A CIOLEK UNA SANREMO DA TREGENDA
marzo 17, 2013 by Redazione
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Il tedesco della MTN-Qhubeka conquista a sorpresa la 104a Milano – Sanremo, funestata da pioggia e neve, al punto da indurre gli organizzatori a tagliare il Passo del Turchino e la salita delle Manie. Beffato negli ultimi metri Peter Sagan, perfetto fino allo sprint, lanciato invece con eccessivo anticipo. Completa il podio Fabian Cancellara, promotore, insieme a Luca Paolini, dell’azione che sul Poggio ha rintuzzato un pericoloso attacco di Chavanel e Stannard.
Foto copertina: Gerald Ciolek brucia Peter Sagan sul lungomare sanremese (foto Roberto Bettini)
E’ una delle edizioni più controverse che si ricordino quella che ha segnato il passaggio della Milano – Sanremo dal sabato alla domenica, scelta che forse nessuno immaginava potesse pesare tanto sullo sviluppo della gara. Si fosse corso ventiquattro ore prima, la Classicissima 2013 si sarebbe infatti disputata in condizioni meteo del tutto normali, sul tracciato previsto, e con un parterre di favoriti comprendente non meno di una ventina di nomi. Ad accogliere i corridori alla partenza, stamane, è stato invece un freddo ben poco primaverile, accompagnato da un misto di pioggia e neve che non lasciava presagire nulla di buono per il transito sul Passo del Turchino, abbondantemente imbiancato.
A dispetto del malcontento degli appassionati, ed in particolare di coloro che ricordano alcune epiche battaglie sotto la neve di alcuni decenni or sono (si pensi alla Liegi 1980, passata alla storia come Neige-Bastogne-Neige), e senza particolari lamentele da parte degli interpreti, gli organizzatori hanno così optato per una drastica soluzione: stop alla corsa ad Ovada, dopo 117 km di gara, e ripresa a Cogoleto, per percorrere ancora 126 km, con trasferimento in pullman e congelamento dei distacchi (gioco di parole non voluto) fra i battistrada e il gruppo. Una scelta tutto sommato comprensibile nell’ottica della salvaguardia della sicurezza dei corridori, pensando soprattutto all’eventuale discesa innevata; meno condivisibile invece il taglio della salita delle Manie, motivata come tentativo di venire incontro agli atleti, provati dal maltempo.
Per assistere al vero avvio della Milano – Sanremo si sono così dovute attendere le ore 15, allorché la giuria ha dato via libera a Maxim Belkov, Lars Yitting Bak, Matteo Montaguti, Diego Rosa, Filippo Fortin e Pablo Lastras, evasi dopo una decina di chilometri e giunti all’interruzione con 7’10’’ di margine sul plotone. Con il medesimo ritardo è ripartito dunque il gruppo, privo però di possibili protagonisti quali Nordhaug, Terpstra, Slagter e, soprattutto, Tom Boonen, che hanno preferito non ripartire. E mentre i colleghi riprendevano a pedalare, il quattro volte vincitore della Roubaix ha rilasciato dichiarazioni assai allarmanti, secondo le quali sarebbero ripartiti da Cogoleto anche atleti ritiratisi precedentemente, il cui abbandono non era però stato formalizzato.
Nell’attesa di verificare se troveranno riscontro le parole del belga, che getterebbero non poche ombre sulla trasparenza dell’organizzazione, non resta che raccontare quel che restava di una corsa quanto mai anomala, se non altro perché di fatto spezzata in due semi-tappe. Fortin perdeva contatto dagli altri fuggitivi a 76 km dal traguardo, mentre dava forfait anche il vincitore dell’edizione 2011, Matthew Goss. Nella zona dei Capi, a lasciare sono stati Thor Hushovd e, soprattutto, Vincenzo Nibali, estromesso da condizioni meteo non troppo dissimili da quelle che pochi giorni fa avevano favorito la splendida azione con cui aveva mandato gambe all’aria Froome e il Team Sky, ribaltando la Tirreno – Adriatico.
La fuga dei coraggiosi della prima ora si è esaurita a 31 km dal traguardo, poco prima che, all’imbocco della Cipressa, una caduta obbligasse a depennare anche Tyler Farrar dalla lista dei papabili vincitori. Proprio lì, come prevedibile, i big hanno cominciato a muoversi; non tanto sulla salita, animata da timidi allunghi di Roelandts, Chavanel e Bouet; quanto piuttosto nella successiva discesa, dove Gilbert ha chiamato in avanscoperta un drappello che non è però riuscito a trovare accordo. Fra i presenti, Chavanel, Stannard e Vorganov sono stati i più lesti ad approfittare della fase di stallo, allungando ulteriormente, e costruendo in breve un margine di 25’’ difeso fino all’imbocco del Poggio.
Il russo ha ceduto dopo poche pedalate all’insù, mentre Chavanel e Stannard, pur scattandosi reciprocamente in faccia più di una volta, hanno a lungo dato l’impressione di poter resistere fino a Sanremo. A sventare un arrivo della coppia hanno provveduto invece Moser, sotto il cui impulso sono stati riassorbiti Vorganov e il contrattaccante Iglinskiy, e soprattutto il duo Paolini – Cancellara, promotori in quest’ordine di accelerazioni cui hanno saputo replicare soltanto Pozzato, Sagan e Ciolek.
Con 7’’ di differenza tra i due gruppetti in cima all’ultima salita, a consentire il ricongiungimento sono state le doti di discesista dello slovacco, che ha riportato sotto i compagni d’avventura e fatto fuori Pozzato, incredibilmente incapace di chiudere i pochissimi metri che lo separavano da Paolini allo scollinamento.
Terminata la picchiata, è stato ancora il baby-fenomeno Cannondale il primo a provare l’allungo, imitato poco dopo da un disperato tentativo di Stannard, rintuzzato di nuovo dal favorito numero uno della vigilia. Al prezzo di quelli che, con il senno di poi, sono forse stati due fuori-giri di troppo, il 23enne di Zilina si è così ritrovato sul rettilineo d’arrivo esattamente dove voleva essere, con i pochi velocisti più quotati di lui ormai ben distanziati. Con la tavola apparecchiata per mettere le mani sulla prima classica monumento della carriera, Sagan ha invece gettato al vento un trionfo annunciato con un madornale errore di scelta di tempo: stuzzicato da un tentativo di volata lunga di Chavanel, Peter ha lanciato lo sprint a non meno di 250 metri dalla linea bianca, con a ruota Gerald Ciolek, di gran lunga il cliente più scomodo del drappello. La rimonta del tedesco è stata lenta, ma l’anticipo con cui lo slovacco aveva avviato la sua progressione ha lasciato al 26enne di Colonia tempo e spazio per completarla, sia pure poco prima del colpo di reni.
Terzo, parzialmente consolato per l’ennesimo piazzamento nella Classicissima dalla sconfitta del grande favorito, con il quale i rapporti non sono idilliaci, Fabian Cancellara, da cui nel finale ci si attendeva un ulteriore attacco, di fatto mai concretizzatosi. Chavanel, Paolini e Stannard hanno occupato le posizioni dalla quarta alla sesta, anticipando di pochi metri Taylor Phinney, autore di una mostruosa progressione nei chilometri finali, con la quale ha messo tutto solo 14’’ fra sé e il gruppo, regolato da Kristoff su Cavendish e Eisel.
Con sollievo, si può concludere che le condizioni a dir poco anomale non hanno impedito ai più forti fra i superstiti di arrivare a giocarsi la Sanremo, con pioggia e freddo a compensare l’eliminazione di due passaggi chiave della corsa e la riduzione del chilometraggio. Crediamo di poter affermare però che, con Turchino e Manie, avremmo assistito a qualcosa di diverso; e se pensare che in altri tempi la gara sarebbe stata disputata regolarmente non rende necessariamente sbagliato il taglio del primo, si intravede almeno nella soppressione della seconda ascesa un eccesso di cautela o di clemenza.
Matteo Novarini
“LAGGIÚ A CALÍ…”
ottobre 16, 2012 by Redazione
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Nella prima tappa di coppa del mondo su pista si sono verificate novità tanto assurde quanto affascinanti, come l’egemonia della nazione colombiana nel medagliere finale con quattro ori finali, e i due ori conquistati dalla spedizione italiana. Confermano la loro forza in questo settore delle due ruote anche gli inglesi e gli australiani.
Foto copertina: un momento di gara (www.copamundopistacali.com)
Era la prima uscita ufficiale della pista dopo le Olimpiadi di Londra della recente estate, e come nelle previsioni ci sono, state alcune sorprese; conseguenza di alcune assenze importanti, come quelle per ritiro di Chris Hoy e Victoria Pandleton e altre per ko fisico dopo una stagione lunga ed estenuante e ci riferiamo a uomini interessanti anche su strada come Coquard e Hansen.
E in primo luogo è d’obbligo ripercorrere le prime posizioni ottenuta dalla Colombia: nell’inseguimento a squadre maschile, con il quartetto composto da Avila, Arango Carvajal, Castro e Roldan Ortiz, che distanziano nell’ordine Russia e Svizzera; sul chilometro da fermo maschile con Fabian Puerta davanti a Emadicoffin (Belgio) e Lafargue (Francia); nel Keirin maschile sempre con Fabian Puerta; e come ciliegina sulla torta nel keirin femminile con Juliana Gaviria davanti a Gonzalez (Messico) e Cueff (Francia).
Come anticipato l’Italia ottiene due ottime medaglie d’oro nell’inseguimento a squadre femminile, con Giulia Donato, Beatrice Bartelloni e Maria Giulia Confalonieri, davanti al Galles e alla Colombia; e nell’Omnium maschile con un Paolo Simion costante nelle sei prove (in cui spicca il secondo posto nello scratch), vittorioso sullo spagnolo Juaneda e sullo svizzero Perizzolo. Una sola invece è la medaglia di bronzo, ottenuta da Elena Cecchini nello Scratch dietro all’australiana King e alla ceca Machacova
Altre prestazioni importanti sono state offerte nello sprint femminile dove la coreana Sze Lee ha ragione dell’inglese Angharad James, nell’Omnium femminile in cui domina l’Australia grazie a Isabella King che lascia a 12 lunghezze la polacca Rutkowska e dove si segnala in quinta posizione la ventenne Giulia Donato.
Prove spettacolari come la corsa a punti maschile è stata vinta dall’austriaco Graf; la sfida nella velocità maschile tra il tedesco Thiele e il colombiano Puerta, sorride all’europeo; nella velocità a squadre maschile domina la Germania con Thiele, Engler e Schroeder, mentre nell’analoga prova femminile è la scuola inglese a dettare legge con il duo Angharad James e Varnish.
É stata una tre giorni come si è potuto notare molto intensa, dove gli atleti hanno dato ancora battaglia e spettacolo pur essendo in ottobre inoltrato.
Ma è proprio questo il bello della pista, quello di iniziare quando la strada va in vacanza, e i prossimi appuntamenti sono il mese prossimo a Glasgow per il secondo appuntamento di Coppa del Mondo.
Comunque sia questa edizione rimarrà nel cervello di parecchi atleti, perché per loro inizia un ciclo di gare e di avventure che si concluderà nella cornice di Rio de Janeiro 2016, quella delle prossime Olimpiadi.
Paolo Terzi
I SUDDITI DI SUA MAESTA’ SI CONFERMANO I MIGLIORI IN PISTA
agosto 8, 2012 by Redazione
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Ci aspettavamo qualcosa in più dagli australiani e forse anche da francesi, tedeschi e russi, ma in questo 2012 il ciclismo è affare britannico. Dopo la stagione stratosferica di Wiggins ecco i suoi connazionali, che sembravano aver perso la supremazia nei velodromi, riprendere il comando della situazione conquistando 7 ori su 10 a disposizione.
Foto copertina: Hoy, campione olimpico nel keirin (www.london2012.com)
Quella che si è conclusa ieri (ciclisticamente parlando, per gli altri sport i giochi continuano fino al 12) è stata l’olimpiade dei britannici, non solo perchè si è corsa a Londra, ma perchè ancora una volta hanno dimostrato di sapersi preparare come nessun altro quando l’appuntamento è quello a cinque cerchi. Molti addetti ai lavori, guardando la coppa del mondo e i mondiali, si erano illusi che gli australiani avessero ormai superato i britannici, invece a Londra tutti gli atleti di casa si sono presentati al via delle varie prove con una condizione stratosferica e con una concentrazione mai viste prima.
E’ stato proprio grazie a questa concentrazione e convinzione che l’amatissima Victoria Pendleton ha potuto vincere il Keirin, surclassando la più veloce Meares, relegata al quinto posto in una disciplina in cui contano non solo la velocità, ma anche il colpo d’occhio, la scaltrezza e l’abilità nel guidare il mezzo. Secondo posto per la cinese Guo, plurimedagliata dei giochi grazie ad un bronzo e ai due argenti conquistati, anche se uno dei due argenti avrebbe dovuto essere oro… Ancora una volta, infatti, nella velocità olimpica la giuria, come già aveva fatto agli ultimi mondiali, si è dimostrata intransigente e in finale ha squalificato la Cina per cambio effettuato al limite dei 15 m che il regolamento stabilisce. La Cina si era dimostrata la squadra più forte facendo segnare il nuovo record del mondo al primo turno, fermando il cronometro a 32.422. A vincere la velocità olimpica è stata così la Germania, favorita della vigilia ma rivelatasi più debole delle velocissime cinesi, mentre al terzo posto si è piazzata l’Australia, trascinata dalla fenomenale Meares.
Nella velocità la forza ha fatto la differenza e la Meares ha vinto la prova superando 2 a 0 una Pendleton conscia della sua inferiorità e abbattuta dalla ripetizione della prima manche, che la britannica aveva vinto. Al terzo posto la cinese Guo a completare un podio veritiero, che ha confermato i valori in gioco.
L’inseguimento a squadre femminile è stato vinto ancora una volta dalle fortissime britanniche che hanno migliorato di un secondo il precedente record del mondo, portandolo a 3′14”051 e superando nella finale le statunitensi, incapaci di reggere un ritmo simile.
L’omnium, prova appena entrata nel programma olimpico (e già in fase di revisione), ha visto trionfare ancora una volta l’inglese Trott, davanti alla statunitense Hammer e all’australiana Edmonson.
Passando agli uomini la musica non cambia e così l’inno che viene suonato alle premiazioni è sempre quello britannico.
Nella velocità, dove Bauge veniva dato come grande favorito, Kenny si dimostra fin dalle qualifiche molto competitivo, facendo segnare il miglior tempo e vincendo tutte le batterie. In finale i due più forti si ritrovano ma il britannico mostra una marcia in più del transalpino; per il terzo posto l’australiano Perkins supera un sorprendente atleta di Trinidad e Tobago, Njisane.
La velocità olimpica, che sembrava una prova molto aperta, in realtà si è capito fin da subito che non avrebbe avuto molta storia, con la Francia che in finale ha dovuto inchinarsi al terzetto dei razzi britannici Hoy, Kenny e Hindes, che hanno stabilito anche il nuovo record del mondo con 42.600; al terzo posto la Germania, favorita della vigilia.
Il keirin è stata la prova conclusiva delle olimpiadi e una delle più attese in quanto al via c’era il portabandiera britannico, sir Chris Hoy, in cerca del record di medaglie d’oro per un atleta della sua nazione. Le aspettative non sono state deluse poichè con una volata impressionante per potenza e lunghezza Hoy ha dominato la prova; alla sua ruota un impotente Levy, staccati e a pari merito Mulder e van Velthooven.
L’ inseguimento a squadre era una delle prove da cui ci si attendevano sfracelli a causa della iperspecializzazione che i quartetti avevano dimostrato negli ultimi periodi e così è stato: i britannici (Clancy, Thomas, Kennaugh e Burke) hanno stravinto la prova abbassando il record del mondo di un secondo e mezzo e portandolo a 3′51”659; alle loro spalle i bravissimi australiani, che però non si sono avvicinati ai quattro fenomeni di casa, terzo posto per la Nuova Zelanda davanti ad una Russia deludente.
L’unica prova che vedeva al via un atleta azzurro era l’omnium, con Elia Viviani che, dopo aver corso la prova in linea, si presentava al via delle 6 prove con la convinzione di poter dire la sua.
Il percorso di Elia è stato molto buono (sesto nel giro lanciato, quarto nella corsa a punti, secondo nell’eliminazione, quarto nell’inseguimento, secondo nello schratch) ritrovandosi al primo posto a pari merito con altri due atleti prima dell’ultima prova, il kilometro da fermo. Purtroppo in quest’ultima prova, che sapevamo essere sfavorevole ad Elia, il risultato è stato deludente, un nono posto, anche se con un tempo discreto, che è costato caro. Viviani dal primo posto è sceso al sesto, anche se ha emozionato gli spettatori con la sua grinta e col suo impegno. A vincere la gara è stato il danese Hansen davanti al francese Cocquard e al britannico Clancy.
Matteo Colosio
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MARVULLI E MARGUET VINCONO LA SEIGIORNI DELLE ROSE
luglio 16, 2012 by Redazione
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Seigiorni molto equilibrata quella ospitata che si è disputata al velodromo Pavesi di Fiorenzuola. A vincere è la coppia svizzera che supera due coppie ceche, alle loro spalle un folto gruppo di olimpici che hanno forse fatto pretattica in vista di Londra.
Foto copertina: il podio della seigiorni 2012 (www.6giornidellerose.com)
La seigiorni delle rose 2012 si presentava come un ottimo allenamento in vista dei giochi olimpici di Londra e così al via della manifestazione si sono schierati alcuni sicuri protagonisti della prova omnium alle olimpiadi come Perez, Archbold, Irvine e Muntaner.
Nonostante questo il livello dei partecipanti è sembrato essere inferiore rispetto agli anni scorsi. L’organizzatore della seigiorni, Claudio Santi, ha ammesso le difficoltà crescenti per allestire una manifestazione simile in tempi di crisi ed ha ammesso la necessità di tagliare alcune spese accessorie, limitando gli spettacoli collaterali e facendo anche un po’ di economia sugli ingaggi di alcuni big.
Al via della seigiorni si sono così presentate solo poche coppie davvero papabili per il trionfo finale e, fra queste, le più quotate erano quelle con gli atleti olimpici e la coppia elvetica Marvulli – Marguet.
La prima sera i due elvetici si dimostrano subito in grande forma e prendono il comando della classifica, nonostante la difficoltà – molto maggiore rispetto agli anni passat i- nel guadagnare i giri su una pista lunga quasi 400 m e ciò ha reso meno spettacolari le Madison.
La seconda sera di gare vede altri protagonisti farsi avanti per la leadership; a prendere il simbolo del primato è la coppia costituita dai cechi Hochmann e Hacecky, i quali sembrano quasi aver stretto un patto di non belligeranza con le altre due coppie di loro connazionali presenti alla gara.
Durante la terza sera sono invece Kankovsky e il neo campione nazionale su strada della repubblica ceca Kadlec a balzare in testa alla classifica.
In tutti questi ribaltoni Marvulli e Marguet restano comunque sempre vicinissimi ai primi della classifica, continuando a fare punti preziosi nelle varie prove, soprattutto nel giro lanciato dove Marguet si dimostra velocissimo.
La quarta serata a Fiorenzuola è tradizionalmente quella della Madison di 100 km che va alla coppia Muntaner – Irvine ma che vede la classifica farsi ancora più corta con 6 coppie a pieni giri e con Marvulli e Marguet che ottengono il primato a termine serata ma con un vantaggio molto esiguo.
Durante la quinta serata Marvulli e Marguet superano i 200 punti in classifica e guadagnano un giro sul resto degli atleti. Kankovsky e Kadlec non si danno per vinti e durante la sesta giornata di gare superano anche loro la soglia dei 200 punti e ritornano in lizza per la vittoria finale.
Tutto si decide, quindi, con l’ultima Madison nella quale Marvulli e Marguet si dimostrano più veloci dei rivali e vincono la seigiorni 2012 (per Marvulli è il quinto trionfo, per Marguet il primo) con 9 punti sui Kankovsky e Kadlec. Completa il podio la coppia Hocmannn – Hacecky che sopravanza proprio in quest’ultima Madison i russi Krasnov e Zhurkin.
Matteo Colosio
TOUR DE FRANCE 2012
giugno 30, 2012 by Redazione
Filed under Tour de France
TOUR DE FRANCE 2012
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RADUNO DI PARTENZA
PROLOGO: LIEGI
1a TAPPA: LIEGI – SERAING
2a TAPPA: VISE’ – TOURNAI
3a TAPPA: ORCHIES – BOULOGNE-SUR-MER
4a TAPPA: ABBEVILLE – ROUEN
5a TAPPA: ROUEN – SAINT-QUENTIN
6a TAPPA: EPERNAY – METZ
7a TAPPA: TOMBLAINE – LA PLANCHE DES BELLES FILLES
8a TAPPA: BELFORT – PORRENTRUY
9a TAPPA: ARC-ET-SENANS – BESANÇON (cronometro)
10a TAPPA: MAÇON – BELLEGARDE-SUR-VALSERINE
11a TAPPA: ALBERTVILLE – LA TOUISSUIRE (LES SYBELLES)
12a TAPPA: SAINT JEAN DE MAURIENNE – ANNONAY / DAVÉZIEUX
13a TAPPA: SAINT-PAUL-TROIS-CHÂTEAUX – LE CAP D’AGDE
14a TAPPA: LIMOUX – FOIX
15a TAPPA: SAMATAN – PAU
16a TAPPA: PAU – BAGNÈRES-DE-LUCHON
17a TAPPA: BAGNÈRES-DE-LUCHON – PEYRAGUDES
18a TAPPA: BLAGNAC – BRIVE-LA-GAILLARDE
19a TAPPA: BONNEVAL – CHARTRES (cronometro)
20a TAPPA: RAMBOUILLET – PARIGI
IL FANTASMA DI VINOKOUROV NEL CUORE DELLE ARDENNE
aprile 24, 2012 by Redazione
Filed under 7) LIEGI - BASTOGNE - LIEGI, Approfondimenti
La Decana delle Classiche, giunta alla sua 98ª edizione, premia la sagacia tattica degli atleti Astana che concludono, grazie al trionfo di Iglinsky e al terzo posto di Gasparotto, una settimana fantastica iniziata con il successo all’Amstel Gold Race, di domenica scorsa, dello stesso atleta italiano. Punita, invece, l’esuberanza di Vincenzo Nibali che, dopo una splendida azione, si “pianta” letteralmente nel finale di gara. Prove del tutto deludenti hanno offerto i fratelli Schleck e Philippe Gilbert.
Foto copertina: Iglinskiy bacia il trofeo spettante al vincitore nella “Doyenne” (foto Bettini)
Maxim Iglinsky: il tenace atleta dell’Astana, che avevamo imparato ad apprezzare per le sue qualità di “solido” ciclista da pavé, oggi si è confermato come uno degli elementi migliori usciti dalla grande scuola del ciclismo kazako la quale ha, ovviamente, in Alexandre Vinokourov il proprio punto di riferimento. Anche se quest’ultimo (impegnato al Giro di Turchia per affinare la gamba in vista dell’imminente Giro d’Italia) non ha potuto essere al via di quella che può essere considerata a pieno titolo la “sua” corsa (ha trionfato nel 2005 e nel 2010), deve aver dato ottimi consigli ai ragazzi del team, almeno a giudicare da come hanno interpretato questa settimana di Grandi Classiche. In particolare Iglinsky, che si era già dimostrato in ottime condizioni di forma sia all’Amstel che alla Freccia, è stato impeccabile: ha saputo sfruttare alla perfezione la superiorità numerica creatasi nel finale di gara ed è stato bravissimo nel gestire le energie, ben consapevole che alla Liegi gli sforzi inutili o gli eccessi si pagano sempre. Freddezza e lucidità in corsa sono sempre state le principali caratteristiche di Vinokourov e lo stesso modo di pensare e di agire del “Capo” lo hanno ereditato i suoi corridori. Voto: 10
Vincenzo Nibali: al Giro di Lombardia della passata stagione aveva entusiasmato tutti grazie all’azione solitaria iniziata sul Ghisallo, dove era riuscito a fiaccare le resistenze di Gilbert con una progressione memorabile. All’euforia era poi seguita la delusione, nel momento in cui la fuga del siciliano era stata annullata. Oggi si è riproposta una scena analoga sulla salita “dei Falconi” quando l’atleta Liquigas, dopo due rasoiate assestate per bene, è riuscito a sbarazzarsi della compagnia dello stesso Gilbert e di Vanendert e sembrava destinato a conquistare la Doyenne. Peccato che si sia riproposto anche il medesimo epilogo del Lombardia, con Iglinsky, capace di riprendere e staccare di netto il siciliano ormai esausto. La sensazione è che l’atleta non sappia ben gestirsi, a differenza di chi l’ha battuto quest’oggi, nei finali di gara (probabilmente la “cotta” è stata causata da scarsa alimentazione) e in particolare quando si trova in fuga solitaria. È essenziale, per un atleta dalle sue caratteristiche, porre subito rimedio a questo deficit tattico se vorrà un giorno vincere una Grande Classica, dato che, non essendo veloce, si troverà sempre costretto a provare ad anticipare i suoi avversari con azioni da lontano. Bisogna solo augurarsi che ora i tecnici della squadra lo selezionino per il Tour de France e non per il Giro d’Italia, dal momento che difficilmente potrebbe mantenere questo stato di forma fino al termine della corsa rosa. Voto: 8
Enrico Gasparotto: dopo il successo all’Amstel arriva anche questo inaspettato terzo posto alla Liegi. Molto bravo nello svolgere il ruolo di stopper per favorire il compagno di squadra Iglinsky, ormai in fuga da qualche chilometro, è stato capace di compiere una bellissima progressione al termine della Cote di Ans. Se vederlo tra i primi sui muri che caratterizzano la classica olandese non è stata una novità, trovarlo battagliare per vincere questa corsa monumento è stata l’ennesima, piacevolissima sorpresa che ci ha riservato il ciclista veneto questa settimana. Al termine di questa campagna del Nord ci troviamo, cioè, di fronte ad un atleta maturo, sicuro dei propri mezzi, in grado di resistere anche sui percorsi più esigenti e su cui potremo contare nei prossimi anni. Voto: 8
Thomas Voeckler: davvero encomiabile la grinta dell’alsaziano che, in evidente ottimo stato di forma,viene messo fuori gioco a causa di un problema meccanico che lo obbliga a profondersi in uno sforzo inutile per poter rientrare nel gruppo principale. Nonostante questo, da suo solito, non s’è perso d’animo, ed è andato a cogliere il suo più bel risultato (quarto all’arrivo) in una delle classiche più importanti del calendario internazionale. C’è da credere che, se non avesse avuto quell’incidente, sarebbe stato il primo a scattare lungo il falsopiano che segue la Roche aux Faucons, il quale sembra disegnato apposta per le sue caratteristiche tecniche. Voto: 7
Daniel Martin: è sicuramente un gran fondista, sul Saint Nicolas si dimostra uno dei più freschi e si rende protagonista di una importante progressione proprio sulla “salita degli italiani”. La vittoria nella Tre Valli Varesine di qualche anno fa non è stato, evidentemente, un caso. Data la giovane età potrà sicuramente, in un futuro ormai non lontano, ottenere la vittoria nella corsa. Voto: 6
Michele Scarponi: al di là dell’ottavo posto finale raggiunto, quello che è importante evidenziare è la condizione in vista del prossimo Giro d’Italia, obiettivo numero uno dello scalatore marchigiano. I segnali dati sono incoraggianti e, anche se sulle ultime salite, la pedalata è un po’ legnosa, il tempo per migliorare c’è. Questo piazzamento rappresenta un’ottima base su cui lavorare. Voto: 6
Samuel Sanchez: quest’anno doveva assolutamente far sua la corsa, o almeno essere lì a giocarsela con i migliori, dato che ormai le primavere del corridore spagnolo sono 34 e le possibilità di vincere la Liegi nei prossimi anni sono davvero ridottissime. Come possibile attenuante della mediocre prova dell’olimpionico bisogna segnalare l’inconveniente meccanico occorsogli a circa 50 km dal traguardo, ma è davvero deludente vedere un ciclista del suo calibro concludere la gara con un misero settimo posto, al termine di una corsa a dir poco opaca. Voto: 5,5
Damiano Cunego: com’era ampiamente prevedibile, purtroppo, il Giro del Trentino, invece di servire come preparazione in vista della Liegi, lo ha debilitato. Le pendenze estreme di Punta Veleno e il freddo proibitivo del Passo Pordoi gli hanno tolto brillantezza, lo hanno privato di quella scioltezza e ritmo di pedalata necessari a vincere una gara impegnativa come la Decana. Bisogna chiedersi chi sia il responsabile della preparazione del veronese, dato che sarebbe stato molto più opportuno, e chiunque lo avrebbe capito, fargli correre la Freccia Vallone. Forse anche la pressione psicologica del pre-gara può avere contribuito alla cattiva prestazione del ciclista, dal momento che spesso ha dimostrato una certa fragilità sotto questo profilo. Voto: 4,5
Joaquim Rodriguez: quando le gare non si concludono su vere e proprie “rampe da garage” ma presentano caratteristiche tali da premiare i corridori più fondisti e completi del plotone, il ciclista spagnolo dimostra di soffrire. Sempre più specialista dei “muri” e sempre meno ciclista versatile, conclude lontano dai primi una gara in cui alla vigilia era dato tra i favoriti. Voto: 4
Frank Schleck: capitano designato della squadra per questa Liegi, nonostante anche il fratello Andy (a disposizione di Frank quest’oggi, voto: 6) lo dia in grande spolvero, non riesce minimamente a reggere il ritmo dei più forti nelle fasi calde della corsa. Delusione totale. Voto: 4
Jelle Vanendert: dopo aver messo alla frusta la sua squadra (Lotto, voto: 9), viene letteralmente sfiancato dalle sfuriate di Nibali sulla “salita dei Falconi”. Non va oltre il 10º posto. Voto: 5
Philippe Gilbert: corre davanti tutta la gara ma quello che ci troviamo di fronte appare davvero il Gilbert “vecchia maniera”, il ciclista che conoscevamo prima del biennio 2010-2011, tant’è vero che dopo aver provato invano a seguire Nibali nella sua azione, conclude ben lontano dai primi. Interrompe il trend positivo che sembrava vederlo in netta crescita nelle ultime gare. Voto: 4
Alejandro Valverde: come Samuel Sanchez e Voeckler, anche lo spagnolo ha avuto un incidente meccanico ma, a differenza di questi ultimi, non è stato in grado di rientrare nel gruppo dei migliori, a testimonianza del fatto che la condizione non gli avrebbe comunque permesso, al di là dell’inconveniente, di giocarsi la sua terza Liegi. Voto: 3
Francesco Gandolfi
GRAZIE VINCENZO. A IGLINSKY UNA LIEGI (QUASI) GRIGIA
aprile 22, 2012 by Redazione
Filed under 7) LIEGI - BASTOGNE - LIEGI, News
Il kazako Iglinsky vince meritatamente un’edizione sottotono della Liegi, ravvivata quasi esclusivamente dalla strepitosa azione solitaria di Vincenzo Nibali, che attacca sulla Roche aux Faucons e resiste fino alla flamme rouge, concludendo comunque secondo.
Foto copertina: Nibali taglia il traguardo di Ans (foto Bettini)
Una Liegi grigia, uggiosa, trafitta qui e là da qualche raggio di sole. L’obiettivo della telecamera spesso si appanna, metafora di una situazione confusa, della nebbia di una battaglia che diventa mischia disordinata, così come trasmette la stessa deprimente sensazione la disastrosa informazione sui distacchi fornita dall’organizzazione di corsa. Nella foschia vaporosa di un gruppo polverizzato in mezzi favoriti e stelle cadute, privo di fari, si accende di improvviso la fiamma di Vincenzo Nibali, che realizza un’azione limpida, pura, lineare, e che verrà abbattuto solo dalla scheggia impazzita Iglinsky, fornito di una gran gamba, ma sparato verso la vittoria da una situazione tattica addirittura folle.
Andiamo con ordine: prima del via già assistiamo a un fatto sconcertante, la caduta di Igor Antón con tanto di frattura della clavicola. Colui che, prima della partecipazione decisa all’ultima ora di Samuel Sanchez, era il capitano della Euskaltel, finisce la sua gara prima di cominciarla. Parte una fuga a tre, nella quale va segnalata presenza dell’italiano Cataldo, unico che poi resisterà strenuamente quasi fino alle fasi calde della Rocca dei falchi: fuga pressoché irrilevante, se non per il fatto che servirà da testa di ponte per il rientro di due uomini importanti, un Rolland in bello spolvero che gioca d’anticipo per supportare il capitano Voeckler, e l’inossidabile Kyrienka, potenziale pedina per Valverde ma forse – vista l’abitudine alle lunghe gittate – già alternativa precauzionale. Dopo la Redoute resisteranno solo questi ultimi due “nuovi arrivati”, più Cataldo, al gancio ma cocciutamente presente.
Sulla Redoute, come ormai da anni è consuetudine (ma grazie al nuovo tracciato il problema è tutt’altro che drammatico), accade poco. Quel poco che accade è un nuovo rovescio della sorte, con Valverde appiedato da un problema meccanico proprio all’imbocco della salita, costretto a prendere la bici da un compagno e tentare un inseguimento semidisperato. In precedenza un rientro faticoso ma coronato da successo (pagato forse in tossine nelle gambe) era toccato a Samuel Sanchez. Anche Voeckler accusa qualche problema, ma lui sì potrà riportarsi sui migliori. Davanti Gilbert corra da leader, impiegando i due “Van” – Van Avermaet e Van Garderen – per scandire un ritmo assai sostenuto che impedisce sortite di seconde linee. A parte i problemi meccanici di cui abbiamo detto, a farne le spese sono più di tutto gli Schleck, con Andy che affonda miseramente e Frank che a stento sopravviverà, ma solo fino ai primi metri della salita successiva. Non ci sarà gara per loro e la Radioshack, che aveva molto lavorato, resta con il solo Monfort come capitano. Ben in vista invece, dietro Gilbert, Vanendert, Joaquim Rodriguez, Cunego, parecchie maglie Astana. Non tutte le impressioni della Redoute, tuttavia, troveranno riscontri.
Da qui l’andatura resta comunque sostenutissima, e in un baleno arriviamo alla Roche, vero snodo della gara. Si parte con un’accelerazione di Santambrogio che già screma il gruppo dagli uomini veloci ancora presenti, come Freire o Rojas, ma anche da Gesink (sempre più in crisi dopo i problemi personali degli anni scorsi), Visconti (se ancora qualcuno intravede per lui opzioni a questo livello), Chris Sorensen e Kroon (notte fonda in termini di punti UCI per Riis), Gerrans (effetto Australia, come già per Goss: ottimi atleti, senz’altro, ma i cui picchi godono di una stagione “con fuso orario” in termini di forma anticipata) e molti altri.
La vera selezione, però, la fa Vincenzo Nibali, con una prima frustata alla quale replicano assai faticosamente Gilbert, Vanendert e, più dietro, Mollema. Si è trattato solo di un “assaggio”, ma ha già procurato l’indigestione a molti: Cunego si dissolve, Joaquim Rodriguez arranca, Samuel Sanchez resta attardato, Scarponi occhieggia nelle retrovie. Come vedremo, però, non necessariamente la scelta di non replicare immediatamente si rivelerà erronea. A fine gara, scopriremo che della top five di giornata, il solo… Nibali (!) era in prima fila in questi momenti. Gli altri pagano caro. Gilbert si rassegnerà alla propria forma latitante con un finale mesto, Vanendert, nonostante l’ottima condizione, stenterà a finire nei dieci, Mollema, pure parso brillante, è quello che se la caverà meglio, con un opaco sesto posto. In questo senso la prestazione di Nibali acquisisce ancor più lustro, rimarcando una differenza qualitativa sostanziale rispetto al resto del parco partecipanti, anche perché, come abbiamo detto, quest’anno il livello degli iscritti era per vari versi appannato (senza con ciò togliere nulla a chi oggi ha spiccato).
Vincenzo contempla gli esiti del suo operato, e si lancia in un’altra micidiale progressione che sbriciola ulteriormente la compagine dei migliori. La scossa decisiva arriva tuttavia nel punto migliore, il falsopiano fatale con cui corona lo strappo. Qui le sagome degli avversari scompaiono disperatamente e miseramente nel punto di fuga dell’inquadratura, e il corridore siciliano comincia un’esaltante cavalcata solitaria. Posizione in sella splendida, pedalata rotonda ma non frenetica e assai efficace. Il distacco comincia a salire.
Dietro si agglomera un gruppetto di quasi venti corridori, a testimonianza di un livello invero appiattito. Un gruppetto che, a dispetto della logica e della tattica, si comporterà come una macchia di mercurio, disfandosi e ricomponendosi in sottogruppi, attacchi e contrattacchi, improvvisate e sonore dormite. A dirla tutta, se la situazione non fosse stata così scomposta, le speranze di Nibali sarebbero state poche. A meno di strampalate congiunture astrali come quella che permise la vittoria ad Andy Schleck (la media che il gruppo inseguitore tenne nel tratto di discese e falsipiani favorevoli fu di 39km/h circa: dei discreti cicloamatori avrebbero fatto meglio), con alle proprie spalle un assieme relativamente numeroso e, quel che più conta, molto strutturato in squadre chiave, la fuga è impresa impervia. Essendo presenti numerosi gregari, specie se “indubbiamente” gregari, ci si accorda, e sacrificando un uomo per squadra si fa velocità. Diverso sarebbe se nel gruppetto restassero solo capitani, ad esempio, perché nessuno vorrà rischiare di lavorare per la vittoria altrui…
Ma qui Rodriguez disponeva di Dani Moreno, Vanendert di Van den Broeck (capitano altrove, ma di sicuro non qui, non in questa situazione di corsa), Voeckler aveva Rolland (probabilmente più forte, ma già spremuto in fuga, e dunque ormai sacrificabile senza rimpianti), Martin aveva Hesjedal (un altro gregario “di lusso”, ma indubitabilmente subordinato a un corridore più scattista come Martin).
Caso a parte quello della Astana, in superiorità schiacciante con Gasparotto, Iglinsky e Kiserlovski. Qui sì che paradossalmente la superiorità numerica rendeva vantaggioso promuovere l’anarchia, perché altrimenti le altre squadre avrebbero potuto imporre proprio all’Astana uno sforzo maggiore, fino al momento in cui si fosse ristabilita la parità. Per gli altri, però, la convenienza era solo per un’azione congiunta ad alto ritmo, che portasse i capitani a giocarsela alla pari sulle rampe conclusive: a maggior ragione perché lo sparpaglio avrebbe favorito, come di fatto è accaduto, il team kazako.
Tutto il contrario. Probabilmente si assommano vari fattori: il timore per lo spauracchio Gilbert e per la rapidità di Gasparotto, da cui una diffusa volontà di isolarli, risultato attuabile solo disgregando il gruppo a suon di scatti; in più, una fiducia forse non proprio alle stelle verso gli apparentemente ovvi “capitani” al momento di dover bruciare i “gregari di lusso”; aggiungiamoci pure, anche se è difficile esserne certi, l’effetto delle sempre più incontrollabili regole UCI sui punteggi, che portano molti a correre per il piazzamento e non per la vittoria. L’esito è il caos più assoluto, con un incessante gioco al gatto e al topo che dopo innumerevoli giri del bussolotto proietta in avanti la strana coppia Rodriguez – Iglinsky. Così però il vantaggio di Nibali arriva fino ai 45”, un margine che di fatto permetterebbe una più che meritata vittoria.
Ma la stessa follia che ha permesso a Vincenzo di prendere il largo per la destrutturazione dell’inseguimento, manifestandosi in forma quasi opposta, materializzerà il dardo che abbatterà il siciliano. Difatti, benché Iglinsky non collabori minimamente all’azione, Rodriguez si danna l’anima, fuori da ogni appropriatezza tecnica (lui, in pianura!) e strategica, per dare fiato al contrattacco. Iglinsky ringrazia di tutto cuore, e speriamo che a fine gara abbia dato almeno una bella pacca sulle spalle all’atleta spagnolo. Spremendosi in questo modo, in effetti, Joaquim non ha nessunissima speranza di rimanere poi competitivo sulle rampe del Saint Nicolas. Non per niente beccherà in tutto un minuto da Iglinsky, ma, quel che la dice ancora più lunga sulla sciaguratezza della scelta, verrà bellamente passato e lasciato a mezzo minuto da tutti, e diciamo tutti, gli uomini del gruppetto, tolti Van den Broeck, spompatosi in un delirante inseguimento solitario (ma piuttosto tirare per Vanendert, o almeno tirargli la volata, era così sgradito?), e Gilbert, che si lascia andare alla deriva tra l’affetto incondizionato dei tifosi.
Davvero non troviamo una spiegazione a un gesto fuori da ogni logica ciclistica, ben diverso da quelli compiuti da Cancellara, che garantendo il successo della fuga alla Sanremo si assicurava comunque un piazzamento, e magari un pur piccola chance – altrimenti inesistente – di vincere. Qui siamo al viceversa.
Alle prime rampe del Saint Nicolas, Iglinsky si mette in testa e si fuma il Purito. Qui accade un altro episodio che dice molto di una gara sconclusionata sotto tutti i punti di vista: i distacchi forniti dall’organizzazione perdono il contatto con la realtà, continuano a riferirsi a un gruppo arretrato, senza specificarlo, e ignorano del tutto Iglinsky. Sarebbe cambiato qualcosa per Nibali? Probabilmente no, un po’ perché ci auguriamo che i diesse in auto facciano come i più pessimisti tra i telespettatori, cioè prendano manualmente il distacco, un po’ perché a quel punto c’era ben poco da fare: un uomo in fuga solitaria da oltre 20km, che ha maturato la fuga stessa con ben tre scatti di cui almeno un paio veramente ficcanti, può ben poco contro un onestissimo corridore (vincitore ad esempio di una gara dall’albo d’oro corto ma pesante come l’Eroica), che oltretutto è stato ininterrottamente a ruota fino al finale di gara. Comunque la mancanza di professionalità dell’organizzazione ASO suona davvero penosa, specie alla luce dei precedenti al Tour con distacchi inventati di sana pianta e con cartografia e altimetrie partorite da menti fin troppo creative (talora con esiti sullo svolgimento stesso della gara).
Parlando di “se” e di “ma”, avrebbe fatto meglio Vincenzo, il più forte oggi in comproprietà con il kazako e Gasparotto, ad attendere le ultime ascese per attaccare? Difficile dirlo, sinceramente da un punto di vista personale crediamo di no. Non scordiamo che sui tratti più duri della Rocca dei falchi un comunque non brillante Gilbert ha tenuto la ruota, mentre altri si sono gestiti sapendo del recupero che sarebbe seguito. La differenza Vincenzo l’ha fatta all’ennesimo scatto, nel soffocante falsopiano. Lo spazio sul Saint Nicolas, e a maggior ragione ad Ans, sarebbe stato troppo esiguo.
Glissiamo con un’ellissi il momento davvero amaro in cui Iglinsky, dalle parti della flamme rouge che contraddistingue l’ultimo km, mette nel mirino Nibali, se lo mangia, e tira dritto vincendo con una corposa ventina di secondi. Amaro non tanto per nazionalismo, ma per il tifo che sempre ci ingenera un’azione bella e coraggiosa. Il fatto che Nibali regga comunque per fare secondo, come già fece terzo alla Sanremo (lì fu il primo atleta da GT a podio in un paio di decenni, dai tempi di Fignon, Bugno e Chiappucci!), dice di azioni che portano sì il marchio dell’atleta, che ci ha abituato a tentativi d’altri tempi certo arrischiati, ma che hanno un livello di concretezza e spessore più significativo rispetto a quanto visto nella tappa del Gardeccia o al Lombardia, dove la conclusione aveva gettato un’alone di velleitarietà sull’impresa. Qui no, qui si è tratto di scelte che imboccavano l’unico cammino possibile verso la vittoria per un’atleta, ahilui, poco dotato di quelle fibre che rendono bruciante lo scatto, sia esso sul traguardo o mirato a fare un buco secco. Un cammino che non è giunto a termine, ma davvero per poco, e qui per una combinazione della sorte, e non per “necessità” come allo Sanremo, dove a esser tre si era pur sempre troppi perché Vincenzo vinca…
Degli altri attori di giornata abbiamo già detto qualcosa per ciò che concerne un Gilbert orgoglioso ma ancora offuscato, e un Joaquim Rodriguez mandato in delirio forse dal freddo. Abbiamo nominato altri protagonisti, tra i quali va sottolineata la bella prova di Gasparotto, che vince la volatina e agguanta un prestigioso podio per mettere la ciliegina alla torta Astana, ma anche a una giornata finalmente non così cupa per l’Italia, anche se secondo e terzo non sono i posizionamenti finali migliori… C’è poi Scarponi buon ottavo, che fa fruttare un Trentino fatto davvero come allenamento (e non come Cunego, invece malamente 35.esimo; speriamo che questo modo confuso di programmare gli obiettivi, che già tanti danni gli ha fatto, possa essere corretto). Ma non dobbiamo ignorare un pimpante Nocentini a ridosso della top ten. Scarponi e Nocentini hanno pagato l’isolamento, se pensiamo che nei primi cinque ci sono solo, tolto Nibali, corridori la cui squadra aveva nel finale almeno due uomini. Fa quarto infatti l’arrembante Voeckler, che era scortato da Rolland (decimo), e non sappiamo se questa ennesima prestazione fuori dalle righe, per un atleta che si è inventato mezzo campione a trent’anni suonati (ormai ne ha quasi trentatre), testimoni più del mediocre livello della gara o piuttosto dello “strano caso” della sua formazione. Quinto è Martin, che fa coppia col nono Hejsedal.
Un Vincenzo così, però, forse al Giro è sprecato, senza contare il rischio di bruciarsi dopo una stagione con già parecchie corse all’attivo. Meglio riprendere le energie e focalizzarsi sul Tour, per poi fare un pensierino, chissà mai, al Mondiale che quest’anno strizza l’occhio alle côte.
Gabriele Bugada
RODRIGUEZ, UNA ”FRECCIA” A HUY
aprile 18, 2012 by Redazione
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Con una fucilata delle sue sul muro finale il catalano dopo i secondi posti delle ultime due stagioni si aggiudica la classica che più gli si addice davanti al sorprendente Albasini e a un ritrovato Gilbert. Discreta prova degli azzurri con Nibali 8° e un convincente Ulissi 9° mentre deludono ancora Valverde e gli Schleck
Foto copertina: due volte il Montelupone ed ora Huy: “Purito” si beve i muri (foto Photopress.be)
La 77a edizione della Freccia Vallone, secondo grande appuntamento sulle strade delle Ardenne dopo l’Amstel Gold Race e prima della Liegi-Bastogne-Liegi, aveva in Philippe Gilbert (Bmc) e Joaquin Rodriguez (Katusha), rispettivamente primo e secondo nella passata edizione, i due favoriti d’obbligo con il belga apparso finalmente in buona condizione sul Cauberg dove ha chiuso al 4° posto e il catalano che ha deluso in Olanda ma è stato strepitoso al Giro dei Paesi Baschi e ha sempre fatto la differenza su strappi brevi e con pendenze impossibili come il Muro di Huy dove nelle ultime edizioni si è sempre decisa la corsa: bisogna risalire infatti al 2003 per trovare un epilogo differente con Astarloa che si presentò ai piedi dello strappo finale in fuga con il Aitor Osa per poi staccarlo e vincere in solitudine. Accanto a Gilbert e Rodriguez i principali candidati al successo erano Anton (Euskaltel), Uran e Nordhaug (Sky), Frank e Andy Schleck (Radioshack), Valverde (Movistar), Poels (Vacansoleil), Kiserlovski (Astana), Gesink (Rabobank) e soprattutto Vanendert (Lotto-Belisol), già 2° all’Amstel e per il primo anno capitano dopo che nelle ultime due stagioni è stato luogotenente di Gilbert. Tra i grandi assenti Evans (Bmc) colpito da una sinusite, Samuel Sanchez (Euskaltel) che ha già chiuso la prima parte di stagione e Cunego (Lampre) che ha scelto il Giro del Trentino, vincendo peraltro la tappa di Sant’Orsola Terme, per affinare la condizione in vista della Liegi: le speranze di un buon risultato in casa Italia erano dunque affidate a Nibali (Liquigas), Visconti (Movistar), Nocentini (Ag2r) e allo splendido vincitore dell’Amstel Gasparotto (Astana).
I primi attaccanti di giornata sono stati Christensen (Saxo Bank) e il nostro Ratto (Liquigas) ma il gruppo non ha concesso spazio fino al km 55 quando hanno preso il largo Bellemakers (Landbouwkrediet) e Roux (Fdj), all’inseguimento dei quali si è successivamente portato De Wilde (Accent Jobs), che pur non riuscendo mai a riportarsi primi due ha insistito nella sua azione per decine di km prima di rialzarsi e attendere il gruppo che, guidato dalla Katusha e dalla Lotto-Belisol, ha concesso un vantaggio massimo di 7′ ai due battistrada prima di iniziare a ridurre il gap.
Il primo a scatenare la bagarre all’interno del plotone è stato a 40 km dal traguardo Andy Schleck, evidentemente al servizio del fratello Frank, in compagnia di Fofonov (Astana) e Trofimov (Katusha) che però si è mantenuto a ruota degli altri due. Il motivo tattico della gara di qui in avanti è stato infatti quello della formazione russa impegnata ad annullare tutti gli attacchi sia tirando in testa al gruppo, il che ha portato anche al ricongiungimento con Bellemakers e Roux a 15 km dalla conclusione, che inserendo uomini per disturbare le azioni altrui che infatti sono state tutte di breve durata: ci hanno provato a più riprese soprattutto gli uomini della Movistar, segno che Valverde non era in giornata, dapprima con Rui Costa, poi con Visconti in compagnia di Slagter (Rabobank) e infine con Kiryienka marcato stretto da Vicioso ma i soli a guadagnare un leggero margine sono stati i due ex bikers Hesjedal (Garmin) e Nordhaug, che memore forse della caduta insieme a Cunego sul Cauberg ha preferito non attendere il muro di Huy, che hanno allungato sulla côte de Villers-le-Bouillet, e si sono presentati ai piedi dello strappo finale con una decina di secondi sul resto del gruppo forte ancora di una sessantina di unità.
Non c’è stato comunque nulla da fare per il canadese e il norvegese ripresi già sulle prime rampe sotto l’impulso di Van Den Broeck (Lotto-Belisol) che ha riportato sotto il compagno Vanendert alla cui ruota c’erano Albasini (GreenEdge), Gilbert, un pimpante Nibali e Rodriguez: ai 400 metri dal traguardo Purito però è partito a velocità doppia e ha semplicemente annichilito la concorrenza conquistando il suo primo successo alla Freccia Vallone, nonchè il primo della carriera in una grande classica, dopo i secondi posti del 2010 e del 2011. Alle spalle del dominatore catalano la lotta per le piazze d’onore è invece stata molto accesa con Albasini, mai visto in passato su questi livelli al di là della recente vittoria al Giro di Catalogna, che ha saltato Gilbert negli ultimi metri chiudendo al 2° posto davanti al campione belga, a Vanendert e al sempre protagonista delle ultime corse Kiserlovski mentre Nibali ha accusato un lieve calo nel finale chiudendo 8° dietro anche a Daniel Martin (Garmin) e Mollema (Rabobank): immediatamente alle spalle del siciliano si è piazzato un ottimo Ulissi (Lampre), che in queste condizioni sarà valida spalla per Cunego alla Liegi, con Van den Broeck 10°, Gasparotto che si è difeso al meglio su un arrivo ben più duro del Cauberg 11° e Nocentini 12°, mentre non sono mai stati protagonisti Frank Schleck 20°, Valverde che inizia probabilmente a risentire della lunga inattività dopo il grande avvio di stagione 46° e Andy Schleck addirittura 81°. Con questi uomini lontani da una condizione accettabile, Gilbert che non è il marziano visto nel 2011 e Rodriguez la cui tenuta sui lunghi chilometraggi resta un’incognita ci apprestiamo a vivere una Liegi-Bastogne-Liegi apertissima nella quale in tanti potranno dire la loro nella lotta per il successo.
Marco Salonna.
FINALMENTE… LA VITTORIA DELL’UMILTÀ
aprile 17, 2012 by Redazione
Filed under 5) AMSTEL GOLD RACE, Approfondimenti
Rotto il digiuno nelle Classiche che durava dal 2009 (vittoria di Rebellin alla Freccia Vallone). A regalarci un pomeriggio di emozioni è stato l’ex campione italiano Enrico Gasparotto (Astana) che è riuscito a battere tutti i favoriti della vigilia, da Gilbert a Sagan. Deludenti le prove di Rodriguez e Valverde, mentre ha piacevolmente stupito la ‘strana’ prestazione di Freire.
Foto copertina: il podio dell’Amstel 2012 (foto Bettini)
Enrico Gasparotto: tutti sono sembrati sorpresi di vederlo, negli ultimi metri della scalata finale del Cauberg, rispondere e staccare in successione prima Gilbert e quindi Sagan. Eppure il capitano di giornata del team kazako aveva già dimostrato in più di una occasione di trovarsi a proprio agio sulle severe rampe che conducono all’arrivo della prestigiosa classica olandese. Pendenze, quelle del Cauberg, che obbligano i corridori ad impostare una lunga, asfissiante progressione, dosando attentamente lo sforzo fin sulla linea del traguardo. Questa lezione, l’ex campione italiano, ha dimostrato di averla imparata a fondo, dato che nel 2010 è saltato proprio negli ultimi metri. Oltre alla splendida prestazione individuale, bisogna sottolineare la maturità con cui l’atleta ha saputo gestire la squadra ed in particolare Simone Ponzi (voto: 7). Proprio quest’ultimo insieme allo stesso Gasparotto potrebbero rappresentare un ottimo duo in vista dei Campionati del Mondo prossimi, che si correranno esattamente su queste strade. Voto: 10
Jelle Vanendert: i più attenti si ricorderanno, al Tour della passata stagione, della scalata a Plateau de Beille che portò l’atleta a conquistare la frazione pirenaica, in quella che rimane la sua vittoria più prestigiosa. Se aveva già dimostrato di saper tenere sulle lunghe salite, oggi si è scoperto ciclista dotato di una buona esplosività, conquistando un inaspettato secondo posto davanti a ciclisti ben più quotati di lui. Piazzamento che, tuttavia, non sembra averlo soddisfatto appieno, almeno a giudicare dal gesto di stizza cui si è abbandonato sulla linea di arrivo. Voto: 8
Peter Sagan: l’errore commesso da Gasparotto due anni or sono è costato al giovante talento della Liquigas la vittoria nella corsa olandese. Con il terzo posto odierno prosegue la mirabile serie di piazzamenti ottenuti in tutte le classiche più importanti (4°a Sanremo, 2° alla Gand Wevelgem, 5° al Fiandre), dimostrando, una volta di più, una versatilità eccezionale. Raggiungere il podio in una gara dove, più che in altre, occorre coniugare fondo, senso tattico, potenza e abilità nello stare in gruppo e ‘limare’, è sintomo di maturità e di indubbie doti da cacciatore di classiche. A testimonianza di ciò bisogna sottolineare il fatto che l’atleta, sempre presente nelle posizioni d’avanguardia, ha gestito con la freddezza e intelligenza proprie di un veterano il rientro nel gruppo dei migliori dopo essere incappato in un incidente. Voto: 8,5
Oscar Freire: dopo la gara odierna, in cui ha colto il suo migliore piazzamento all’Amstel (4° all’arrivo) non si potrà più sostenere che il tre volte Campione del Mondo è un attendista, un approfittatore, in definitiva un ‘succhiaruote’. Vederlo vestire i panni di un novello Vinokourov e scattare proprio nel tratto che vide l’atleta kazako involarsi verso la vittoria nella classica olandese, non posso nasconderlo, ha suscitato dapprima molta sorpresa e quindi un moto di simpatia verso l’atleta spagnolo che con questo gesto sperava di far sua una gara, sulla carta, non adatta ai suoi mezzi. A differenza di ‘Vino’, che pure si era piantato sulle arcigne rampe del Cauberg, ad Oscarito il colpaccio, seppur per poco, non è andato in porto. Da apprezzare ancora una volta l’intelligenza tattica del corridore che, in questa occasione, gli ha permesso di valutare e quindi sfruttare meglio di altri le modifiche al percorso le quali, accorciando il tratto in pianura tra le ultime due asperità, favoriscono maggiormente i colpi di mano nel finale. Voto: 8
Philippe Gilbert: la condizione è in netta crescita ma l’inevitabile confronto con il Gilbert formato 2011 è impietoso. Ha gestito al meglio un’ottima squadra, oggi completamente al suo servizio, ma, quando ha tentato la sparata sul Cauberg, le gambe gli sono mancate. Sembra essere, insomma, tornato il Gilbert che conoscevamo fino ad un paio di stagioni fa, quando veniva sistematicamente battuto dagli specialisti delle classiche. Voto: 6
Thomas Voeckler: dopo essersi reso protagonista di una impresa alla Freccia del Brabante, l’eccentrico (ma forte e troppo spesso sottovalutato) corridore francese, dopo aver tentato il solito allungo (prontamente stoppato da Sagan) in una fase di relativa calma nel gruppo, conquista un onorevole quinto posto che gli fa ben sperare in vista della, per lui più adatta, Doyenne. Voto: 7
Damiano Cunego: lo si è visto pedalare in agilità sugli strappi più arcigni ed ha dimostrato attenzione e lucidità in tutte le fasi calde della corsa. Purtroppo non gli si può perdonare l’errore, invero piuttosto grave, che ha commesso proprio in vista del traguardo, fatto che non gli ha permesso di cogliere i frutti di una ottima condizione e di ripetere l’exploit del 2008. Voto: 5,5
Samuel Sanchez: l’errore commesso dal navigato atleta spagnolo, di farsi cioè sorprendere nelle retrovie in uno dei tratti cruciali della gara, e che ha pregiudicato totalmente la sua prestazione è inaccettabile. Dato il suo eccelso stato di forma, la scelta, poi, di non partecipare a Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi, rappresenta, oltre che una inspiegabile decisione, un aggravante non di poco conto. Il buon 7° posto finale ottenuto al termine di una gara condotta all’inseguimento del gruppo di testa risulta per l’atleta sicuramente ancora più amaro. Voto: 5
Frank Schleck: capitano indiscusso della Radio Shack, sempre attento e presente nelle fasi principali della gara, si rende protagonista di qualche allungo telefonato e sul traguardo non va oltre un misero 13° posto. Voto: 4
Alejandro Valverde, Joaquim Rodriguez: i due atleti spagnoli dati come grandi favoriti concludono nelle posizioni di rincalzo, dopo aver condotto una gara del tutto anonima. Forse hanno interpretato la gara in funzione di Freccia e Liegi, o più probabilmente le condizioni climatiche li hanno messi fuori gioco. Voto: 3
Vincenzo Nibali: non è mai stato presente nei chilometri conclusivi della corsa, interpretata a quanto risulta come allenamento in vista della Liegi, gara a lui sicuramente più congeniale. Voto: 3
Francesco Gandolfi
GASPAROTTO IMMENSO SUL CAUBERG
aprile 16, 2012 by Redazione
Filed under 5) AMSTEL GOLD RACE, News
A sorpresa Enrico Gasparotto fa sua l’Amstel Gold Race, prima gara delle Ardenne, andando così a far risplendere i colori italiani nell’albo d’oro delle classiche sbiaditi ormai dal trascorrere di troppi anni senza alcuna vittoria italiana, da quando nel 2008 Damiano Cunego vinse il Giro di Lombardia.
Foto copertina: Gasparotto svetta su tutti in cima al Cauberg (foto Bettini)
Alla vigilia la prima classica delle Ardenne non aveva ancora un favorito. Tanti nomi, tantissimi indizi ma nessuna certezza sul possibile vincitore. A sorpresa un maestoso Enrico Gasparotto (Astana) in rimonta su Jelle Vanendert (Lotto Belisol) e Peter Saan (Liquigas), rispettivamente secondo e terzo all’arrivo, va ad alzare le braccia al cielo in cima al Cauberg. La corsa che prevedeva 31 côtes da affrontare è esplosa soltanto nel finale quando, ripresa la fuga della prima ora, una sorprendente ed inaspettata azione di Oscar Freire, ripreso soltanto a 200 metri dal traguardo, ha tenuto gli appassionati col fiato sospeso con il gruppo dei migliori su per il Cauberg scatenati nel riacciuffare lo spagnolo. Fino ad allora pochissime emozioni vista la situazione in corsa con sette uomini in fuga Pello Bilbao (Euskaltel-Euskadi), Romain Bardet (Ag2r), Cedric Pineau (FDJ-BigMat), Simone Stortoni (Lampre-ISD), Steven Caethoven (Accent.Jobs-Veranda’sWillems), Raymond Kreder e Alex Howes (Garmin-Barracuda), evasi dal gruppo dopo circa 40 km. In testa al gruppo, ad alternasi nell’inseguimento, sia gli uomini della Katusha, per la soluzione Joaquim Rodriguez, sia quelli della BMC per un Philippe Gilbert, dominatore in Olanda un anno fa, ed apparso oggi in netta ripresa. Tra le due squadre “faro” della corsa sempre nelle prime posizioni le maglie azzurre dell’Astana a ben proteggere e guidare tra le insidiose stradine olandesi il loro capitano Enrico Gasparotto. La fuga, raggiunto un vantaggio massimo di 13’.20”, è stata riassorbita definitivamente a 9 Km dall’arrivo quando Bardet, da solo al comando, si è visto arrivare il gruppo di tutti i migliori. Poco prima durante l’ascesa al Kruisberg, uno dei papabili alla vittoria finale, Samuel Sanchez (Euskaltel – Euskadi), vittima di un incidente meccanico è stato costretto ad inseguire il gruppo tirato da Greg Van Avermeat (BMC). Il campione spagnolo aiutato da due compagni di squadra è riuscito ad accodarsi al gruppo dei migliori poco prima dell’ascesa dell’Eyserbosweg, terzultima côtes prevista. Su per la salita “delle antenne” la fuga era ormai ridotta a solo due unità con Bardet ed Howes che conservavano un vantaggio di solo 29”. Vantaggio che si è ulteriormente ridotto su per il Fromberg a soli 10”. A questo punto della corsa restano da affrontare il Keutenberg ed il Cauberg, e proprio sulla penultima côtes è Gasparotto a provare un allungo, subito stoppato da Rodriguez. Stessa sorte, questa volta in pianura, per un timido allungo voluto da Peter Sagan (Liquigas) e Thomas Voeckler (Team Europcar) riacciuffati da un onnipresente Greg Van Avermeat a pilotare nelle posizioni di testa il proprio capitano Gilbert. Come detto a 9 Km dalla conclusione la fuga viene annullata e sarà ancora una volta l’ascesa al Cauberg a determinare il vincitore della corsa. A sorpresa, quando al traguardo mancano 7 Km, è Oscar Freire (Katusha) a rendersi protagonista di un’azione in solitaria. Lo spagnolo riesce ad affrontare le prime rampe del Cauberg con 10” di vantaggio sugli inseguitori. Il primo a riportarsi su di lui è Niki Terpstra (Omega Pharma-Quickstep), dietro di loro i big si guardano, nessuno prende in mano la corsa fino a quando Gilbert prova a riportarsi sui due uomini di testa. Terpstra, sfiancato dall’inseguimento, si pianta letteralmente sulle prime rampe del Cauberg, stessa sorte, ma solo ai 200 metri dall’arrivo per Freire sorpassato da Gilbert, Vanendert e Gasparotto, mentre poco più indietro Damiano Cunego (Lampre) a causa di un contatto con Iglinskiy (Astana) cade a terra compromettendo ogni possibilità di riprendere i quattro lanciati verso il traguardo. Gilbert in testa è ripreso da Gasparotto con Sagan a lanciare la volata e Vanendert subito dietro. A questo punto però ad averne di più è il corridore italiano, con forza e determinazione, sopravanza lo slovacco trionfando a braccia alzate sul Cauberg. Secondo un ottimo Vanendert, terzo a completare il podio Sagan poi Freire e Voeckler, sesto arriva Gilbert. Gran bella vittoria italiana quindi a darci fiducia per i prossimi importanti appuntamenti.
Antonio Scarfone