ROUBAIX: UN INFERNO PER TANTI, UN PARADISO PER BOONEN
aprile 10, 2012 by Redazione
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A vincere la corsa, come era prevedibile, è il favorito della vigilia, Boonen, che così entra definitivamente nella storia del ciclismo, affiancando con quattro vittorie un campionissimo del passato come Roger De Vlaeminck. Gli italiani, dopo aver incredibilmente buttato all’aria l’occasione di giocarsi la gara, si consolano con il terzo posto di Ballan.
Foto copertina: questa strada della Roubaix sembra puntare dritta verso il paradiso… o verso l’inferno…. (bikeobsession.blogspot.it)
Tom Boonen: ciò che lo scorso anno riuscì a Philppe Gilbert per quanto riguarda le classiche vallonate, quest’anno è accaduto al fiammingo, autentico dominatore delle gare sul pavè. Oltre che l’indubbia prestanza fisica bisogna riconoscere al gigante di Mol la capacità di mantenere la piena concentrazione in ogni fase della corsa, abilità che gli consente di evitare le insidie del percorso e di sfruttare al massimo le disattenzioni degli avversari (per l’occasione Pozzato e Ballan). Se la vittoria non è stata una sorpresa, il modo con cui l’ha ottenuta di certo lo è e non tanto per la cavalcata solitaria che gli ha permesso di suggellare il quarto, storico successo a Roubaix. Capace sì di vincere per distacco (nel 2009 vinse la gara dopo 15 km di fuga), tutto ci si poteva aspettare ma non una azione solitaria di più di 50 km.
Con un Boonen così stratosferico, che gara sarebbe stata poterlo vedere battagliare con i vari Cancellara, Hushovd, Pozzato a vario titolo incidentati! Voto: 10 e lode
Sebastièn Turgot: il primo ad essere sorpreso del secondo posto è proprio il corridore di casa e non solo per la propria prestazione ma anche per la valutazione a lui favorevole della giuria di un fotofinish alquanto dubbio. Dopo essere stato protagonista di varie scaramucce, ha avuto il merito di credere nel tentativo di ricucitura sul principale gruppo inseguitore di Boonen e di esserci riuscito di fatto a volata per il secondo posto ormai lanciata. Voto: 8
Alessandro Ballan: chiude questa prima parte delle classiche del Nord con un ennesimo onorevole piazzamento (terzo) come al Fiandre, dimostrando solidità e continuità apprezzabili. A differenza di quest’ultima gara è qui mancato lo scontro diretto fra i tre protagonisti della corsa dei muri e questo anche a causa di una suo momento di disattenzione, al momento della progressione del duo della Omega Pharma. Probabilmente il capitano designato della BMC era Hushovd (voto 5), dato che il veneto aveva già avuto una propria opportunità al Fiandre, tanto è vero che Alessandro ha promosso un tentativo di attacco a 75 km con l’ovvio intento di fare da spalla al norvegese. L’errore tattico cui accennavo poc’anzi è dipeso forse dalle energie profuse in questo tentativo. Un secondo errore è stato quello di sopravvalutare le possibilità degli atleti SKY di poter ricucire il distacco da Boonen e conseguentemente di non aver contribuito al lavoro di riaggancio quando questo era ancora del tutto possibile. Della volata con Turgot ho già detto a proposito di quest’ultimo. Voto: 7,5
Filippo Pozzato: si ostina, a differenza di Boonen, a correre coperto, nella pancia del gruppo, gran parte di queste classiche del pavè, senza considerare i rischi che, in generale, questo tipo di condotta comporta e, a maggior ragione, in tipologie di gare come questa. Per tali ragioni, dopo essere rimasto attardato a causa di frazionamenti dovuti a ventagli e a cadute, ha dovuto più volte inseguire il gruppo principale, con un sicuro spreco di energie. Ciò nonostante è stato il primo a rispondere con facilità al primo allungo di Boonen, dimostrando una condizione eccelsa come al Fiandre. Sorretti da questa forma fisica non si doveva temere di rispondere in prima persona all’allungo del belga : per vincere, come ci insegna quest’ultimo, bisogna anche rischiare di perdere. Cadere poi, da solo, alla Roubaix , può anche essere sintomo di scarsa concentrazione e lucidità nel fronteggiare delle difficili situazioni di corsa. Fortunatamente ha deciso di non concludere la gara e di risparmiarsi per l’Amstel dove, con una gamba del genere, potrebbe finalmente vincere una classica. Voto: 5,5
Matteo Tosatto: non adattissimo alle pietre della Roubaix ma dotato di grande fondo e capace di gestirsi, coglie un ottimo settimo posto in una gara tra le più importanti e davanti a corridori ben più adatti e quotati di lui, come Van Summeren (voto 5). Voto 7
Luca Paolini: impeccabile dal punto di vista tattico e sorretto da una ottima condizione , si rende protagonista di una gara in cui ha più volte avuto la speranza di poter agguantare il podio. Purtroppo le caratteristiche del percorso non sono troppo adatte ai suoi mezzi e non gli hanno permesso di coronare la sua carriera con un prestigioso podio nella Classica Monumento. Voto: 6,5
Juan Antonio Flecha: lo si aspettava piazzato in queste gare e in effetti non ha deluso le aspettative. Conclude la gara nel gruppetto che si è giocato i gradini più bassi del podio, rimanendovi tuttavia, come da pronostico, ai piedi. Voto: 6,5
Edwald Boasson Hagen: atleta veloce del Team Sky, ha dimostrato di mal digerire, data anche la prestazione al Giro delle Fiandre, le classiche del pavè. Infatti, sul finale di gara, si è sciolto come neve al sole assieme alla sua squadra. Voto: 4
Frederic Guesdon: il velodromo di Roubaix ha tributato il giusto riconoscimento ad un vecchio leone, trionfatore nell’inferno del Nord nel lontano 1997, nel giorno del suo ritiro dalle corse. Da segnalare il fatto che l’atleta aveva subito un grosso incidente nel mese di marzo. Con caparbietà e spirito di sacrificio ha voluto a tutti i costi concludere la sua carriera portando a termine una gara massacrante come non altre. Oltre alla Roubaix si ricorda la spettacolare vittoria in un’altra classica importante come la Parigi-Tours del 2006. Voto: s.v.
Francesco Gandolfi
MONDIALI PISTA, L’AUSTRALIA VINCE IN CASA
aprile 10, 2012 by Redazione
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Nonostante da diversi anni i canguri australiani abbiano dimostrato di essere diventati la nazione faro per quanto riguarda il ciclismo su pista, i sudditi di sua maestà dimostrano ancora una volta che, quando c’è da competere per qualcosa di importante, loro sono pronti e riescono a riportarsi alle spalle degli australiani nel medagliere, pronti al sorpasso alle Olimpiadi.
Foto copertina: i belgi Kenny De Ketele e Gijs Van Hoecke festeggiano il successo nella Madison (foto Mark Gunter)
I Campionati del mondo di ciclismo su pista si sono svolti a Melbourne, dall’altra parte del mondo, durante la settimana santa “ambivalente”, sia per il calendario cristiano sia per quello ciclistico essendo stati questi i sette giorni intercorrente fra il Fiandre e la “via crucis” della Roubaix.
Nonostante il periodo già affollato di appuntamenti ciclistici, nessuno dei big della pista ha voluto saltare questo appuntamento fondamentale per la stagione e per i posti olimpici, essendo questa l’ultima prova utile per qualificarsi.
La prima giornata di corsa si farà ricordare (almeno fino alle Olimpiadi) per il nuovo record del mondo fatto segnare dal quartetto britannico nell’inseguimento a squadre. Il primato stabilito nella finale, vinta a sorpresa sugli australiani, è di 3′53′295, un tempo stratosferico che mostra come i progressi in questa disciplina siano continui, nonostante il livello raggiunto sia altissimo. A completare il podio una Russia spuntata nei suoi uomini migliori ma che, a parere dello scrivente, alle Olimpiadi impensierirà maggiormente le prime due nazionali.
Gli australiani si rifanno subito e vincono, anche qua a sorpresa, la velocità a squadre superando i francesi, storici maestri di questa disciplina, per un solo millesimo dopo che i transalpini avevano fatto segnare il miglior tempo in qualifica. A caratterizzare la prova è stata sicuramente l’inflessibilità della giuria che ha squalificato 4 nazionali fra cui Germania e Gran Bretagna per cambi irregolari. Queste squalifiche molto fiscali hanno fatto discutere e sono state solo le prime decisioni discutibili di questi campionati del mondo che, però, porteranno certamente le varie nazioni ad essere più precise durante le prossime Olimpiadi per evitare di perdere medaglie preziose a causa di piccole sviste.
Le velociste tedesche riscattano la squalifica dei colleghi maschi e vincono la velocità a squadre battendo 2 volte il record del mondo, poichè Vogel e Welte abbassano il tempo a 32′549 e hanno facilmente la meglio su Australia e Cina.
Lo stradista britannico Ben Swift porta alla regina la seconda maglia iridata vincendo lo scratch, prova in cui l’azzurro Viviani godeva dei favori del pronostico, ma proprio a causa di questo ha dovuto controllare e chiudere su molti tentativi lanciati dagli avversari. L’ultimo sforzo, quello per riprendere negli ultimi giri l’austriaco Muller, è costato caro ad Elia che, trovatosi senza energie, si è poi rialzato e ha concluso la prova in ultima posizione.
La beniamina di casa Meares nella prova di qualificazione della velocità abbatte un altro record del mondo portando quello sui 200m a 10′782 e si presenta ai turni successivi con le carte in regola per vincere facilmente.
L’inseguimento a squadre donne mostra ancora una volta le atlete britanniche in grande spolvero e il terzetto infrange il record sui 3 km abbassandolo a 3′15”720 in una disciplina in evoluzione che da qui a Londra siamo certi permetterà un miglioramento ulteriore delle prestazioni.
Il chilometro da fermo sorride per il secondo anno di fila al tedesco Nimke che, col tempo di 1′00′082, supera di 5 decimi il transalpino D’Almeida; purtroppo da quando questa disciplina massacrante non è più nel programma olimpico molti dei big che prima si sfidavano sui 4 giri di pista (ad esempio Hoy) non disputano più questa antica specialità e questo ha fatto abbassare il livello della competizione.
La corsa a punti femminile ha visto al via anche la campionessa del mondo su strada e favorita per la vittoria finale Giorgia Bronzini che, un po’ come per Viviani nello scratch, ha pagato il favore del pronostico e non è riuscita ad entrare nella caccia che ha portato alla conquista del giro. Nonostante questo l’abbia esclusa dalla lotta per le medaglie Giorgia ha sprintato in ogni occasione dando il meglio di sè e raccimolando comunque 23 punti, solo uno in meno della Ryan, giunta terza. A vincere la prova è la russa Chulkova con 31 punti.
La prova che più interessava gli italiani era l’omnium maschile, dove Elia Viviani nutriva speranze iridate e quasi certezze di qualificazione alle olimpiadi. Purtroppo Elia durante la corsa a punti è caduto a causa del contatto con un corridore cinese; riesce comunque a vincere la prova, poi partecipa anche all’eliminazione (dove la giuria ingiustamente lo squalifica relegandolo al sesto posto) e solo a fine gara si rende conto che deve fare degli esami perchè il dolore non passa. Esito della radiografia, bacino fratturato e 6 settimane di stop. Addio ai sogni mondiali, al Giro d’Italia e preparazione in vista di Londra da rifare; per fortuna il pass olimpico arriva comunque mentre a vincere la prova è l’australiano O’shee davanti al canadese Bell e al danese Hansen.
Lo scratch donne risulta essere una gara molto controllata e povera di emozioni nella quale a spuntarla, grazie ad una volata impressionante, è la polacca Pawlowska che supera sulla linea d’arrivo la statunitense Hoskin; l’italia si piazza all’undicesimo posto grazie alla giovane Elena Cecchini, che, per il gossip, è la fidanzata di Elia Viviani.
Dopo una serie di assurde decisioni della giuria, che si dimostra oltre che intransigente anche cieca, la maglia iridata della velocità femminile va per la sesta volta alla Pendleton, atleta entrata nella storia del ciclismo su pista ma che ha dimostrato di non essere più la numero uno della specialità; la Meares, infatti, è superata dall’inglese solo grazie ad una decisione dei giudici. Al secondo posto la Krupeckaite si dimostra atleta regolarissima e sempre ai primi posti in tutte le discipline veloci.
Nella corsa a punti maschile ancora una volta grandissima Australia grazie a Cameron Mayer, bicampione di specialità e grande favorito della vigilia che, però, in corsa resta schiacciato dal pronostico e da uno Swift in grande spolvero che blocca tutti i suoi tentativi di caccia fino a quando ai 4 km all’arrivo Meyer, assieme al neozelandese, si lancia in una caccia che porta Cameron a guadagnare giro e 5 punti di uno sprint facendogli agguantare all’ultimo secondo una maglia iridata che sembrava perduta. Buona prova dell’italiano Ciccone, giunto sesto dopo una prova corsa in modo prudente ma efficace.
La velocità maschile, come diversi altri tornei, è stato caratterizzata ancora una volta dalla giuria che per delle minime infrazioni ha squalificato con molta facilità; i favoriti dal pronostico raggiungono tutti le fasi finali e nelle semifinali il confronto diventa di altissimo livello: i britannici Hoy e Kenny si battono in una lotta fratricida da cui il secondo (più giovane) esce vittorioso, mostrando qualche limite di Hoy nella preparazione, probabilmente incentrata sulle sole Olimpiadi. A Kenny tocca quindi il compito di sfidare Bauge nella replica della finale dello scorso anno: campione uscente della specialità, ma squalificato per questioni di controlli della salute saltati, Bauge arriva alla finale senza troppa fatica, dimostrando una superiorità netta; infatti, anche la prima manche della finale vede il francese vincere facile. Nella seconda manche, invece, Kenny fa una scelta azzardata, pronti via ed è già a tavoletta; Bauge sorpreso si lancia all’inseguimento ma poi, quando sembra stia per raggiungerlo, molla e Kenny vince fra lo stupore di tutti. Il povero britannico però, all’uscita dell’ultima curva aveva leggermente allargato la propria traiettoria e tanto è bastato alla giuria per squalificarlo e dare la vittoria a tavolino al pur meritevole Bauge.
Le finali dell’inseguimento sono ancora una volta a favore dell’ Australia con l’unico neo del terzo posto del sorprendente neozelandese Gough, che supera Dennis per il bronzo. Anche la finale tutta australiana offre, però, una sorpresa poichè il primatista del mondo e campione uscente Bobridge viene superato di pochissimo e negli ultimi giri dal giovanissimo Hepburn, con un tempo bassissimo.
Nel keirin la Meares, la velocista migliore al mondo in questo momento, si prende quanto gli spetta e con una volata di potenza supera tutte le avversarie, prendendosi lo sfizio di partire dal fondo del gruppo e rimontandole una a una. Anna Meares conferma poi la sua velocità vincendo e stabilendo il nuovo record del mondo nei 500 m da fermo, dove però mancava la Krupeckaite, grande interprete della disciplina.
L’omnium femminile sorride alla Gran Bretagna che con la diciannovenne Trott ottiene un successo importante in chiave olimpica: seconda la Edmonson (australia) e la Hammer (USA).
La Madison si annunciava come una copia della corsa a punti, dove gli australiani erano i super favoriti, ma stavolta non è tutto facile, anzi; il super controllo e la velocità di belgi e britannici costringono la coppia australiana al terzo gradino del podio senza riuscire a prendere il giro di pista che avrebbe assicurato l’oro. A vincere la prova è il Belgio che, privo di Keisse, si era affidato a De ketele e Van Hoecke, davanti alla strana coppia britannica Swift-Thomas. Nel Keirin maschile, prova a cui non ha preso parte il fortissimo Bauge, Hoy dimostra che non si vince solo con le gambe e grazie alla sua abilità ed esperienza riesce a mettere alle sue spalle Levy (GER) e il connazionale Kenny.
Matteo Colosio
L’UOMO CHE HA SFONDATO IL CIELO: BOONEN RACCOGLIE LA QUARTA PIETRA
aprile 9, 2012 by Redazione
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Boonen contro tutti, Boonen più di tutti. Tom coglie l’istante e si lancia in una cavalcata solitaria, intangibile, irraggiungibile, mentre avversari (e compagni) precipitano in un inferno di sconcerto, confusione, discordia, cadute e rotture. Unico nella storia a duplicare la doppietta della pietre Fiandre-Roubaix, affianca De Vlaeminck con il record di quattro Roubaix conquistate. Finora.
Foto copertina: Boonen lanciato verso la sua quarta Roubaix (foto Bettini)
Un uomo solo è al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Tom Boonen. La citazione è e resta blasfema, ma merita di essere scomodata per celebrare l’ingresso di Tommeke tanto nel velodromo di Roubaix come nel mito del ciclismo. Ottanta minuti di interminabile solitudine. Ottanta minuti fatti di pura magia, quando la bicicletta del fiammingo galleggia sul pavé, con la schiena del campione – perfettamente allineata al suolo – che non registra più nessuna delle tremende vibrazioni assorbite dalle braccia e dagli addominali; ma ottanta minuti fatti anche di sofferenza, quando le gambe stantuffano, la bocca si spalanca, il motore batte in testa e perfino il re delle pietre cerca disperato un corridoio di terriccio ed erba.
Ottanta minuti della violenza totale ed assoluta che si esercita nel ciclismo, senza alcun contatto fisico con l’avversario: Boonen distrugge da solo, se non perfino tutto il gruppo, quantomeno i quattordici più immediati inseguitori. Li distrugge nell’animo, con il veleno di una distanza minima, misurabile in secondi, eppure incolmabile; li distrugge nelle gambe, imponendo a se stesso, e di riflesso a loro, un ritmo martellante; li distrugge nella mente, obbligandoli a giochi tattici che finiscono per fondarsi sull’assioma della sconfitta.
Boonen oggi batte anche il convitato di pietra, Fabian Cancellara. L’avversario più duro da battere, perché nello sport a volte si rovescia l’aurea regola sugli assenti che hanno torto, e viceversa gli assenti finiscono spesso per ammantarsi di una perfezione che la realtà complicherebbe non poco. Un Cancellara assente, a rigor di termini, non può essere staccato, messo in mezzo, mandato allo sbaraglio, insomma non può essere, nei fatti, battuto. Il Cancellara fortissimo del 2011 non ha vinto né il Fiandre né la Roubaix, ma tutti giurerebbero che il Cancellara ugualmente fortissimo del 2012 le avrebbe vinte entrambe, certamente! Ecco come mai i fantasmi sono sempre gli avversari più acerrimi. D’altro canto la grandezza di Boonen nasce anche dalla compresenza storica di un grande avversario: il paradosso a cui si potrebbe giungere è che Boonen finisca per essere riconosicuto come il più grande di sempre sul pavé, e nondimeno Cancellara come il più forte corridore da pietre di questa generazione.
Oggi però Tom, con un vero miracolo, sconfigge anche Fabian. Non lo sconfigge – o non solo – perché allunga il passo negli albi d’oro, che da soli dicono poco (anche se di fronte a un albo d’oro così rotondo…); e nemmeno lo sconfigge per aver lanciato se stesso come una pietra qualche chilometro più lungi di quanto fece lo svizzero; il punto non è neppure che Cancellara scappò via di furbizia, approfittando di distrazione e complicità con atleti di altre squadre, mentre Boonen se ne va squadernando in faccia a tutti una plateale follia.
Il punto è che il fianco alla “sconfitta” lo prestò proprio lo svizzero, strillando ai quattro venti la propria insoddisfazione per il fatto che tutti gli altri “gli corressero contro”. Tommeke oggi ha suggerito una soluzione. Osare l’improponibile, senza mai aver lamentato le occasioni perse – spesso a vantaggio di compagni di squadra! – a causa del fatto di essere faro della corsa.
La cronaca è essenziale e brutale. C’è una fuga del mattino, con poche conseguenze. Cadute e ventagli qui e là denunciano un Pozzato un po’ distratto, spesso in pancia al gruppo, ancora non sintonizzato con il ruolo che lo dovrebbe vedere duellare alla pari con Boonen. Arenberg è condotta a gas spalancato dall’Omega, con un Chavanel in bello spolvero. “Modesti” gli esiti, si fa per dire, vale a dire gruppo ridotto a una trentina di unità. Da qui si dipartono un paio di tentativi, il primo con i nomi pesanti di Flecha e Ballan, poi entrambi in predicato di approdare sul podio fino agli ultimi metri di gara: mettono la testa fuori molto presto, ai -80km, forse troppo presto: c’è aria di gambe pimpanti, certamente, ma anche di complesso di inferiorità, di ansia di anticipare, sottraendosi allo scontro diretto, quel che è peggio di relativa sfiducia da parte delle rispettive squadre, anzi squadrone. I fatti confermeranno poi tristemente questa ipotesi, molto curiosamente in entrambi i casi per cercare di tutelare un capitano norvegese seppure a discapito dei marinai mediterranei; sfidando, in un caso come nell’altro, l’evidenza delle gare precedenti sui reali rapporti di forza tra i corridori. Nell’azione entra l’avventizio Casper, poi due uomini che mostreranno bella gamba fino in fondo, pur frenati da alterne vicende, come Ladagnous e Wynants, e infine un altro personaggio da podio, per quanto decisamente più improbabile degli esperti Flecha e Ballan, ovvero il sorprendente francese Turgot della Europcar.
Ricondotti all’ordine questi ammutinati, l’Omega Quickstep tesse la propria tela tattica lanciando in avanscoperta Chavanel in un peculiare assalto quasi tutto transalpino: ci riprovano Ladagnous e Turgot, e c’è anche Mangel. L’unico intruso è Schar della BMC, lo squadrone ha già lavorato duramente e inizia ad andare in affanno. Chavanel dovrebbe essere la testa di ponte per un attacco di Boonen già programmato, ma sul pavé di Orchies proprio Chavanel fora, e contestualmente Turgot allunga restando per un po’ a faticare solo al comando. Ben presto però il piano Omega prenda forma nonostante l’imprevisto occorso al campione nazionale di Francia: Boonen allunga, e Pozzato sembra aver fatto scintillare il proprio innesco, accodandosi prontamente in bella scioltezza al belga. In un rimescolamento delle medesime carte del Fiandre è ora Ballan a rientrare prepotente, con sulla coda l’incomodo ingombro di Terpstra, gregario d.o.c. di Boonen. Un quartetto delle meraviglie in cui l’estraneo sembra Turgot (che alla fine, come vedremo, troverà perfino il secondo posto nell’uovo di Pasqua).
Il problema è però che Boonen scalpita, vuole cementare il vantaggio, così – intorno ai meno 57km al traguardo – dà una bella frustata assieme al compagno. Qui il primo istante decisivo: Pozzato fa per seguire, ma d’un tratto si ferma e fa il buco; vuole che chiuda Ballan, rientrato però da poco, e tartassato nell’auricolare da un direttore sportivo che pretende un atteggiamento passivo in vista del rientro di Hushovd, appiedato da una foratura e poi cascato. Ma tant’è. Incombe anche l’armata Sky che accorre in forze. L’incertezza dei due italiani è fatale: la tragica, incofessabile verità, è che probabilmente i due, e non solo loro, hanno pensato che la mossa di Boonen fosse suicida, che si trattava di mandarlo a cuocersi per bene, lessando nel frattempo anche l’ultimo gregario a portata di mano.
E in effetti questa ultima parte del ragionamento non fa una grinza: Terpstra deve incaricarsi di una serie di menate a fondo per dilatare il vantaggio almeno oltre i venti secondi, per uscire da mirino insomma, ma così facendo finisce ben presto in acido lattico, nonché in clamoroso debito d’ossigeno sul primo tratto in pavé in cui la coppia incappa (c’è forse di mezzo un problema meccanico?). Boonen è solo.
Qui però subentra il colpo di classe del campione fiammingo: saggiata la gamba, decide di giocarsi il tutto per tutto. Sono bastati frazioni di secondo per leggere la psicologia della gara: avversari già propensi a bisticciare tra loro per un piazzamento, squadre confuse e divise al proprio interno. Rimanere invischiato in quella melassa significherebbe fare la fine di Fabian in versione Roubiax 2011. Meglio, se proprio si deve “finire”, l’abito di scena del Cancellara del Fiandre 2011. Quel che là dietro sperano tutti è che anche il finale dell’opera coincida, con il fuggitivo spiaggiato dopo un oceano di chilometri solitari.
Boonen però si gestisce, non si fa prendere dall’isteria di gonfiare il minutaggio per scioccare e terrorizzare. Procede regolare, rosicchiando un secondo alla volta, rimanendo in pareggio per interminabili tratti, sfidando l’ansia nei momenti in cui il margine si erode. Solo con se stesso, con le pietre, con il vento che soffia veemente. Grande alleato dei fiamminghi, il vento. Stopper d’eccezione al Fiandre, qui invece quando non arriva dalle spalle a sostenere il fuggitivo, è più spesso, molto più spesso, laterale. Vale a dire la tipologia di vento che più di ogni altra compromette il vantaggio di correre in gruppo. Col vento di taglio si sta a ruota, illusoriamente convinti di star risparmiando, ma lavorati duramente ai fianchi da quell’aria che ti consuma.
Si compone un gruppo di inseguitori là dietro, senza Pozzato però: il vicentino casca in curva e chiude la propria gara, dolorante e demotivato. Come anticipato c’è un robusto contingente Sky, quasi un terzo del totale del gruppetto con Stannard, Hayman, Flecha e Boasson Hagen. C’è una bella rappresentanza italiana, con Ballan, Paolini, ancora in notevole evidenza (specie per lo standard offerto quest’anno dal suo team in queste gare), l’inossidabile Tosatto e un Guarnieri in potenziale evoluzione. Ci sono un paio di Rabobank, cioè Wynants e Boom, quindi i francesi iperattivi già in precedenza, Ladagnous e Turgot, il campione uscente Vansummeren (prova dignitosa e poco più), infine, fondamentale, un Trepstra che correndo sulle ruote ha modo di riprendersi. Tutti pretendono, comprensibilmente, che lavorino gli Sky.
E gli Sky lo fanno, ma nel modo peggiore. Forse pensando di sfruttare al meglio le caratteristiche di Stannard e Hayman, vengono realizzate lunghe trenate solitarie, invece che una rapida rotazione. Così, in pratica, il vantaggio del numero si annulla, riducendo la prova a un paio di “uno contro uno” dove però la teorica possibilità degli anglosassoni di consumarsi a fondo non compensa la maggiore qualità di Tommeke. Risultato, quasi algebricamente, un incremento sgocciolante ma emorragico del vantaggio. Se a questo aggiungiamo le fasi di negoziazione con i Rabobank, decisissimi a fare corsa in due senza sacrifici dell’uno o dell’altro, ma tra gli stessi Sky un Hayman che in realtà pure lui va di conserva (arriverà nel gruppetto, sei minuti prima di Stannard!), un Boasson Hagen che o viene tutelato in quanto è al gancio (ma allora che cosa si spera, che arrivi fino alla volata?), o è al gancio tout court, però in tal caso per un paio di sparate sull’asfalto lo si poteva anche spendere, invece che tenerlo lì a zavorrare il gruppo fino a che non si staccherà penosamente. Insomma: è quasi un miracolo che Boonen non prenda il largo.
Quello che colpisce dell’impresa di Boonen è che essa non si è sviluppata su canoni e linee che solletichino immaginazioni paranoiche di motorini o doping fantascientifici: la smentita può essere dietro l’angolo, è chiaro, ma nel guardare la corsa in sé risulta sorprendente la maniera implacabilmente “naturale” con cui ha preso forma un esito straordinario. Si è trattato di scelta di tempo, di temerarietà, di lettura azzeccata delle dinamiche di gara, di gestione oculata. Non di uno strappo violento e irresistibile, né di una cavalcata a velocità inumane.
Irritato forse dalla condotta dei compagni, o magari nell’ambito di uno schizofrenico tentativo di cambiare il corso delle cose, un allungo di Flecha romperà il gruppo in due ai -27km, ma l’unità poi si ricomporrà per iniziativa di Terpstra: arguta intuizione, unirli per dividerli. Tre o quattro capitani pari grado che collaborino potrebbero avvicinarsi a Boonen più pericolosamente che non un gruppo folto e asimmetrico, dove ognuno si aspetta che lavori qualcun altro. Conferma eminente quando sul Carrefour del’Arbre Boom con pedalata mostruosamente fluida rientra da un cambio bici per foratura e trapassa il gruppo, tirando dritto e portandosi dietro Ballan e Flecha, oltreché Ladagnous che però forerà (come dietro Guarnieri): per la prima volta il vantaggio di Tom cala.
Ma il traguardo è troppo vicino, e il trio inizia a tirare indietro la gamba pensando a giocarsi i piazzamenti. Tanto la tireranno indietro che mentre Boonen sta già celebrando, i suoi tre più valorosi opponenti vengono ripresi, in pieno velodromo e in pieno cincischiamento, da Turgot e Terpstra. Il francese avrà così modo di soffiare la seconda piazza, battendo Ballan in uno dei fotofinish più stretti mai visti qui. Un ex aequo sarebbe stato d’uopo, ma dopotutto… siamo in Francia! Queste però sono le briciole, seppur briciole d’oro, che valgono una giornata di dolore e sudore, quindi tutto fuorché disprezzabili, come il bei piazzamenti di Paolini (11.o) e Tosatto (7.o).
Cocente sconfitta per le “celestiali” schiere Sky, sfondate e sbriciolate dallo strapotere tecnico di Boonen: una giornata di gran forma collettiva (ripetiamolo, quattro uomini nella dozzina o poco più che “si giocava”, tra virgolette visto l’atteggiamento, la gara) si traduce in una gestione deludente dell’uomo più in forma, poco appoggiato e parso quasi battitore libero, vale a dire quel Flecha che per sue caratteristiche non farà nemmeno podio. Hayman ottavo, e poi bisogna sfilare oltre il quarantesimo posto per raccogliere i cocci.
Ma la nostra memoria, oggi, non riterrà numeri, statistiche e strategie; semmai conserverà per sempre l’immagine di Boonen librato al di sopra delle gabbie tattiche, del “correre contro”, del “tenersi per”, liberatosi da tutto e da tutti grazie alla scelta pazza di rinunciare al proprio punto di forza (cioè quell’attesa della volata che l’avrebbe magari intrappolato), per mettersi in gioco in un tutto o niente, corsaro solitario nel mare polveroso delle pietre. Dal folle volo, all’olimpo del ciclismo.
Gabriele Bugada
FENOMENOLOGIA DI UN MODERNO LEONE DELLE FIANDRE
aprile 3, 2012 by Redazione
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La 96ª edizione della “corsa dei muri”, dal tracciato che definirei rivoluzionato più che rinnovato, doveva prevedere la sfida Boonen-Cancellara ma, con il secondo messo fuori gioco da una caduta, è stato il primo ad imporsi, ma non così nettamente come ci si sarebbe attesi alla vigilia della gara. A mettere i bastoni tra le ruote, metaforicamente parlando ovviamente, al “Leone delle Fiandre degli anni 2000”, ci hanno provato i nostri Pozzato e Ballan, entrambi autori di splendide prestazioni le quali, tuttavia, non hanno regalato all’Italia la tanto agognata vittoria in una Classica (successo che manca dalla Freccia Vallone 2009 di Rebellin), a causa di errori tattici piuttosto grossolani.
Foto copertina: Boonen in azione sui muri del Fiandre 2013 (foto Bettini)
Tom Boonen: ha vinto la “classica dei muri”, l’ha vinta per la terza volta, e quindi può a buon diritto fregiarsi del titolo di “Leone delle Fiandre”. Tuttavia, risulta perlomeno strano onorare di questo status un ciclista che non si è affatto dimostrato il più forte su quei “muri” che sono il simbolo e l’essenza della gara fiamminga e, a maggior ragione, risulta anomalo se si pensa che questo titolo è stato storicamente riservato ad autentici dominatori della classica belga, da Magni a Museeuw. Anzi, più volte il buon Tom è stato sul punto di perdere la ruota di Pozzato ma è riuscito stoicamente a resistere e a far valere infine il suo spunto veloce. Per quelle che sono le caratteristiche peculiari dell’atleta penso sia più corretto definirlo un “moderno Leone delle Fiandre”, per designare un ciclista capace di reggere il ritmo dei migliori sugli strappi in pavè ma raramente in grado di dettarlo in prima persona o comunque soccombente in un eventuale scontro frontale con i migliori, ma molto più forte “allo sprint” di questi ultimi. La mia opinione, insomma, è che ci troviamo di fronte ad una nuova tipologia di ciclista, un ibrido tra velocista puro e “classico” atleta da pavé. Data anche l’assenza di Cancellara alla Parigi-Roubaix, Tom può siglare domenica prossima una tripletta, con Gand, Fiandre e Roubaix, davvero memorabile. Voto: 10
Filippo Pozzato: oggi si è dimostrato indiscutibilmente il più forte sugli strappi, agile e potente come non l’ho mai visto in tutta la sua carriera. Tuttavia si deve accontentare della seconda piazza e questo, a mio modo di vedere, perché ha commesso tre errori piuttosto gravi. Il primo lo ha commesso sul Oude Kwaremont prima e, successivamente, sul Paterberg, quando la sua progressione aveva fatto davvero male, in primis a Boonen, ma, una volta guadagnato una manciata di metri sul corridore belga, boccheggiante ed in evidente difficoltà, Filippo si è inspiegabilmente rialzato e ha aspettato il rientro di quest’ultimo dimostrando, ancora una volta, un’eccessiva timidezza nel momento in cui si tratta di prendere il controllo della corsa. Il secondo lo ha commesso quando non ha nemmeno tentato un allungo negli ultimi chilometri, peccando così di superbia, pensando cioè di poter battere o per lo meno di potersela giocare alla pari, in volata, con il campione fiammingo. Il terzo errore è stato quello di lanciarsi in volata con un rapporto, almeno stando alle immagini televisive, troppo agile che non gli ha permesso di fare velocità. L’eccelsa condizione dimostrata fa comunque ben sperare per domenica prossima. Voto: 8
Alessandro Ballan: insieme a Pozzato ha incarnato la speranza di molti tifosi italiani di poter riassaporare il sapore della vittoria in una Grande Classica dopo anni dall’ultimo successo. L’ormai non più giovane atleta veneto ha saputo interpretare al meglio delle sue possibilità la corsa odierna, attaccando ripetutamente sugli strappi e dimostrando di meritare i gradi di capitano anche di una corazzata assoluta come la BMC, con Hushovd e Gilbert come gregari di lusso. Purtroppo l’età avanza e si fa sentire, sono ormai 33 primavere, e gli scatti telefonati del finale lo dimostrano ma può tranquillamente ritenersi appagato per come ha condotto questo suo Giro delle Fiandre. Alla Roubaix dividerà il ruolo di capitano con Hushovd. Voto: 9
Peter Sagan: arrivare quarto alla Milano-Sanremo e quinto al Giro delle Fiandre, a soli 22 anni, è segno che siamo in presenza di un atleta completo, di un fondista, in grado di primeggiare su qualsiasi terreno. Nella “classica dei muri” ha subito anche un paio di inconvenienti, forse dovuti alla non eccessiva dimestichezza nel destreggiarsi sulle pietre delle Classiche del Nord, e nel momento dell’accelerazione di Pozzato non è stato capace di reagire e di tenere il passo dei migliori. Come si è soliti dire in queste circostanze, “l’età è dalla sua” e “ne sentiremo di certo parlare in futuro”. Voto: 7
Luca Paolini: questa “vecchia guardia” del ciclismo italiano ha corso in maniera davvero esaltante, garibaldina, il Giro delle Fiandre. Evidentemente non sentendosi all’altezza di competere con i migliori sugli strappi, varie volte scatta per anticipare il gruppo e, insieme allo spagnolo Flecha (voto: 6), si rende protagonista di un’azione davvero interessante e pericolosa per i big. Purtroppo il tentativo viene riassorbito nel giro di qualche chilometro e l’ex gregario di lusso di Bettini deve accontentarsi infine della settima piazza finale. Voto: 7
Philippe Gilbert: lontano parente del dominatore assoluto della passata stagione, corre al servizio di Ballan quella che in passato è stata una gara che lo ha visto più volte protagonista assoluto. Lo si è visto tirare e stare al vento in più di un’occasione, interpretando la corsa in cerca della condizione ideale per affrontare le Classiche delle Ardenne. Forse sarebbe stato più opportuno partecipare al Giro dei Paesi Baschi, ideale per chi ha bisogno come il belga di macinare chilometri in vista di Amstel, Freccia Vallone e Liegi. Voto: 5
E. Boasson Hagen: quando i favoriti decidono di fare sul serio non riesce a reggere il loro ritmo e si stacca. Successivamente sprona la squadra nel tentativo di rientrare ma la gamba non gira a dovere e il tentativo fallisce. Chiude nell’anonimato e lontano dai primi una corsa che, probabilmente, non gli si addice. Voto: 4
Stijn Devolder, Leif Hoste, Heinrich Haussler: tre forti ciclisti da pavé, tre gare assolutamente anonime. Voto: 2
Fabian Cancellara: il grande favorito della gara, dopo aver corso una Milano-Sanremo da protagonista assoluto, era pronto a dare spettacolo nelle classiche a lui più congeniali, Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix. Purtroppo la sfortuna si è accanita sull’elvetico e ci ha impedito di godere delle sue imprese in questa classica e non lo vedremo neanche all’attacco nell’Inferno del Nord. Davvero un gran peccato. Voto: S.V.
Francesco Gandolfi.
UN FIANDRE PER TRE. TOM FA TRIS FRA I TRICOLORI
aprile 2, 2012 by Redazione
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Il duello che tingeva di leggenda questo Fiandre nuovo di zecca si infrange con la clavicola di Cancellara, ruzzolato al rifornimento. Conquistare la gara sembra allora una mera formalità per Boonen, affiancato da una squadra impressionante. Ma i rinati Ballan e Pozzato si dimostrano indomiti, oltreché i più forti in campo, e mettono all’angolo il campione belga: non riescono però a evitare lo sprint, dove Tommeke impone la propria legge di predestinato.
Foto copertina: il podio del Fiandre 2012 (foto Bettini)
L’epica di Cancellara è, quasi per suggestione dello stemma nazionale che veste, quella di un eroe crociato: determinato, poderoso, a tratti perfino prepotente, circonfuso da un alone di integrità e di etica della dedizione che a stento lasciano intravedere lo spettro di qualche ombra. Dà sempre la sottile impressione di essere convinto che Dio, o quantomeno la Giustizia, siano schierati al suo fianco.
Boonen invece sembra uscito dall’epica greca. Un semidio predestinato alla gloria, apparentemente invulnerabile: fulminante allo sprint, incrollabile sul passo, travolgente sulle pendenze aspre dei muri. Come gli dei e gli eroi greci, però, è platealmente afflitto dal vizio, dalla disgrazia, dal capriccio. Qualcuno vedendolo passare da invincibile fenomeno a bersaglio giustiziato poteva ricordarsi di Achille, e della scelta di una carriera rapida, gloriosa e brevissima, in luogo di una longevità all’insegna della moderazione. Oppure pensare a Giasone, conquistatore del vello d’oro, precocemente passato dalla professione di eroe a quella di donnaiolo.
Oggi però, nel sacrilego teatro di un Fiandre riveduto e mutato, gli dei numerosi e dispettosi (invidiosissimi poi degli uomini che si credono “tutti d’un pezzo”) che affollano l’Olimpo greco hanno decisamente prevalso sulla predestinazione calvinista che avrebbe voluto Cancellara trionfatore e santo ancor prima di partire.
Al rifornimento dei 63km all’arrivo il povero Fabian si schianta al suolo, e il danno appare subito irreparabile: anzi, le notizie del dopo corsa annunciando una frattura in tre punti della clavicola decreteranno pure l’assenza dello svizzero dalla Roubaix. Quando sono gli dei ad abbatterti, non è prevista rivincita. Almeno a breve, perché per fortuna, trattandosi di una “sorte funesta” comunque tutta sportiva, ogni stagione è spesso capace di riavviare da capo la storia, e guardiamo già con aspettativa al riproporsi del grande duello l’anno venturo.
Fino a questa svolta decisiva si era vista la più tipica, corposa fuga del mattino, entro la quale si segnalavano Farrar e Belletti, due velocisti in cerca di una nuova dimensione. Poi un tentativo più serio all’approccio con i muri, sul Molenberg: se ne vanno in sei tra i quali spiccano Hayman (Sky), Vaitkus (GreenEdge) e Boom (Rabobank). Quest’ultimo verrà in seguito messo fuori gioco da una foratura nel momento sbagliato, all’attacco di un muro. La fuga però è presto rintuzzata da Boonen e dai suoi uomini.
La gara in effetti sarà a lungo connotata da un andamento privo di guizzi, con l’Omega Pharma-Quickstep e Cancellara, ben supportato da Bennati e Rast, a lasciare ben poco spazio ai tentativi che si succedevano di volta in volta. Anche dopo la caduta di Cancellara, basterà la sola Omega, superlativa, a blindare la gara fino ai giri finali. Tra gli affondi da segnalare ricordiamo quelli di due uomini BMC indecorosamente sottoforma, Gilbert (che però forse programma una stagione sbilanciata sul secondo semestre) e Hushovd. Altre opzioni, che avrebbero dato spazio a giochi tattici interessanti, proprio come la sortita a sei di cui sopra, sono state prontamente abortite, sia che ci provasse Vansummeren per la Garmin, sia che fosse Leukemans per la Vacansoleil (alla fine sarà lui il capitano, e non uno spento Devolder). La solidità della squadra di Boonen concretizza una deterrenza che spegne la gara: d’altronde pensiamo che l’OPQS alla fine piazzerà tre uomini nei primi dieci, e tutti i non ritirati alla peggio nel gruppo principale, a meno di un minuto.
Difficile dunque emettere un verdetto sul nuovo percorso: certamente l’apertura tattica e la selettività si sono dimostrate carenti, se pensiamo oltretutto che dietro ai tre dominatori di giornata è arrivato un gruppone di una cinquantina di unità con circa un minuto di distacco. Il bel tempo dell’ennesima primavera fiamminga in salsa mediterranea, però, ci ha messo del suo. Altresì probabilmente la novità del percorso e il desiderio di arrivare allo scontro frontale Boonen contro Cancellara ha indotto i due squadroni a sigillare la gara quanto più fosse possibile, stroncando ogni velleità creativa sul piano tattico. L’altra faccia della medaglia è che, con l’attenuante della difficile interpretazione di un tracciato nuovo, gli altri team non si sono dimostrati molto all’altezza, eccezion fatta per la Farnese se vogliamo. Le altre squadre hanno vissuto di performance dei singoli – sia pure eccezionali – e poco più. A proposito di wild card, molte delle scelte degli organizzatori hanno portato a ritiri quasi massivi, nonostante un’edizione non certo da tregenda: indecorosa la Net App che speriamo di vedere meglio al Giro, male la Argos-Shimano, malissimo le formazioni di casa Willems Veranda’s e Topsport Vlaanderen. Curiosamente si rinfaccia – giustamente! – il campanilismo agli organizzatori italiani, ma nessuno apre bocca quando le conseguenze nefaste di scelte di basso profilo si registrano altrove.
Più della tattica poterono le cadute: oltre all’eliminazione clamorosa di Cancellara, se ne va allo stesso modo anche un altro dei possibili favoriti, Langeveld, incocciando con uno spettatore sciagurato che gli taglia la strada a pochi metri. E qui Pozzato se la scampa con un numero di notevole abilità. Più tardi, un’azione potenzialmente decisiva sul penultimo Paterberg verrà propiziata dallo schianto di Vansummeren all’imbocco della salita!
Prima di arrivare lì, tuttavia, si era visto un bel forcing di Vanmarcke per la Garmin sull’Oude Kwaremont, col solo effetto però di allungare il gruppo creando le condizioni per un allungo di, guarda caso, un compagno di Boonen, ovvero Chavanel, nel falsopiano con cui culmina questo muro. L’azione di Chavanel darà adito a sua volta all’anticipo di Jerome dell’Europcar, Flecha per la Sky (attivo a dispetto del recentissimo recupero da una frattura) e un altro corridore che ha firmato un Fiandre di altissimo livello, vale a dire Paolini. Dopo il pasticcio del Paterberg a questo gruppo si uniranno un pugno di uomini, formando così un gruppetto di undici dove per l’Omega abbiamo ben tre rappresentanti, il capitano Boonen con gli scudieri più accreditati, Terpstra e Chavanel; ci sono anche Pozzato, Ballan e Paolini. Questi sei finiranno poi, dopo altre traversie, in una top ten che si caratterizzerà pertanto in due sensi molto chiari: il predominio della squadra di Boonen, e – finalmente – la grande gara, anche senza vittoria, degli italiani. Abbiamo inoltre Vanmarcke, Jerome, Flecha, Iglinsky e… Peter Sagan.
Parlando di predestinati dagli dei, non possiamo omettere una citazione per il fenomenale slovacco, alla fine quinto, battuto solo da un Van Avermaet che oltre ad essere comunque veloce aveva condotto fin lì una gara in difesa. Invece Peter, pur direttamente coinvolto dalla caduta di Vansummeren, si riporta in solitaria con un’azione mostruosa sul gruppetto di testa. Senza dubbio uno dei gesti atletici più significativi di questo Fiandre, anche se le telecamere ce ne regalano solo la conclusione. Per dare un termine di confronto basti pensare che due atleti di qualità indubbie e apparsi oltretutto decisamente in condizione come Gatto e Boasson-Hagen non riusciranno, pur in coppia, nella medesima impresa. Il problema è che la mossa si rivelerà un dispendio inutile, visto che le carte si rimescoleranno nella parte pianeggiante del circuito, complice il gran lavoro là dietro del Team Sky (esito finale? Boasson Hagen diciannovesimo, miglior piazzato del team; e di qui un giudizio complessivo comunque non lusinghiero). Tornando a Sagan, il suo quinto posto, vale a dire la “sconfitta” per mano di Van Avermaet, consegue anche a un altro pazzesco inseguimento solitario, qui comprensibilmente senza fortuna, quando il giovane slovacco aveva tentato di tornare, sempre in solitaria, sul trio di testa. Una forza fisica e mentale impressionante, che andrà condita con la giusta dose di esperienza per massimizzare i risultati. Ma forse a quest’età è ancora più importante dare il massimo che massimizzare…
Giungiamo così all’accoppiata decisiva dei due muri finali con una situazione tuttora fluida e indefinita, un gruppo intorno alle trenta unità molte delle quali però duramente provate dall’inseguimento sul gruppetto selezionatosi per la caduta di Vansummeren.
Qui finalmente il Fiandre si infiamma, e assistiamo a due gesti tecnici eclatanti. Ce li offrono due corridori italiani, entrambi, come in una vera narrazione epica, “rinati”: Ballan tornato a correre le “sue” gare, dopo le assurde sospensioni cautelative da parte del team per via dell’inchiesta che, quest’anno per l’ennesima volta, tira fuori il naso sui giornali guarda caso alla vigilia della campagna nord. Pozzato, rientrato a tappe forzate da una improvvida frattura della clavicola, dimostrando però in questo modo di aver trovato una mentalità che gli mancava, grazie pure a un ambiente in Farnese ben diverso da quello conflittuale vissuto in Katusha l’anno passato.
Ballan fionda una progressione devastante sul Kwaremont. E fa il vuoto. Apre una voragine. Sembra che nessuno sia in grado di colmarla, ma ecco risalire perfettamente composto Pozzato. Ballan intuisce l’importanza di un’azione congiunta e non forza. Il guizzo di Pozzato è stato peraltro repentino e agilissimo, difficile a dirsi se Ballan avrebbe potuto fare altrimenti.
Dietro Pozzato, però, fiammeggia l’aura di Tom Boonen. Il fiammingo è l’unico capace di affiancarsi a questo duo di campioni ritrovati, che arrampicandosi lungo le rampe ciottolate del Kwaremont risalgono prepotenti verso l’empireo del livello tecnico che loro compete.
Il trio è fatto, la gara decisa. Pozzato e Ballan sono due grandi, ma che effetto farà loro correre al fianco di chi ormai è una leggenda vivente? Entrambi l’hanno già vissuto alla Roubaix: Pippo fu l’unico capace di inseguire la cavalcata trionfale di Boonen nel 2009, e Ballan nel 2006 fu con lo stesso Boonen e Cancellara protagonista di un trio delle meraviglie consimile a quello odierno.
Davvero ricordiamo l’Iliade, la grande guerra dove – per l’ultima volta? – gli uomini combatterono al fianco degli dei. Diomede che ferisce il dio Marte… Questa era la nostra speranza vedendo i due grandi eroi umani, troppo umani, al fianco del semidio delle pietre.
Vedere collaborare quei tre per distanziare gli inseguitori ha lo splendore ritmato degli esametri immortali. Prima sfida: il Paterberg. I due italiani, qui forse più Pozzato, colpiscono duro.
Boonen vacilla.
Non crolla.
Ora la gara è atroce. Le forze vengono meno. Un solo copione è scritto: Ballan costretto ad allungare, troppo lento in volata. Boonen costretto a chiudere sempre e comunque, troppo veloce in volata.
Per Pozzato due opzioni: provare a inserire un contropiede su uno degli attacchi di Ballan, oppure attendere la volata senza sforzi supplementari, in modo di incrementare al massimo il differenziale di freschezza contro Boonen.
In televisione sembrano entrambe buone, forse quasi meglio la prima. Però sulla strada c’è un grande vento contro, e Boonen in intervista gli renderà grazie. Ancora una volta un dio greco, stavolta Eolo, dalla parte del predestinato. Dunque meglio la seconda scelta, perché un attacco col vento in faccia ha meno chances, e viceversa in una volata con vento sfavorevole è privilegiata la freschezza, che dal Paterberg Pozzato sa essere dalla sua. Ancor più se mentre Boonen fatica, lui si “riposa”.
Ballan attacca. Una volta, due, tre. Inevitabile in questa storia di terne (il terzetto all’attacco, il pregiatissimo terzo Fiandre per Tom, nella storia lui e altri tre, tra cui Magni). Tre volte, numero del mito. Ma Eolo si oppone.
Con calzari alati e denti digrignanti i due uomini più rapidi volano in volata, Ballan si immola per lanciarla. Ma nonostante ogni calcolo, Boonen è fulminante. Pozzato perde di poco. Qualcuno vede un’incertezza sul rapporto impostato: dio è nei dettagli? Paura di vincere? Destino?
Non lo sapremo mai. Quel che è certo è che per noi hanno vinto tutti e tre. E lo diciamo col cuore, anche se forse non saranno d’accordo Filippo e Alessandro (omonimi di due grandi greci, tra l’altro: ma già grandi della Storia e non più della leggenda).
Però cavalcare a fianco di un dio, sfidarlo, quasi piegarlo… è comunque una vittoria. Ettore non è morto quando Achille gli ha inchiodato la lancia in gola, è diventato immortale.
Per mera cronaca, la volata dei comuni mortali: vinta da Van Avermaet su Sagan (comune mortale?), indorando ulteriormente la gara BMC, sulla quale però pesano gli opachi Gilbert e Hushovd. Ottimo settimo, alla fine, Luca Paolini: ancor migliore del risultato la sua condotta di gara.
Gabriele Bugada
IMPONENTE BOONEN, TRIS ALLE SPESE DI CAVENDISH
marzo 26, 2012 by Redazione
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Strepitoso tris del campione belga nella classica di casa, la più facile tra le classiche del Nord, quella che vedeva i velocisti naturali favoriti e, con essi, il campione del mondo Cavendish. Ma il britannico in maglia iridata, nonostante gli sforzi profusi per riagganciarsi al gruppo di testa, è stato abilmente messo fuori gioco dal lavoro dei gregari degli sprinter trovatisi davanti, tra i quali si egregiamente distinto l’italiano Luca Paolini.
Foto copertina: Boonen emerge ancora una volta su tutti (foto Bettini)
Continua lo straordinario stato di grazia di Tom Boonen che, a due giorni dal fresco successo alla E3 Prijs-Harelbeke, si è imposto in volata nella Gent-Wevelgem, quella che sulla carta appare essere la Classica belga meno impegnativa. Il campione della Omega Pharma-QuickStep va a succedere a se stesso nell’albo d’oro della corsa conquistata già due volte, l’ultima nel 2011. E così ad una settimana dal Giro delle Fiandre appare fin da subito chiaro chi sarà l’uomo da battere. Al via della corsa c’erano tutti i grandi nomi da classiche e ad impreziosire la lista dei partenti spiccava anche la presenza del campione del Mondo Mark Cavendish con una squadra all’altezza della situazione, pronta ad affrontare tutti i possibili epiloghi della corsa grazie alle garanzie offerte da chi qui si era già imposto, Edvald Boasson Hagen, e da chi, Bernard Eisel, soltanto pochi giorni fa ad Harelbeke, riusciva a salire sul terzo gradino del podio dietro Oscar Freire, secondo quest’ultimo dietro al già citato Boonen. In tanti si aspettavano proprio il ripetersi della volata con il testa a testa Boonen-Freire ma così non è stato o meglio a piegarsi questa volta alla netta superiorità del fiammingo è taccato ad un ottimo Peter Sagan, bravissimo a tener testa all’attacco, promosso inizialmente al secondo passaggio sul Kemmel da Matti Breschel e poi proseguito in pianura con un allungo di Fabian Cancellara. L’affondo di Cancellara ha portato in avanscoperta un piccolo gruppetto trovatosi così avvantaggiato e riacciuffato, grazie soprattutto al magistrale lavoro della solida e forte Omega Pharma-QuickStep, a soli 25 Km dall’arrivo. In quell’occasione il gruppo si è frazionato in due tronconi, con Cavendish rimasto senza compagni di squadra e costretto ad inseguire, lasciando definitivamente ogni speranza di disputarsi la vittoria quando il secondo gruppo, una volta ripresi i fuggitivi, riusciva nel comune intento di tutti di tagliare fuori dai giochi il temibilissimo campione del mondo. Il gruppo dei 27 uomini rimasti in testa era composto da molti italiani con Daniele Bennati, scortato da Fabian Cancellara, a tenere alte le speranze dei tifosi nostrani visto anche il secondo posto ottenuto dall’aretino lo scorso anno in questa gara. Purtroppo una foratura a poco meno di 10 Km dall’arrivo ha costretto il velocista della Radioshack-Nissan a dover prodigarsi in uno sforzo ulteriore per riportarsi sul gruppo e così piazzarsi soltanto in sesta posizione in una volata che di certo sperava di disputare con più forze. In vista del Fiandre, palesando una buona condizione, annoveriamo anche la presenza tra i migliori di un ritrovato Filippo Pozzato e di Oscar Gatto (Farnese Vini), già ottimi interpreti della trascorsa E3 Prijs-Harelbeke, nonché di Marco Marcato (Vacansoleil-DCM Pro Cycling Team) sempre più a suo agio nella classiche del Nord. Ottima anche la prestazione ed il lavoro di Luca Paolini, per Oscar Freire, (Katusha), e tra i maggiori artefici, insieme a Steegmans (Omega Pharma-QuickStep), prima della chiusura sull’allungo del plotone con Cancellara e Sagan e, successivamente, grazie alla velocità imposta in testa al gruppetto dei 27, del fallito riaggancio del gruppo inseguitore, quello nel quale viaggiava Mark Cavendish. E ci teneva Cavendish a riportarsi sotto, quando tutto solo ha più volte cercato di scuotere il gruppo inseguitore portandosi in prima persona a tirare nella speranza di agganciare i migliori in testa, dove avrebbe trovato un valido compagno di squadra in Edvald Boasson Hagen. Sarebbe questa stata un’occasione ghiottissima per il folletto iridato di imporsi in una Classica del Nord. Così non è andata e in vista di Wevelgem, sotto l’arco dell’ultimo chilometro, ormai il distacco risultava essere superiore ai 2’. Vittime dell’azione di Cancellara sono state anche altri candidati alla vittoria finale come Degenkolb (Project 1t4i), Farrar (Garmin-Cervelo), Greipel (Lotto Belisol Team) ed Hushovd (BMC Racing Team). Nel rettilineo di arrivo a centro strada Freire ha cercato di sorprendere tutti ma ha dovuto inesorabilmente arrendersi ad una poderosa progressione di Tom Boonen, il quale è riuscito a sopravanzare l’uomo della Katusha riuscendo per la terza volta ad imporsi sul traguardo di Wevelgem. Secondo, come già anticipato, Peter Sagan. A completare il podio Matti Breschel (Rabobank Cycling Team), sempre tra i migliori quando si respira aria del Nord. Il buon vecchio Freire stavolta, partito troppo in anticipo, scivola al quarto posto mentre in quinta posizione si piazza Edvald Boasson Hagen.
Antonio Scarfone
GREENEDGE, L’INVINCIBILE ARMATA SBANCA ANCHE SANREMO
marzo 18, 2012 by Redazione
Filed under 1) MILANO - SANREMO, Approfondimenti
La caratteristica peculiare della corsa è, lo si sa, l’imprevedibilità e anche quest’anno abbiamo assistito ad una gara incertissima, piena di colpi di scena e ad alto tasso di spettacolarità. A vincere, per il secondo anno di fila, è un ciclista australiano che ha scelto la Parigi-Nizza come corsa di preparazione alla Classicissima, Gerrans, capace di battere nell’ordine un superlativo Fabian Cancellara e il nostro Vincenzo Nibali, recente vincitore della Tirreno-Adriatico.
Foto copertina: il podio della Milano – Sanremo 2012 (foto RCS Sport)
Simon Gerrans: chi sostiene che abbia vinto un carneade o che l’australiano abbia rubato la vittoria a Cancellara, afferma due stupidaggini e ora cercherò di spiegare il perché.
Punto primo: Gerrans è uno dei pochi corridori ad essersi aggiudicato almeno una tappa in tutti e tre i Grandi Giri, tra cui spiccano quella magnifica al Tour de France sulle Alpi, a Prato Nevoso, e quella ottenuta al Giro D’Italia sulle durissime rampe del San Luca, a Bologna; non è un campione tra i più blasonati ma è comunque un ciclista che è stato capace di ottenere un piazzamento nei primi dieci in tutte e tre le classiche delle Ardenne; quest’anno solo un pimpante Valverde si è dimostrato più veloce di lui su arrivi posti in cima a strappetti.
Punto secondo: l’australiano è stato il primo a rispondere all’allungo di Nibali sul Poggio ed è stato anche in grado di ricucire un buco creato da una trenata di Cancellara (non proprio una passeggiata!). La volata finale, vinta sull’elvetico con un esiguo margine di vantaggio, dimostra chiaramente che, se avesse dato anche un solo cambio allo scatenato corridore svizzero, avrebbe perso lo sprint finale perché si sarebbe trovato senza più energie. Quindi, bravo a Gerrans che ha saputo sfruttare al meglio le sue caratteristiche e ha letto con la giusta freddezza la particolare situazione creatasi in corsa. D’altronde, chi grida allo scandalo, alla vittoria “mutilata”, come giudicherebbe, per esempio, i trionfi di Freire? Voto: 9
Fabian Cancellara: lo stesso corridore del 2008 non avrebbe avuto difficoltà a staccare i suoi avversari. Nonostante le splendide vittorie all’Eroica e nella crono alla Tirreno-Adriatico, infatti, non mi sembra esplosivo e potente come quattro anni fa. In ogni caso si rende protagonista di una gara meravigliosa in cui ha dimostrato forza, coraggio e determinazione. In discesa è riuscito addirittura a mettere in difficoltà Nibali lungo un paio di curve e, benché non abbia ricevuto nemmeno un cambio, ha proseguito ostinato fino al traguardo e si è lanciato in una volata furiosa che, tuttavia, lo ha visto perdente seppur di poco. Anche se oggi non ha raggiunto il risultato pieno, il Treno di Berna ha ricordato a molti appassionati perché il ciclismo è lo sport più bello del mondo. Voto: 10
Vincenzo Nibali: vedere un corridore da corse a tappe lottare per la vittoria in una grande Classica, peraltro non adattissima ai suoi mezzi, fa sempre un gran piacere. In effetti, Nibali è stato il primo a menare le danze sul Poggio ma poi, nonostante sia sempre stato a ruota (nel ruolo di stopper per Sagan), non è riuscito a fare una volata come si deve. Voto: 7
Peter Sagan: giovanissimo, 22 anni, alla seconda partecipazione alla Sanremo conquista un ottimo quarto posto. L’impressione è che gli siano state tarpate le ali sul Poggio che, cioè, abbia dovuto rispettare degli ordini di scuderia impartitigli dal più vecchio e autoritario compagno di squadra, Nibali. Avrà certamente l’occasione di rifarsi. Voto: 7
Filippo Pozzato: rispetto alle ultime stagioni ci troviamo di fronte ad un corridore diverso. Molto più motivato e voglioso di vincere, nonostante abbia gareggiato con una clavicola operata da poco più di un mese è stato capace di rimanere col gruppo dei migliori, e di concludere al sesto posto, al termine di una Sanremo combattuta e “tirata”. Mi aspetto che ci regali una vittoria tra Fiandre e Roubaix. Voto: 7
Oscar Freire: ha corso nella solita maniera, sempre nella pancia del gruppo, al riparo dal vento ed attento a non sprecare la minima energia. Era alla ricerca del poker e, se non fosse stata per la generosità di Cancellara, non ci sarebbe andato molto lontano perché, quando al traguardo mancavano solo 500-600 m era già a ruota di Sagan, pronto a beffarlo. Si deve accontentare del settimo posto in quella che, con ogni probabilità, resterà la sua ultima partecipazione alla Classicissima. Voto: 5
Tom Boonen: ha fatto tirare la squadra per buona parte degli ultimi 80 km ma poi, proprio sul più bello, è venuto a mancare. Sul Poggio è apparso in sofferenza, secondo me perché, come ho già avuto modo di dire, corre troppo al vento e, in una gara di 300 km, è fondamentale sapersi muovere nel gruppo, saper limare per non ritrovarsi con le gambe vuote. Gli anni passano, sono già 32 per Boonen, e questa grande Classica sembra stregata per il fuoriclasse belga che addirittura non riesce a piazzarsi nelle prime dieci posizioni. Peccato. Voto: 4
Mark Cavendish: vedere il Campione del Mondo, dato in grande spolvero e favorito della corsa, salire sulle Manie ad un’andatura cicloturistica, è alquanto penoso. Scopriremo nei prossimi giorni quale problema gli ha impedito di essere competitivo. Voto: 2
Philippe Gilbert: la caduta patita al termine della salita della Cipressa è stata causata dalla sfortuna o da una disattenzione dovuta a stanchezza fisica? Quest’anno, infatti, il dominatore assoluto delle Classiche della scorsa stagione è in forte ritardo di condizione, non si sa se per scelta o meno. Resta il fatto che Gilbert ha interpretato questa Sanremo nettamente al di sotto delle sue potenzialità. Dato, però, che l’incidente lo ha messo fuori gioco prima del Poggio, dove non so cosa avrebbe potuto combinare, non mi sento di esprimere un giudizio sull’atleta. Il Giro delle Fiandre che si correrà fra 15 giorni servirà a dare una risposta alla domanda iniziale. Voto: S.V.
Alessandro Ballan: quest’anno, che corre per un team (la BMC) in cui sono presenti pochi soldati e troppi caporali, deve saper sfruttare al massimo ogni occasione per poter giocare le sue carte. Alla Sanremo, per esempio, dove non era presente Thor Hushovd e che ha visto la partecipazione di un Gilbert non al cento percento, doveva rappresentare, per l’atleta veneto, un’opportunità assolutamente da non sprecare. Invece, sebbene abbia messo alla frusta la squadra, sul Poggio è stato inesistente. E pensare che alla vigilia della corsa aveva dichiarato di sentirsi in piena forma e che proprio quella salita lo ha esaltato parecchie volte gli anni passati. Voto: 4
E. Boasson Hagen: assolutamente insufficiente la gara del norvegese che avrebbe dovuto sfruttare la defaillance del capitano designato per la corsa, Cavendish. Totalmente deficitaria anche la strategia adottata dal Team SKY (voto: 3) che, invece di sacrificare fior di gregari nel vano tentativo di far rientrare un Cavendish evidentemente fuori condizione, avrebbe dovuto preservare gli uomini per supportare al meglio il valente Boasson. Voto: 2
Matthew Goss: il vincitore uscente si rende protagonista di una gara opaca, in cui già dal Poggio è apparso in evidente difficoltà. Per fortuna, Gerrans, suo compagno di squadra, è riuscito a compensare con un bellissimo successo la giornata no del suo capitano. Voto: 4
Francesco Gandolfi
TUTTO COME UN ANNO FA: CANCELLARA DOMINA, L’AUSTRALIA VINCE
marzo 17, 2012 by Redazione
Filed under 1) MILANO - SANREMO, News
Il fuoriclasse elvetico risponde all’attacco di Nibali, ottimo terzo al traguardo, e Gerrans sul Poggio e tira praticamente da solo negli ultimi 6 km per poi venire beffato in volata dal 31enne di Melbourne, secondo canguro ad aggiudicarsi la Sanremo dopo il suo attuale compagno di squadra Goss nel 2011. A Sagan la volata dei battuti, subito fuori gioco Cavendish.
Foto copertina: il successo di Gerrans alla Milano – Sanremo (foto Bettini)
I 106 anni di storia e il percorso sulla carta non impegnativo ma proprio per questo di difficile interpretazione hanno fatto della Milano-Sanremo una corsa dal fascino misterioso con atleti veloci in volata come il campione del mondo Cavendish (Sky), Farrar (Garmin), Freire (Rabobank), Petacchi (Lampre), Greipel (Lotto-Belisol), Boonen (Omega-QuickStep) e il vincitore dell’edizione 2011 Goss (GreenEdge), altri in grado di fare la differenza con un’azione da finisseur come Gilbert (Bmc), Pozzato (Farnese) e Nibali (Liquigas) e altri ancora in grado di fare entrambe le cose come Cancellara (Radioshack), Boasson Hagen (Sky) e Sagan (Liquigas) senza contare gli innumerevoli altri nomi più o meno illustri candidati a un posto al sole in una corsa apertissima come poche altre.
Alla vigilia si temeva per le condizioni meteo e invece la gara si è disputata con un clima primaverile e solo un leggero vento contrario una volta approdati in Liguria con Cheng Ji (Project 1T4I), Suarez (Colombia-Coldeportes), Gruzdev (Astana), Pagani (CSF), Laengen (Team Type 1), Oroz (Euskaltel), De Negri (Farnese), Morkov (Saxo Bank) e Berdos (UtensilNord) che hanno vissuto la loro giornata di gloria andando in fuga dopo pochi km e guadagnando fino a 13′ sul plotone ridottisi a poco più di 4 sotto la spinta principalmente di Sky e Farnese all’imbocco della salita delle Manie, primo punto chiave del percorso posto al km 204 di gara. Sull’ascesa introdotta nel 2008 che aveva prodotto grandissima selezione un anno fa gli uomini della Liquigas si sono portati al comando con un’andatura in realtà non molto sostenuta ma sufficiente per mettere in difficoltà una cinquantina di atleti tra cui Farrar e soprattutto Cavendish, che in ogni caso era apparso poco brillante già alla Tirreno-Adriatico malgrado il successo di tappa in quel di Donoratico. a questo punto il ritmo si è improvvisamente alzato nei km successivi con Bmc, Katusha, Farnese e Omega-QuickStep a tirare a tutta per impedire il rientro del britannico sia dietro con gli uomini della Sky a supportare il loro leader che non è però più riuscito a rientrare: queste accelerazioni si sono fatte sentire nelle gambe dei corridori nel finale della corsa e ancor prima in quelle di Petacchi, indebolito da un’infezione intestinale che ne aveva messo in forse la partecipazione alla Sanremo, che ha alzato bandiera bianca sul Capo Berta.
Una volta ripresi i fuggitivi iniziali e tagliato fuori definitivamente Cavendish è seguita una lunga fase di attendismo proseguita sulla Cipressa affrontata a ritmo relativamente blando con ancora la Liquigas in testa e i soli Hoogerland (Vacansoleil) e Vila (Utensilnord) a tentare di andarsene venendo però immediatamente riassorbiti e si sarebbe arrivati senza colpo ferire all’imbocco Poggio se non fosse per la caduta che ha coinvolto direttamente Gilbert, che sembrava finalmente in buona giornata dopo un avvio di stagione in cui è stato la brutta copia dell’atleta dominante nel 2011, e indirettamente Di Luca (Acqua&Sapone) che è rimasto intruppato in un gruppo di una trentina di unità dicendo addio a ogni speranza di ben figurare.
Sulle prime rampe è stato ancora la Liquigas con Agnoli, successivamente raggiunto e superato da Madrazo (Movistar) a smuovere le acque in vista di un attacco di Nibali che puntualmente è avvenuto a 1 km dallo scollinamento: il recente vincitore della Tirreno-Adriatico si è alzato sui pedali con grande potenza e solo il campione australiano Gerrans (GreenEdge) è riuscito a prenderne immediatamente la ruota mentre Cancellara rimasto inizialmente sorpreso ha operato una progressione impressionante lasciando sul posto tutti gli altri, riportandosi sui primi due in cima al Poggio e prendendo il comando. Con il diretto di Berna a disegnare le curve in discesa e a mulinare i lunghi rapporti, senza ricevere nessun cambio dai compagni d’avventura se non uno brevissimo da Gerrans mentre Nibali si è mantenuto a ruota sperando nel rientro di Sagan, nei 3 km che separavano la fine della stessa dal traguardo di via Roma è apparso subito chiaro che i tre atleti di testa si sarebbero giocati il successo malgrado il grande impegno degli uomini della Katusha nel gruppetto degli inseguitori. Cancellara ha semplicemente tirato dritto fino agli ultimi 200 metri incurante dei due uomini che aveva a ruota ma nulla ha potuto allo sprint di fronte alla maggiore freschezza di Gerrans che ha portato a casa un successo insperato dopo la caduta che ne aveva condizionato il rendimento alla Parigi-Nizza e oltre a essere il secondo australiano di fila a vincere la Sanremo dopo il successo del suo attuale compagno di squadra Goss, che dal canto suo non è mai stato in corsa, può essere considerato il primo corridore con caratteristiche non da sprinter nè da passista veloce ad aggiudicarsi la Classicissima dopo Tchmil nel 1999, chiaro segnale di una corsa che alla lunga si è rivelata più impegnativa del previsto. Nibali non ha avuto chances e ha dovuto accontentarsi del terzo posto davanti a Sagan che ha regolato Degenkolb (Project1T4I), un ritrovato Pozzato, ultimo azzurro a imporsi nella Sanremo nel 2006, e Freire nella volata per il 4° posto, cui non hanno partecipato Van Avermaet (Bmc) e Boonen volati in terra senza conseguenze nell’ultima curva: con il senno del poi viene da pensare che se Nibali non fosse scattato sul Poggio e fosse rimasto al fianco di Sagan probabilmente lo slovacco avrebbe avuto maggiori chances. I corridori saranno ora attesi dalle sfide della campagna del Nord con la Gand-Wevelgem, il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix in rapida successione dal 25 marzo all’8 aprile.
Marco Salonna
COPPA DEL MONDO: ANTIPASTO OLIMPICO A LONDRA
febbraio 20, 2012 by Redazione
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Si è conclusa ieri l’ultima tappa della coppa del mondo nel nuovissimo velodromo di Londra, quello che la prossima estate ospiterà le prove olimpiche. L’impianto ribattezzato Pringles per la sua forma si è rivelato velocissimo e i diversi record infranti ne sono la prova più evidente.
Foto copertina: una veduta dall’alto dell’impianto che ospiterà in estate le gare olimpiche di Londra (foto newtec.us)
Non ha deluso le aspettative l’ultima prova di Coppa del mondo, la rifinitura in vista dei mondiali del prossimo mese e la penultima occasione per accumulare punti in chiave olimpica.
L’occasione era ghiotta anche perchè permetteva di testare l’impianto olimpico in una gara vera, infatti tutti gli atleti più quotati erano presenti anche se alcuni probabilmente erano ancora in ritardo di preparazione.
La velocità a squadre maschile,è una delle poche prove priva di molti attori protagonisti a livello internazionale e questo causa poco spettacolo e diversi errori, anche da parte della Germania, che vince la prova davanti alla Francia ma si scompone lasciando uno dei suoi corridori all’ aria per due tornate. Al terzo posto la Gran Bretagna conferma di poter dire la sua in questa disciplina anche se c’è da lavorare sui meccanismi della prova.
La prova non olimpica in programma offre prestazioni deludenti, infatti nel kilometro il campione del mondo Nimke ha vinto ma con un tempo molto alto e alle sue spalle si è piazzato il giovane francese D’Almeida. Solo 13° l’italiano Francesco Ceci.
Hoy sente aria di casa e si carica nonostante le 35 primavere alle spalle; domina il suo Keirin supernado Enders e il transalpino Bourgain.
La finale più attesa è stata però quella della velocità individuale in cui Hoy ha superato tutti i migliori del lotto già nelle qualificazioni, scendendo sotto i 10”. In finale il baronetto supera il tedesco Levy, al terzo posto un altro tedesco, Forsterman che ha la meglio sul primatista del mondo dei 200m Sireau
L’omnium maschile, unica prova in cui possiamo sperare di avere un rappresentante alle olimpiadi parte male, Viviani nel giro lanciato, nonostante un buon tempo, si piazza 7° ( i primi sono racchiusi in pochi centesimi ma a contare non è il tempo ma il piazzamento). Il coriaceo Elia però mette in mostra la sua classe, vince l’eliminazione e arriva quarto nella corsa a punti piazzandosi al secondo posto in classifica generale al termine della prima giornata di gare. La seconda giornata si apre con la prova più ostica, l’inseguimento ed Elia mostra la sua preparazione imperfetta per questa specialità piazzandosi solo 12°, a deludere è però il 10° posto nello scratch prova gradita a Elia che lo proietta al 5° posto in classifica generale, nel kilometro da fermo, facendo valere tutta la sua classe, Viviani ottiene un 5° posto eccezionale che lo fa salire al 4° posto assoluto, piazzamento che gli permette di guardare con serenità alla qualificazione olimpica in attesa dell’ultima manifestazione che assegna punti olimpici, i mondiali del prossimo mese. La vittoria nell’omnium va al Colombiano Arango, uno dei favoriti per l’oro olimpico.
La finale dell’inseguimento a squadre vede contrapporsi dei mostri sacri della specialità, i campioni olimpici britannici e i campioni del mondo australiani che promettono di fare le prove generali in vista delle olimpiadi, anche se i quartetti da qua alle olimpiadi subiranno ancora qualche piccolo aggiustamento. Le attese sono soddisfatte, i britannici partono a tutta, ma gli australiani in un kilometro recuperano lo svantaggio e continuano a crescere vincendo e fermando il cronometro a 3′54′615 a 1” e 500 centesimi dal record del mondo stabilito a Pechino nel 2008 da Wiggins e company. Siamo comunque convinti che alle olimpiadi questo record stratosferico verrà abbassato.
Nella velocità a squadre femminile le australiana Anna Meares e Kaarle McCulloch già durante le qualificazioni abbattono il record del mondo col tempo di 32”966 e nessuno riesce ad avvicinarle nonostante la coppia britannica stabilisca il nuovo record nazionale. La finale del pomeriggio però va in modo diverso contro le previsioni di tutti e la coppia britannica caricata dal tifo casalingo realizza una prestazione impressionante, non solo vince, ma abbassa nuovamente il record del mondo fino a 32”754, per Varnish e Pendleton il risultato porta la vittoria e la consapevolezza di essere le favorite assolute in vista delle olimpiadi.
La Guo bissa il risultato di Pechino e vince davanti alla Meares la velocità individuale mostrando una superiorità netta, frutto anche della forma fisica già al top dell’ atleta asiatica. Solo quarta l’ idolo di casa Pendleton.
Prova di alto livello quella del keirin femminile che viene vinto dalla lituana Krupeckaite davanti alla rappresentante di Homg Kong Lee e alla cinse Guo. Solo quinta la Pendleton che non è riuscita a lanciarsi al meglio, ancora più indietro la Meares.
Anche le finali dell’ inseguimento a squadre femminile offrono emozioni e record. Già nella finalina Olanda e Australia fanno sul serio e le cangurine Edmonson, Cure e Tomic abbattono il record del mondo col tempo di 3′19”364. La finale per l’oro vede contrapposte Gran Bretagna e Canada ed entrambe le squadre superano nuovamente il record del mondo, la vittoria va alle padrone di casa Trott, King e Rowsell col tempo di 3′18”148.
La prova non olimpica in programma per le donne è stato lo scratch, vinto dall’australiana Hoskins, da segnalare l’ottimo quarto posto dell’italiana Laura Basso che difendeva i colori del Cycling team Friuli.
Vittoria della statunitense Hammer nell’omnium femminile davanti all’australiana Edmonson con lo stesso punteggio ma con peggiori tempi nelle gare cronometrate.
La vittoria finale della Coppa del mondo a squadre va alla Germania sulla Francia, l’ Italia ancora una volta non è pervenuta. Dobbiamo tener presente che i risultati della coppa del mondo nell’anno olimpico spesso non sono molto veritieri a causa degli allenamenti in vista delle olimpiadi. Ad Agosto infatti ci aspettiamo di vedere si in evidenza Germania e Francia, ma ci aspettiamo molto di più da Gran Bretagna e Australia e siamo curiosi di vedere cosa farà la Russia di cui qualcuno dice di prestazioni impressionanti durante gli allenamenti privati.
Matteo Colosio
A PECHINO GLORIA SOLO PER LA CECCHINI
gennaio 16, 2012 by Redazione
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Trasferta sull’anello che ha ospitato l’ultima olimpiade per capire se qualche progresso iniziamo a farlo. I risultati, però, non lasciano molto spazio alla speranza. Arriva una sola buona notizia dalla corsa a punti femminile grazie alla giovane Elena Cecchini, che vince la coppa del mondo di specialità in una prova che alle olimpiadi non c’è più.
Foto copertina: Elena Cecchini (www.corrieredellosport.it)
Anche la terza tappa di Coppa del Mondo si è rivelata al di sotto delle aspettative, sia a livello di partecipazione globale sia come risultati dei nostri atleti. Ci si chiede se l’attuale formula della coppa del mondo sia davvero la più azzeccata per il mondo della pista, con il risultato di campioni che saltano le prove o che partecipano solo all’ultima tappa per preparare il campionato del mondo, unico e vero obiettivo dei pistard di livello in ogni stagione assieme, ogni 4 anni, alle olimpiadi.
Forse si potrebbero ridurre ancora le tappe di coppa assegnandone una per continente (Africa esclusa) e facendo saltare ogni anno la tappa del continente che ospita i campionati del mondo, nel contempo dando però ulteriore peso alla coppa del mondo con una maglia che possa essere portata anche nelle altre manifestazioni e con punti che diventino determinanti per la qualificazione a mondiali e olimpiadi in base alla classifica finale e non alle singole tappe.
Andando a vedere i risultati della tappa di Pechino vediamo come i nostri atleti già nel corso della prima giornata non abbiano mostrato segni di crescita. Nell’inseguimento a squadre, specialità dal passato glorioso e su cui si lavora da diversi anni, nonostante l’innesto nel quartetto del professionista Marco Frapporti l’Italia non si è neppure lontanamente avvicinata ai tempi che contano. A vincere la prova è stato il Team RusVelo, che conferma la crescita del movimento russo in questa disciplina dopo la vittoria ottenuta a Calì lo scorso mese, davanti ai quartetti giovani (si guarda al futuro) di Australia e Nuova Zelanda.
Nello scratch, prova non olimpica inserita nel programma, vittoria per il giovane talentuoso Russo Sveshnikov che guadagna un giro su tutti e vince lasciando al gruppo la volata per i posti di rincalzo che vanno allo spagnolo Torres Barcelo e al bielorusso Lisousk. Ciccone, impegnato nella prova con le Fiamme Azzurre, non è andato oltre il 14° posto mentre Buttazzoni si è ritirato.
Nell’inseguimento individuale maschile vittoria per il neozelandese Latham con 4′25”964, risultato che gli è valso anche la classifica finale di coppa del mondo di specialità. L’azzurro Frapporti non ha concluso la sua prova in quanto è stato squalificato, errore perdonabile per il nostro atleta alla sua prima esperienza in coppa del mondo, anche se a certi livelli queste cose dovrebbero essere più uniche che rare.
L’omnium maschile si è giocato sul duello fra l’australiano O’shee e il francese Coquard, vinto dal primo grazie al passo falso di Coquard nell’inseguimento che è costato i 3 punti necessari per far meglio dell’avversario. Bertazzo conclude 18° ma vince lo scratch grazie al giro di vantaggio che riesce a conquistare.
La Madison vede al via della finale due 2 coppie italiane, quella della nazionale e quella delle Fiamme Azzurre, dopo che entrambe hanno superato la qualificazione. A dominare letteralmente la corsa è la coppia della Repubblica Ceca Blaha-Hacecky che vince con un giro di vantaggio sul Belgio e con 2 giri su tutte le altre coppie, guidate dalla Spagna. La classifica finale di coppa del mondo della Madison viene vinta dalla Svizzera grazie al quinto posto in questa tappa. Gli azzurri Buttazzoni- Bertazzo non concludono la prova, mentre i “Fiamme Azzurre” Ciccone e Masotti concludono all’8 posto.
La velocità a squadre maschile è stata vinta dai russi del Moscow Track Team davanti alla Cina, anche se i tempi fatti segnare hanno dimostrato il livello basso della competizione a cui non ha preso parte nessuno fra i velocisti migliori. Al terzo posto si è piazzata la Nuova Zelanda, che ha superato il Venezuela nella finalina.
Nel keirin vittoria quasi scontata del velocista più famoso presente in Cina, il francese Pervis, che ha superato il russo Borisov e l’australiano Taylor; Francesco Ceci e Fabio Masotti (stranamente impegnato in questa disciplina) non ganno, invece, superato il primo turno.
La velocità maschile ha sorriso ancora alla Francia con il giovane talento Concord che ha superato i numerosi velocisti cinesi al via della prova e, in finale, ha avuto ragione 2 a 0 di Zhang. Al terzo posto si è piazzato il riusso Dmitriev, che è così balzato al comando della coppa del mondo di specialità anche se con un vantaggio limitato sugli avversari. Per questo sarà quindi necessario attendere l’ultima tappa per vedere chi vincerà la Coppa del mondo. Gli azzurri Ceci e Cazzaro non hanno superato le qualificazioni: se da Cazzaro ci si poteva attendere l’ultimo posto (non è uno specialista della velocità), da Ceci questi risultati deludenti stanno ormai diventando troppi per essere uno specialista delle prove veloci. Probabilmente è giunto il tempo di provare a fare un po’ di ricambio fra i velocisti provando a portare alle prove di coppa atleti giovani con la speranza che possano crescere e puntare sulla pista, anche in modo da costruire una base solida in vista delle olimpiadi del 2016.
Nella corsa a punti femminile la nostra Elena Cecchini grazie al quinto posto ottenuto in gara conquista la Coppa del mondo di specialità che si disputava in due sole tappe (nella prima tappa la Cecchini era arrivata terza). Il risultato è di prestigio anche se arriva dopo due prove non ottime ma di alto livello e, comunque, fatte da una atleta molto giovane, al primo anno di elite e alla prima partecipazione in coppa del mondo. Peccato davvero che questa disciplina da sempre amica dei colori azzurri (ricordiamo negli ultimi anni i grandi risultati della Bronzini e della Cucinotta) non faccia più parte del programma olimpico.
L’inseguimento a squadre femminile ha visto una finale che contrapponeva le favorite bielorusse allo strano terzetto ucraino, composto anche da una velocista. Fra la sorpresa generale il terzetto bielorusso ha sbagliato la partenza e le ucraine ne hanno così approfittato, partendo a tutta e raggiungendo le rivali prima che queste potessero riorganizzarsi.
L’omnium femminile va alla russa Romanyuta, che ha vinto facile sulla cinese Li, mentre al terzo posto si è piazzata la polacca Wojtyra. L’azzurra Scandolara ha, invece, concluso al 17° posto dopo una prestazione senza infamia e senza lode.
I 500 m da fermo, prova ormai snobbata da quasi tutte le migliori atlete veloci, sono andati alla cubana Rodriguez col tempo di 34”657.
La velocità a squadre femminile, come da pronostico, è andata alle padrone di casa cinesi che hanno preparato al meglio questo appuntamento e in qualificazione hanno fatto segnare un tempo che si è avvicinato al record del mondo. Alle loro spalle s’incontrano una Bielorussia non al meglio e un team cinese, il Max Succes Procycling, che ha superato un altro team cinese a dimostrazione di quanto questa nazione continui a far sul serio nel ciclismo su pista, in particolare nella velocità.
Nella velocità individuale la Guo, che ha superato in 2 volate su 2 la Krupeckaite, si è confermata già in forma. Va fatto notare che tra le prime 16 classificate ben 7 atlete erano cinesi (con Li medaglia di bronzo), risultato sbalorditivo anche se ottenuto in una tappa che, come già detto, non vedeva al via tutte le migliori.
La Guo ha vinto anche il keirin superando ancora la Krupeckaite mentre al terzo posto si è piazzata la venezuelana Larreal. Le azzurre Frisoni e Tagliaferro sono state eliminate ai ripescaggi del primo turno e anche qua si potrebbe fare lo stesso discorso fatto per i velocisti perchè la Frisoni si è persa dopo le belle prestazioni di alcune stagioni fa mentre la Tagliaferro non è una specialista della velocità. Forse cercare nuove interpreti per queste discipline è la cosa giusta da fare per sperare in un futuro migliore.
La prossima tappa di Coppa del Mondo si terrà a Londra il prossimo mese e in questa occasione troveremo al via i migliori atleti di tutte le specialità, che non rinunceranno alla possibilità di testarsi sull’anello che assegnerà l’alloro olimpico la prossima estate.
Matteo Colosio