L’ULTIMO SALUTO A FRANCO
febbraio 10, 2010
Categoria: News
Abbiamo chiesto a un toscano come lui di raccontarci l’ultima fuga del Ballero, quella che ha proiettato l’eroe di due Roubaix vinte da corridore e di quattro mondiali conquistati da tecnico nel Valhalla del ciclismo, il tempio della memoria. Lassù Franco riceverà, dopo quelli attribuitigli in terra, gli applausi dei grandi campioni che lo hanno preceduto nell’impresa della vita.
“Guarda che cavallo!”. “Certo che è proprio un ganzo il nostro commissario tecnico!”. Due frasi qualunque, due frasi che magari in Toscana si capiscono al volo e nel resto d’Italia ci vuole un po’ di traduzione, soprattutto su due parole: cavallo e ganzo.
Ecco, indicativamente, vogliono dire entrambe la stessa cosa che forse con la parola “figo” tutti capiscono. In effetti, è proprio così. Franco Ballerini era un bell’uomo, oltre che nell’anima e nello spirito, anche esteriormente. Lo vedevi, in Toscana come nel resto dello stivale e nel mondo, sempre in forma smagliante, fisico asciutto, Ray-Ban fissi sugli occhi e quelle lunghe basette che non si andavano certo a confondere nella barba a volte lunga di un giorno, ma non di più.
E così era anche sabato pomeriggio all’arrivo a Donoratico nel Gp degli Etruschi e chissà che non si fosse già fatto qualche idea su quella che doveva essere la nazionale da mandare in Australia a settembre. Probabilmente vedere un Petacchi così in forma già a febbraio lo preoccupava e gli avrà anche detto: “Ale, porca miseria, vai un po’ più piano sennò non ti riesce vincere il Mondiale neanche a questo giro e poi, dopo, di chance non ne hai più”.
Ieri, tutta Italia e tutto il mondo ciclistico e non si è ritrovato a Casalguidi, una piccola frazione che senz’altro, nella sua storia, non aveva mai visto 5.000 persone in piazza. E, sinceramente, per quello che è successo, preferiva non vedercele.
L’ultimo saluto a Franco, invece, lo hanno voluto dare in tanti, i “vip” per così dire, cioè chi ha scritto e sta scrivendo la storia del ciclismo, Alfredo Martini o Franco Bitossi, Danilo Di Luca o Alessandro Petacchi, Paolo Bettini o Mario Cipollini, chi questo giochino lo dirige, vale a dire il presidente della Federazione Renato Di Rocco, chi il ct l’ha fatto, poi aveva smesso e adesso lo fa di nuovo come Marcello Lippi, un compagno di premiazioni e non solo di Ballerini: toscani entrambi, veraci, sanguigni. Si trovavano bene insieme. Ma c’era soprattutto la gente comune, quella con i capelli bianchi che è nata e vissuta inseguendo i miti del ciclismo e che vedeva passare davanti alla propria porta quel giovincello fiorentino che si allenava su e giù per il San Baronto; quella che adesso ha trent’anni e, quand’era più piccola, sapeva che ad aprile la domenica della Roubaix era prenotata dalla televisione. Tutti a seguire Franco, quel bel ragazzo che fino a tre o quattro giorni prima lo potevi trovare davanti alla tua automobile prima di rientrare a casa, dal panettiere, dal barbiere o semplicemente sapevi che era pronto per l’Inferno del Nord. Quella dei più giovani, dai sei ai diciotto anni, perché il Ballero seguiva i ragazzi, quelli di Casalguidi ma non solo, per dargli i propri consigli sull’andare in bicicletta, oppure girava nelle scuole per sentire i loro problemi, oppure dalle mani dei più piccoli riceveva questo e quel premio da questa o quella Casa del Popolo.
E, allora, svegliarsi oggi e sapere che tutto questo non ci sarà più, fa davvero male. Che uno che ha rischiato di tutto e di più nel Carrefour de l’Arbre, che si è ripreso dallo schiaffo morale del beffardo Duclos-Lassalle, che ha dominato la Foresta di Arenberg, potesse spezzare la propria vita in una piccola stradina di collina, poco lontano da casa sua, che nemmeno i ciclisti più spericolati ci passano mai di lì, che un tratto di pavè della Roubaix in confronto è l’Autostrada del Sole, questo no, non ce lo saremmo mai immaginati.
Era la sua passione il rally, dopo la bicicletta e il motocross, e sentire dalla voce della moglie quelle parole beffarde e vecchie di appena dieci giorni fa ancora più male “Domenica scorsa stava correndo un rally, la sua macchina è sbandata e si è ribaltata. Nessuno mi aveva avvertita, mi ha chiamato lui un’ora dopo e mi ha detto quello che era successo ma che non si era fatto niente”. Un avvertimento, il destino, un segno premonitore, chissà. Fatto sta che adesso Franco non c’è più.
E noi ce lo vogliamo immaginare proprio come se lo è immaginato quello che per lui era un padre, nonché il suo predecessore sull’ammiraglia della Nazionale, Alfredo Martini, che lo vede lassù in cielo con tutti gli amici del ciclismo che non ci sono più che gli si fanno incontro. Tutti, compreso quello che arriva sempre in ritardo, viene da Cesenatico e si chiama Marco Pantani. Anche lui non si vuole perdere l’incontro col Ballero e tutti insieme gli chiedono che ciclismo c’è oggi quaggiù. E il commissario tecnico della Nazionale risponde che va meglio, che si stanno buttando fuori i mercanti dal tempio.
Adesso la Nazionale di lassù ha il suo nuovo ct. Li vedremo senz’altro ai Mondiali di settembre in Australia e ci saranno anche negli anni a seguire.
Cantagrillo, Casalguidi, Pistoia, la Toscana, l’Italia, il mondo intero piangono la scomparsa di Ballerini. Ma lui è ancora qua in mezzo noi, lì nella sua nuova dimora proprio sulla prima rampa, lunga al massimo venti metri e con la pendenza all’1%, che porta al San Baronto, la “salita” per eccellenza di tutti i toscani come noi che, ogni volta che passeranno di lì, chiederanno: “Franco, che rapporto ci consigli per salire?”. E lui avrà sempre la risposta pronta.
Grazie di tutto, Ballero.
Saverio Melegari
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