UNA FRECCIA ARCOBALENO

aprile 21, 2010 by Redazione  
Filed under 6) FRECCIA VALLONE, News

Cadel Evans trionfa in maglia di campione del mondo alla Freccia Vallone, precedendo sul Muro di Huy Joaquin Rodriguez e un Alberto Contador molto brillante, ma crollato negli ultimi 100 metri. 4° un sorprendente Igor Anton; 5° e primo degli italiani Damiano Cunego. Per Evans è il primo successo stagionale. Domenica si chiude la settimana delle Ardenne con la Liegi – Bastogne – Liegi.

Foto copertina: il podio della Freccia Vallone 2010 (foto Bettini)

In passato, per molti atleti la maglia di campione del mondo è stata un peso, un fardello troppo pesante da portare sulle spalle per potersi esprimere al meglio, o quasi una fonte di sfortune sportive inenarrabili (si pensi allo sciagurato avvio di 2007 di Paolo Bettini dopo il trionfo di Salisburgo, o il terribile 2009 di Alessandro Ballan). Cadel Evans, a Mendrisio, nel settembre scorso, si è invece scrollato di dosso le paure ed i fantasmi di una carriera da piazzato, ha sfatato il mito che lo voleva incapace di vincere anche nelle condizioni più favorevoli (Tour de France 2008), e ha soprattutto acquisito una fiducia diversa nei propri mezzi. Anche gli anni scorsi, probabilmente, l’australiano si sarebbe battuto come un leone sulle rampe del Muro di Huy, ma difficilmente, di fronte alla sgasata imposta da Alberto Contador a 300 metri dal termine, avrebbe avuto la forza e la spavalderia di cambiare passo a sua volta, di piazzarsi alla ruota dell’iberico, e di passarlo nel finale come tante volte era capitato a lui in passato, facendo sua una Freccia Vallone piacevolissima anche dal punto di vista spettacolare.

Possiamo infatti giudicare positivamente le modifiche apportate al tracciato per questa edizione 2010, con l’inversione dei circuiti finali, in modo da avvicinare al traguardo il penultimo passaggio sul Muro di Huy, quest’anno a meno di 30 km dal termine. Certo, la selezione di una Liegi, o anche solo di una Amstel Gold Race, restano ben altra cosa, in virtù di un chilometraggio sensibilmente superiore, ma erano comunque anni che non vedevamo così tanti big muoversi prima dell’erta finale, dando talvolta anche l’impressione di avere beffato chi aveva optato per una condotta più attendista.

Sventata la lunga fuga promossa dopo una quarantina di chilometri da Giuseppe Palumbo e supportata da Champion, Loosli, Gourgue e Auge, e neutralizzato il contrattacco di Voigt, Righi, De Gendt, Moreau, Froome, Bakelants e Van de Walle, già il secondo e penultimo passaggio sul muro simbolo della corsa ha visto i fratelli Schleck e Alberto Contador in prima linea, con tutti i big alle loro ruote. Proprio un’accelerazione di Frank Schleck negli ultimissimi metri di salita ha aperto una frattura nel gruppo, e soltanto Kreuziger, Tankink ed un encomiabile Loosli sono stati in grado di accodarsi al lussemburghese. Con Gesink e Cunego ancora nel gruppo principale, Tankink e Loosli hanno trovato una valida ragione per fornire una collaborazione molto limitata ai due compagni di avventura, la cui azione è stata comunque sufficiente a dilatare il margine sul plotone fino a 30’’ circa, complice la scarsa collaborazione alle loro spalle, con i Katusha – presenti in forze – impegnati più a piazzare scatti sconclusionati in serie che ad organizzare un vero inseguimento.

Proprio una di queste azioni apparentemente dissennate, promossa da Alexandr Kolobnev a 8 km dal traguardo, quando anche la Cote d’Ereffe, penultima ascesa in programma, era ormai alle spalle, cui si sono uniti Vaugrenard e Anton, ha però dato nuova linfa alla gara e al gruppo, che solo allora si è scosso dal suo torpore. Il terzetto ha riagganciato i quattro di testa, e Kolobnev ha avuto addirittura la forza di ripartire e avventurarsi in un coraggioso tentativo solitario, con il solo risultato però di rivivere a distanza di tre giorni l’aggancio in extremis patito sul Cauberg domenica scorsa (questa volta, perlomeno, il sogno si è infranto un po’ più lontano dall’arrivo, a 1500 metri circa dalla linea bianca).

Neutralizzato anche l’attacco del russo, nulla ha potuto evitare la classica bagarre conclusiva sul Muro di Huy. Bono e Failli sono stati i primi a muoversi, ma è stato Andreas Kloden il primo a far tremare i favoriti, costringendoli ad una pronta reazione, capeggiata da Igor Anton. Il basco, dopo aver raggiunto il tedesco, ha proseguito con decisione nella sua progressione, cui soltanto Alberto Contador è riuscito ad accodarsi prontamente, mentre Nibali ha dilapidato tutte le energie residue in un interminabile inseguimento alla ruota del madrileno, che lo ha portato a crollare nel momento stesso del ricongiungimento. Quando Anton ha finito la benzina, Contador ha forse avuto qualche secondo a disposizione per andarsene e mettere in cassaforte la corsa, ma il leader della Astana, insolitamente prudente, ha tergiversato, consentendo il rientro di Cadel Evans e Joaquin Rodriguez. Solo allora Alberto ha provato a cambiare marcia, non riuscendo però a quel punto a staccarsi di ruota l’australiano e l’ex gregario di un anonimo Valverde.

Come detto, Evans, forte delle energie supplementari fornite dalla maglia iridata, ha allora passato di slancio il due volte vincitore del Tour de France, scavalcato anche da Rodriguez, andando a conquistare la prima grande classica della carriera. Un brillante ma fin troppo generoso Anton ha chiuso al 4° posto, mentre Cunego, rimasto tutto il giorno nell’ombra, si è parzialmente ridestato nel finale, chiudendo 5°, con il rimpianto di aver forse intrapreso un po’ troppo indietro l’erta conclusiva. Solo 6° il vincitore dell’Amstel e favorito della vigilia, Philippe Gilbert, mentre Valverde e Andy Schleck si sono dovuti accontentare, rispettivamente, dell’8° e del 9° posto.

Manca ora soltanto la Liegi – Bastogne – Liegi alla conclusione della campagna del Nord più avara di soddisfazioni azzurre da parecchi anni a questa parte. Poche sono le ragioni di sperare in una riscossa italiana, mentre parecchi sono i motivi di interesse per domenica prossima: Contador andrà in caccia della prima classica monumento in carriera; i fratelli Schleck troveranno terreno più adatto alle loro caratteristiche; Valverde cercherà di proseguire la tradizione favorevole negli anni pari dopo i successi del 2006 e del 2008; Gilbert proverà a riportare il Belgio sul tetto della Liegi dopo 11 anni (l’ultimo a riuscirci fu Vandenbroucke nel 1999). Senza dimenticare Rodriguez, Cunego, Anton, il trio Katusha Ivanov – Kolobnev – Rodriguez. Sempre che Cadel Evans, corridore che a 33 anni sembra in continua crescita, non voglia continuare a stupire.

Matteo Novarini

Cadel Evans esulta dopo aver espugnato il muro di Huy (foto AFP)

Cadel Evans esulta dopo aver espugnato il muro di Huy (foto AFP)

ALPHA AMSTEL PER L’OMEGA: GILBERT LOTTA MORDE VINCE

aprile 18, 2010 by Redazione  
Filed under 5) AMSTEL GOLD RACE, News

Vittoria inaugurale della stagione (sei mesi a bocca asciutta) per la squadra belga, forse non casualmente fuori casa – seppur di poco – a fronte di un movimento in divorante ansia da prestazione. Oggi però Gilbert era davvero il “maschio alfa” del gruppo, ringhioso su ogni abbaio degli avversari, aggressivo nei tratti più selettivi, devastante sul Cauberg. Segnali di vitalità per l’Italia, prorompenti i russi, flosci nel finale gli Schleck, deludente l’Olanda. Dispersi gli spagnoli.

Foto copertina: Philippe Gilbert taglia per primo il traguardo del Cauberg (foto Bettini)

L’Amstel erutta ai meno venti, e il nervosismo tellurico covato fin lì per 240km di insidie prorompe in scintille. Fino ad allora, un copione già scritto (la fuga senza illusioni, prevalentemente composta dai piccoli team del Benelux; le sferzate in testa al gruppo di Saxo, Lampre e Rabobank; la minaccia sempre incombente di strade al limite del viottolo, spartitraffico, curve cieche) ma non per questo meno vibrante nelle sue tensioni o meno estenuante per i protagonisti. Tant’è che uno dei favoritissimi della vigilia, Joaquin Rodriguez, scivola in fondo al gruppo alle prime accelerazioni, per non rientrare più tra i migliori.
Il Kruisberg, quint’ultima asperità, innesca lo spunto di un veemente Marcato che prende il largo da solo, nell’apparente noncuranza del gruppo che rifiata dopo aver addentato l’osso costituito dalla fuga del mattino. Si tratta però della proverbiale scintilla, perché sul berg successivo – il temuto Eyserbosweg, la “salita delle antenne” – iniziano a pompare in sincrono i pistoni dei migliori, sulla scia di un irruente Andy Schleck che tradisce in questa iniziativa il suo ruolo tattico di appoggio al fratello (alla faccia delle dichiarazioni davvero “di facciata” della vigilia, o forse poco convinto delle proprie sensazioni in gara). Risulta immediatamente chiaro chi siano i più reattivi, e la selettività da vera grande classica dell’Amstel sarà confermata nel ritrovare tra i primi all’arrivo i medesimi che si stan già esponendo qui, nonostante gli innumerevoli rimescolamenti di carte che seguiranno.
Cunego, Gilbert, Kolobnev, Nibali, Kreuziger non mollano un metro al ragazzo in maglia lussemburghese, mentre dietro la coppia Liquigas Nibali-Kreuziger incalza. La situazione resta estremamente fluida, e quando dopo meno di quattro km la strada ritorna a salire – benché dolcemente – sul Fromberg, è Cunego a prodursi in una fiondata nell’intento di strappare finalmente il tessuto sfilacciato ma ancora elastico del gruppo. L’importanza delle “coppie” emerge sempre più visibile nella dinamica di gara, quando gli Schleck si alternano in un uno-due pugilistico che invola Frank, tallonato da un cocciuto Gilbert assieme al quale reggono solo i già brillanti Cunego e Kolobnev.
Dietro è però un Evans insistente e generoso, forse fin troppo (tanto da far supporre un ruolo di gregariato a vantaggio di Kroon), a riportare sotto il gruppo nel quale stenta clamorosamente Gesink.
I cinque km che conducono al Keutenberg, la più tagliente asperità del finale, sono tutt’altro che di transizione, perché a lanciarsi all’assalto in cerca del bis è l’altra faccia della Katusha (già staccatosi un pur volenteroso Pozzato): Ivanov. Un azione in pianura che marca una differenza netta rispetto alle gesta in salita viste fin qui, e a poter reagire sono solo gli atleti dotati di una valenza duplice che li premia anche nella pura potenza: Van den Broeck in stopping per Gilbert. Poi Evans, che cocciuto raggiunge i due proprio in corrispondenza delle prime staffilate della salita. Una mossa bella a vedersi quanto fatale, giacché da qui in poi il campione del mondo resterà stabilmente in debito d’ossigeno.
Ivanov rilancia con violenza inattesa e saluta la compagnia, con Evans che prova drammaticamente a seguire mentre Gilbert risale deciso; e la scelta del vallone, in passato tanto tatticamente scriteriato, è perfetta. Dopo tanto chiudere lo scopriamo in cima alla salita pigliare e passare in scioltezza il campione in carica, approfittando del falsopiano sommitale per scavare un solco sugli inseguitori – Frank, Kolobnev e Cunego – cui si aggancia con la forza della disperazione l’ansante Ivanov.
Ma la ruota della sorte gira nuovamente: il quintetto di quelli che ormai è chiaro essere i capibranco di questa Amstel si ricompatta, per i pochi istanti necessari a veder decollare il contropiede di Kolobnev, in un gioco di squadra ben bilanciato e davvero encomiabile. Gilbert non può rispondere, stavolta, Schleck senior non ne ha la forza, Cunego i mezzi, Ivanov la minima intenzione. Ed ecco la situazione che perdurerà fino al determinante, conclusivo Cauberg. Kolobnev solitario, a tutta, con 10″ sul compagno Ivanov che siede a ruota mentre spingono F. Schleck, Gilbert e Cunego; ad altri 10″ il gruppo, o meglio quel che ne resta, con la Rabobank a tirare per Freire (clamorosamente sopravvissuto) e Nibali per Kreuziger. A lavorare per gli arancioni è Gesink, rinvenuto ma evidentemente non in grado di competere per la vittoria: così come Kreuziger dichiarerà con meritoria franchezza che Vincenzo, avvertendo segni di crampi, si è messo cavallerescamente al servizio del compagno. La trenata “del cigno” di Nibali è tanto veemente da assomigliare ad un allungo, e da chiudere definitivamente ogni spazio, riportando ai piedi della salita un gruppetto compatto.
Sarà volata, la peculiare, intensa, drammatica volata in salita del Cauberg.
Un Quickstep prova ad anticipare, ma non c’è storia. Gilbert a canini scoperti ulula una progressione devastante, cui provano a resistere Cunego, F. Schleck e Kreuziger, ritrovandosi però a ruotare le gambe al ralenti quando l’acido lattico esige il suo tributo. Saranno comunque loro a completare la top ten, assieme a una selezione di attendisti che hanno passato la giornata nelle – relative – retrovie per giocarsi tutto nella roulette della flamme rouge. Secondo è il sorprendente Hejsedal, già bravo in gare selettive ma qui davvero esplosivo, poi un ottimo sornione Gasparotto per i colori italiani (a coronare in termini di risultato le prestazioni più vivide offerte dalla generosità di Marcato e e dalla gara autorevole di Cunego). C’è De Waele quarto, poi, come accennato, Kreuziger più fresco, Cunego encomiabile – forse il più forte oggi, dopo Gilbert – Frank Schleck, Marcato e infine Kroon e Horner, due atleti dai quali ci si attendeva, per nazionalità e tattica in un caso, per periodo di forma nell’altro, qualcosa di meglio, specialmente avendo gestito fin lì una competizione al risparmio.
Strepitoso Gilbert: attento, ben assistito, intelligente, potente. Si impreziosisce il palmarès di un campione che sta dimostrando di aver effettuato quel salto di qualità e maturità che parallelamente ma un po’ fantomaticamente (anche per malasorte) si invoca pure per il suo vecchio “gemello” – per talento e dissipazioni strategiche – Pozzato. Finalmente un campione da classiche che, senza la forzature che vedremmo in un Cancellara, si dimostra dotato e competitivo in ogni tipologia di gara in linea, ricucendo quella ferita che si era ormai consolidata tra pietre, Ardenne e primavera/autunno d’Italia. Bravo, bravissimo Cunego: competitivo ai massimi livelli, punito dalle girandole tattiche che l’han costretto a esporsi molto e invano sul terreno a lui meno congeniale, il piano. Attendiamo fiduciosi il resto delle Ardenne. Complimenti alla Katusha, che pur orfana di due pezzi da novanta come J. Rodriguez e Pozzato (il lungo viaggio in auto assieme li avrà debilitati?) anima il cuore della gara con un gioco di equipe da manuale. Ci si attendeva qualcosa di meglio dai favoritissimi Schleck, entrambi in cima alle liste dei bookmakers dopo il forfait di Valverde. Invece la scarsa incisività di Frank (certo, con un Andy non determinante, per risparmio verso le prossime gare o per forma non eccezionale) è stata ancora una volta fatale e entrambi. Bene Freire, ma il Cauberg non fa per lui, giornata no per Gesink, mentre Kroon spreca un Evans monumentale. Complimenti a Marcato, nella top ten dopo aver aperto le danze: peccato per i pochi inviti ricevuti quest’anno dalla Vacansoleil.

Gabriele Bugada

CANCELLARA UBER ALLES

aprile 13, 2010 by Redazione  
Filed under 4) PARIGI - ROUBAIX, Approfondimenti

Cancellara, sette giorni dopo il Giro delle Fiandre, domina anche la Parigi-Roubaix, bissando il successo del 2006. Boonen, scattato più volte lungo il tracciato, cerca orgogliosamente di riscattare la delusione patita nella “classica dei muri” ma niente ha potuto contro lo strapotere dell’elvetico. A fare da cornice all’impresa del campione svizzero, i piazzamenti di Hushovd e Flecha, che nel finale si sono avvantaggiati sul gruppetto di Boonen, del quale faceva parte anche il campione italiano Pozzato. A emblema della superiorità del vincitore si pone il gesto sconsolato (ma lo capiamo!) di un Leukemans che, dopo aver resistito qualche chilometro in scia alla locomotiva di Berna, si è visto inesorabilmente allontanarsi l’asso elvetico.

Foto copertina: Cancellara taglia solitario il traguardo nel velodromo di Roubaix (foto Riccardo Scanferla)

FABIAN CANCELLARA. Questo fenomeno mette in crisi non solo gli avversari ma anche chi deve commentare una gara già decisa quando al traguardo mancano ancora 50 km. A Cancellara è bastato un attimo di disattenzione di Boonen per guadagnare sugli inseguitori un vantaggio tale che, ai meno venti dall’arrivo, si poteva già parlare di passerella trionfale. La condotta di gara è stata perfetta anche dal punto di vista tattico, in quanto l’elvetico si è dimostrato freddo e calcolatore nei momenti critici della corsa, controllando con lucidità le sfuriate di Boonen. VOTO: 10 E LODE.

JUAN ANTONIO FLECHA. Vedere un iberico sempre protagonista nell’Inferno del Nord fa sempre una certa impressione. Riesce a riscattare la brutta prestazione del Fiandre proponendosi nel finale, insieme a Hushovd, ancora sufficientemente in forma da provare un allungo valido per aggiudicarsi un posto sul podio. Forse è stato troppo generoso, negli ultimi 2 km, nel trainare un compagno di fuga nettamente più veloce di lui allo sprint. VOTO: 7,5.

THOR HUSHOVD. Il possente corridore della Cervèlo è l’unico nel finale a poter disporre di un gregario di lusso come Hammond anche se sarebbe stata necessaria una cronosquadre in stile US-Postal per riuscire a stare agganciati al treno di Berna. Migliora il piazzamento ottenuto lo scorso anno aggiudicandosi, nella volata a due con Flecha, il posto d’onore. VOTO: 7.

ROGER HAMMOND. Corre tutta la gara come spalla di capitan Hushovd. Nonostante questo è in grado, nel finale, di stoppare il tentativo disperato di Boonen di riprendere almeno il duo Flecha-Hushovd, che si era sganciato precedentemente. Giunto al velodromo riesce pure, prepotentemente, a cogliere il quarto posto nella volata a due con il campione belga. VOTO: 7.

FILIPPO POZZATO. Reduce da alcuni giorni di forzato riposo a causa di problemi intestinali, il campione italiano ha saputo correre una gara sempre tra le prime posizioni, giungendo infine settimo, anche se nel finale ha un po’ accusato la mancanza di fondo. A lui va il premio dedicato alla memoria del compianto Ballerini e riservato al primo italiano classificato. VOTO: 6,5.

TOM BOONEN. Strapazzato per bene sulla stampa belga, negli ultimi giorni, da uno che di Roubaix e di classiche in generale se ne intende, ovvero Roger De Vlaeminck, il campione della Quick Step ha completamente sbagliato la tattica in corsa. Pur correndo senza l’appoggio della squadra, decide di attaccare a ripetizione, quando manca ancora tanto al traguardo, ma si lascia sorprendere nel momento in cui Cancellara decide di allungare. Le diverse caratteristiche del percorso rispetto al Fiandre e la presenza di uomini come Hushovd, sulla carta più veloce di lui allo sprint, hanno forse indotto il belga a sollecitare il sostegno del campione svizzero in una fuga a due su di un tracciato dove sarebbe stato in seguito più difficile, anche per uno come Cancellara, staccarlo e giungere solitario fin sul traguardo. Lui e il suo direttore sportivo hanno fatto male i conti. VOTO: 4,5.

Francesco Gandolfi

BOONEN, IL PENDOLINO TE L’HA FATTA

aprile 11, 2010 by Redazione  
Filed under 4) PARIGI - ROUBAIX, News

Cancellara lascia Boonen, e il resto del gruppo, a 50km dall’arrivo e per lo svizzero è un trionfo, la gara per il podio vede Hushovd superare in volata Flecha, a tre minuti Boonen chiude quinto dietro a Hammond e davanti a Leukemans e Pozzato. Per il belga una Parigi-Rubaix corsa davvero male.

Foto copertina: Cancellara prende il volo (foto Luca Bettini)

Una standig ovation per Cancellara all’ingresso solitario del velodromo, un ultimo giro corso senza mani sul manubrio a godersi il trionfo, un festeggiamento che inizia bel prima dell’ingresso tempio del ciclismo, quando nessuno si sognerebbe di distogliere lo sguardo dalla strada stremato per le fatiche del paves. Ma in realtà oggi la gara si è chiusa 50km prima del previsto, quando Boonen capitola per evidenti lacune tattiche e palese inferiorità fisica.

Siamo certi di poter dire che il pendolino di Berna avrebbe vinto ugualmente anche senza l’aiuto del belga, tale era la condizione dell’elvetico: stratosferica. Ma sicuramente senza la fretta e la voglia di strafare di Boonen, Cancellara non avrebbe avuto la vita così facile. Troppe energie sprecate in continui inutili attacchi su cui gli avversari hanno sempre ricucito. Poi una fatale disattenzione: si porta in coda al gruppo per bere e il danno è fatto, Cancellara lo vede, non ci pensa e scatena tutta la sua potenza, in due chilometri lascia i primi e va a riprendere il terzetto di testa, pochi secondi per rifiatare e ancora un’accelerazione per scrollarsi di dosso tutti, Leukemans è l’ultimo che, eroicamente, resta attaccato con le unghie per tutto il 13° tratto di paves ma poi anche lui è costretto a mollare e rientrare nel gruppo inseguitore per giocarsi il secondo posto.

In pochi chilometri l’unico avversario di Cancellara rimane la sfortuna, ma oggi l’elvetico aveva già pagato con una foratura alla bestia nera che spesso decide gli ordini d’arrivo di gare così particolari, nulla comunque in confronto a quello che paga Devolder, contro cui la jella si accanisce in più di un epicodio.

Dunque la gara, davanti, si chiude a 50km dal traguardo, ma la bagarre per il podio è ben distante dall’essere chiusa, anzi forse non si è ancora accesa. I migliori, escluso Cancellara, sono tutti insieme: Boonen, Pozzato, Hushovd, Hammond, Hinault, Hoste, Leukemans, Flecha, forse manca solo Knaven che oggi ha corso per il record di 16 Parigi-Rubaix concluse consecutivamente: per lui obiettivo raggiunto.

Il problema tra gli inseguitori è che non si instaura nessun tipo di collaborazione a tutto vantaggio del trenino di Berna che gestisce in maniera ottima la sua crono solitaria di 50km, si avete capito bene 50km in solitaria su strade difficili, per usare un eufemismo, come quelle belga.

Per Boonen grande delusione e tanto rammarico, tanto da perdersi anche la lotta per il secondo posto, quella del terzo e di chiudere addirittura quinto battuto in volata da Roger Hammond.

A sorprendere il belga sono Flecha e Hushovd che nell’ordine lasciano il gruppetto inseguitore dove si segnalava un Pozzato in grande difficoltà, ma l’italiano chiude stoicamente la gara nonostante i postumi di un’influenza che lo aveva colpito nei giorni passati aggiudicandosi il trofeo in onore del defunto Franco Ballerini, onorato con settimo posto.

La volata per la seconda piazza finisce in favore di Hoshovd con Flecha, francamente senza grosse speranze, che si limita ad applaudire mentre fanno l’ingresso nel velodromo gli ultimi componenti del gruppo dei big, Leukemans senza chanches tira la volata al duo Hammond-Boonen con il primo che, come detto, si aggiudica la medaglia di legno.

Una giornata davvero storta per il belga che avrà molto da recriminare soprattutto per quanto riguarda il suo modo di correre, troppo dispendioso prima e distratto poi, poco supportato da una squadra che “vive” per le classiche del nord non può fare molto quando si ritrova a dover inseguire, da riconoscere alla Saxo Bank la capacità di tenere otto uomini su otto in testa alla corsa fino al momento decisivo, anche se il loro unico merito alla fine è quello di aver contenuto il vantaggio dei primi fuggitivi. Ad un Cancellara così non serve nemmeno una squadra perché è in grado di fare tutto da solo come ha dimostrato ampiamente con la dopietta Fiandre-Rubaix, certo che se poi si mette anche una netta superiorità di tutta la squadra per il resto dei contendenti rimangono solo le briciole.

Andrea Mastrangelo

OSS, UN ALTRO LIQUIGAS DA TENERE SOTTOCCHIO

aprile 6, 2010 by Redazione  
Filed under 3) GIRO DELLE FIANDRE, Approfondimenti

L’elvetico Cancellara fa sua la terza classica monumento dopo Parigi-Roubaix e Milano-Sanremo al termine di un duello con l’idolo di casa, Tom Boonen, iniziato quando al traguardo mancavano una quarantina di chilometri. Terzo al traguardo l’altro belga Philppe Gilbert. Deludente prova degli italiani, anche a causa dell’assenza del campione italiano Pozzato, in parte riscattata dalla brillante prestazione del giovane trentino della Liquigas Daniel Oss.


Ecco le pagelle sulle corsa fiamminga.

Foto copertina: Daniel Oss in azione nell’ultima edizione della Montepaschi Strade Bianche (www.danieloss.it)


FABIAN CANCELLARA.
Corre con autorevolezza tutta la gara sapendo che per vincere occorre isolare il suo principale avversario, Boonen, sulla carta più veloce del tre volte campione del mondo a cronometro in un eventuale arrivo allo sprint. Cancellara aspetta il Molenberg per fare il vuoto, risalendo di potenza un gruppetto del quale faceva parte anche il nostro Oss, trascinandosi a ruota un non del tutto convinto Boonen. Si forma così una coppia al comando nella quale, però, il più attivo è sicuramente il campione svizzero. Solo quando il margine di vantaggio sugli inseguitori diventa significativo Boonen decide di collaborare, anche se la sua pedalata appare da subito legnosa o quantomeno non così efficace come quella del compagno di fuga. Infatti, giunti sul muro di Grammont il belga ha dovuto inchinarsi di fronte alla potente e nel contempo elegante progressione di uno straripante e incontenibile Cancellara, che arriverà al traguardo con un vantaggio di oltre un minuto. VOTO: 10.

TOM BOONEN. Il più atteso alla vigilia. Con il suo secondo posto l’idolo di casa ha deluso i suoi connazionali, anche se interpreta una prova che, seppur corsa sempre nelle prime posizioni, risulta oscurata dalla prestazione fuori dal comune di Cancellara. Forse tatticamente criticabile la sua scelta di seguire quest’ultimo, accettando di collaborare con un atleta che oggi ha ricordato le gesta e la spavalderia di Merckx. VOTO: 8.

PHILIPPE GILBERT. Dopo lo strepitoso finale di stagione 2009, il portacolori della Lotto era intenzionato a far sua questa classica. Sempre presente in ogni fase della corsa, non si fa trovare nelle migliori posizioni nel momento decisivo per rispondere all’allungo di Cancellara. Suo il tentativo di riagganciare il duo di testa assieme a Millar (staccatosi nel finale) e di Leukemans. L’appuntamento è solo rimandato alla Doyenne. VOTO: 7,5.

DANIEL OSS. Il giovane trentino, 23 anni, dopo la splendida prestazione alla Classicissima – confermata, poi, dal quinto posto nella Gand-Wevelgem – si mette in evidenza anche nel Giro delle Fiandre. Dopo aver recuperato lo svantaggio accumulato nell’ascesa del Koppenberg, tenta un’azione nel tratto pianeggiante che precede lo strappo, che risulterà decisivo, del Molenberg. Infatti, non riesce a rispondere all’attacco di Cancellara il quale riuscirà a scollinare con un leggero vantaggio. Nel futuro saprà regalarci grandi soddisfazioni. Un altro nome da segnalare sul taccuino, dopo quello del suo compagno di squadra Sagan. VOTO: 7.


MATTI BRESCHEL.
La sfortuna è amica dell’atleta danese che, pur supportato da un evidente ottima condizione, è messo fuori gioco da una foratura e dall’inettitudine dei suoi meccanici i quali, sbagliando bicicletta, gli fanno perdere tempo prezioso, che non sarà più recuperato. Ciclista versatile, già vincitore della medaglia di bronzo ai Campionati del Mondo del 2008, potrà ben figurare anche nelle classiche valloni. Lo aspettiamo. VOTO: 7.

LANCE ARMSTRONG
. Doveva essere una gara di preparazione in vista della Grand Boucle e così è stata. Bisogna, però, ammettere che l’americano si è più volte fatto vedere nelle prime posizioni del plotone, provando addirittura un timido allungo. Una volta scattato Cancellara, il texano conclude la prova nel gruppetto dei primi inseguitori regolati da Farrar (che merita un 6,5). Lo rivedremo, come ai vecchi tempi, solo a luglio. VOTO: 6.

Francesco Gandolfi

IL CICLONE CANCELLARA SPAZZA VIA IL TORNADO BOONEN

aprile 4, 2010 by Redazione  
Filed under 3) GIRO DELLE FIANDRE, News

Il fuoriclasse svizzero vince in solitaria il 94° Giro delle Fiandre, staccando sul Muro di Grammont Tom Boonen, unico a resistere al primo tentativo dell’elvetico sul Molenberg. 3° posto per Gilbert, molto brillante ma poco attento al momento dello scatto di Cancellara. 4° e 5° i sorprendenti Leukemans e Farrar. Mai in lotta per la vittoria gli italiani, orfani di Pozzato, con Ballan fuori condizione e sacrificatosi per Hincapie.

Foto copertina: Cancellara all’attacco sul muro di Grammont (foto Bettini)

Dopo due edizioni che avevano lasciato l’amaro in bocca, con altrettanti successi di Stijn Devolder, certamente meritati, ma in gran parte frutto dell’esasperato marcamento a uomo tra i favoriti della vigilia, il Giro delle Fiandre 2010 ha ripagato gli appassionati delle delusioni degli anni passati, offrendo battaglia sin dai primi muri in programma, e in particolar modo nei 45 km conclusivi, teatro dell’atteso, splendido duello tra Tom Boonen e Fabian Cancellara, primo e secondo favorito della vigilia rispettivamente. Decisivi, in tal senso, i cambiamenti apportati al percorso, in particolar modo con l’eliminazione della salita dell’Eikenmolen, che nel 2008 e nel 2009 aveva lanciato le azioni vincenti di Devolder, e soprattutto lo spostamento da primo a decimo muro del Molenberg, passato da ascesa di riscaldamento a passaggio chiave della corsa a distanza di dodici mesi.
Che Cancellara, mago delle pietre ma fino ad oggi mai realmente competitivo al Giro delle Fiandre, avesse intenzioni bellicose per la gara odierna è risultato chiaro ben prima che i muri iniziassero ad accendere la corsa, allorché la Saxo Bank, con i fuggitivi della prima ora (Merlo, Rousseau, Van Leijen, Goesinnen, Garcia Acosta, Ignatiev, Bonnaire e Boucher) che avevano ormai acquisito 13’ di margine sul gruppo, ha deciso di prendere in mano le redini dell’inseguimento, sostituendosi in questo ruolo alla Quick Step di Boonen, tradizionalmente squadra faro al Nord. Gli uomini in bianco e nero hanno facilmente rintuzzato l’iniziativa degli otto battistrada, che con le prime asperità hanno iniziato a perdere pezzi, prima di dar fuoco alle polveri sin dall’Oude-Kwaremont, a poco meno di 85 km dal termine. È stato Stuart O’Grady ad alzare con decisione il ritmo, mettendo in fila un gruppo che è stato invece sbriciolato dalle progressioni inscenate poco dopo da Matti Breschel sul Paterberg e, soprattutto, sul Koppenberg, sul quale il solo Tom Boonen è stato in grado di accodarsi al campione danese.
Rialzatisi Breschel e Boonen, riassorbiti da un drappello di poche decine di unità comprendente tutti o quasi i grandi nomi, e ripresi i reduci della fuga del mattino, la corsa ha vissuto una fase di relativa calma, fino a quando la Saxo Bank non è tornata protagonista, questa volta in negativo: Cancellara ha forato a poco meno di 60 km dal traguardo, mentre poco dopo è toccato a Matti Breschel cambiare la bici (due volte) per un guaio meccanico. E se lo svizzero è riuscito a rientrare con relativa facilità, non altrettanto bravo e fortunato è stato il danese, che ha perso nell’operazione non meno di quaranta secondi, rimanendo così tagliato definitivamente fuori dalla lotta per il successo.
Forse anche per la perdita del suo miglior compagno di squadra, oltre che per l’ovvia necessità di staccare Tom Boonen prima del finale, alla luce della netta superiorità del belga allo sprint, Cancellara ha deciso di muoversi in prima persona già a 45 km dal traguardo, sulle rampe del Molenberg. Soltanto lo stesso Tornado Tom ha avuto la prontezza e la forza di accodarsi all’elvetico, mentre Philippe Gilbert, in seguito dimostratosi il terzo uomo più forte in gara, si è fatto colpevolmente cogliere impreparato nel momento chiave della corsa, e a poco sono valsi, nei chilometri successivi, i numerosi scatti prodotti dal vallone per ricucire il gap. Con ancora quattro muri e oltre 40 km da percorrere, non era scontato che Boonen accettasse di collaborare con lo svizzero, certamente avvantaggiato dalla possibilità di rendere quanto più dura possibile la corsa, ma il belga, forse anche eccedendo in coraggio, ha accettato di giocarsi la gara in una situazione tattica favorevole all’avversario, fornendogli peraltro una più che discreta collaborazione.
Scalati in relativa tranquillità il Berendries e il Tenbosse, con un margine lievitato nel frattempo fino a raggiungere e superare i 50’’ nei confronti di David Millar, evaso dal gruppetto degli inseguitori, cui si sono aggiunti Gilbert e Leukemans dopo il quartultimo muro, la coppia di testa è giunta a giocarsi la gara sulle ultime due asperità, Kapelmuur (Grammont) e Bosberg. Tutti, Boonen in primis, attendevano un attacco di Cancellara da un momento all’altro, ma l’essere preparato non è bastato al belga allorché il bernese, a 200 metri dalla vetta dell’ascesa simbolo del Fiandre, ha innestato il rapportino e ha iniziato a mulinare sui pedali a frequenze inverosimili su pendenze del 18-20%. Malgrado l’immediata replica tentata dal belga, Cancellara ha guadagnato una dozzina di secondi nelle poche centinaia di metri rimaste, secondi diventati una quarantina appena 3 km più tardi, ai piedi del Bosberg. L’ultimo muro è servito all’elvetico per sigillare la terza classica monumento in carriera, dopo Roubaix e Sanremo, portando il vantaggio oltre il minuto, prima di godersi la passerella degli ultimi 12 km, percorsi quasi in scioltezza. All’ultimo chilometro, il diretto di Berna ha avuto addirittura il tempo di mostrare alla telecamera una medaglia, di prendersi le congratulazioni dell’ammiraglia, e di sventolare la bandiera elvetica mentre tagliava il traguardo a velocità turistica, nella rivisitazione in chiave ciclistica dell’epilogo della 4 x 10 km di sci di fondo di Torino 2006.
Più o meno allo stesso passo, ma per motivi opposti, ha tagliato il traguardo Tom Boonen, 2° a 1’14’’, massimo distacco tra primo e secondo visto al Fiandre da quindici anni a questa parte (per trovarne uno maggiore bisogna risalire al minuto e 27’’ rifilati da Museeuw a Baldato nell’edizione 1995). Il gradino più basso del podio è andato a Philippe Gilbert, che, dopo aver staccato Millar con una decisa progressione sul Grammont, ha preceduto nettamente Bjorn Leukemans nello sprint a due. 5° un sorprendente Tyler Farrar, da cui mai ci saremmo aspettati una simile resistenza sui muri fiamminghi, capace di precedere un comunque encomiabile George Hincapie, che, a dispetto dei quasi 37 anni, ha colto l’ennesimo piazzamento nei dieci sul pavé.
Mai veramente competitivi gli italiani, privi dell’influenzato Pozzato, e di fatto anche di Alessandro Ballan, la cui condizione alquanto deficitaria ha spinto la BMC a puntare tutto su Hincapie. La speranza, per i nostri colori, è che i nostri due alfieri – specie Pozzato, che prima dei recenti problemi di febbre e dissenteria aveva dato prova di una condizione invidiabile – riescano ad essere al meglio tra una settimana, in occasione della Parigi – Roubaix, ultimo appuntamento della campagna del pavé. Anche se, con un Cancellara così, una condizione ottimale potrebbe non essere sufficiente.

Matteo Novarini

L’AUSTRALIA SUL TETTO DEL MONDO

marzo 30, 2010 by Redazione  
Filed under Giro di pista, News

Si sono conclusi domenica i campionati del mondo su pista disputatisi a Copenaghen.
A far la parte del leone è stata l’Australia che ha strappato lo scettro del dominio alla Gran Bretagna.

Il 2010 è l’anno che segna il giro di boa fra due Olimpiadi e, per quanto riguarda la pista, questo dato è determinante.
Determinante perché le federazioni investono in base alle possibili medaglie che si possono racimolare ai giochi olimpici. Inoltre, i campioni in grande spolvero a Pechino stanno iniziando a perdere colpi mentre coloro che saranno protagonisti a Londra stanno iniziando a farsi conoscere al grande pubblico.
Degno di nota è il fatto che questi sono stati i primi mondiali disputati dopo l’ufficializzazione del nuovo programma olimpico, caratterizzato da notevoli e inappropriate modifiche rispetto al passato.
Le prove veloci, quelle privilegiate dal nuovo programma olimpico, sono state molto combattute e incerte. Fra gli uomini il riferimento degli ultimi anni era sir Cris Hoy, vincitore di 3 medaglie d’oro alle Olimpiadi di Pechino e dominatore della prima prova di Coppa del Mondo di quest’anno, che ci aveva fatto pensare a un suo regno di lunga durata. La sua “tirannia”, invece, si è infranta già nella prima prova veloce, la velocità a squadre, dove un’arrembante Germania ha superato nella finale la sorprendente Australia, relegando la Gran Bretagna alla finalina (poi vinta).
Il keirin sembrava rimettere le cose a posto perché Hoy ha corso da padrone mostrando potenza ed esperienza, ma la velocità è stata dura con il campione britannico: già agli ottavi è stato costretto ai ripescaggi e poi è stato definitivamente eliminato dalla prova dal francese Bauge ai quarti.
La prova della velocità è stata vinta dall’atleta transalpino Bauge che, dopo aver superato Hoy, passa anche Sireau (primatista del mondo sui 200 metri) e, in finale, l’australiano Perkins, confermandosi così campione del mondo. Il km da fermo, unica prova veloce non inclusa nel calendario olimpico e per questo snobbata da molti velocisti, è risultata lo stesso una prova di alto livello e alla fine l’ha spuntata l’olandese Teun Mulder col tempo di 1’00’’341.
Fra le donne Victoria Pendleton non sembrava essere nel pieno della forma, ma con la classe che la contraddistingue riesce comunque a vincere la velocità sulla cinese Guo, abbonata ai piazzamenti, e ad arrivare seconda dietro alla Krupeckaite nel keirin. L’Australia vince, stabilendo il nuovo record del mondo, la velocità a squadre con Mc Culloch e Meares (con quest’ultima che si aggiudica anche l’oro nei 500 metri).

Nelle prove di resistenza la gara più attesa, in quanto inserita nel programma olimpico, è stata l’inseguimento a squadre. Anche qui ci sono state molte sorprese: fra le donne a spuntarla è l’Australia che ha superato la Gran Bretagna, nella finalina per il bronzo ha vinto la Nuova Zelanda stabilendo (forse era meglio farlo nella prova di qualificazione) il nuovo record del mondo sui 3000 m, mentre l’inseguimento individuale va alla statunitense Hammer che ha superato le avversarie di 4’’.
Fra gli uomini a spuntarla nell’inseguimento a squadre è l’Australia che ha superato sul filo dei millesimi una Gran Bretagna priva di due dei suoi migliori inseguitori (Gerain Thomas e Bradley Wiggins, che ormai sembra aver abbandonato la pista per dedicarsi alla strada). La prova individuale si rivela una sfida eccitante e incertissima: i due campioni più attesi erano Phinney e Bobridge, ma il neozelandese Sergeant, compagno di squadra di Phinney nella Treck Livestrong, facendo registrare un super tempo in qualifica ha escluso Bobridge dalla finale. A riconfermarsi campione del mondo è stato il ventenne Phinney.
La corsa a punti uomini è stata una di quelle prove da registrare e mostrare ai ragazzini che si recano in pista: il giovanissimo australiano Cameron Mayer, campione del mondo uscente, ha dominato la corsa, prima guadagnando con altri due atleti un giro (che significa 20 punti in classifica), poi ha accumulato 30 punti negli sprint e ha terminato la gara andandosi a prendere, questa volta da solo, un altro giro di vantaggio. A conti fatti Mayer ha vinto con 70 punti, più del doppio del secondo classificato, l’olandese Schep, che ne aveva totalizzati 32.
La Madison ha confermato la superiorità australiana e quella del talentuosissimo Mayer, il quale in coppia con il corridore del Team Columbya Howard (già vincitore di una volata fra i professionisti a inizio stagione in Qatar) ha vinto un altro iride superando la Francia e il Belgio e lasciando a un giro di distanza tutte le altre coppie favorite della vigilia, i padroni di casa danesi e i tedeschi recenti vincitori della Coppa del mondo.
Fra le donne non è riuscita la tripletta nella corsa a punti alla nostra esponente di spicco, Giorgia Bronzini che, complici una caduta nella prova scratch qualche giorno prima, qualche errore tattico e l’eccessivo controllo delle rivali, ha ottenuto un risultato sotto alle aspettative. A spuntarla è stata la canadese Whitten sulla neozelandese Ellis, al termine di una prova molto equilibrata.
Lo scratch, tra gli uomini si è rivelato una prova molto emozionante: il padrone di casa Rasmussen ha offerto una prova di forza e, guadagnando un giro assieme ad alcuni atleti di secondo piano, ha ipotecato la vittoria, arrivata puntuale su Carvajal e sul giapponese Mori.
Fra le donne l’ha spuntata la francese Jeuland, nome poco quotato, che ha superato Gonzales e Goss.
L’ultima prova presente nel programma dei mondiali è stata l’omnium, un minestrone dagli ingredienti variabili (gli ingredienti spesso sono avanzi, cioè altre prove mutilate) che sarà presente anche alle Olimpiadi, ma non con questa serie di prove.
Ogni commento a riguardo è superfluo e, per capire quanto la prova sia oscura anche agli addetti ai lavori, basta segnalare che neppure i commentatori tv avevano chiaro il meccanismo sottostante alla competizione e che, pochi minuti prima della diretta, cercavano chiarimenti dai colleghi, sperando di trovare qualcuno più ferrato a riguardo.
A spuntarla in questa strana e non soddisfacente disciplina è stato il britannico Clancy, su Howard e Phinney. Fra le donne si è imposta la Whitten sulla Armistead.

La spedizione italiana è tornata a casa con la conferma che c’è ancora molto da lavorare. Nella velocità, sia fra gli uomini quanto fra le donne, siamo praticamente inesistenti. Siamo riusciti a qualificare atleti fra gli uomini ma questi sono stati stritolati dai campioni stranieri, mentre fra le donne non abbiamo atlete da presentare, a parte una Frisoni non al top a causa di problemi nella preparazione. Nelle prove di resistenza le speranze erano alquanto fondate per la Bronzini, sfortunata nella prova scratch dove è caduta e un po’ deludente nella corsa a punti, dove però le perdoniamo volentieri il passaggio a vuoto dopo i successi degli anni scorsi e la Coppa del Mondo conquistata in questa stagione. Giorgia è uno dei perni del nostro movimento, è imprescindibile e in futuro ci darà altre soddisfazioni.
Fra gli uomini Viviani era molto atteso, e nonostante abbia corso una buona Madison, uno scratch e un omnium senza infamia e senza lode, mettendocela tutta, la speranza è che quest’ulteriore esperienza possa venirgli utile nel futuro, che gli auguriamo possa essere ancora in pista nonostante il passaggio al professionismo con la Liquigas.
Notizie positive dal quartetto dell’inseguimento maschile, che fino a pochi mesi fa fermava il cronometro a tempi attorno ai 4’ e 20’’, mentre stavolta ha fatto un’ottima prova in qualificazione, con 4’08’’512.
L’Australia è lontanissima, chilometricamente e come risultati, la Gran bretagna un po’ meno, chilometricamente, come risultati e anche temporalmente: nel 2012 le Olimpiadi saranno lì… C’è da lavorare.

Matteo Colosio

Foto copertina: parata delle medaglie australiane (www.cyclingworld.dk)

GAND-WEVELGEM, EISEL TIRA LA VOLATA ALLA CAMPAGNA DEL NORD

marzo 28, 2010 by Redazione  
Filed under 2) GAND - WEVELGEM, News

Il 29enne austriaco coglie il successo più importante della sua carriera, precedendo sul traguardo della Gand-Wevelgem i padroni di casa Vanmarcke e Gilbert, quest’ultimo divenuto, assieme a Freire, favorito d’obbligo dopo le immediate uscite di scena di Boonen e Cancellara. Crollo nel finale per il vincitore della Sanremo. Migliore degli italiani Daniel Oss, ottimo 5°.

Foto copertina: la volata che ha deciso la 72a edizione della Gand-Wevelgem (www.ispaphoto.com)

Difficile dire se sia stato più merito del nuovo percorso, con 12 côtes e una ventina di chilometri in più rispetto alle edizioni scorse, o dell’imprevedibile e spettacolare attacco di squadra inscenato dalla Liquigas ai -70 circa dal traguardo; ciò che conta è comunque che finalmente, dopo anni di corse facili e dal canovaccio complessivamente scontato, con frequenti affermazioni da parte di velocisti puri, che poco avevano a che vedere con le pietre e i muri del Nord (si pensi ad Abdoujaparov e Cipollini), la Gand-Wevelgem è tornata ad essere una corsa emozionante e di difficile lettura. Problemi di interpretazione che non si sono posti Tom Boonen e Fabian Cancellara, ieri grandi protagonisti ad Harelbeke e oggi schieratisi al via per onor di firma, occupando stabilmente la coda del gruppo per decine di chilometri, fino al momento del ritiro.
Dopo la partenza da Deinze, la prima metà di corsa è scivolata via tranquillamente, caratterizzata dalla fuga mattutina di Steurs, Madrazo, Van den Haute e Pronk, la cui azione ha costituito l’unico reale motivo di interesse della gara fino ad un centinaio di chilometri dal traguardo, quando gli atleti hanno intrapreso il primo dei due giri sul circuito destinato, con le sue sette asperità, a dare una svolta alla giornata. Dopo qualche effimera scaramuccia sulle prime rampe, è stato Luca Paolini a dar fuoco alle polveri, alzando sensibilmente il ritmo in occasione del primo passaggio sul Kemmelberg, pur senza determinare una particolare selezione.
Il primo vero momento chiave è invece arrivato qualche minuto dopo, nel tratto pianeggiante di presunto respiro fra una sequenza di salite e l’altra: cinque uomini Liquigas (Bennati, Kuschynski, Dall’Antonia, Oss e Quinziato) hanno attaccato con decisione, imponendo un passo vertiginoso, lungo vie strette e battute da un tremendo vento da sinistra. Non più di una ventina di atleti sono riusciti a restare agganciati al treno bianco-verde, capace di sorprendere grossi calibri quali Freire, Gilbert e Gasparotto, rimasti intrappolati in un drappello numericamente simile, 30’’ più indietro. I due plotoncini hanno dato vita ad una sorta gara ad inseguimento per una ventina di chilometri, fino a quando i ritardatari di cui si diceva hanno preso in mano la situazione, riportandosi in prima persona sulla testa della corsa, imitati poco dopo dagli ex compagni di sventura.
Con il lotto dei papabili vincitori ormai ridotto ad una quarantina scarsa di unità, è stato il secondo e ultimo passaggio sul Kemmelberg ad operare la selezione decisiva, sotto l’impulso di un brillantissimo Matti Breschel, libero da vincoli di gregariato nei confronti di Cancellara, salito in ammiraglia ormai da tempo. Il danese ha addirittura scollinato in perfetta solitudine, con una manciata di secondi sul terzetto Eisel – Hincapie – Gilbert, ma i 35 km di pianura che ancora lo separavano dalla linea bianca, oltre ad una decisa presa di posizione dell’ammiraglia, lo hanno indotto a desistere da propositi di impresa, aspettando i più diretti inseguitori. A questi si sono quasi immediatamente aggiunti Oss, Vanmarcke, Kuschynski, Roelandts, Freire e Iglinsky, determinando la formazione di un gruppetto di 10 atleti che non ha faticato a trovare un buon accordo, sufficiente a respingere il tentativo di rimonta di Paolini, Cooke, Knees e Farrar. Proprio Breschel, probabilmente l’uomo più forte in gara, ha però dovuto dire addio ad ogni sogno di gloria ad una quindicina di chilometri dal termine, quando un guasto meccanico lo ha costretto ad uno stop di una ventina di secondi, in virtù del quale è definitivamente scivolato nel secondo drappello.
Quando tutto sembrava portare ad un epilogo allo sprint piuttosto scontato, con atleti dal discreto spunto veloce quali Eisel e Gilbert destinati a giocarsi la piazza d’onore dietro Freire (peraltro il meno collaborativo tra i battistrada), è stato un improvviso buco causato da Kuschynski a 10 km scarsi dal termine a rimescolare le carte. Il bielorusso ha perso qualche metro dall’atleta davanti, e Iglinsky e Freire hanno impiegato qualche secondo di troppo a realizzare quanto stava accadendo. Che la manovra del secondo classificato della passata edizione fosse volontaria o meno, l’effetto è stato certamente quello di tagliar fuori dalla contesa i due malcapitati che lo seguivano, incapaci a quel punto di ricucire lo strappo di qualche decina di metri venutosi a creare.
I sei superstiti, sventato un attacco di Vanmarcke a 1800 metri dal traguardo, più per via dei crampi del coraggioso belga che per l’azione di Roelantds alle sue spalle, si sono presentati compatti sul rettilineo d’arrivo, su cui lo stesso Roelantds e un comunque bravissimo Daniel Oss sono stati i primi ad alzare bandiera bianca, non appena Hincapie ha lanciato lo sprint ai 300 finali. L’americano ha esaurito presto le energie, lasciando spazio alla perentoria progressione di Eisel, capace di anticipare nettamente il sorprendente Vanmarcke e un Philippe Gilbert apparso già in condizioni più che discrete. 4° un Hincapie che a quasi 37 anni ha dimostrato di poter ancora dire la sua al Nord, davanti a Oss e Roelantds.
L’esperimento del nuovo percorso può dunque dirsi decisamente riuscito per la Gand-Wevelgem, e lo sarebbe stato ancor di più se atleti quali Boonen, Cancellara e Pozzato non avessero sorprendentemente scelto di privilegiare l’E3 Prijs Harelbeke rispetto alla sprinters’ classic, soprannome che da quest’anno rischia di perdere riscontri nei fatti. Lo spettacolo nel complesso non è mancato, malgrado l’assenza della pioggia paventata alla vigilia. Tra una settimana, la campagna del Nord vivrà la sua prima giornata topica, con il 94° Giro delle Fiandre. Anche e soprattutto alla luce della due giorni sulle pietre di questo fine settimana, i nomi da tenere d’occhio paiono essere sempre i soliti: Boonen e Cancellara in testa, Pozzato, Gilbert, e Flecha subito dietro, con una vasta schiera di aspiranti Devolder pronti a cogliere la prima opportunità.

Matteo Novarini

VOGLIAMO LA POMPEIANA IN CAMPO!

marzo 25, 2010 by Redazione  
Filed under 1) MILANO - SANREMO, Approfondimenti

La Milano – Sanremo lancia da diversi anni gridi d’allarme che gli organizzatori non hanno ancora colto. Il tracciato della “classicissima” non riesce più a reggere l’onda d’urto delle grandi velocità e, se non si interverrà, una delle corse più cariche di storia del calendario italiano diventerà una gara sempre meno amata dai grandi campioni, che preferiscono altri lidi più consoni ai loro mezzi. Bisogna ridonarle i fasti degli anni d’oro, quando sul traguardo di Via Roma furoreggiavano i grandi assi del pedale. Bisogna insaporire il finale e la Pompeiana potrebbe essere l’ingrediente giusto.

Foto copertina: l’altimetria ufficiale dell’ultima Milano – Sanremo (www.gazzetta.it)

Più tenaci di un picchio, più persistenti di Biscardi nel reclamare la moviola in campo, siamo ancora qui, come abbiamo già fatto in passato, a implorare il salvataggio della Milano – Sanremo.
Dopo l’infelice conclusione dell’ultima edizione della “corsa dei fiori”, che ancora una volta ha visto l’epilogo allo sprint, urge ancor più evidente la necessità salvare il prestigio della classicissima che, dati alla mano, si sta sclassicizzando sempre di più.
Che non sia più la Sanremo di una volta è evidente e basta semplicemente lasciar scorrere l’albo d’oro, sul quale s’evidenza una progressiva scomparsa dei nomi dei grandi campioni, scalzati da quelli dei velocisti (con tutto rispetto per le ruote veloci del gruppo).
Nei primi 50 anni di vita alla Sanremo le vittorie di sprinter erano eventi del tutto eccezionali, nonostante il tracciato non proposse nessuna difficoltà altimetrica dopo gli storici capi Mele, Cervo e Berta, in un’epoca, quella del ciclismo eroico, nel quale contribuivano alla selezione anche i pessimi stati dei fondi stradali. È proprio in quel periodo che si registrò un’impresa oggi impossibile e insuperabile, quella messa in atto sul Turchino da Fausto Coppi nella Sanremo del 1946, la prima disputata dopo due anni di stop forzato per il secondo conflitto mondiale. Il dopoguerra e la conseguente politica di ricostruzione arrecheranno benefici ovunque ma non alla Sanremo, dove la sistemazione dei principali assi viari italiani, e tra questi c’era e c’è ancora l’Aurelia, si portò via gli sterrati e le buche che costituivano uno dei principali ostacoli di gara.
Le conseguenze non tardarono a farsi avvertire poiché, una volta ultimati i lavori di asfaltatura, le volate diventarono sempre più frequenti sul traguardo di Via Roma. Non accadde subito ma a metà degli anni ’50 quando, nel volgere di breve tempo, si passò dagli altisonanti successi di Coppi e Bartali, dalla doppietta di Petrucci e dal successo di Bobet a tre arrivi allo sprint consecutivi: i due successi di Poblet, con la vittoria di Van Looy a far da spartiacque, fecero capire a Vincenzo Torriani che qualcosa andava cambiato. Continuando con quell’andazzo, la Sanremo sarebbe diventata una gara per velocisti, poco appetibile alle grandi firme del ciclismo, che avrebbero preferito concentrare i loro sforzi sulle classiche del nord anziché pedalare per 281 Km – questa la distanza della Sanremo “liscia” – e rischiare si sfasciarsi in volata, perché era una distanza che stava diventando meno abituale e in quelle condizioni – percorso facile, tanti all’arrivo – molti correvano il rischio di presentarsi in Via Roma con più stanchezza di corpo e minor lucidità di testa rispetto alla partenza meneghina.
Per scongiurare sia il pericolo delle cadute, sia una “perdita di tono” della classicissima, il mitico patron del Giro tirò fuori dal cilindro il Poggio, ascesa che ottenne l’effetto desiderato. Per una ventina d’anni l’onore della Sanremo fu salvato ed è grazie alla felice intuizione di Torriani che sulle strade liguri si vissero grandi pagine di sport, come i sette successi di Merckx (record tuttora imbattuto), le vittorie di scalatori del calibro di Gimondi e Poulidor, l’interruzione dell’egemonia straniera – che perdurava da 16 anni – per merito di Dancelli.
Le volate tornarono a mostrarsi più affollate verso la fine degli anni ’70 – il gruppo si era pian piano assuefatto al Poggio – ma riuscirono comunque a spuntarla atleti di spessore come Raas e De Vlaeminck. Torriani aveva imparato la lezione e così bastò la vittoria di Gavazzi (1980), uno dei velocisti più celebri dell’epoca, a suggerigli l’inserimento di una nuova asperità. Arrivò così la Cipressa, ascesa più dura del Poggio, non solo nel verso della salita (ne sa qualcosa Raas che, nel 1983, planando su Torre Aregai andò dritto in un tornante e finì nella scarpata) e anche stavolta lo spettro della volata fu esorcizzato. Tempo una quindicina d’anni e il gruppo ha imparato a domesticare anche questo nemico, tornando a consegnare la corsa nelle mani dei velocisti. Che tuttora la detengono saldamente perché i successori di Torriani, Castellano prima e Zomegnan poi, non hanno più avuto il coraggio d’osare.
È una corsa facile, si dice, è sarebbe un errore indurire il finale. E no! È vero il contrario, perché se era una corsa facile col cavolo che avrebbero potuto esprimere le loro potenzialità i vari Girardengo, Coppi, Bartali, Merckx e compagnia. Col cavolo che Torriani, ben conscio dell’eredità che gli era stata tramandata da Cougnet, sarebbe volutamente andato alla caccia di nuove occasioni per riquelibrare il percorso.
Gli attuali organizzatori, invece, hanno finito per far propria la diceria moderna e per comportarsi con i corridori come certi genitori troppo accondiscendenti. “Mamma voglio questo!” “Eccolo!”, “Papà voglio quest’altro!” “Tieni!”. Così si è educati i corridori e ci si educati a una corsa che “deve” essere facile, “deve” essere aperta ai velocisti. Ma perché non si prova a fare un piccolo esperimento mnemonico, provare a immaginarsi una Sanremo degli anni d’oro affrontata sul percorso d’oggi? Ci troveremo di fronte un palmares assai scarno di nomi illustri, con questi ultimi schierati ai nastri di partenza solo per far presenza e far parlare i giornali e scarse probabilità di vittoria, un po’ come accade con i grandi big che vengono a scaldare la sella sulle strade della Liguria.
MA QUESTA NON E’ LA MILANO – SANREMO!
È solo una delle corse più antiche del calendario che d’illustre ha solo il nome delle località che congiunge e che col tempo è destinata a sparire, com’è successo con classiche che erano ritenute prestigiose come la Milano – Torino e la Bordeaux-Parigi.
Bisogna saper osare perché inserendo una nuova difficoltà non si tradisce la corsa e la sua storia che, come abbiamo visto, in 103 anni, ha contemplato in diverse occasioni la scelta di una nuova rotta. Altrimenti si rischia di tradire la tradizione della classicissima e il ciclismo stesso, defraundandolo di una corsa che sta sempre più lentamente perdendo quel pathos che ne ha sempre permeato le battute finali. Se gli organizzatori non se la sentiranno, allora tanto vale attuare una drastica soluzione e trasferire la partenza lontano da Milano (a Pavia, Novi Ligure o addirittura ad Arenzano), gareggiando su una distanza che sicuramente farà contenti molti corridori e l’UCI stessa, che nelle ultime stagioni ha ridotto la lunghezza di diverse competizioni.
MA QUESTA NON E’ LA MILANO – SANREMO!
Allora salviamo questa classica, con la Pompeiana o con quale altro ingrediente! Basta con questo immobilismo!
Perché la Milano – Sanremo torni a essere la Milano – Sanremo.

Mauro Facoltosi

FOTOGALLERY
Abbiamo effettuato anche noi un piccolo esperimento , andando a ridisegnare il finale della Sanremo, che vi proponiamo nella versione classica e in quella “pompeiana”. I grafici sono stati realizzati con lo speciale programma online http://tracks4bikers.com, che opera mediante rilievi altimetrici satellitari e l’esame comparato con le carte stradali di Google Maps.

Il classico finale della Sanremo con i tre capi, Cipressa, Poggio e nuovo traguardo

Il classico finale della Sanremo con i tre capi, Cipressa, Poggio e nuovo traguardo

Con la Pompeiana sarebbe così

Con la Pompeiana sarebbe così

Il grafico relativo al nuovo tratto

Il grafico relativo al nuovo tratto

LE PAGELLE DELLA CLASSICISSIMA: MODOLO IL MIGLIORE DOPO FREIRE

marzo 22, 2010 by Redazione  
Filed under 1) MILANO - SANREMO, Approfondimenti

A spuntarla, per la terza volta in carriera, è stato l’iberico Oscar Freire Gomez che, sul lungomare Italo Calvino, ha regolato in volata un gruppetto composto da una trentina di unità. Piazzati, nell’ordine, Boonen e Petacchi. Ma tra i due quotati litiganti per il piazzamento la figura migliore l’ha fatta un giovane, il neoprofessionista Sacha Modolo, autore di quarto piazzamento che ha del prodigioso: sentiremo ancora parlare di lui.

Foto copertina: Sacha Modolo in azione nella 101a edizione della Milano – Sanremo (foto Bettini)

OSCAR FREIRE GOMEZ. Campione di scaltrezza ma anche di umiltà. Conosce alla perfezione i propri mezzi e, grazie a questa consapevolezza di sé, lo spagnolo riesce a sfruttare a proprio vantaggio le varie situazioni che si sviluppano durante la corsa. Bravissimo “limatore”, non lo si nota mai nelle prime posizioni, a differenza dei suoi avversari più quotati, salvo poi palesarsi tra i primi negli ultimi mille metri di gara. Le numerose curve presenti sul lungomare Italo Calvino non favoriscono, inoltre, quelle volate lanciate tanto care ai velocisti più potenti. Freire non fa parte di quest’ultima categoria e ha, conseguentemente, potuto impostare uno sprint, quello a lui più congeniale, basato maggiormente su accelerazioni repentine che non su progressioni maestose. VOTO: 10

TOM BOONEN. Il dominatore delle classiche fiamminghe degli ultimi anni non sembra trovare il giusto feeling con la Classicissima. Eppure la pioggia che si è abbattuta sui corridori nelle prime fasi della gara avrebbe dovuto favorire gli uomini del Nord, quelli come Boonen. Sempre nelle prime posizioni sui Capi, già sulla Cipressa appare affaticato e, infatti, alleggerisce il rapporto per salvare la gamba in vista degli ultimi chilometri. Sul Poggio paga lo scatto, per quanto timido, di Gilbert e nel finale non riesce, quindi, a sprintare con la potenza necessaria per trionfare. VOTO: 8


ALESSANDRO PETACCHI.
Il velocista spezzino pedala vigorosamente su tutte le asperità del percorso (forse come mai nella sua carriera), sul Poggio resiste stoicamente a Gilbert e Pozzato scollinando nelle primissime posizioni. Nel finale non è supportato dalla squadra e coglie un terzo posto che gli lascia l’amaro in bocca. Deve, invece, essere soddisfatto della sua prestazione perchè non sono tanti i velocisti, e i ciclisti in generale, che possono vantare un terzo posto alla Sanremo a trentasei anni suonati. Bisogna, poi, ricordare che Petacchi non ha mai amato, a differenza di Freire, i finali troppo insidiosi. VOTO: 8

SACHA MODOLO. Il neoprofessionista della Colnago corre alla Freire, sempre nascosto. Imposta una volata da una posizione arretrata ma, grazie a una rimonta sublime, agguanta un quarto posto che ha dell’incredibile. Ne sentiremo ancora parlare. VOTO: 9

FILIPPO POZZATO. Il campione italiano mette alla frusta la squadra sin dalle Manie, corre con autorevolezza, ma al vento, tutta la corsa. Quando Gilbert scatta sul Poggio Pippo lo passa con facilità, tuttavia non intuisce che quello è il momento buono e non dà continuità all’azione. Ci prova anche dopo la discesa ma una corsa interpretata troppo dispendiosamente, non gli permette di resistere più di cinquecento metri al rientro del gruppetto inseguitore. Con una condizione del genere, non sarebbe stato meglio giocarsi le proprie carte in volata? VOTO: 7


DANIELE BENNATI.
Non ci siamo. L’aretino gestisce male se stesso e la squadra. Incomprensibili i tentativi di Nibali, Kreuziger e Pellizotti che non fanno altro che appesantire le gambe già affaticate del capitano. Sul Poggio, Daniele si salva col rapportino e, anche se pilotato da un ottimo Oss, in volata s’incurva, sbuffa e non riesce a mulinare come dovrebbe. Se vorrà trionfare, in futuro, dovrà cambiare più mentalità che preparazione. VOTO: 5,5


FRANCESCO GINANNI
. Molto attivo, il giovane toscano, specialmente in discesa. Corre con intelligenza e, al momento opportuno, sa prendersi dei rischi come ci aveva già abituato, in passato, Mirko Celestino. In effetti, come caratteristiche, ricorda molto il ligure che adesso si dedica alla mountain bike. In futuro farà sua la corsa: ci è già andato molto vicino. VOTO: 7,5

STEFANO GARZELLI. Il recente vincitore della Corsa dei Due Mari corre tutta la Classicissima in funzione del compagno di squadra Paolini. Encomiabile il lavoro del varesino che sul Poggio traina il gruppo con grinta e caparbietà. Purtroppo, le trenate di Stefano stancano sia i velocisti sia Paolini, che taglia il traguardo nell’anonimato. Peccato. VOTO: 7

FABIAN CANCELLARA. Abbiamo ancora negli occhi la sparata che ha permesso all’elvetico di vincere l’edizione 2008. Anche quest’anno appare tirato ma la condizione, evidentemente, non c’è. VOTO: 4


MARK CAVENDISH
. Quest’anno non ha finto, alla Tirreno, di staccarsi in salita. La gamba non gira davvero e già le Manie lo escludono dal lotto dei possibili vincitori. Si rifarà. VOTO: 4

Francesco Gandolfi

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