisiva rivela che l’imprudente poliziotto, centrato da Nelissen come un birillo e prontamente rialzatosi, era stato nuovamente investito da un altro corridore.
Un suo collega, con un balzo felino, era riuscito a superare le transenne evitando un ulteriore, rovinoso impatto.
Tour finito dunque per Jalabert che, reduce da sette successi alla Vuelta, contava di ben figurare nella corsa di casa. Così come per Nelissen, costretto a rinunciare alla lotta per la maglia verde che, alla fine, sarebbe andata sulle spalle di Abdoujaparov.
Si accendono le polemiche nel dopo corsa e Giancarlo Ferretti si toglie qualche sassolino dalla scarpa, tirando le orecchie agli organizzatori del Tour.
Il giorno successivo ci sarebbe stato un altro arrivo volata – senza poliziotti, stavolta – e Fabiano Fontanelli, tutto lividi ed escoriazioni ma per nulla intimorito da quanto accaduto, si sarebbe piazzato al nono posto.
Si sa, i velocisti hanno sette vite.
Mario Silvano
12-07-2009
luglio 13, 2009 by Redazione
Filed under Ordini d'arrivo
TOUR DE FRANCE
Il francese Pierrick Fedrigo (BBOX Bouygues Telecom) ha vinto la nona tappa, Saint-Gaudens – Tarbes, percorrendo 160,5 km in 4h05′31″, alla media di 39,223 Km/h. Ha preceduto allo sprint l’italiano Franco Pellizotti (Liquigas). Lo spagnolo Freire Gomez, 3° a 34″, ha regolato la volata del gruppo. L’italiano Rinaldo Nocentini (AG2R La Mondiale) conserva la testa della classifica con 6″ sullo spagnolo Contador Velasco e 8″ sull’americano Armstrong.
GIRO DONNE
L’olandese Kirsten Wild (Cervelo TestTeam) ha vinto la nona ed ultima tappa, circuito di Grumo Nevano, percorrendo 111,2 km in 2h55′47″, alla media di 37,955 Km/h. Ha preceduto allo sprint l’italiana Giorgia Bronzini (Safi – Pasta Zara Titanedi) e la lituana Ziliute. La tedesca Claudia Hausler (Cervelo TestTeam) si impone nella classifica finale con 30″ sulla statunitense Abbott e 2′33″ sulla svizzera Brandli. Migliore italiana Fabiana Luperini, 6° a 8′53″.
GIRO DELL’AUSTRIA
Il tedesco Andre Greipel (Team Columbia – HTC) ha vinto l’ottava ed ultima tappa, Podersdorf am Neusiedler See – Vienna, percorrendo 128,7 km in 2h33′31″, alla media di 50,300 Km/h. Preceduti allo sprint l’australiano Brown e l’italiano Bernardo Riccio (Ceramica Flaminia – Bossini Docce) Lo svizzero Michael Albasini (Team Columbia – HTC) si impone nella classifica finale con 1′12″ sull’ucraino Pidgornyy e 2′20″ sul bielorusso Samoilav. Miglior italiano Francesco Reda (Quick Step), 5° a 2′51″.
TOUR CYCLISTE INTERNATIONAL DE LA MARTINIQUE
Il martinicano Marc Flavien (Club Martinique) ha vinto la nona ed ultima tappa, Rivière Pilote – Lamentin, percorrendo 116,5 km in 3h04′42″, alla media di 37,91 Km/h. Ha preceduto allo sprint l’olandese Van Ruitenbeek; 3° a 1″ il giapponese Iijima.
Il francese Timothée Lefrançois (U C Nantes Atlantique) si impone nella classifica finale, con 1′11″ e 1′36″ sui connazionali Vignes e Diguet.
TROFEU JOAQUIM AGOSTINHO
Il portoghese Manuel Cardoso (Liberty Seguros) ha vinto la quarta ed ultima tappa, circuito di Torres Vedras, percorrendo 98,4 km in 2h38′18″, alla media di 37,296 Km/h. Ha preceduto allo sprint il connazionale Pinho e lo spagnolo Gutierrez. Lo spagnolo Hector Guerra Garcia (Liberty Seguros) si impone nella classifica finale, con 6″ e 15″ sui portoghesi Machado e Cabreira.
GP CYCLISTE DE GEMENC
Ultima tappa vinta dall’ungherese Krisztián Lovassy (Betonexpressz 2000 – Limonta). Piazzati il serbo Zsolt e lo slovacco Jurco.
Si impone nella classifica finale Lovassy.
UN DIABLO AL GIORNO
Claudio Chiappucci commenta per noi la nona tappa del Tour che ha visto Franco Pellizotti vicino alla vittoria. Il Diablo esprime il suo parere sul poco spettacolo che i favoriti della Grande Boucle offrono, dando il suo parere sull’utilizzo delle radioline in corsa e sulla qualità di questo Tour.
A cura di Andrea Giorgini
Offre poco spettacolo il Tour 2009: la mancanza di iniziative da parte dei favoriti penalizza gli show che il pubblico dei grandi appassionati vorrebbero ogni giorno. Oggi ci ha provato Pellizotti con una fuga avvenuta dopo che il veneto ieri è uscito di classifica (il quale, prima della Grand Depart, era secondo me il capitano della Liquigas), ma la vittoria di tappa gli è sfuggita di un soffio.
A mio parere Leipheimer e Klöden hanno un po’ deluso e non si sono mai fatti vedere e mi domando perché siano al Tour, se poi le prestazioni sono queste. Penso che il ritorno di Lance Armstrong sia soprattutto mediatico e che il capitano dell’Astana, nonché grande favorito del Tour, sia Alberto Contador. Pensavo che Kreuziger facesse qualcosina di più ma sia lui che Nibali devono maturare ancora un po’ per la loro giovane età e soprattutto dovranno fare molta esperienza in più. Un motivo che aumenta il tatticismo di squadra è l’utilizzo di radioline in corsa, a cui sono contrario da sempre e che appunto non condivido.
Nel 1993 vinsi una tappa simile a quella odierna (Tarbes – Pau): negli ultimi anni gli organizzatori delle grandi corse ciclistiche puntano più a città importanti economicamente che possano sborsare più soldi di una località di montagna e definirle come sedi di tappa, di partenza oppure di arrivo. La cosa è evidente anche osservando le partenze di Vuelta 2009 e del Giro e del Tour 2010 dall’Olanda, oppure dello stesso Giro del Centenario, che ha proposto un percorso non troppo duro ma nel quale mancavano le vere salite mitiche, quelle che la gente desiderava veder affrontare dai propri beniamini.
Spero nei prossimi giorni di vedere qualcosa in più, con un Tour aperto ma più spettacolare, come lo vuole la gente.
Claudio Chiappucci
PELLIZOTTI, CHE PECCATO!
Pierrick Fédrigo vince la 9a tappa del Tour de France, 160,5 km da Saint-Gaudens a Tarbes, battendo in uno sprint a due Franco Pellizotti. La coppia, dopo aver scalato l’Aspin e il Tourmalet, resiste negli ultimi 50 km alla rimonta del gruppo, mantenendo 34’’ sul plotone, regolato da Freire. I big non si muovono, e Nocentini resta così in giallo con 6’’ su Contador. Domani primo giorno di riposo.
L’Aspin come antipasto, il Tourmalet come piatto forte, il tutto condito dalla tradizionale calura pirenaica, nell’aria quel piacevole aroma di imprevedibilità lasciato ieri dagli attacchi di Cadel Evans e Andy Schleck addirittura dalla prima salita. Se ci fermassimo qui, il menù della 9a tappa di questo Tour de France sarebbe quanto mai appetitoso. Ma come in cucina basta un ingrediente sbagliato per rovinare un piatto altrimenti eccellente, anche nel ciclismo un solo errore nel disegnare una tappa può trasformare una giornata di attacchi e spettacolo in alta montagna in una processione, perlomeno da parte degli uomini di classifica. Se poi questo errore è tale da vanificare tutto quanto di buono c’era nella tracciatura, e anche le bestie che pascolano sui brulli paesaggi pirenaici se ne renderebbero conto, ecco che alla naturale delusione per un simile potenziale sprecato si aggiunge una certa rabbia. Perché se una frazione così, con due colli sacrificati ad una tale distanza dall’arrivo, può anche essere giustificata come un tentativo di favorire fughe e corridori con un po’ di fantasia, proporne due di fila è francamente incomprensibile.
Sarebbero riflessioni ovvie, quasi superflue, se non fosse che, nella presentazione della tappa, addirittura il megadirettore galattico della Grande Boucle, Christian Prudhomme, arrivato a capo della corsa come un salvatore dall’obsolescenza dei Tour di Leblanc, e che quest’anno ci ha invece propinato un disegno degno del peggior Jean Marie, si può leggere (traducendo, liberamente e come meglio possiamo, dal francese): “Con le salite verso il Col d’Aspin e il Col du Tourmalet, per di più avvicinati l’uno all’altro rispetto al solito, chi si sentirà ispirato a dare spettacolo prima del giorno di riposo disporrà di un terreno ideale.” Talmente ideale che, alle spalle dei due corridori che hanno salvato la giornata e di cui tra poco diremo, si è piazzato Oscar Freire, notoriamente l’erede designato di Bahamontes, Ocana, Fuente, Delgado e tutti i grandi scalatori spagnoli. Forse bisognerebbe spiegare a Prudhomme che rispetto agli anni in cui il Tour fece tappa a Tarbes (1933, 1934 e 1951), sempre in frazioni “pirenaiche” (scegliete voi la quantità di virgolette), con salite ben lontane dall’arrivo, la situazione è lievemente cambiata, o quantomeno, se proprio di tappe così non si può fare a meno (ma chissà, magari l’anno prossimo, senza Armstrong, spariranno magicamente), perlomeno potrebbe evitare di prendere in giro gli spettatori.
Due uomini hanno però salvato la giornata, dicevamo. Due uomini che rispondono ai nomi di Franco Pellizotti e Pierrick Fédrigo, due classe ’78, uno votatosi alla classifica con successo, ma riciclatosi come cacciatore di tappe dopo i 14’ di ritardo accusati ieri (ma a giudicare da quanto ha fatto oggi, viene il dubbio che il nativo di Latisana abbia scientemente deciso di uscire di classifica per poter puntare ad un successo parziale), l’altro dedito da una vita a galoppate, che nel 2006 gli avevano fruttato una vittoria al Tour de France.
I due se ne erano andati, in compagnia di Voigt e Duque, dopo una trentina di chilometri, vincendo la feroce battaglia per entrare nella fuga buona. Sono però bastati pochi chilometri del Col d’Aspin per mettere fuori gioco il sudamericano, lasciando così davanti l’italiano, il francese e il tedesco (detto così, sembrano i personaggi di una classica barzelletta). A metà Tourmalet anche il sempre belligerante Voigt ha dovuto alzare bandiera bianca. In cima al colle più scalato nell’ultracentenaria storia del Tour de France, che, avesse una voce, siamo certi griderebbe tutto il suo sdegno per essere stato mortificato in questa maniera, Pellizotti e Fédrigo avevano poco meno di 3’ su un drappello scappato sull’Aspin, comprendente tra gli altri Moncoutié, Garate, Voeckler, Van Den Broeck e Ten Dam, poi volato a terra in discesa, mentre il gruppo maglia gialla pagava 5’.
I contrattaccanti sono stati riassorbiti poco dopo la fine della discesa, a 40 km circa dal traguardo, quando era ormai già iniziato da una decina di chilometri l’inseguimento che ha dato un senso all’aver passato oltre 4 ore di fronte alla TV. I 5’ di vantaggio dei due uomini al comando erano stati infatti già dimezzati a 30 km dal traguardo, grazie al lavoro di Caisse d’Epargne e Rabobank in particolare. Per Pellizotti e Fédrigo sarebbe stato facile smettere di crederci e proseguire per inerzia, andando incontro ad un pressoché sicuro ricongiungimento. I due ci hanno invece creduto, e sono stati premiati da un improvviso rallentamento del gruppo, che ha smesso di recuperare per 5-6 km, e ha riacceso la luce della speranza nei due coraggiosi.
Normalmente, mettere assieme un italiano e un francese non è una grande idea, se è richiesta totale collaborazione, dati i non idilliaci rapporti di vicinato fra transalpini e transalpins (dipende dal punto di vista). Ma come Edgar Lee Masters insegna, se neppure un chimico può sapere con esattezza cosa risulterà dall’unione di fluidi e solidi, nessuno può sapere come reagiranno tra loro gli uomini. E così, in barba ai luoghi comuni e alle bandiere, l’italiano e il francese hanno proseguito con un accordo e un’armonia assolutamente perfetti, dividendosi equamente il lavoro fino agli 800 metri finali, quando il distacco, fossilizzatosi ormai da 2 km sui 40’’, era tale da permettere a Pellizotti di non dare il cambio a Fédrigo, e di provare a giocarsi la volata partendo da dietro.
Scelta assolutamente corretta, che però l’alfiere della Liquigas non è però stato in grado di capitalizzare. Pellizotti ha infatti anticipato il francese ai 300 metri, volendo a tutti i costi uscire in testa dall’ultima curva; Franco è riuscito nel suo intento, ma aveva evidentemente sottovalutato l’ultimo rettilineo, in cui Fédrigo, che pure aveva affrontato la curva meno bene del friulano, ha fatto in tempo a tornargli a ruota, affiancarlo e scavalcarlo, andando a cogliere il secondo successo di tappa in carriera al Tour de France, dopo la già citata affermazione a Gap di tre anni fa.
Oggi come allora, è stato un italiano ad essere castigato dallo spunto veloce del corridore della Bouygues. Per fortuna, Pellizotti, a cui resta la consapevolezza di aver compiuto uno splendido gesto atletico, e forte di un 3° posto al Giro che rende già pienamente positiva la sua stagione, ha preso la sconfitta molto meglio di quanto non fece tre anni fa Totò Commesso, che d’altro canto non alzava le braccia dal 2002. Per Fédrigo, ex campione nazionale, è la diciassettesima vittoria in carriera, curiosamente, per lui che è soprattutto uomo da classiche, fughe e percorsi vallonati, la seconda consecutiva in tappe di alta montagna (questa, malgrado tutto, era classificata come tale), dopo quella di Briançon del recente Giro del Delfinato, nella tappa dell’Izoard.
Domani, la Grande Boucle si fermerà (o meglio, si trasferirà in aereo) per il primo giorno di riposo. Riposo meritato, visto che, malgrado il ritmo non certo folle della frazione odierna (ma questa volta, a differenza di venerdì, non possiamo prendercela con i corridori e con la mancanza di coraggio), e dei Pirenei sprecati, che hanno detto tutto sommato poco, in questa prima settimana di Tour non si è avuto un giorno di respiro, tra cronometro individuali e a squadre, ventagli, cadute e salite. Nonostante per trovare una vittoria azzurra senza asterisco accanto sia ancora necessario tornare al 23 luglio 2007 e allo sprint vincente di Bennati sui Campi Elisi, l’Italia che pedala si imbarcherà sul volo per Limoges, sede di partenza della tappa del 14 luglio, vestita di giallo. Anche oggi, infatti, Rinaldo Nocentini, che si è fatto vedere seguendo una apparentemente immotivata sgasata di Armstrong su uno zampellotto ad inizio tappa (il texano si è infatti rialzato appena è stato raggiunto un gruppetto che inseguiva Pellizotti, Voigt, Fédrigo e Duque, in cui il meglio piazzato in generale era Riblon), non ha avuto problemi a conservare la maglia gialla. Con l’arrivo più vicino all’ultimo colle, probabilmente non sarebbe stato così. In fin dei conti, patriotticamente parlando, questo percorso senza senso è servito a qualcosa.
Matteo Novarini
11-07-2009
luglio 12, 2009 by Redazione
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TOUR DE FRANCE
Lo spagnolo Luis León Sánchez Gil (Caisse d’Epargne) ha vinto l’ottava tappa, Andorra La Vella – Saint-Girons, percorrendo 176,5 km in 4h31′50″, alla media di 38,957 Km/h. Ha preceduto allo sprint il francese Casar e lo spagnolo Astarloza Chaurreau. Miglior italiano è la maglia gialla Rinaldo Nocentini (AG2R La Mondiale), 28° a 1″54″. Conserva la testa della classifica con 6″ sullo spagnolo Contador Velasco e 8″ sull’americano Armstrong.
GIRO DONNE
La tedesca Trixi Worrack (Equipe Nürnberger Versicherung) ha vinto l’ottava tappa, San Marco dei Cavoti – Pesco Sannita , percorrendo 115,6 km in 3h05′26″, alla media di 37,404 Km/h. Ha preceduto di 1′13″ la statunitense Olds e la russa Bubnenkova. Migliore italiana Tatiana Guderzo (IS.C. Michela Fanini Record Rox), 5° a 1′15″. La tedesca Claudia Hausler (Cervelo TestTeam) conserva la testa della corsa, con 50″ sulla statunitense Abbott e 2′53″ sulla svizzera Brandli. Migliore italiana Fabiana Luperini, 6° a 9′13″.
GIRO DELL’AUSTRIA
L’olandese Koos Moerenhout (Rabobank) ha vinto la settima tappa, circuito a cronometro di Podersdorf am Neusiedler See, percorrendo 26,3 km in 31′36″, alla media di 49,936 Km/h. Preceduti di 2″ il canadese Tuft e di 15″ il francese Bodrogi. Miglior italiano Dario Cataldo (Quick Step), 10° a 45″. Lo svizzero Michael Albasini (Team Columbia – HTC) conserva la testa della classifica, con 1′12″ sull’ucraino Pidgornyy e 2′20″ sul bielorusso Samoilav. Miglior italiano Francesco Reda (Quick Step), 5° a 2′51″.
TOUR CYCLISTE INTERNATIONAL DE LA MARTINIQUE
Tappa suddivisa in semitappe.
Al mattino, il francese Kevin Reza (Vendée-U Pays de la Loire) ha vinto la prima semitappa, Sante Marie – Rivière Pilote, percorrendo 98,3 km in 2h34′52″, alla media di 38,08 Km/h. Ha preceduto allo sprint il martinicano Flavien ed il francese Palmiste.
Il pomeriggio il francese Tony Hurel (Vendée-U Pays de la Loire) ha vinto la seconda semitappa, circuito a cronometro di Rivière Pilote, percorrendo 15 km in 22′35″, alla media di 39,85 Km/h. Ha preceduto di 17″ e 21″ i connazionali Reza e Teillet.
Il francese Timothée Lefrançois (U C Nantes Atlantique) conserva la testa della classifica, con 1′11″ e 1′36″ sui connazionali Vignes e Diguet.
TROFEU JOAQUIM AGOSTINHO
Lo spagnolo Hector Guerra Garcia (Liberty Seguros) ha vinto la terza tappa, Manique de Intendente – Vimeiro, percorrendo 181,4 km in 4h34′54″, alla media di 39,952 Km/h. Ha preceduto allo sprint il portoghese Pinho e lo spagnolo Blanco. Lo spagnolo Guerra Garcia torna in testa alla classifica, con 6″ e 15″ sui portoghesi Machado e Cabreira.
GP CYCLISTE DE GEMENC – 1a TAPPA (disputata il 10)
L’ungherese Krisztián Lovassy (Betonexpress 2000 – Limonta) ha vinto la prima tappa, Kaposvar – Szekszard, percorrendo 126 km in 2h59′25″, alla media di 42,136 Km/h. Ha preceduto allo sprint il serbo Žolt e lo slovacco Jurco. La prima classifica vede in testa Lovassy con 4″ su Jurco e 5″ su Žolt.
GP CYCLISTE DE GEMENC – 2a TAPPA (disputata l’11)
Il ceco Adam Homolka (VIPERbike–BS Kärnten–WSA-ARBÖ-Graz) ha vinto la seconda tappa, Paks – Szekszard, percorrendo 148 km in 3h39′57″, alla media di 40,372 Km/h. Ha preceduto di 3″ il serbo Der Žolt (National Team Serbia Spartak) e di 5″ il croato Kvasina. Žolt passa in testa, con 7″ sullo slovacco Jurco e 10″ su Kvasina.