SCIOGLIEVOLEZZA DI PIANURA

maggio 24, 2023 by Redazione  
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Assieme alla cronometro di Cesena è la tappa più piatta del Giro 2023. Giusto un paio di sparuti strappetti s’incontreranno in partenza, poi la pianura regnerà sovrana fin sul traguardo di Caorle. Per i corridori sarà un momento per rilassarsi tra il tappone del Bondone e le due frazioni dolomitiche.

Se chiedessimo ai corridori impegnati in un Grande Giro qual è la cosa che più desiderassero ci risponderebbero sicuramente “una bella tappa di pianura”. Nel ciclismo moderno, che vuole percorsi scattanti che non annoino il pubblico, frazioni prive di qualsivoglia difficoltà sono diventate più rare dell’oro e per rendersene conto basta andare a spulciare i percorsi delle edizioni più recenti di Giro, Tour e Vuelta. Limitandoci alla stagione 2023 al Tour non ce ne saranno, alla Vuelta ne saranno previste due e lo stesso numero di tappe lisce s’incontra alla Corsa Rosa, la cronometro disputata al termine della prima settimana di gara in quel di Cesena e la frazione odierna diretta a Caorle, mentre anche la passerella conclusiva di Roma non sarà del tutto piatta. A dire il vero, se prendessimo la lente d’ingrandimento e la puntassimo sui chilometri iniziali della tappa di Caorle, microscopici zampellotti si paleserebbero ma sarebbe ridicolo definirli salite e di certo non lasceranno il segno, mentre un certo peso potrebbe averlo il chilometraggio di quasi 200 Km, non certo una passeggiata se si pensa che siamo alla terza settimana di gara e che questa frazione è stretta tra l’incudine della durissima tappa del Bondone e il martello della due giorni dolomitica. Il primo strappo, la Sella di Vignola (700 metri all’8.6%), sarà affrontato in gran parte fuori gara, a cavallo tra il tratto iniziale che si percorre tra il raduno di partenza e il “chilometro 0”, oggi previsto lungo la strada che costeggia il Lago di Levico in direzione dell’omonima e rinomata stazione di cure termali, frequentata sin dall’epoca della dominazione asburgica quando vi veniva in vacanza la celebre principessa Sissi, ospite nella villa oggi divenuta un lussuoso albergo. Poco più avanti si affronterà uno strappo di 800 metri al 5.7% che si conclude alle porte di Roncegno, altra piccola località termale dalla quale si transiterà subito prima di giungere sulle strade di Borgo Valsugana, uno dei principali centro della valle del Brenta, dominato dal colle sul quale si staglia Castel Telvana, maniero innalzato in epoca altomedievale per controllare i transiti sulla Via Claudia Augusta Altinate, la strada romana che collegava la pianura veneta con Tridentum (l’odierna Trento) per poi superare le Alpi al Passo di Resia e dirigersi verso l’accampamento di Submuntorium (oggi Mertingen, in Germania). Per ultima si affronterà, a circa 27 Km dalla partenza, la salita più lunga di giornata, 900 metri al 5.2% che terminano a Villa Agnedo, piccolo ex municipio che nel 2016, fondendosi con altre tre entità amministrative della zona è andata a costituire il comune di Castel Ivano, prendendo il nome dall’omonimo maniero, presso il quale in occasione del mercoledì delle ceneri viene bruciato un fantoccio con le sembianze dell’inviso signorotto locale Biagio delle Castellare, che vi si rifugiò nel 1365 e che si salvò dalle sgrinfie dei popolani inferociti grazie all’intercessione del condottiero padovano Francesco I da Carrara, che concesse loro di sfogarsi dando alle fiamme un “pupazzo” che ritraeva le fattezze di Biagio.
Superata quest’ultima difficoltà altimetrica, i “girini” sotto le ruote troveranno unicamente pianura da qui al traguardo, tornando a pedalare lungo le sponde del Brenta in direzione di Primolano, località conosciuta sia agli appassionati di storia, sia a quelli di ciclismo: qui si trovano, infatti, le cosiddette “Scale”, toponimo con il quale i primi si riferiscono alle fortificazioni erette a difesa del confine tra il Regno d’Italia e l’impero austro-ungarico, precipitosamente abbandonate dopo la disfatta di Caporetto, i secondi alla salita a tornanti che si snoda attraverso le sopracitate fortificazioni. Percorrendo il corridoio naturale che separa il massiccio del Monte Grappa dalle prime pendici dell’Altopiano d’Asiago, si tirerà dritto in direzione della Pianura Veneta, l’estrema propaggine orientale della Padana, raggiungendola all’altezza di Bassano del Grappa, centro celebre per il “Ponte degli Alpini”, realizzato in legno su progetto di Andrea Palladio – architetto più conosciuto per le sue ville – tra il 1567 e 1569 e nel corso della storia ricostruito tre volte, la prima in seguito ad una disastrosa piena del Brenta nel 1748, la seconda dopo un incendio appiccato nel 1813 su ordine del vicerè Eugenio di Beauharnais e l’ultima nel 1947, dopo che due anni prima era stato fatto saltare dai partigiani.
Ci si dirigerà verso il mare, seguendo inizialmente la direttrice per Padova fino a Rosà, per poi cambiare direzione e puntare su Rossano Veneto, dove nel 2005 una frazione della Corsa Rosa si concluse con il successo allo sprint dell’australiano Robbie McEwen. Altre due conclusioni in volata – vittoria di Silvio Martinello nel 1991 e di Mario Cipollini nel 1999 – si ebbero nella vicina Castelfranco Veneto, dove l’arrivo fu giudicato sui sampietrini della centralissima Piazza Giorgione, all’ombra delle mura che ancora oggi ne cingono il centro storico, nel quale visitare il duomo intitolato a Santa Maria Assunta e a San Liberale e la casa natale di Giorgio da Castelfranco, il pittore noto per l’appunto con il soprannome di Giorgione.
La prossima meta del gruppo sarà la città di Treviso, che si raggiungerà passando per Vedelago, un altro centro il cui nome è scritto nella storia della Corsa Rosa per aver ospitato un arrivo di tappa nel 2012, conquistata, sempre in volata, dal veronese Andrea Guardini. Al ferreo controllo del gruppo, invece, è sfuggita lo scorso anno la tappa terminata a Treviso (vittoria in fuga del belga Dries De Bondt), cittadina che nel 2023 sarà evitata dal gruppo percorrendo la tangenziale che taglia le campagne a sud della città per poi seguitare sulla cosiddetta “Treviso Mare”, la strada che convogli velocemente verso il litorale le frotte dei turisti diretti alle rinomate stazioni balneari venete. Costeggiata nell’ultimo tratto l’estremità nordorientale della Laguna di Venezia anche i “girini” arriveranno ad annusare l’aroma della salsedine quando sbarcheranno sui viali di Lido di Jesolo, la cui spiaggia è una delle più rinomate d’Italia, fino al 1930 nota con il nome di Cavazuccherina e ribattezzata in epoca fascista riagganciandosi all’antico toponimo di Jesolum, nella convinzione che derivasse da quello latino di Gesù e che invece era frutto di errate trascrizioni dell’ancor più vetusto toponimo di Equilium, significante “città dei cavalli” forse in relazione all’allevamento degli equini, per il quale all’epoca dell’antica Roma erano note le genti venete. Seguendo le coste dell’Adriatico in direzione nord si giungerà quindi alla località balneare di Eraclea Mare, il cui nome richiama quello di Heraclia, antica città i cui resti furono riscoperti nel 1984 e che molti archeologici indicarono come come la “madre” della futura Venezia. Ancora pochi chilometri e la corsa approderà sulle strade di Caorle, pluripremiata località di villeggiatura estiva che oltre ad aver ricevuto per anni l’ambita “bandiera blu” che identifica le migliori stazioni balneari europee si è anche meritata la “Spiga Verde” assegnata ai comuni che valorizzano al meglio lo sviluppo sostenibile del territorio. E tra il blu e il verde per un pomeriggio s’inserirà anche uno sprazzo rosa.

Mauro Facoltosi

I VALICHI DELLA TAPPA

Sella di Vignola (Masetti) (557 metri). Valicata dalla Strada Provinciale 228 “di Levico – Novaledo” tra Pergine Valsugana e Levico Terme, poco prima di giungere al bivio per Vetriolo Terme. Viene toccata subito dopo il “chilometro 0” della diciassettesima tappa.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

Uno scorcio della pianura padana e l’altimetria della diciassettesima tappa del Giro 2023 (www.elementari.net)

Uno scorcio della pianura padana e l’altimetria della diciassettesima tappa del Giro 2023 (www.elementari.net)

CIAK SI GIRO

Due star a passeggio sul lungomare di Caorle e un amore di finzione sbocciò anche nella realtà. Accadde nel 1968 durante le riprese di “Amanti”, film diretto da Vittorio De Sica che narra la storia d’amore tra un giovane italiano – Valerio, interpretato da uno dei più immensi attori italiani, Marcello Mastroianni – e la nobildonna straniera Julia, alla quale prestò il volto una diva di Hollywood, la statunitense Faye Dunaway, attrice che nove anni più tardi riceverà l’oscar quale miglior attrice protagonista per l’interpretazione nel film di Sidney Lumet “Quinto potere”. Julia è gravemente malata e, sentendo prossima la fine, decide di trascorrere gli ultimi giorni di vita in Italia dove, ospite nella villa di una marchesa sua amica, riconosce alla televisione Valerio, un giovane che anni prima l’aveva abbordata in aeroporto e le aveva lasciato il suo recapito telefonico. I due così si ricongiungono e, nonostante lui sia sposato, si amano e rimangono insieme fino al momento della dipartita di lei. A finire, però, non fu l’amore perché dopo le riprese Mastroianni e la Dunaway si fidanzarono per davvero, facendo coppia per un paio d’anni.
Galeotto fu il film e chi lo scrisse, con la benedizione della Madonna dell’Angelo, la titolare del santuario che spicca sulla spiaggia di Caorle e che fece da sfondo alle scene delle romantiche passeggiate dei due “amanti”. Nella finzione e nella realtà

In collaborazione con www.davinotti.com

Marcello Mastroianni e Faye Dunaway passeggiano romanticamente sulla spiaggia di Caorle nel film “Amanti” (www.davinotti.com)

Marcello Mastroianni e Faye Dunaway passeggiano romanticamente sulla spiaggia di Caorle nel film “Amanti” (www.davinotti.com)

Le altre location del film


https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/amanti/50014596

FOTOGALLERY

Lago di Levico

Borgo Valsugana, Castel Telvana

Castel Ivano visto da Villa Agnedo

Scale di Primolano

Bassano del Grappa, Ponte degli Alpini

Le mura di Castelfranco Veneto

Sulla Treviso-Mare in direzione dell’Adriatico

L’estremità nordorientale della Laguna di Venezia

La spiaggia di Lido di Jesolo

Caorle, Santuario della Madonna dell’Angelo

JOAO MERAVIGLIAO TRIONFO SUL BONDONE, THOMAS TORNA IN ROSA ROGLIC IN DIFFICOLTA’

maggio 23, 2023 by Redazione  
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La terza settimana del Giro d’Italia si apre con il primo vero confronto tra i big in salita. Almeida vince la tappa, dimostrando ottimi progressi in salita; Thomas, solido come sempre, riprende la maglia rosa ceduta in prestito ad Armirail mentre Roglic, nei chilometri finali, accusa qualche difficoltà ma riesce a limitare i danni. Il Giro è ancora aperto ma, salvo crisi gravi, si tratta di un affare a tre.

Primi attacchi tra i big, prime sentenze di questo Giro d’Italia. La tappa di oggi ha dato molte risposte agli interrogativi sullo stato di salute dei corridori che si battono per la vittoria finale nella Corsa Rosa.
La giornata di oggi ha poi dimostrato la fondatezza di alcune critiche rivolte ai corridori alle quali alcuni, tra i quali la nuova maglia rosa, hanno risposto con un certo disappunto. E’ stato detto che in queste due settimane si è andati forte, che non è vero che le tappe sono state percorse ad andature turistiche; tuttavia rimane il fatto che sono andate all’arrivo fughe arrivate anche con venti minuti sul gruppo e che, fino a Bergamo, tutte le tappe non terminate con uno sprint di gruppo avevano visto le fughe non solo andare all’arrivo, ma arrivarci senza difficoltà e con distacchi piuttosto netti, tappe con arrivo in salita che hanno visto il gruppo dei migliori molto, troppo popoloso.
Oggi, invece, prima ancora che partissero gli attacchi, la Jumbo ha preso in mano le operazioni in testa al gruppo, riducendo impietosamente il vantaggio di una fuga nella quale erano presenti uomini che in salita possono certamente dire la loro e riducendo in breve anche la composizione del gruppo dei migliori sino a portarla a diciassette unità, prima che intervenissero gli UAE a scremare ancor di più il drappello.
Neppure è possibile difendere lo spettacolo indecoroso andato in scena a Lago Laceno, al Gran Sasso, a Crans Montana e a Bergamo con la paura di spendere energie o di non riuscire a fare la differenza. Sembra ovvio, ma è bene ribadirlo, la differenza si riesce a fare solo se ci si prova. Non si riesce a capire se l’avversario è in difficoltà se si tiene un ritmo da gita domenicale in Graziella, con i fuggitivi che prendono venti minuti su un percorso pianeggiante. Oggi, dopo il forcing Jumbo che sembrava preludere ad un grande attacco di Primoz Roglic, è partito il forcing UAE che Joao Almeida è riuscito a finalizzare, accelerando in prima persona e restando davanti a menare quando sembrava che gli altri rimanessero a ruota a sfruttare la sua ingenuità per sbranarlo in un boccone; successivamente si è avvantaggiato di pochi metri con Sepp Kuss (Jumbo-Visma), che sembrava tenerlo a bagnomaria come il gatto col topo, e invece… invece è stata questa insistenza che ha rivelato a Geraint Thomas (Ineos) la difficoltà nella quale versava Roglic. A quel punto il gallese ci ha provato e si è ritrovato davanti con il vero artefice della prima battaglia tra i big, Almeida, che è sicuramente migliorato in salita ma che forse stava cercando di tenere un ritmo alto per evitare la sparata di Roglic, che fa male alle gambe per uno come lui. Lago Laceno e il Gran Sasso non sono traguardi sui quali non si possa fare la differenza. A Lago Laceno pagò dazio addirittura Marco Pantani, raggiunto e staccato da Zulle in salita, al Gran Sasso lo stesso Pantani staccò tutti e si presentò sul traguardo da solo in mezzo alla neve, Froome passò un brutto quarto d’ora salendo verso Campo Imperatore.
Anche per quanto riguarda l’accorciamento del tappone vanno certamente ravvisate responsabilità di Vegni che deve assolutamente porre fine alla moda di chiedere modifiche alle tappe sgradite, imponendosi anche a costo di subire uno sciopero e lasciando così tutta la responsabilità di un’eventuale tappa percorsa a passo d’uomo sulle spalle dei corridori che non vogliono disputarla, invece che assecondare richieste irricevibili.
Tuttavia, anche in questo caso, la rappresentanza dei corridori che, a quanto emerso, chiedeva il taglio della Croix de Coeur per pericolosità della discesa ha poi accettato di fare ciò che riteneva pericoloso per l’incolumità dei corridori, barattando il taglio richiesto con l’eliminazione del Gran San Bernardo, per nulla pericoloso e già modificato per interessi economici delle autorità elvetiche. D’altro canto, va detto che l’organizzazione ce l’ha messa tutta per disegnare un bellissimo percorso, inserendo un bel po’ di chilometri contro il tempo prima delle montagne, chilometri che avevano permesso a Remco Evenepoel (Soudal Quick-Step) di avvantaggiarsi e alla Ineos di piazzare due uomini nelle prime posizioni.
Senza il ritiro del belga e del vincitore dell’edizione 2020 Tao Geoghegan Hart (Ineos) probabilmente avremmo visto attacchi almeno nelle ultime tappe di montagna della seconda settimana per recuperare un gap ben più ampio dei pochi secondi che ci sono tra i tre big.
Se il ritiro di Geoghan Hart è stato purtroppo inevitabile, quello del belga è apparso invece molto strano, annunciato subito dopo aver vinto una cronometro a 51 di media e alla vigilia di un giorno di riposo.
Insomma la tappa di oggi, che non ha visto grandi attacchi da lontano, grosse crisi o imprese titaniche ma il minimo sindacale che si può aspettare in una tappa di montagna di un grande giro, ha dimostrato come tutto ciò che è successo in queste due settimane è certamente uno spettacolo non degno del ciclismo, non solo e non tanto per lo spettatore, ma anche per lo spirito di questo sport che la tradizione ci ha consegnato perché fosse non custodito come in uno scrigno, ma continuamente rinnovato come il lievito madre che può andare avanti anche centinaia di anni, a patto di essere continuamente alimentato.
Che la tappa di oggi non sarebbe stata una scampagnata è apparso subito ovvio dalla prime fasi di gara, perchè l’andatura è stata alta, gli attacchi si sono susseguiti e a centro gruppo si era verificata una caduta che aveva coinvolto alcuni big e spezzato il gruppo, tornato compatto nel giro di pochi chilometri.
Davanti si forma una fuga con ottimi elementi. I primi a partire sono Christian Scaroni (Astana Qazqstan), Jonathan Milan, Jack Haig (Bahrain Victorious), Jonathan Lastra (Cofidis), Ben Healy (EF Education-EasyPost), Martin Marcellusi, Alessandro Tonelli (Green Project-Bardiani CSF-Faizanè), Salvatore Puccio, Ben Swift (Ineos Grenadiers), Derek Gee (Israel-Premier Tech), Carlos Verona (Movistar), Michael Hepburn, Filippo Zana (Team Jayco AlUla), Toms Skujiņš (Trek-Segafredo), Diego Ulissi (UAE Team Emirates), (TBV), Aurélien Paret-Peintre e Valentin Paret-Peintre (Ag2r Citroen). Questi diciassette vengono poi raggiunti da Patrick Konrad, Cesare Benedetti (Bora-hansgrohe), Thomas Champion (Cofidis), Mattia Bais (Eolo-Kometa), Davide Gabburo, Filippo Magli (Green Project-Bardiani CSF-Faizanè), Veljko Stojnić, Nicolas della Valle (Team Corratec-Selle Italia) e Vadim Pronskiy (Astana Qazaqstan), andando così a comporre un tentativo serio con 26 uomini in testa e tra questi ottimi scalatori su un percorso con cinque Gran Premi della Montagna e molti punti in palio per la maglia azzurra.
Dietro è compito della Jumbo controllare il distacco, visto che Ineos, Bahrain, UAE e Bora hanno tutte uomini in fuga.
Davanti, mentre ogni tanto qualcuno si stacca, Healy lotta per i traguardi in cima alla salite e riuscirà al termine della tappa a vestire la maglia azzurra che, in queste ultime tappe, ha cercato con impegno. La fase in avanscoperta di Milan termina dopo la conquista dei punti valevoli per la maglia ciclamino al traguardo volante di Rovereto.
Sulla salita di Matassone, mentre il gruppo mantiene il gap controllato, davanti attacca la coppia Astana formata da Pronskyi e Scaroni, i quali riescono a guadagnare addirittura due minuti sui più immediati inseguitori. Sulle rampe della salita verso Serrada scoppia la bagarre tra i contrattaccanti e si forma un gruppetto con i migliori in salita (Haig, Healy, Gee, i fratelli Paret-Peintre, Verona, Konrad, Skujins, Swift, Ulissi, Lastra e Zana). Il gruppetto riesce a raggiungere la testa della corsa prima del GPM, mentre dietro il gruppo condotto sempre più dalla Jumbo scollina con 4 minuti di ritardo.
Dopo la fine della discesa di Serrada ci sono dieci chilometri di pianura prima di iniziare la salita finale ed è proprio in questo tratto che il gruppo recupera tantissimo ed inizia l’ascesa verso Monte Bondone con meno di 3 minuti di passivo-
In testa iniziano gli attacchi e, dopo una fase concitata di scatti, si forma un gruppetto con Verona, Zana, Aurélien Paret-Peintre, Pronskiy, Haig e Konrad, Swift e Ulissi, ma il gruppo tirato da Jumbo si avvicina a grandi passi e si capisce che oggi la fuga non andrà all’arrivo.
Il ritmo degli uomini di Roglic fa male, tanto che ai -15 restano solo Rohan Dennis (Jumbo-Visma), che fa l’andatura, la maglia rosa Bruno Armirail (Groupama – FDJ), Thomas, Roglič, Almeida, Andreas Leknessund (Team DSM), Edward Dunbar (Team Jayco – AlUla), Thymen Arensman (INEOS Grenadiers), Laurens De Plus (INEOS Grenadiers), Thibaut Pinot (Groupama – FDJ), Hugh Carthy (EF Education-Easypost), Einer Rubio (Movistar Team), Ilan Van Wilder (Soudal – QuickStep), Kuss, Davide Formolo (UAE Team Emirates), Brandon McNulty (UAE Team Emirates) e Jay Vine (UAE Team Emirates).
Terminato il lavoro di Dennis va in testa Formolo, che impone un ritmo ancor più intenso rispetto ai Jumbo. Dopo il veronese è il turno di Vine e anche Ulissi, raggiunto dal gruppo, offre il suo contributo finché ne ha.
Davanti restano solo Vine, Almeida, Roglic, Thomas, Dunbar e Zana, ripreso dalla fuga che ha terminato la propria avventura.
Terminato il lavoro di Vine, è Almeida in prima persona a fare un ritmo molto elevato, probabilmente con il fine di evitare uno scatto di Roglic, che sarebbe complicato da gestire per un regolarista come il portoghese. Tuttavia, dopo una fase in cui Zana fa un ritmo gradito a Dunbar, il gruppo dei migliori quasi si ferma e allora Almeida prova a dare di nuovo la sveglia e guadagna qualche metro. Dietro è Kuss, ultimo uomo di Roglic, che si mette in testa e sembra mantenere pochi metri da Almeida, che però ha il merito di non desistere e continua al massimo che può, pur senza riuscire a guadagnare. A quel punto è Thomas che si porta su Almeida e i due si accorgono che Roglic non ce la fa a seguirli; tentano allora di affondare, dandosi cambi regolari fino al traguardo. In realtà anche loro sono stanchi e dietro Roglic gode dell’aiuto di Kuss.
All’arrivo è volata sino a un certo punto, con Almeida che vince abbastanza agevolmente mentre Roglic riesce a limitare i danni a soli 25 secondi, prendendosi anche l’abbuono del terzo posto.
Adesso la classifica generale vede Thomas in maglia rosa con 18 secondi su Almeida e 29 su Roglic.
Salvo crisi verticali, saranno questi i tre atleti che conquisteranno il podio poichè il quarto, il siciliano Damiano Caruso (Bahrain), oggi non ha brillato ed è scivolato a quasi 3 minuti da Thomas.
Alle spalle dei primi tre c’è comunque un gruppo di otto atleti raccolti nello spazio di due minuti e quindi sarà interessante la lotta per i piazzamenti.
Roglic ovviamente non ha ancora perso, è riuscito molto bene a limitare i danni e si trova a soli 20 secondi quando mancano due tappe di montagna ed una durissima cronometro.
Domani si affronterà una tappa completamente pianeggiante che vedrà protagonisti i velocisti rimasti in gara, mentre giovedì si correrà una tappa caratterizzata da un finale molto duro, Forcella Cibiana con pendenze molto severe, Coi con un tratto di diversi chilometri sempre in doppia cifra e l’arrivo in Val di Zoldo.
In via teorica è possibile progettare un attacco da lontano ma i tre pretendenti al podio difficilmente potranno farlo, mentre gli altri non sono sinora sembrati in grado di mettere in scena un’azione simile.
Il Giro è finalmente entrato nel vivo e ora sarà davvero emozionante seguire la tre giorni di fuoco che inizierà giovedì e che ci accompagnerà sino alle soglie della passerella capitolina.

Benedetto Ciccarone

Almeida e Thomas allattacco sulla salita del Bondone  (AFP via Getty Images)

Almeida e Thomas all'attacco sulla salita del Bondone (AFP via Getty Images)

A DUNKERQUE SUCCESSO FINALE DI ROMAIN GRÉGOIRE

maggio 23, 2023 by Redazione  
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Il transalpino Romain Grégoire si è aggiudicato la 4 Giorni di Dunkerque terminata ieri nella cittadina francese diventata famosa per gli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale. La breve corsa a tappe a tappe articolata su sei frazioni era partita lo scorso 16 maggio sempre da Dunkerque.

In concomitanza della seconda settimana del Giro d’Italia, dal 16 al 21 maggio si è disputata nel nord della vicina Francia la 4 Jours de Dunkerque / Grand Prix des Hauts de France.
La prima tappa da Dunkerque a Abbeville di 196.6 km ha visto il successo in volata di Olav Kooij (Jumbo-Visma), poi il podio di giornata è stato completato da Max Walscheid (Cofidis) e Paul Penhoët (Groupama – FDJ). Sesta piazza per Matteo Malucelli (Bingoal WB), uno dei due italiani presenti (l’altro era Daniel Oss della TotalEnergies)
L’indomani al termine della Compiègne – Laon (162 km), un’altra volata – nonostante l’arrivo in salita e un precedente muro – ha visto il successo di Romain Grégoire (Groupama – FDJ) che ha così cominciato il suo cammino verso il successo finale. Piazze d’onore per Ethan Vernon (Soudal – Quick Step) e Benoît Cosnefroy (AG2R Citroën Team) mentre grazie agli abbuoni raccattati ai traguardi volanti di giornata al vertice della classifica si issava Samuel Leroux (Van Rysel – Roubaix Lille Métropole).
Il 18 maggio la breve cronometro di 16 km a Saint-Quentin è andata a una vecchia volpe dei velodromi, Benjamin Thomas (Cofidis). Il corridore frances ha rifilato 9″ al secondo classificato, Niklas Larsen (Uno-X Pro Cycling Team), e 14″ a Kasper Asgreen (Soudal – Quick Step). Grazie all’ottima prova disputata il transalpino della Cofidis si è anche posizionato in vetta alla classifica davanti alla coppia Soudal Asgreen – Vernon.
L’indomani si è tornati alla sfida tra ruote veloci con la Maubeuge – Achicourt. Alla fine dei 173.8km di gara il più lesto è stato ancora Kooij, che ha regolato il gruppo compatto precedendo Gerben Thijssen (Intermarché – Circus – Wanty), Milan Fretin (Team Flanders – Baloise) e tutti gli altri. In classifica generale è “sprofondato” il vincitore del giorno prima che ha ceduto lo scettro a Asgreen. Seguivano a 6″ il compagno di squadra Vernon e a 7″ Kooij.
La penultima tappa, la più impegnativa, disputatasi sabato tra la mitica Roubaix a Cassel, presentava per quasi i due terzi dei 187.7 Km di gara un susseguirsi di colline e tratti in pavè. Il successo è andato a Per Strand Hagenes (Jumbo-Visma Development Team) che ha avuto la meglio su Grégoire, presentatatosi in coppia con il norvegese sotto lo striscione d’arrivo. Terzo a 5″ si è piazzato Alexis Renard (Cofidis) davanti a Brent Van Moer (Lotto Dstny) e Greg Van Avermaet (AG2R Citroën Team), suoi compagni di viaggio. Grazie al secondo posto di giornata Grégoire si è così insediato in vetta alla classifica con un vantaggio di 13″ su Asgreen e 17″ su Kooij.
Domenica l’ultimo giorno di gara, che prevedeva una facile tappa di 174 Km disegnata tra Avion e Dunkerque ha visto il successo di Tim Merlier (Soudal – Quick Step) su Erlend Blikra (Uno-X Pro Cycling Team) e Cees Bol (Astana Qazaqstan Team), che grazie ai 4″ di abbuono ha scalzato Kooij dalla terza posizione in classifica. Al giovane velocista della Jumbo-Visma rimane comunque la soddisfazione di imporsi nella speciale classifica a punti. Alex Colman (Team Flanders – Baloise) si è, invece, aggiudicato la classifica degli scalatori, mentre Grégoire, con i suoi 20anni si è aggiudicato anche quella riservata ai Giovani. Il miglior team è stato la Jumbo-Visma, che ha avuto la meglio sulla Lotto Dstny grazie ai migliori tempi dei suoi atleti.

Mario Prato

La vittoria di Gregoire nella seconda tappa, sul traguardo di Laon (Getty Images Sport)

La vittoria di Gregoire nella seconda tappa, sul traguardo di Laon (Getty Images Sport)

SULLA MONTAGNA DELL’ANGELO DAGLI OCCHI DI GHIACCIO

maggio 23, 2023 by Redazione  
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Arriva il giorno del Bondone, un nome che mette i brividi al ricordo di quel che patirono i partecipanti al Giro del 1956. I timori non sono malriposti perché la tappa che si concluderà sulla “Montagna di Trento” sarà una delle più dure dell’edizione 2023, forte di 5700 metri di dislivello e delle sue sei salite, anche se quella finale non sarà intrapresa dal suo versante più impegnativo e celebre, quello della vittoria di Gaul nel drammatico tappone di 67 anni fa.

Sull’arco alpino e sul Piemonte si avrà nuvolosità intensa con precipitazioni anche a carattere temporalesco. Il tempo si mantiene abbastanza buono sulle altre regioni, salvo qualche isolata attività temporalesca nelle ore più calde. Nebbie nelle valli e foschie sui litorali. Temperatura in lieve aumento. Mari da leggermente mossi a mossi; localmente agitati mar Ligure e canale di Sicilia

Le previsioni che avete appena letto furono quelle che il quotidiano “La Stampa” pubblicò sull’edizione uscita l’8 giugno del 1956, il giorno nel quale era previsto il tappone dolomitico del Giro d’Italia, 242 Km da percorrere tra il raduno di partenza di Merano e il traguardo di “Trento Alta” superando strada i passi Costalunga, Rolle, Gobbera e Brocon prima dell’ascesa finale verso il Monte Bondone. Ventiquattrore prima a Trento erano state registrate una temperatura massima di 31 gradi e una minima di 14 che facevano presagire una giornata sì di maltempo, ma non eccezionale, anche perché nella frazione precedente si era saliti senza troppi problemi sullo Stelvio, dove i corridori avevano incontrato solo un po’ di nevischio sballottato dal vento. I meteorologi avevano fatto, però, cilecca perché quell’otto giugno passerà alla storia per un inatteso colpo di coda della stagione invernale che rese quella di Trento una delle più drammatiche tappe dalla storia della Corsa Rosa. Le precipitazioni a carattere temporalesco che erano state annunciate dal quotidiano torinese si verificarono puntualmente sin dal via da Merano e non furono mai smentite, ma il fatto che ai quasi 2000 metri del Passo Rolle diluviasse ma non nevicasse era motivo per un piccolo sospiro di sollievo, anche perché le successive salite erano tutte a quote nettamente inferiori. La pioggia, però, non smetteva mai, a fioccare erano i ritiri e ai disagi dell’acqua si aggiunsero quelli di un forte e gelido vento che, spazzando in senso contrario il lungo tratto pianeggiante che precedeva la salita finale, finì per congelare i già intirizziti corridori. Il diavolo non è così brutto come lo si dipinge…. A volte è ancora peggiore e nessuno poteva immaginare che quella pioggia sull’ultima ascesa si trasformerà in una nevicata che decimerà ancora di più il gruppo, mentre le temperature precipitano fino a quattro gradi sotto lo zero a un traguardo dove giunsero solo 41 degli 86 “girini” che erano partiti da Merano. E negli occhi di tutti, anche a chi doveva ancora nascere grazie alle drammatiche foto d’epoca, è indelebile l’immagine di Charly Gaul che taglia vittorioso il traguardo con un’espressione quasi inebetita e con i suoi glaciali occhi azzurri diventati quasi un tutt’uno con il “ghiaccio” che provava addosso il lussemburghese, la cui impresa gli fu comunicata solo dopo averlo tirato su di peso dalla sella e trasportato in albergo, dove fu immerso prontamente in una vasca ricolma d’acqua bollente.
Per questo motivo è con un certo “brivido” che tutte le volte si accoglie la notizia che il Giro tornerà ad affrontare il Bondone, anche se giornate come quella di 67 anni fa oggi sono irripetibili grazie allo speciale “protocollo” voluto dai corridori e che prevede che, in caso di maltempo eccezionale, la tappa sia accorciata o del tutto annullata. Da quel giorno altre 13 volte la Corsa Rosa ha inserito la salita trentina nel tracciato e tutte le volte il pensiero è andato a quella tappa che “terremotò” il Giro, un sisma che potrebbe replicarsi anche quest’anno perché la frazione che terminerà sul Bondone sarà – tra le quattro alpine di questa edizione – quella dotata del maggior numero di metri di dislivello da superare, anche se forse ancor più impegnativa sarà quella in programma tra qualche giorno sulle Dolomiti tra Longarone e le Tre Cime di Lavaredo. Andando nello specifico oggi si dovranno superare quasi 5700 metri di dislivello “spalmati” su ben sei salite, con il Bondone che non sarà affrontato dal versante di Trento – quello più impegnativo, oltre che quello della storica tappa del 1956 – ma da quello meno tradizionale di Aldeno. Sono numeri che potrebbero per davvero buttare all’aria la classifica, anche se c’è il rischio che, considerato l’andazzo degli ultimi anni e la mole di difficoltà prevista tra oggi e i prossimi giorni, i corridori di classifica decidano di muoversi solo nel finale dell’ascesa conclusiva o al massimo anticipare qualche azione sulla precedente salita di Serrada.
In attesa delle difficoltà odierne nei primi 60 Km si pedalerà in pianura e, una volta lasciata la Val Sabbia, si percorrerà la strada che costeggia il Lago di Garda sul lato lombardo, incontrando a una dozzina di chilometri dal via la nota località di Gardone Riviera, visitata dai turisti diretti al Vittoriale degli Italiani, monumentale dimora di Gabriele d’Annunzio dal 1921 alla morte, che lo colse il primo marzo del 1938. Questo tratto iniziale privo di difficoltà altimetriche non sarà, però, privo d’insidie perché occorrerà attenzione nel percorrere le gallerie scavate nella roccia che caratterizzano la statale gardesana. Ne sono previste ben 25, alcune delle quali molto lunghe, come quella di quasi 3 Km nel mezzo della quale si trova lo svincolo per il borgo di Campione del Garda, interessante esempio di archeologica industriale per il suo villaggio operaio, sorto attorno ad una filanda impiantata nel XVIII secolo e che richiama quello più celebre di Crespi d’Adda. In uno dei tratti alla luce del sole si toccherà il centro di Limone del Garda, il cui nome deriva da quello celtico degli olmi (limo o lemos) e dunque non ha nulla a che vedere con gli agrumi che, per un curioso scherzo del destino, sono uno dei vanti di questa località, coltivati nelle numerose limonaie che la punteggiano, la più celebre dei quali è il “Tesöl”, in quanto vi si trova anche la casa natale di San Daniele Comboni, il missionario fondatore degli ordini dei Comboniani e delle Pie Madri della Nigrizia.
Entrati in Trentino lo scenario non cambierà e, sfiorato l’orrido del Ponale (percorso da uno spettacolare sentiero che un tempo era una strada carrozzabile, inserita in diverse occasioni nel tracciato del Giro), ci s’infilerà in un’ultima lunga galleria – 2 Km quasi perfettamente rettilinei – usciti dalla quale ci si dirigerà verso Riva del Garda, località di villeggiatura situata all’estremità settentrionale del lago e frequentata meta degli appassionati di vela e windsurf per la presenza della cosiddetta “Ora del Garda”, forte vento che rappresenta un irresistibile richiama per gli amanti di questi sport. Molte sono le gare, di caratura anche internazionale, che hanno colme palcoscenico il vicino centro di Torbole, nel quale i “girini” saluteranno la pianura per affrontare la prima delle sei ascese di giornata, l’unica a non presentare in vetta lo striscione del Gran Premio della Montagna. Percorsi i 1600 metri all’8.4% che terminano alle soglie del centro di Nago, presso il quale si possono ammirare le cavità d’origine glaciale note con il soprannome di “Marmitte dei Giganti, si affronterà la discesa che terminerà alle porte di Arco dove si andrà immediatamente all’attacco della salita successiva, quella che i cicloamatori conosco con il nome di Monte Velo e che sulle cartine del Giro è segnalata con il toponimo ufficiale di Passo di Santa Barbara. Tra quelle odierne è quella dotata della pendenza media più elevata, 12.3 Km all’8.4% che sono entrati nella storia del Giro per l’episodio che costò l’espulsione dalla corsa a Wladimir Belli nell’edizione 2001, quando lo scalatore bergamasco fu ripreso dall’elicottero mentre sferrava un punto a un tifoso di Gilberto Simoni (Belli stava tirando per il suo capitano Dario Frigo, diretto rivale in classifica del trentino) che lo aveva appena insultato. Della successiva discesa se ne percorrerà la prima parte, nel corso della quale si toccherà un tratto al 23% di pendenza, per poi svoltare in direzione del Passo Bordala, 3700 metri al 7.1%. Nel corso della discesa si abbandonerà la strada diretta al Lago di Cei, alimentato da sorgenti sotterranee, per planare su Villa Lagarina e da lì varcare l’Adige alle porte di Rovereto, centro che dal 2002 ospita la principale tra le due sedi del Mart, il Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, progettato dall’architetto ticinese Mario Botta. Risalendo inizialmente le pendici del colle di Miravalle, sul quale si trova la celebre Campana dei Caduti che ha fatto meritare a Rovereto il soprannome di “Città della Pace”, si andrà a intraprendere la quarta salita di giornata, diretta alla località Matassone. Sono 11.4 Km al 5.6% solo all’apparenza facili (la pendenza media nei primi 6 Km è dell’8.4%) che costituiscono una variante inedita al tratto iniziale del Pian delle Fugazze, altra salita rimasta nella storia del Giro per un episodio non certo di “fair play” accaduta ben 101 anni fa. Si correva la prima tappa dell’edizione 1922, 326 Km per andare da Milano a Padova passando per l’appunto dalle Fugazze, nella cui discesa Giovanni Brunero – vincitore uscente della Corsa Rosa essendo imposto in classifica l’anno precedente – cade e rompe la ruota. Il regolamento dell’epoca prevede che i componenti della bici dovessero essere riparati ma non sostituiti ed è proprio quello che non fa il corridore piemontese, che ne chiede una in prestito a un compagno di squadra per poi involarsi verso il traguardo, dove s’impone con più di un quarto d’ora sul cremonese Gaetano Belloni. Qualcuno ha, però, notato il fattaccio e lo segnala alla giuria, che toglie la vittoria a Brunero, squalificandolo ma consentendogli “sub iudice” di continuare la corsa, pur se con una penalizzazione di ben 25 minuti. Le proteste montano, le formazioni dello stesso Belloni e di Girardengo si ritirarano, ma giuria e UCI decidono di non tornare sui loro passi confermando la decisione di far proseguire il Giro a Brunero, che l’11 giugno successivo s’imporrà nel suo secondo Giro d’Italia con più di dodici minuti di vantaggio su Bartolomeo Aymo e oltre un’ora e mezza su Giuseppe Enrici.
Tornando al Giro del 2023, dopo lo scollinamento di Matassone si percorrerà in discesa il tratto iniziale del versante classico del Pian delle Fugazze nuovamente in direzione di Rovereto, abbandonandolo all’altezza dell’impressionante gola alle cui pareti è letteralmente aggrappato da più di mille anni l’Eremo di San Colombano, costruito presso la grotta dove, secondo la tradizione, abitò il monaco irlandese. Non ci sarà il tempo per una riflessione perché subito si riprenderà a salire per affrontare i 17 Km al 5.5% (ultimi 10 Km al 6.6%) che conducono a Serrada, località di villeggiatura che rappresenta una delle porte d’accesso all’altopiano di Folgaria, scenario di una delle più celebri gran fondo di mountain-bike, la “100 Km dei Forti”, il cui nome fa riferimento alle fortificazioni che furono costruite in epoca austro-ungarica sulle montagne circostanti. Si farà quindi velocemente ritorno nella valle dell’Adige, superandone il corso dopo aver toccato il centro di Calliano e sfiorato nel tratto conclusivo della discesa la mole di Castel Beseno, il più grande del Trentino, costruito a partire dal XII secolo e oggi sede di parte delle collezioni del museo del Castello del Buonconsiglio di Trento. Sarà concessa a questo punto una decina scarsa di chilometri di pianura per tirare il fiato prima che le ostilità riprendano con l’ascesa finale al Bondone che, come anticipato in apertura, sarà affrontato da un versante poco battuto dalle corse ciclistiche. Dieci volte (con un doppio passaggio nel 1992) si è saliti dal versante storico di Trento, che è anche il più difficile, due da quello opposto di Lasino, mentre quest’anno si salirà, come nel 1973 e nel 2020, da quello più defilato di Aldeno, che ricalca una vecchia rotabile di guerra che era ancora sterrata quando Torriani la propose per la prima volta nel percorso del Giro e nell’occasione fu necessario spargere del sale sulla carreggiata per impedire che si alzasse un bianco polverone che avrebbe potuto creare non pochi problemi ai corridori e, soprattutto, ai loro occhi. Da questo lato la salita è lunga poco più di 21 Km ed ha un andamento discontinuo, alternandosi tratti impegnativi ad altri più pedalabili. Così i primi 3 Km, tra i più difficili, salgono al 10.7% medio poi la strada spiana per quasi 1000 metri per riprendere a “mordere” nei successivi 1.2 Km al 9.7%. La salita si ammoscia di botto e per un paio di chilometri si pedala con un’inclinazione media del 6% prima di un tratto intermedio di quasi 3 Km, in corrispondenza della località di Garniga Terme, nel quale la salita diventa un ricordo. Poi le pendenze di risvegliano e si attestano all’8,8% medio nei successivi 7 Km che, toccato un picco massimo del 15%, si concludono alle soglie dell’altopiano delle Viote, meta prediletta dagli amanti della natura per la presenza di un giardino botanico aperto nel 1938 su iniziativa del biologo Vittorio Marchesoni. In questo contesto naturale si percorreranno gli ultimi chilometri, nei quali non s’incontreranno più pendenze particolarmente difficili, anche se pure in quest’ultima fase le inclinazioni continueranno a cambiare pedalata dopo pedalata, variazioni di ritmo che potrebbero anche causare la dilatazione dei distacchi accusati nei più ripidi tratti precedenti.
E così il Bondone potrebbe tornare a far parlare di sé, come in quella drammatica tappa di quasi 70 anni fa.

Mauro Facoltosi

I VALICHI DELLA TAPPA

Passo di Santa Barbara (1169 metri). Sella costituita dai monti Creino e Stivo, è noto anche come “Passo di Creino” e “Monte Velo”. È valicato dalla Strada Provinciale 48 “Monte Velo” tra Bolognano (Arco) e Ronzo-Chienis. Due volte è stato inserito nel percorso del Giro, sempre dal versante di Bolognano, la prima nel corso della Cavalese – Arco del Giro del 2001, la tappa citata nell’articolo a proposito dell’episodio che costò l’espulsione a Wladimir Belli e che vide lo spagnolo Unai Osa (terzo in classifica al termine di quel Giro) conquistare la cima del Santa Barbara e il colombiano Carlos Alberto Contreras imporsi sul traguardo di Arco. Ci si tornerà l’anno successivo in occasione del tappone Corvara in Badia – Folgaria, vinto dal russo Pavel Tonkov dopo che al GPM del Santa Barbara era transitato per primo il messicano Julio Alberto Pérez Cuapio.

Passo Bordala (1253 metri). Valicato dalla Strada Provinciale 88 “della Val di Gresta”, mette in comunicazione Ronzo-Chienis con Aldeno e Villa Lagarina. L’unico precedente passaggio della Corsa Rosa risale alla pocanzi citata tappa di Folgaria del Giro del 2002, quando Julio Alberto Pérez Cuapio conquistò anche il GPM collocato in cima al Bordala dopo aver fatto suo pochi chilometri prima quello del Santa Barbara. Lo scorso anno la salita al Bordala è stata inserita nel percorso del Giro d’Italia femminile: la tappa era quella di Aldeno, vinta dalla maglia rosa Annemiek van Vleuten mentre era stata la statunitense Kristen Faulkner a transitare per prima sotto lo striscione del GPM.

Sella Serrada (1250 metri). Vi sorge l’omonima frazione di Folgaria, attraversata dalla Strada Provinciale 2 “Rovereto – Folgaria” tra Rovereto e Folgaria. Il Giro d’Italia non è mai transitato da questa località, che nel 1987 fu sede di partenza del prologo del Giro del Trentino, una cronometro di quasi 6 Km che si concluse nella vicina Folgaria, dove s’impose l’idolo di casa (e non solo) Francesco Moser: fu l’ultimo successo in carriera del campione trentino, che si ritirerà l’anno successivo.

Sella del Bondone (1560 metri). Si trova in corrispondenza del trivio nel quale confluiscono i tre versanti del Bondone, alla congiunzione tra la Strada Provinciale 85 “del Monte Bondone” e la Strada Provinciale 25 “Garniga”.

Valico di Monte Bondone (1654 metri). È il punto più elevato della Strada Provinciale 85 “del Monte Bondone”, che mette in comunicazione Trento con Lasino. Coincide con la località Vason e non sarà toccato dai corridori perché la tappa si concluderà in località Rocce Rosse, circa un chilometro e mezzo prima di giungere a Vason dal trivio fra i tre versanti del Bondone. Dopo la tremenda tappa del Giro del 1956, Torriani riproporrà il Monte Bondone l’anno successivo, quando questo traguardo finirà a sorpresa nel carniere di un velocista, lo spagnolo Miguel Poblet, al termine di una tappa pure rimasta nella storia, stavolta per la crisi che colse proprio Gaul, attaccato dai diretti rivali di classifica dopo che si era fermato a bordo strada per un’esigenza fisiologica. Dovranno trascorrere 11 anni prima di rivedere i corridori affrontare la “Montagna di Trento”, inserita nel 1968 nel percorso della Brescia – Lago di Caldonazzo, vinta dallo stesso corridore che diversi chilometri prima aveva conquistato la cima del Bondone, lo spagnolo José Maria Jiménez. Nel 1972 ci fu una scalata parziale, interrompendo l’ascesa all’altezza di Candriai, durante la semitappa Asiago – Arco, vinta dal belga Roger De Vlaeminck dopo che il Bondone era finito nel palmares del varesino Wladimiro Panizza. Il 1973 fu l’anno della prima scalata dal versante di Aldeno, affrontata durante la tappa Vicenza – Andalo, vinta dal cannibale Eddy Merckx dopo che il Bondone se l’era “pappato” un altro corridore iberico, José Manuel Fuente. Nel 1975 ci fu nuovamente il binomio Bondone – De Vlaeminck quando il belga s’impose nella Brescia – Baselga di Pinè, con la cima del monte stavolta conquistata dal brianzolo Giacinto Santambrogio. L’anno successivo la tappa del Bondone fu la Vigo di Fassa – Terme di Comano, vinta dal veronese Luciano Conati dopo lo scollinamento in testa del cremonese Enrico Guadrini. Dopo i precedenti del 1956 e del 1957, il Bondone tornerà a essere sede d’arrivo nel 1978, al termine di una frazione scattata da Cavalese che terminerà con il successo di un corridore che già aveva messo la sua firma lassù, l’indimenticato Panizza. Dovrà poi trascorrere quasi un decennio – periodo nel quale i percorsi del Giro saranno disegnati con mano leggera per invogliare la presenza di Moser e Saronni e aumentare la tiratura della Gazzetta – prima che il Bondone torni a svettare sull’altimetria di una tappa della Corsa Rosa, inserito nel 1987 nel finale della Canazei – Riva del Garda, con il bergamasco Alessandro Paganessi primo in vetta e il marchigiano Marco Vitali vincitore in riva al lago. Nel 1992 ci furono addirittura ben due scalate, inserite nel finale di una frazione che scattò da Corvara per concludersi in vetta al monte, dove grande protagonista fu il trevigiano Giorgio Furlan, autore di una lunga fuga da lontano che lo porterà a “intascarsi” entrambi i GPM posti al termine dell’ascesa. Nel 2001 la salita inserita nel tracciato della già citata tappa Cavalese – Arco, con il GPM vinto dall’umbro Fortunato Baliani, mentre nel 2006 – partendo da Rovato – si disputerà quello che al momento è l’ultimo arrivo sulla “Montagna di Trento”, al cui traguardo s’imporrà a maglia rosa Ivan Basso. L’ultima scalata porta la data del 21 ottobre del 2020, quando la Corsa Rosa fu costretta dalla pandemia a traslocare in autunno e fu il portoghese Ruben Guerreiro a far sua la cima della grande montagna durante la Marostica – Madonna di Campiglio, vinta dall’australiano Ben O’Connor. In realtà anche nel 1999 era previsto il Bondone (fino a Candriai) durante la tappa Predazzo – Madonna di Campiglio, ma dopo la presentazione della corsa fu fatto notare al direttore del Giro Carmine Castellano di aver esagerato quell’anno con le difficoltà e qualche mese più tardi si optò per togliere la salita dal tracciato della tappa.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

Charly Gaul affronta il Bondone durante la drammatica tappa del Giro del 1956 e l’altimetria della sedicesima tappa del Giro 2023

Charly Gaul affronta il Bondone durante la drammatica tappa del Giro del 1956 e l’altimetria della sedicesima tappa del Giro 2023

CIAK SI GIRO

280mila visitatori. È la cifra record che nel 2019 è stata registrata dalle casse del Vittoriale degli Italiani, l’ultima residenza di Gabriele d’Annunzio. Tra questi turisti ce n’è uno che la casa del “Vate” non la visitò per piacere ma per dovere, fermandosi per ben due settimane a gennaio di 4 anni fa, periodo nel quale il Vittoriale fu totalmente chiuso al pubblico. Quel visitatore d’eccezione risponde al nome dell’attore romano Sergio Castellitto, venuto sullo sponde del lago di Garda per interpretare il poeta abruzzese nel film “Il cattivo poeta”, pellicola che parla degli due anni di vita del “Vate”, quando il regime fascista gli invierà una spia per sorvegliarlo e cercare d’impedire che si esprimesse pubblicamente contro l’alleanza tra Mussolini e Hitler. L’arrivo di Giovanni Comini (la spia, interpretata da Francesco Patanè), avviene in una data che nel film non viene precisata ma che è facilmente intuibile perché nel momento nel quale il Comini entra nel cortile del Vittoriale è in corso una conferenza stampa “condotta” dal direttore della Gazzetta dello Sport Emilio Colombo (Stefano Abbati): è il 5 giugno del 1936, data nella quale si svolse – ma questo nel film non si vede – una tappa del Giro con arrivo a Gardone, vinta da Gino Bartali che ricevette oltre al tradizionale mazzo di fiori anche due premi donati dallo stesso D’Annunzio, una placca d’ottone e una custodia con sopra raffigurato il labirinto simbolo del suo romanzo “Forse che sì forse che no»” Quel che si vede nel film è proprio il Vittoriale, ne viene mostrato il vialetto d’accesso, la cosiddetta “Prioria” (cuore del complesso, nei cui appartamenti abitava il poeta), la limonaia con vista sul lago e la Nave Puglia, torpediniere che fu dopo il disarmo fu smantellato, donato a D’Annunzio e in ricostruito in gran parte nel vasto parco della dimora.

In collaborazione con www.davinotti.com

Scena de “Il cattivo poeta” girata nel cortile della Prioria, la residenza di D’Annunzio al Vittoriale degli Italiani (www.davinotti.com)

Scena de “Il cattivo poeta” girata nel cortile della Prioria, la residenza di D’Annunzio al Vittoriale degli Italiani (www.davinotti.com)

Le altre location del film

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/il-cattivo-poeta/50054416

FOTOGALLERY

Sabbio Chiese, santuario della Madonna della Rocca

Gardone Riviera, Vittoriale degli Italiani

Uno scorcio del villaggio operaio di Campione del Garda

Limone sul Garda, casa natale di San Daniele Comboni


Ledro, la vecchia strada del Ponale

Torbole

Nago, Marmitte dei Giganti

Lago di Cei

Rovereto, MART*

Trambileno, eremo di San Colombano

Serrada, Forte Dosso delle Somme

Castel Beseno visto dalla discesa da Serrada

Monte Bondone, Altopiano delle Viote

BERGAMO, NOTA AL MARGINE: “BASTA MORTI IN BICI”

maggio 22, 2023 by Redazione  
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Ancora una fuga, ancora una bella schermaglia a tre, ancora il peloton pateticamente al pascolo. Il Giro non alza la testa, e il ciclismo nemmeno: da bordo strada si protesta per le morti in bicicletta, il movimento tace.

Un’altra tappa che ci scorderemo facilmente. Si scordano tante cose, dopotutto. Soprattutto i morti. A Bergamo spunta il sole, i bordi delle strade sono stracolmi di gente allegra per il Giro. Gran parte del gruppo si scorda di correre. Sarà l’abitudine. “Lo sa che io ho perduto un Giro?”, dirà un giorno qualcuno. “Signore, lei è un corridore professionista piuttosto distratto”, potrebbero rispondergli. Un’altra tappa è andata, la sua musica finita, col gruppo spanciato anche in salita. Va detto che i ciclisti in genere non sono distratti, altrimenti ci lasciano la pelle. Le cicliste nemmeno, naturalmente: anche loro ci lasciano la pelle. Per fortuna la Regione Lombardia qualche anno fa si è premurata di raccogliere tutti i dati sugli incidenti stradali con vittime in bicicletta: così alla faccia delle reti sociali e della fauna che vi imperversa sappiamo che in bici sostanzialmente si muore senza colpe proprie. Travolti dal solito destino, cioè dal solito guidatore immancabilmente sconvolto. Ex post. Lo stesso che magari fino a un attimo prima dell’incidente si stava dedicando a uluare col clacson contro le biciclette, a superare facendo il filo per ripicca o terrorismo, oppure, perché no, a girare un video e redigere invettive contro i ciclisti sulle stesse reti sociali di cui sopra. Fino a un attimo prima – o magari direttamente durante l’incidente. L’uso del cellulare alla guida scalza droghe, alcol o velocità in vetta alle cause di sinistro. L’automobilista, in effetti, è in genere distratto. D’altronde meglio così, duole meno pensare alla distrazione che non all’accanimento, quando ci scappa un morto. Non che i casi di accanimento conclamato latitino, fra pestaggi e inseguimenti per travolgere apposta il reo ciclista. Magari quello sbagliato, come accaduto a Milano: aggressione e distrazione, perché scegliere una sola delle due se si può scadere in entrambe?
Numeri alla mano, dunque, ciclisti e cicliste non muoiono per distrazione propria, e piuttosto sorprendentemente non muoiono nemmeno per indisciplina. “Sorprendentemente” perché, è vero, in bicicletta può esistere un’intrinseca resistenza a farsi disciplinare. E per fortuna, perché chi pedala ne ha ben donde: in Italia lo si fa tra le maglie di una normativa antidiluviana e programmaticamente ostile, quando non già discriminatoria. È l’eredità squallida e cancrenosa di un passato industriale, anch’esso ormai in condizioni terminali, ma ai cui diktat continuano a improntarsi tanti nostri modi di vivere e di pensare. La coazione a ripetere e l’impotenza della politica hanno fatto il resto: le norme di circolazione italiane così come le infrastrutture specifiche per la bici sono orribilmente obsolete nel migliore dei casi, dannose nel peggiore. È davvero meritorio che si riesca ad andare in bicicletta ovviando alle regole più inaccettabili senza che tali infrazioni della “disciplina” si traducano in incidenti. D’altronde i ciclisti e le cicliste, già si è detto, sono tutt’altro che distratti, e sono pure alquanto interessati alla propria integrità fisica, della quale per il resto nessun altro sembra preoccuparsi granché. Di qui il miracolo di riuscire a farsi ammazzare da innocenti, in un mondo dove di innocenza ne resta ben poca.
Tutto questo lo sappiamo bene, perché scriverne oggi? Lo sappiamo benissimo, anzi, visto che fra l’aprile del 2017 e il novembre del 2022, nel breve volgere di una manciata di anni, sono stati uccisi in sella alle loro biciclette due fra gli atleti professionisti più di spicco del movimento ciclistico italiano, Scarponi e Rebellin. Probabilmente fra i dieci corridori principali che l’Italia abbia avuto in questo squarcio di secolo. Rebellin è stato ucciso meno di sei mesi fa. Ma, come premesso, si scordano tante cose, soprattutto i morti.
A Bergamo è stato investito e ucciso un uomo in bicicletta martedì scorso. Non è passata nemmeno una settimana. È successo a meno di due chilometri da dove il Giro ha posto il proprio festoso traguardo. Bergamo non se n’è scordata. O qualcuno non se n’è scordato a Bergamo. Sulla Boccola, dove i ciclisti sono transitati due volte, in mezzo a due fittissime ali di folla, era esposto un gigantesco striscione: “Basta morti in bici”. Le riprese televisive non ci si sono soffermate più di tanto, anzi sono parse evitarlo. O forse è stata solo distrazione. La distrazione imperante a questo Giro, che coincide pericolosamente col fare il proprio più miope interesse.
Abbiamo scritto giusto un paio di giorni orsono delle pressanti preoccupazioni del sindacato ciclisti professionisti per la salute e sicurezza dei propri membri, in quel caso per via della pioggia. Mi domando se questa morte così recente, così prossima, non potesse o dovesse essere spunto per una nuova levata di scudi. Una parte consistente dell’attività del ciclista professionista si svolge in allenamento, su strade aperte: infatti non si contano gli incidenti, gli infortuni, le aggressioni, le risse. Nel bilancio dei rischi a cui va incontro chi fa il corridore per lavoro, la sicurezza stradale generale e una normativa che tuteli chi pedala dovrebbero essere una priorià assoluta.
Una parte del rischio sarà sempre ineliminabile, ma l’Italia ha un enorme problema specifico in quest’ambito. Un problema colossale. Infatti anche se a Bergamo forse non si nota, in Italia si pedala sempre di meno, e in proporzione si muore sempre di più, con cifre che da decenni si assestano fra i duecento e i trecento morti annui. A Milano nei tre mesi che separano i primi di febbraio dai primi di maggio sono state uccise tre persone in bicicletta. Ogni settimana vengono uccise sulle strade italiane fra quattro e sei persone mentre stanno pedalando. In Spagna, per confrontarci con un Paese per molti versi affine, l’uso della bicicletta – sportivo o meno – è invece in crescita vertiginosa. Il numero dei morti viceversa è crollato, in due successivi scossoni: ai primi Duemila e a metà dei ’10, a seguito di innovazioni nel codice di circolazione. Confrontando i dati dal 2018 ai più recenti disponibili, la Spagna si assesta sulla sessantina di vittime annue con valori anche inferiori a 50. L’Italia viaggia attorno alle 220 vittime. Ogni anno. Le vittime sono la punta di un iceberg che comprende in proporzioni via via crescenti e rapidamente mostruose anche: le lesioni incapacitanti, i feriti gravi, i danni economici, il senso di minaccia continuo per chi pedala, la discriminazione, il caos normativo, l’insicurezza fisica e legale, e quindi, dilagante, l’abbandono della bicicletta proprio in un momento in cui se ne impone l’imprescindibilità per una mobilità minimamente sostenibile.
Contador, nella cronaca televisiva per Eurosport, sbozza un ritratto da brividi di che cosa significhi allenarsi sulle strade italiane perché la gente in macchina guida terribilmente; è qualcosa, uno sprazzo di consapevolezza, ma parla in spagnolo e non lo ascolteranno gli italiani. Il tutto scade poi troppo facilmente nel folklore nazionale, “pensa un po’ l’Italia, i soliti caciaroni, girate al largo se potete”. Sarebbe stato interessante un paragone sui numeri e sulle normative, ma questo va forse chiesto ai giornalisti, più che a Contador.
La tappa di Bergamo è stata una nota al margine in questo Giro. Il gruppo che ha fatto scempio del primo tappone alpino minacciando scioperi in nome della sicurezza, ha poi insistito giorno dopo giorno in uno smaccato sciopero bianco. A poco è valso il sole di Bergamo, le strade asfaltate per tempo. Si è de facto bloccata la sede stradale subito dopo aver dato via libera senza colpo ferire a una fuga bislacca nella quale spiccavano fin da subito i nomi di maggior caratura per un tracciato altimetrico: McNulty, Healy, Mollema, Rubio rientrato dopo un lungo inseguimento solitario. Il resto era mero condimento, con le eccezioni di cui si dirà, più quella di Rojas, stoico in appoggio a Rubio. Nonostante un’evasione di Bonifazio arenatasi sui muri della Roncola, l’ordine di arrivo conferma pedissequamente le previsioni con l’unica aggiunta dell’indomabile giovanissimo Marco Frigo, che riuscirà a piazzarsi terzo. Divertente il duello fra Healy e Rubio per i punti di miglior scalatore, entrambi propensi a insidiare Bais e Pinot. Divertente la sfida in Roncola fra McNulty e Healy, col primo che allunga, il secondo che lo ripiglia e lo schianta nel tratto più ripido con uno scatto violento, poi lo statunitense rientra con una caccia quasi esasperante per equilibrio. Healy ci riprova sulla Boccola, ma non sgancia McNulty che lo liquida in volata, complice la presenza del terzo incomodo Frigo che dimostra un carattere d’acciaio nel fare l’elastico lungo tutti gli ultimi trenta e passa km. Fin. Il gruppo marcia in file orizzontali per monti e per valli. Stucchevoli accenni di allunghi su un paio di strappi, senza esiti di peso. Nessuna novità in classifica generale. Nessuna novità in generale, anzi.
Lo spettacolo l’hanno dato i margini. I margini della strada, stracolmi di gente riversatasi sulle strade per salutare questi pedalatori distratti. Gente che ha esposto tanti striscioni chiedendo di mettere fine alle morti in bicicletta. Ma il ciclismo era stanco, forse troppo lontano, e non ha ascoltato il loro dolore. E, quel che è peggio, non si è reso conto che quel dolore fosse anche il proprio.

Gabriele Bugada

La vittoria di Brandon McNulty a Bergamo (Getty Images)

La vittoria di Brandon McNulty a Bergamo (Getty Images)

CORRIDORI FATE CASINO, IN MEMORIA FELIX

maggio 21, 2023 by Redazione  
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Sulle strade care all’indimenticato Felice Gimondi si corre una tappa apparentemente mal disegnata, con salite che sembrano gettate alla rinfusa nel tracciato. La più dura si affronterà per prima, un altro paio d’ascese s’incontreranno a metà tappa mentre l’ultima, piazzata a poco meno di 30 Km dall’arrivo, proporrà all’inizio un muro niente male che potrà far scricchiolare qualche big della classifica. Per far sì che lasci il segno, però, bisogna darci dentro e rendere la tappa molto più dura di quello che le cartine lasciano suggerire. E lo spazio per far casino, oggi, c’è…

Da quando, il caldo pomeriggio del 16 agosto del 2019, chiudeva per sempre gli occhi Felice Gimondi il Giro d’Italia non aveva ancora avuto occasione per rendere un vero e proprio omaggio al campione lombardo, anche perché nelle ultime tre edizioni la Corsa Rosa si era sempre tenuta alla larga dalla provincia di Bergamo. Ma nel 2023 questa piccola lacuna sarà colmata con una tappa di quasi 200 Km il cui disegno sarebbe piaciuta parecchio a “Nuvola Rossa”, come ebbe a ribattezzarlo l’altrettanto indimenticato Gianni Brera. Tra Seregno e Bergamo non si dovrà soltanto pedalare sulle strade della sua Sedrina, il paesello della Val Brembana dove il tre volte vincitore della Corsa Rosa era nato il 29 settembre del 1942, ma si andranno ad affrontare una serie di salite che sono nella storia del ciclismo e poco importa il fatto che il disegno della frazione le colloca in una maniera apparentemente un po’ scriteriata, con la più difficile piazzata lontano dal traguardo e parecchi intervalli tra un colle e l’altro. Gimondi si sarebbe divertito tantissimo su questo percorso che, se ben sfruttato, può fare più “casino” del previsto, per utilizzare la stessa parolaccia che tanti anni fa fruttò a Felice una vera e propria cacciata dal palco del “Processo alla tappa”, allontanato e qualche giorno più tardi riabilitato dallo storico conduttore della rubrica, il giornalista romagnolo Sergio Zavoli. Si comincerà a circa 35 Km dalla partenza con il Valico di Valcava, impegnativa ascesa che negli anni ‘80 fu sedotta e abbandonata dal Giro di Lombardia, per poi essere riscoperta dalla medesima corsa in tempi più recenti, non più considerata troppo dura per una gara come la “classica delle foglie morte”. 41 Km più avanti sarà la volta di una delle ascese più iconiche delle valli bergamasche, anche se quella che conduce a Selvino è più conosciuta per la spettacolarità dei suoi tornati che per le inclinazioni. Immediatamente dopo si andrà sul Miragolo, salita che – a differenze della altre che si affronteranno oggi – è una scoperta recente, inserita per la prima volta in una competizione professionistica nel 2016. Isolato rispetto a tutti gli altri l’ultimo dei grandi colli di giornata sarà il Valpiana, pure preso a piene mani dal percorso del “Lombardia”, scavalcato il quale si dovranno percorrere 28 Km per andare al traguardo, prima del quale bisognerà fare i conti con la Boccola, l’acciottolata salitella verso Bergamo Alta che i corridori avranno affrontato anche 54 Km prima: sarà l’ultima tessera di un puzzle di 4000 pezzi, il numero di metri di dislivello complessivo che si dovranno superare, un vero e proprio “incastro” nel quale qualche nome grosso della classifica potrebbe rimanerci stritolato.
Prima che entrino in scena le montagne saranno le colline protagoniste del percorso perché il tratto iniziale si svolgerà attraverso la Brianza, affrontando subito dopo il via la dolce salita – poco meno di 3 Km al 3.7% – che conduce a Monticello Brianza, dosso molto conosciuto in gruppo perché è stato inserito in parecchie edizioni della Coppa Agostoni, subito dopo esser usciti dal tradizionale circuito del Lissolo. Il tratto successivo vedrà attraversare le aree pianeggianti del Parco regionale di Montevecchia e della Valle del Curone, nel quale sono possibile ammirare curiose piramidi che ricordano quelle egiziane. Raggiunta Merate, presso la quale si trova dal 1923 l’osservatorio astronomico della milanese Accademia di Brera, si cambierà direzione per fare ingresso in provincia di Bergamo attraverso il ponte sul fiume Adda di Brivio, centro il cui nome deriva dal termine celtico Briva (che significa per l’appunto ponte) e sul quale dominano i resti del locale castello. Attraversato Cisano Bergamasco si dovrà, però, uscire dai confini della provincia per tornare nel Lecchese e affrontare la Valcava dal lato più duro, anticipata dall’ascesa di San Gregorio (3.1 Km al 6.3%). È da Torre de’ Busi che ha inizio la prima delle quattro grandi salite di giornata, 10 Km all’8,7% e un tratto di quasi 4 Km al 10.2% che terminerà a mezzo chilometro dallo scollinamento, dopo aver toccato un picco massimo del 17%. Giunti in cima a questa salita, che al Lombardia del 1986 riuscì a mettere in croce uno scalatore del calibro del francese Laurent Fignon, si svalicherà accanto ai tralicci di una delle più importanti postazioni radio-tv dell’Italia settentrionale, operativa dal 1975 e realizzata non molto distante dal luogo dove si trovata la stazione d’arrivo della più antica funivia d’Italia, inaugurata nel 1928 e smantellata alla fine degli anni ’70. La successiva discesa verso la Valle Imagna sarà un “mix” tra due differenti versanti, con il primo che verrà abbandonato all’altezza di Costa Valle Imagna per intraprendere un tratto in quota di circa 3 Km che terminerà in corrispondenza del futuro scollinamento del GPM di Valpiana, dove si riprenderà a scendere in direzione di Capizzone. Raggiunta Almenno San Salvatore, presso la quale si può ammirare la romanica chiesa di San Giorgio in Lemine, si andrà a superare il corso del Brembo alle porte di Villa d’Almè, dalla quale si punterà verso Bergamo. Il primo dei tre passaggi dalla “Città dei Mille”, così chiamata per i quasi 200 volontari bergamaschi che presero parte alla storica spedizione, si svolgerà sulle pianeggianti strade della periferia nordorientale, seguendo le quali il gruppo s’infilerà successivamente nel tratto iniziale della Val Seriana. Si pedalerà in uno degli angoli della nostra nazione che maggiormente fu colpito, nella primavera del 2020, dalla prima ondata della pandemia di Covid, andando a sfiorarne uno degli “epicentri”, l’ospedale di Alzano Lombardo. È dalla vicina Nembro che si tornerà, per la terza volta in questa giornata, a parlare il linguaggio della salita, stavolta per affrontare i 12 Km al 5.3% che con 19 tornanti condurranno fino ai 946 metri di Selvino, la stazione di sport invernali più vicina alla Pianura Padana, della quale sono originarie le ex sciatrici Paoletta e Lara Magoni e dove è in progetto la realizzazione dello Skidome, innovativo impianto sciistico sotterraneo. Stavolta la discesa sarà affrontata in maniera parziale perché, percorsone il tratto iniziale si svolterà a sinistra per intraprendere la più difficile salita – 5 Km al 7.2% – che condurrà al borgo di Miragolo San Salvatore, da non confondere con il quasi omonimo e vicino paesello di Miragolo San Marco, che ebbe fama nel Seicento grazie alle pendole “opus Miragoli” che vi venivano prodotte dalla famiglia Gritti. Testimonianza di questo artigianato è visibile nel Museo della Valle che si trova in fondo alla successiva discesa, nel centro di Zogno, il paese natale di Antonio Pesenti, il primo corridore bergamasco a vincere il Giro d’Italia (1932). Siamo tornati in Val Brembana e da lì a pochi chilometri ci sarà il passaggio da Sedrina, il paesello di Gimondi, conosciuto anche per i suoi ponti sul Brembo, il più antico dei quali secondo la tradizione risale all’anno 110. Pochi chilometri più avanti si ritroveranno strade già percorse in precedenza, riattraversando Villa d’Almè e facendo quindi ritorno a Bergamo, dove si andrà per la prima volta ad affrontare la Boccola, la lastricata stradina che sale verso la città alta, 1200 metri nei quali la pendenza media passa da “quota zero” al 7,9%, con un picco del 12% e un brevissimo tratto in acciottolato che inizia in corrispondenza del passaggio da Porta San Lorenzo, il più piccolo tra i quattro varchi che bucano la cortina delle mura veneziane, innalzata nel XIV secolo quando la città era una delle principali della Serenissima. Seguendo in discesa il panoramico viale che costeggia i baluardi fortificati, si andrà per la prima volta a tagliare la linea d’arrivo, nella parte bassa della cittadina orobica, per poi tornare a pedalare in direzione delle Prealpi Orobie, alle cui pendici si tornerà – dopo una quindicina scarsa di chilometri privi di difficoltà altimetriche – all’altezza di Almenno San Bartolomeo, centro dove gli appassionati d’arte romanica potranno deliziarsi con la visita alla Rotonda di San Tomè, chiesa circolare costruita nella prima metà del XII secolo. Qui si tornerà a prendere l’ascensore, stavolta per affrontare la salita di Valpiana, più famosa tra gli appassionati come “Roncola” dal nome del centro che si attraversa 5 Km prima dello scollinamento. Sono 10 Km al 6.1%, molto più impegnativi di quel che dicono i suoi numeri sia perché gli ultimi 2 Km sono praticamente pianeggianti, sia perché non si percorrerà la strada classica nel tratto iniziale, avendo scelto l’organizzazione d’inserire il cosiddetto “Muro di Barlino”, 1300 metri al 10.3% con i primi 500 metri al 12% che prevedono un picco massimo del 14%. Raggiunto lo scollinamento di Valpiana si dovrà affrontare la discesa già percorsa in precedenza scendendo dalla Valcava, puntando quindi per la terza e ultima volta su Bergamo, dove gli acuminati “dentini” della Boccola nuovamente torneranno ad azzannare i polpacci dei corridori, oggi messi a prova da una frazione che potrebbe far più male del previsto. Basta far casino, in memoria di Gimondi.

Mauro Facoltosi

I VALICHI DELLA TAPPA

Sella di Monte Marenzo (436 metri). Concide con l’omonimo abitato, toccato lungo la salita di San Gottardo, l’ascesa che anticipa quella della Valcava.

Sella di San Gottardo (403 metri). Si trova alle porte dell’omonima località, all’altezza del bivio dove inizia il versante lecchese del Valico di Valcava.

Forcella di Valcava (1336m). Raggiunta dalla Strada Provinciale 179 “della Valcava” sul versante lecchese e dalla SP 22 “Valsecca-Costa Valle Imagna” sul versante bergamasco, mette in comunicazione Torre de’ Busi con Costa Valle Imagna. È nota anche come “Valico di Ca’ Perucchini” e “Valico di Valcava”, toponimo con il quale è segnalato sulle cartine del Giro 2023. Scoperta dal grande ciclismo in occasione del Giro di Lombardia del 1986, è rimasta nel tracciato della classica di fine stagione fino al 1990 per poi essere riscoperta dalla stessa corsa nel 2011, venendo proposta anche nel 2012, nel 2013 e nel 2016. Per il Giro d’Italia si tratta della seconda volta sulla Valcava, già affrontata nel 2012 durante la tappa Busto Arsizio – Pian dei Resinelli (Lecco), vinta dall’abruzzese Matteo Rabottini, primo anche in vetta alla difficile ascesa lombarda.

Sella di Selvino (941 metri). Vi sorge l’omonima località di sport invernali e mette in comunicazione la Val Seriana con la Val Brembana e la Val Serina. Quotata 946 sulle cartine del Giro 2023, è stata affrontata 5 volte alla corsa rosa, tre come GPM di passaggio e due come arrivo di tappa. La prima volta fu scalata nel 1969 nel finale della semitappa Zingonia – San Pellegrino Terme, vinta dal vicentino Marino Basso dopo che al GPM era transitato in testa il bresciano Michele Dancelli. Ci si tornerà nel 1976 nei chilometri conclusivi della Terme di Comano – Bergamo, vinta in casa da Gimondi con il varesino Wladimiro Panizza primo a Selvino. L’ultimo GPM “di passaggio” è stato proposto nel 2017 durante la Valdengo – Bergamo ed è stato conquistato dal francese Pierre Rolland, mentre al traguardo si era imposto il lussemburghese Bob Jungels. I due arrivi di tappa sono stati conquistati dall’americano Andrew Hampsten nel 1988 (Novara – Selvino) e dall’elvetico Tony Rominger nel 1995 (cronoscalata da Cenate): in entrambi i casi i vincitori di tappa qualche giorno più tardi si imporranno nella classifica finale della corsa rosa.

Passo di San Bernardo (858 metri). Concide con l’omonima frazione del comune di Roncola, attraversata dalla Strada Provinciale 172 “della Roncola” lungo la salita a Valpiana. Il Giro l’ha inserita due volte nel tracciato, la prima durante la Milano – Bergamo del 1983, vinta dal lombardo-piemontese Giuseppe Saronni dopo che al GPM, fissato in località Roncola e non al punto di scollinamento, era transitato primo Lucien Van Impe, lo scalatore belga che nel 1976 si era imposto al Tour de France. Durante la pocanzi citata tappa Novara – Selvino del Giro del 1988 a conquistare il GPM, stavolta correttamente collocato al termine dell’ascesa, passò per primo Renato Piccolo, il corridore veneto che quell’anno conquisterà la classifica riservata agli scalatori.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

Felice Gimondi e l’altimetria della quindicesima tappa del Giro 2023 (strada.bicilive.it)

Felice Gimondi e l’altimetria della quindicesima tappa del Giro 2023 (strada.bicilive.it)

CIAK SI GIRO

Se vi piacciono i film comici surreali allora conoscerete – e se non li conoscete dovreste colmare questa lacuna – le strampalate commedie firmate dal regista milanese Maurizio Nichetti, la cui figura è stata accostata da diversi critici a quella di Woody Allen. È autore di film come “Volere volare”, che ricorda molto “Chi ha incastrato Roger Rabbit” per la commistione tra realtà e fantasia cartoonistica, “Ratataplan” (il film che l’ha fatto conoscere) e “Ladri di saponette”, ispirato al celebre “Ladri di biciclette”, il capolavoro del neorealismo firmato nel 1948 dal grande Vittorio De Sica. In “Ladri di saponette”. In questo film Nichetti è due volte regista, perché interpreta sia sé stesso, sia Antonio, il protagonista di un film neorealista da lui diretto e che viene invitato a presentare a un talk show televisivo, condotto quest’ultimo non da un attore ma da uno dei più noti critici cinematografici italiani, Claudio G. Fava. Un imprevisto tecnico provoca, però, un black out dalle conseguenze inattese, con i protagonisti del film in bianco e nero che vengono catapultati nella vita reale a colori e lo stesso regista che, viceversa, si vede costretto a varcare il confine con la finzione per cercare di riportare sui binari originari la trama originaria, riuscendo nell’intento ma poi rimanendo intrappolato nel film. Se la pellicola è surreale, reali – ovviamente – sono i luoghi delle riprese, svoltesi nel breve volgere di 38 giorni a Milano e in alcune dei luoghi che saranno oggi sfiorati dal percorso di gara. Il ponte di Brivio sull’Adda fa così da sfondo alla scena nella quale Antonio si allontana in bici dall’azienda dove lavorava (in realtà un’ex cristalleria situata nel quartiere Bovisasca a Milano) e dalla quale aveva appena rubato un lampadario. Bergamo Alta, invece, è stato il set del famoso spot televisivo del detersivo per pavimenti Ajax, che in quegli anni fu mandato in onda di frequente durante i famosi “consigli per gli acquisti”. Molti ancora ricordano la scena delle massaie che, cantando “igiene sì, fatica no” lanciano per aria i secchi e che si vede anche in questo film, anche se in realtà solo in parte si tratta d’immagini del vero spot, che era stato girato in una suggestiva piazzetta del centro storico di Viterbo. Quando, nell’opera di Nichetti, Maria (la moglie di Antonio, interpretata dall’attrice materana Caterina Sylos Labini) viene catapultata dal film neorealista allo spot trasmesso in quel momento alla tv e può finalmente coronare il suo sogno di divenire attrice, l’azione si svolge in un set diverso, non più a Viterbo ma nella centralissima Piazza Vecchia di Bergamo.

In collaborazione con www.davinotti.com

La scena del spot del detersivo Ajax rigirata da Maurizio Nichetti in Piazza Vecchia a Bergamo per il film “Ladri di saponette” (www.davinotti.com)

La scena del spot del detersivo Ajax rigirata da Maurizio Nichetti in Piazza Vecchia a Bergamo per il film “Ladri di saponette” (www.davinotti.com)

Le altre location del film

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/ladri-di-saponette/50002812

FOTOGALLERY

Una delle Piramidi di Montevecchia (villago.it)

Merate, Osservatorio Astronomico di Brera (www.brera.mi.astro.it)

Brivio vista dal ponte sul fiume Adda

Il centro trasmittente di Valcava, al culmine dell’omonima salita

Almenno San Salvatore, chiesa di di San Giorgio in Lemine

L’ospedale di Alzano Lombardo

Uno dei tornanti della salita di Selvino

Ponti di Sedrina

Almenno San Bartolomeo, Rotonda di San Tomè

Bergamo, Ponte San Lorenzo

FUGA BIDONE IN CASA BASSO. DOPPIETTA PER DENZ, ARMIRAIL IN ROSA

maggio 20, 2023 by Redazione  
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La maxifuga della quattordicesima tappa, dopo essersi frazionata negli ultimi 50 km, vede giocarsi la vittoria una decina di ciclisti. A Cassano Magnago è Nico Denz (Team BORA Hansgrohe) ad imporsi in una volata ristretta davanti a Derk Gee (Team Israel Premier Tech) ed Alberto Bettiol (Team EF Education EasyPost). Dopo oltre 20 anni, un ciclista francese, Bruno Armirail (Team Groupama FDJ), si veste di rosa

Dopo la mezza farsa di ieri, con il taglio del Gran San Bernardo e la salita finale verso Crans Montana in cui i big hanno inscenato una specie di no contest, il Giro riparte oggi – almeno si spera – da Sierre e torna in Italia salutando la Svizzera. L’arrivo è situato a Cassano Magnago dopo 194 km, lungo i quali i ciclisti troveranno ancora maltempo e soprattutto il gpm di prima categoria del Passo del Sempione. La fuga avrà la forza e la qualità per riuscire a reggere l’inseguimento del gruppo, che presumibilmente dovrà raccogliere a poco a poco i pezzi – leggasi velocisti – tra la lunga discesa verso Domodossola e gli ultimi 90 km di tappa complessivamente pianeggianti? Vedremo. Intanto da Sierre Geraint Thomas (Team INEOS Grenadiers) riparte con una maglia rosa un po’ sbiadita dalle polemiche piovute – è proprio il caso di dirlo – dopo l’accorciamento del percorso della tappa di ieri, che ha molti, tra appassionati e tifosi, non è proprio piaciuto. Da Sierre non partivano Samuele Battistella (Team Astana Qazaqstan) e Stefan De Bod (Team EF Education EasyPost), entrambi fermati da problemi fisici. Un primo tentativo di fuga di una trentina di ciclisti, nel quale era presente Michael Matthews (Team Jayco AlUla) non andava bene alla Bahrain Victorious, proprio a causa della presenza dell’australiano, che poteva dare dei grattacapi alla maglia ciclamino Milan. Un nuovo attacco veniva portato qualche km più tardi da una ventina di ciclista, tra i quali erano presenti cinque italiani: Alessandro De Marchi (Team Jayco AlUla), Davide Bais (Team EOLO Kometa), Andrea Pasqualon (Team Bahrain Victorious), Alberto Bettiol (Team EF Education EasyPost), Davide Ballerini (Team Soudal Quick Step). All’inizio del Passo del Sempione, il primo gruppo di testa, formato da 18 ciclisti, veniva raggiunto da un drappello di nove ciclisti tra cui era presente Stefano Oldani (Team Alpecin Deceuninck). Il gruppo maglia rosa inseguiva a quasi 6 minuti di ritardo. Dopo circa 6 km di salita anche Mattia Bais e Mirco Maestri (Team EOLO Kometa) riuscivano a raggiungere la testa della corsa. Davide Bais scollinava in prima posizione sul Passo del Sempione, unico gpm di tappa posto al km 56. Il gruppo maglia rosa inseguiva ad oltre 9 minuti di ritardo. Al primo traguardo volante di Villadossola, posto al km 101.7, era Marius Mayrhofer (Team DSM) a transitare in prima posizione. Laurenz Rex (Team Intermarchè Circus Wanty) si aggiudicava il secondo traguardo volante di Stresa posto al km 138.3. Il ciclista belga allungava, trainando con sé Oldani, Toms Skujins (Team Trek Segafredo) e Davide Ballerini. Il buon accordo del quartetto in testa dava i suoi frutti, visto che il suo vantaggio sul primo gruppo inseguitore aumentava lentamente ma costantemente. A 15 km dall’arrivo i quattro battistrada avevano 30 secondi di vantaggio, mentre il gruppo maglia rosa era cronometrato ad oltre 18 minuti di ritardo. Eppure il primo gruppo inseguitore, anche se frazionato a sua volta, riusciva a raggiungere la testa della corsa a poco meno di 1 km dalla conclusione. Si giocavano così la vittoria, oltre a Rex, Oldani, Ballerini e Skujins, anche Nico Denz (Team BORA Hansgrohe), Derek Gee (Team Israel Premier Tech), Alberto Bettiol (Team EF Education EasyPost) e Mayrhofer. Era proprio il tedesco della BORA a battere al photofinish Gee, mentre Bettiol era terzo. Rex si piazzava in quarta posizione a 1 secondo di ritardo da Denz, mentre chiudeva la top five Ballerini in quinta posizione. Il gruppo maglia rosa tagliava il traguardo con 21 minuti e 11 secondi di ritardo da Denz, il quale ottiene la seconda vittoria di tappa al Giro 2023, due giorni dopo essersi imposto in un’altra fuga nella dodicesima tappa con arrivo a Rivoli. Bruno Armirail (Team Groupama FDJ) è la nuova maglia rosa ed è il primo francese a vestire il simbolo del primato dopo Laurent Jalabert nel 1999. Armirail ha un vantaggio di 1 minuto e 41 secondi su Geraint Thomas (Team INEOS Grenadiers) e di 1 minuto e 43 secondi su primoz Roglic (Team Jumbo Visma). Domani è in programma la quattordicesima tappa da Seregno a Bergamo di 194 km. Un percorso che presenta complessivamente quattro gpm e che ricorda vagamente quello del Giro di Lombardia. Ci auguriamo che si possa scatenare la prima vera bagarre tra i big di classifica, al termine della seconda settimana di Giro dove lo spettacolo ancora langue.

Antonio Scarfone

Nico Denz vince a Cassano Magnago (foto: Getty Images)

Nico Denz vince a Cassano Magnago (foto: Getty Images)

DALL’ALTO IN BASSO

maggio 20, 2023 by Redazione  
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Il Giro fa rientro in Italia scavalcando nuovamente la catena alpina. Stavolta, però, dopo aver raggiunto i 2004 metri del Passo del Sempione non s’incontreranno più difficoltà da lì al traguardo e i velocisti già pregustano la possibilità di giocarsi la vittoria a casa di Ivan Basso. Il finale non sarà comunque alla portata di tutti gli sprinter perché una serie di modeste collinette scremerà il gruppo e per primi a saltare saranno quei velocisti che non avranno ancora smaltito il Sempione.

Dalle alte quote si fa velocemente ritorno in pianura con una tappa per davvero guarderà i “girini” dall’alto in basso. Si dovrà, infatti, salire in partenza ai 2004 metri sul livello del mare del Passo del Sempione per poi pedalare verso il basso, sia quello della pianura, sia quello con la B maiuscola perché la località d’arrivo, Cassano Magnago, è la città natale del due volte vincitore del Giro Ivan Basso. Non aspettiamoci, però, una tappa nella quale il campione varesino avrebbe potuto dare sfoggio delle sue doti perché la conclusione più probabile per questa frazione sarà l’arrivo allo sprint, con grande rammarico per tutti quegli appassionati che di sabato avrebbero preferito una tappa infarcita di salite. Impegnativa, comunque, lo sarà per molti dei corridori che oggi potrebbero ben figurare in volata e non soltanto per la presenza del Sempione, che a qualche sprinter potrebbe rimanere nelle gambe nonostante i quasi 140 Km che si dovranno successivamente percorrere per andare al traguardo. Negli ultimi 20 Km sono state, infatti, inserite alcune modeste collinette che in condizioni normali sfoltirebbero di poco il gruppo, mentre stavolta contribuiranno a sfalciare dal plotone quei velocisti che si trovano nel gruppo di testa ma anche ancora le gambe intossicate dal Sempione. E se qualcuno di loro riuscisse a tenere le ruote del gruppo anche dopo questi saliscendi, potrebbe poi finire per essere respinto dalla lieve pendenza che caratterizzerà il chilometro conclusivo.
Dopo il primo tappone alpino si ripartirà ancora dalla Svizzera, avendo come filo conduttore dei primi 35 Km il corso del Rodano, che ha le sue origini sull’omonimo ghiacciaio del Canton Vallese e la foce nel Mediterraneo. In questo tratto iniziale si pedalerà quasi costantemente in pianura, salvo la breve deviazione inserita per raggiungere il piccolo centro di Baltschieder, che comporterà una salita di circa un chilometro e mezzo al 7.6% di pendenza media. Costituirà il biglietto da visita dell’imminente ascesa al Sempione, che inizierà all’uscita da Briga, cittadina di origine celtica nel cui centro svetta l’imponente castello fatto erigere in epoca barocca dal barone Kaspar Jodok von Stockalper, all’epoca noto con il soprannome di “re del Sempione” per le miniere d’oro che possedeva oltre il valico. Per raggiungerle era stata tracciata un’impervia mulattiera, oggi sentiero escursionistico, caduta in disuso in epoca napoleonica quando il celebre imperatore incaricherà l’ingegnere francese Nicolas Céard di realizzare una strada sufficientemente larga per permettere il passaggio dei cannoni. Nonostante fosse l’emblema scelto dal Bonaparte, non è un simbolo napoleonico l’enorme aquila di roccia, alta più di nove metri, che svetta in cima al passo e che fu innalzata durante la seconda guerra mondiale, quando lassù l’esercito elvetico realizzò alcune delle fortificazioni inserite nel complesso del Ridotto Nazionale Svizzero, dismesso nel 2011. Per arrivarci i “girini” percorreranno fedelmente il tracciato della strada napoleonica, che oggi nella prima parte è sostituta da una più moderna superstrada, affrontando così quella che assieme al Monte Bondone (che, però, lo batte per quasi mezzo chilometro) è la seconda salita più lunga del Giro 2023 dopo il Gran San Bernardo, 20 Km al 6.6% con i tratti più impegnativi all’inizio poiché uscendo da Briga per poco più di 6 Km la pendenza media si attesterà all’8.61%, per poi proporre successivamente un altro tratto quasi simile, circa 4 Km all’8.8%. La discesa che riporterà il Giro in patria si snoderà prevalentemente in territorio elvetico e subito prima di superare la frontiera si attraverseranno le suggestiva gola di Gondo, frequentata d’inverno dai “cascatisti” (gli arrampicatori delle cascate di ghiaccio) e che un tempo costituiva un vero e proprio Eldorado perché è proprio qui che si trovano le miniere del barone Stockalper, che le gestiva dagli uffici ospitati all’interno dell’omonima torre, oggi riconvertita in albergo.
A dare il bentornato al gruppo sulle strade italiane sarà la stazione ferroviaria di Iselle, situata presso il portale sud del traforo del Sempione, inaugurato il 24 febbraio del 1905 in un’epoca nella quale costituiva la più lunga galleria ferroviaria del mondo (19 Km e 800 metri), primato che nel corso del XX secolo è stato scalzato da successivi 7 trafori.
L’interminabile planata dal Sempione avrà termine poco prima del passaggio dal centro di Domodossola, il principale della valle del Toce, presso il quale è possibile ammirare il Sacro Monte Calvario, uno dei meno noti tra i nove “Sacri Monti” del Nord Italia iscritti nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO, realizzato a partire dal 1656 su iniziativa di due frati cappuccini che sul Colle Mattarella ebbero l’idea di costruire quindici cappelle che illustrassero la Via Crucis.
Lasciatisi alle spalle la parte più difficile della tappa, nei successivi 70 Km si pedalerà sulla perfezione della pianura, solcando la Val d’Ossola in direzione del Lago Maggiore, sulle cui sponde si giungerà dopo aver lambito un altro piccolo bacino, quello di Mergozzo, non distante dal quale si trovano le famose Cave di Candoglia, dalla quale viene ancora oggi scavato il marmo utilizzato per l’abbellimento del Duomo di Milano. Sulle sponde del Verbano si rimarrà per quasi 30 Km, toccando all’inizio di questo tratto il centro di Baveno, terzo della zona per presenze turistiche, qui attratte dalla romanica chiesa dei Santi Gervaso e Protaso e dall’ancora più antico battistero adiacente. Mentre si pedalerà in direzione di Stresa cattureranno l’attenzione le isole del Golfo Borromeo, ancor oggi proprietà della nobile famiglia che in tempi recenti ha rilevato a Stresa Villa Pallavicino, nel cui parco è possibile visitare un piccolo giardino zoologico nel quale vivono daini, lama, alpaca, pecore “saltasasso” e capre tibetane. Prima di lasciare le rive del Verbano si toccherà un’altra delle “celebrità” del lago, la cittadina di Arona sulla quale dominano il “Sancarlone” e i resti della Rocca Borromeo, distrutta dall’esercito napoleonico nel 1800 e nella quale 260 anni prima era nato San Carlo Borromeo, l’arcivescovo di Milano al quale era sarà dedicata la colossale statua, realizzata in bronzo dall’architetto Giovan Battista Crespi (detto “Il Cerano” dal nome del comune piemontese nel quale la sua famiglia si era trasferita negli anni della giovinezza). Lasciato il Piemonte il Giro sbarcherà in Lombardia superando il corso del Ticino alle porte di Sesto Calende, dove il locale museo archeologico espone interessanti reperti rinvenuti nella vicina necropoli di Monsorino, i cui cromlech costituiscono l’unica testimonianza monumentale della “cultura di Golasecca”, risalente alla prima età del ferro.
Giunti nella vicina Vergiate ci sarà un cambio di fronte perché, per evitare il passaggio attraverso i trafficati centri di Gallarate e Busto Arsizio, s’è deciso di far deviare la corsa verso le prime propaggini collinari del basso varesotto. È, infatti, arrivato il momento di affrontare le brevi salitelle che punteggeranno i chilometri conclusivi e per primo si dovrà superare l’ostacolo più difficile, lo strappo di 1 Km al 6% che conduce a Quinzano San Pietro, una delle frazioni del comune sparso di Sumirago, nel quale ha sede il quartier generale di Missoni, la celebre casa di moda fondata nel 1953 dall’ex ostacolista Ottavio Missoni, che prima di diventare affermato stilista era stato sette volte campione nazionale di atletica leggera. Uno zampellotto di 600 metri al 3.7% precede la discesa verso Albizzate, dove l’antico Oratorio Visconteo dal XIV secolo rappresenta un’interessante testimonianza artistica del celebre casato milanese. Scesi nella valle dell’Arno, torrente omonimo del celebre fiume toscano, un altro tratto in dolce salita condurrà verso Carnago, centro conosciuto soprattutto agli appassionati di calcio perché nel 1963 vi fu inaugurato il centro sportivo di Milanello, voluto dall’allora presidente del Milan, il produttore cinematografico Andrea Rizzoli che soli sette anni prima aveva fondato la “Cineriz”, la casa di produzione che porterà sul grande schermo film di successo come quelli delle saghe di “Don Camillo”, “Fantozzi” e “Amici miei”. A questo punto il gruppo s’innesterà sul tracciato del “circuito del Seprio” – l’anello che, ripetuto più volte, rappresenta il “cuore” del percorso della Coppa Bernocchi – imboccandolo in direzione di Castelseprio, centro il cui nome campeggia nell’elenco dei siti italiani protetti dall’UNESCO per i suoi monumenti d’origine longobarda, tra i quali si segnala l’antico monastero di Torba. I “girini” rimarranno per meno di un chilometro sulle strade della Bernocchi, poi lasceranno le rotte della corsa legnanese per dirigersi su Cassano Magnago, dove l’ultima rampetta di giornata rimescolerà ancora le carte al gruppo lanciato verso una delle ultime volate del Giro 2023.

Mauro Facoltosi

I VALICHI DELLA TAPPA

Passo del Sempione (2005 metri). Quotato 2004 metri sulle cartine del Giro 2023, vi transita convenzionalmente il confine geografico tra le Alpi Pennine e le Lepontine. Mette in comunicazione il centro elvetico di Briga con il comune italiano di Varzo e su entrambi i versanti è percorso dalla “strada nazionale 9”. Noto tra le genti locali con il toponimo tedesco di Simplonpass, è stato inserito 6 volte nel percorso del Giro d’Italia, la prima durante la tappa Saint Vincent – Verbania del 1952, vinta dall’elvetico Friedrich “Fritz” Schär dopo che l’inedito Sempione era stato conquistato dal corridore francese d’origine romagnole Raphaël Géminiani. Cinque anni più tardi vi transiterà la Sion – Campo dei Fiori, terminata sulla montagna varesina con il successo del veneto Alfredo Sabbadin e la conquista della maglia rosa da parte dell’atteso Charly Gaul, dopo che a scollinare in testa sul Sempione era stato Emilio Bottecchia, figlio di un cugino di quell’Ottavio Bottecchia che nel 1924 era stato il primo italiano a vincere il Tour de France. Il 1963 fu il grande anno di Vito Taccone che non vinse il Giro – alla fine fu soltanto sesto a quasi 12 minuti da Franco Balmanion – ma fece sue ben 5 tappe, 4 delle quali consecutive: una di queste fu la Biella – Leukerbad, che vide il “Camoscio d’Abruzzo” fare suo anche il traguardo GPM posto in vetta al Sempione. Due anni più tardi gli succederà nell’albo d’oro Italo Zilioli e anche in questo caso ci sarà l’en plein, con il successo dell’eterno secondo piemontese sul traguardo della Biandronno – Saas Fee. La scalata proposta nel 1985 passò invece alla storia come “la Cima Coppi più bassa di sempre” (primato che nel 1988 gli sarà scippato dai 1600 metri del Passo Duran), conquistata dal colombiano Reynel Montoya subito dopo la partenza della Domodossola – Saint-Vincent, terminata con il successo di Francesco Moser. In ordine di tempo risale alla Aosta – Domodossola del 2006 l’ultimo passaggio dal Sempione, che porta la firma del corridore umbro Fortunato Baliani, mentre a imporsi in quella frazione sarà il colombiano Luis Felipe Laverde.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

Panoramica aerea di Cassano Magnago e l’altimetria della quattordicesima tappa del Giro 2023 (wikipedia)

Panoramica aerea di Cassano Magnago e l’altimetria della quattordicesima tappa del Giro 2023 (wikipedia)

CIAK SI GIRO

Tra i luoghi più spettacolari della nostra nazione c’è sicuramente l’Isola Bella, una delle tre “perle” del piccolo arcipelago Borromeo, un’isola che un tempo era tutt’altro che bella perché fino al 1632 era semplicemente uno scoglio roccioso sul quale era letteralmente aggrappato un piccolo borgo abitato da pescatori. Tutto cambiò con il conte Vitaliano I Borromeo che ebbe l’idea di costruirvi una lussuosa residenza, progetto che poi sarà portato a compimento dal suo successore Carlo III, il quale farà chiamare l’isola Isabella in omaggio alla moglie, nome che poi per comodità sarà accorciato nell’odierno Isola Bella. I suoi saloni e i suoi spettacolari giardini terrazzati, tra i quali si aggirano candidi pavoni, sono stati visitati nel corso dei secoli da numerosi visitatori, illustri e meno illustri, e in particolare qui vennero Napoleone e lo scrittore francese Stendhal, che alloggiò in quello che – recentemente riaperto dopo un lungo restauro – è l’albergo più antico della zona del Verbano. Il cinema, forse a causa dei limitati spazi sull’isola, si è limitato a inquadrarla da lontano in comunque sempre affascinanti riprese di film girati nell’antistante Stresa. Solo in un paio di occasioni s’è scelto di portare sull’isola macchine da presa e tutto il necessario per girare un film e in una di queste sbarcò uno dei “campionissimi” del cinema italiano, nientemeno che il “mattatore” per eccellenza Vittorio Gassman. L’attore romano d’adozione (era nato a Genova da padre tedesco e madre pisana) qui venne per le scene finali di “Toglio il disturbo”, pellicola che racconta delle vicende di un anziano direttore di banca che torna ad abitare in famiglia dopo aver trascorso in manicomio gli ultimi 18 anni della sua vita. Qui stringe un legame particolare con la nipote Rosa, con la quale andrà a rifugiarsi in un casale abbandonato dopo che la nuora aveva minacciato di rimandarlo nuovamente in clinica. Dopo questo episodio la figlia sarà inviata in un collegio a Stresa, dove diversi mesi dopo la raggiungerà il nonno per un ultimo struggente incontro sulla darsena dell’Isola Bella.

In collaborazione con www.davinotti.com

Vittorio Gassman si allontana dopo l’ultimo incontro con la nipote nella scena finale di “Tolgo il disturbo”, girata sull’Isola Bella (www.davinotti.com)

Vittorio Gassman si allontana dopo l’ultimo incontro con la nipote nella scena finale di “Tolgo il disturbo”, girata sull’Isola Bella (www.davinotti.com)

Le altre location del film

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/tolgo-il-disturbo/50012253

FOTOGALLERY

Briga, Castello Stockalper

Passo del Sempione

L’aquila di rocca eretta presso il Passo del Sempione

Gondo, torre Stockalper

Iselle, portale italiano del traforo del Sempione

Domodossola, Sacro Monte Calvario

Cave di Candoglia

Baveno, rampa d’accesso alla chiesa dei Santi Gervaso e Protaso

Stresa, il piccolo giardino zoologico di Villa Pallavicino

Arona, Rocca Borromea

Golasecca, necropoli di Monsorino (www.varesenews.it)

Golasecca, necropoli di Monsorino (www.varesenews.it)

Albizzate, Oratorio Visconteo

Carnago, il centro sportivo di Milanello

Castelseprio, monastero di Torba

A CRANS MONTANA MA SANS MONTAGNA: TANTA FARSA IN UN GIRO MUTILATO

maggio 20, 2023 by Redazione  
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Che pochezza in questo Giro sminuito. Ci mancava solo l’ennesimo braccio di ferro con il fantomatico sindacato corridori che salta su e si preoccupa di problemi (inesistenti) soprattutto quando conviene ad alcuni. Il primo bellissimo tappone, bellissimo sulla carta, si sfascia in battibecchi, come quello che decide la vittoria di giornata.

Ma quanto dovrà svoltare questo Giro smozzicato per salvarsi nella terza settimana? C’è tanta sfortuna, è vero, perché le premesse erano di spicco, fra grandi interpreti e un percorso ben disegnato. E comunque, ammettiamolo fin da subito, stona un po’ intristirsi per il Giro quando il maltempo ha travolto la vita vera, quotidiana, di tante persone. Il maltempo, certo, e il malfatto di tanti anni su piccola e grande scala, non ce ne scordiamo. Perché alla fin fine non è sempre e solo il cielo, l’autore delle disgrazie umane, ma anche un’umanissima cattiva volontà, locale e globale. Meglio fermarsi prima di trascendere nella filosofia, tanto più senza Guillaume Martin al via, però queste considerazioni ben si sposano anche con certi fatti che fra ieri e oggi hanno sostanzialmente deturpato una delle tappe chiave del Giro 2022.
Che cosa è successo? Prima di tutto che da parte Svizzera si è deciso di non aprire il Passo del Gran San Bernardo. Capita? Capita. Dispiace che, come suggerito da parecchi locali molti mesi orsono, quando trasparivano le prima indiscrezioni sul percorso, le motivazioni siano state più probabilmente economiche e prevedibilissime piuttosto che non meteorologiche e incontrollabili. Far cassa col tunnel in date di grandi flussi per via di un fine settimana prolungato da concomitanti festività. Un fenomeno ricorrente e sistematico, a differenza del meteo, di cui non si è tenuto troppo conto, mentre gli svizzeri a quanto sembra ai loro, di conti, ci tenevano parecchio. Senz’altro più che al Giro.
Succede poi che un municipio, quello interessato al transito nella parte più alta delle Croix de Coeur, si attendesse più supporto economico per le asfaltature. Ecco dunque circolare minacciosi documenti video per denunciare che, tolta la neve, l’asfalto sembra pericolosamente malandato. Salta poi fuori che i chilometri in questione sono pochi, che le immagini inquietanti corrispondono in realtà a un aspetto relativamente normale per una stesura di un fondo siffatto in queste condizioni, senza che ciò implichi alcun pericolo di spicco per la corsa.
L’instabilità che si genera è tutta sociale, non meteorologica. È la percezione di un tentennamento, in cui si lancia a tutta forza, come un cuneo, il sindacato corridori. Non si sa se su propria iniziativa oppure se stimolato da alcuni elementi del gruppo, il sindacato lancia una votazione, e percentuali bulgare del gruppo, a quanto sembra, accettano la proposta (stilata in questi termini… da chi?) di eliminare del tutto la salita della Croix de Coeur appigliandosi al famigerato Extreme Weather Protocol, protocollo per le condizioni meteorologiche estreme. Orbene, le condizioni di attivazione del protocollo invocate, secondo il presidente del sindacato – l’ex corridore Adam Hansen già protagonista della vergognosa sceneggiata di Morbegno 2020 – sarebbero state “pioggia gelida (freezing)” e “temperature estreme”. Il problema è che nessuna delle due condizioni si verificava, ma nemmeno da lontano, né nelle previsioni, né poi nella realtà fattuale, per l’intero percorso di oggi. Citare il cumulo di precipitazioni, malanni, stanchezze che pesa dagli scorsi giorni non rende in alcun modo più logico che si chieda di attivare un protocollo il quale, proprio in quanto tale, delinea seppur vagamente alcune determinate condizioni, molto lontane da quelle odierne. A meno che, ovviamente, non si definisca “estremo” un rango di temperature fra gli 8 e i 14 gradi centigradi, o “pioggia gelida” qualche sporadica precipitazione nell’ordine dei pochi millimetri e senza continuità alcuna. Sono facilmente reperibili le immagini del peloton con molti atleti in maniche corte.
Non sappiamo come si sia votato, solo che il voto era anonimo. Non sappiamo se sia votato per atleti o per squadre. Non sappiamo se le percentuali citate da Hansen si riferiscano a una frazione dei votanti oppure a una frazione degli aventi diritto. Ma diciamo pure che non sorprenderebbe che in condizioni di voto anonimo gli atleti optino per togliersi di mezzo un’ascesa estremamente impegnativa nel bel mezzo della tappa. Almeno due team, Bahrain e Astana, erano fortemente favorevoli a correre la tappa con il solo aggiustamento, inevitabile, del transito in tunnel invece che sul passo. Molte altre voci hanno espresso perplessità. Ma tant’è. Percentuali bulgare, sempre un segnale di sana democrazia.
Certo che però, voto o non voto, l’assenza materiale dei criteri necessari ad attivare l’EWP non è qualcosa che si possa votare o meno! Non è che se la strada è secca e ci sono 12 gradi possiamo accordarci e sostenere che, sì, non sembra, ma stiamo sotto una pioggia battente gelata soffrendo “temperature estreme”.
Quel che è peggio dal punto di vista formale è però venuto dopo. Una volta presentata a RCS la proposta degli atleti, pare condita da una minaccia di sciopero più o meno bianco (già se ne è visto uno indigeribile verso il Gran Sasso), la reazione degli organizzatori è stata fare una controproposta: via il Gran San Bernardo, via i primi 120 km di tappa, avanti con una tappina da 80 km, due ore e spicci di sgambata, ma salviamo la salitona della Croix de Coeur. Il sindacato ha raggiunto un accordo su questa proposta. Ma chi ha deciso di accettare la controproposta? Si è tornato a votare? Si è votata una cosa, e ci si è incamminati a tutt’altra.
Diciamo a questo punto che quel che sarebbe potuta apparire l’unica ragione di perplessità autentica, le condizioni della discesa della Croix de Coeur, non erano evidentemente di alcun rilievo per chi “curava” presuntamente gli interessi degli atleti.
Ex post, a tappa corsa, dati meteo reali alla mano, non è restata che l’arrampicata sugli specchi. Il rappresentante dell’associazione italiana corridori, Salvato, pure lui con un curriculum di spicco come Hansen (ricordiamo l’appiattimento del tappone dolomitico nel Giro di Bernal, due anni fa), si è premurato di dare la colpa a fantomatiche “app meteo”. Più sofisticate. Solo in mano ai team. Ovviamente tanto sofisticate che sarebbero uscite dal range di tutte le altre previsioni, in direzione del pessimismo ovviamente, per essere poi brutalmente smentite dalla realtà.
Grottesco. Nelle interviste del dopogara, il più compiaciuto e deciso appare Geraint Thomas, la maglia rosa. Un tappone in meno da digerire. Un tappone in meno da controllare sprecando energie di squadra. Nel tardo pomeriggio emerge l’indiscrezione da Radio Rai: una fonte interna, anonima, avrebbe confermato che la spinta a sforbiciare sarebbe giunta da Oltremanica. Ah, che bella cosa le votazioni, ah che bella cosa la democrazia dal basso. I più “memoriosos”, come il Funes borgesiano, rivivranno in queste ore le emozioni di una Tirreno-Adriatico in cui il San Vicino venne eliminato dal percorso per una nevicata anche lì mai prevista da nessuno, se non dai “siti meteo” di qualche ben informato, e, va da sé, mai e poi mai verificatasi. Quella Tirreno fu anche divertente, un ritorno al vintage, quando era una sfida fra classicomani, e se la portò a casa Van Avermaet, in cima a una classifica che con un arrivo in salita vero avrebbe avuto tutt’altra fisionomia. Alla faccia del falsare i risultati.
Allora, questo è quanto. Il sindacato, tramite un processo decisionale ignoto, mette su una votazione su una proposta preconfezionata, in nome di un protocollo non pertinente. Si vota minacciando scioperi. Si accetta una controproposta che, coerentemente con le incoerentissime premesse, non affronta nessuna delle questioni di sicurezza (discutibili) o meterologiche (inesistenti). L’unico effetto della controproposta è stravolgere l’andamento tecnico-atletico della competizione. Qualcuno decide che la contraproposta va bene, la si accetta, non la si torna a votare. Il gioco è fatto.
Citando Nanni Moretti: “è andata così, è andata male”. Prendiamolo come un esperimento, quantomeno a beneficio della conoscenza in ambito ciclistico. La fantastica tappina dimezzata (men che dimezzata) sarà senz’altro un trionfo dello spettacolo, a quanto profetizzano i teorici delle tappe brevi. La ripida salita iniziale scompaginerà le carte. Vedrete che sparpaglìo!
Ecco, no. Perché, guarda caso, salta fuori che facendo una salita pur durissima quando tutti son freschi, la selezione non si riesce a fare. La squadra che tiene cucito il tutto (Ineos per la maglia rosa di G. Thomas) ha sempre e comunque abbastanza uomini per imporre un ritmo all’inseguimento che stronca ogni velleità. E dire che ci prova un in formissima Ben Healy col capitano Carthy e un bel drappello di nomi fra cui un pezzo grosso come Vine, che letteralmente scoppia nel tentativo di dar fiato all’azione, e poi altre figure che rivederemo in azione più avanti, Pinot col gregario Armirail a spingere a fondo, Cepeda, Rubio, e ancora Dombrowski, perfino il forte Buitrago. Ma non c’è verso. Finché l’azione implica una qualche minacciosità per un addomesticamento del prosieguo, i gregari dietro la tengono al guinzaglio. L’apparente animazione dell’inizio in breve svanisce.
E dunque rieccoci con un copione fin troppo visto e stravisto. Un copione da Tour de France, che in questo Giro si è ripetuto molte volte. Un Giro che imita i Tour che furono senza però averne la muscolatura politica.
Godiamoci allora una nuova evasione, più ridotta, più innocua, che alla fine della fiera si riduce dopo tanti chilometri di corsa insostanziale all’ultima ascesa, con il bisticcio fra Pinot, che scatta tanto e volentieri, e Cepeda, che sta a ruota pure lui tanto e volentieri. Quali che siano ragioni dell’uno e dell’altro, generosità contro calcolo, ma anche poco da perdere contro l’occasione della vita, fine carriera contro un futuro tutto da costruirsi… non c’interessa più di tanto. Pinot si inalbera, strepita contro il collega di quasi diec’anni più giovane, e poi si incaponisce, come peraltro ammetterà a fine tappa: “tutto pur di non far vincere Cepeda”. Il terzo incomodo, lo scalatore colombiano peso mosca della Movistar Einer Rubio, è chi alla fine gode. Nessun furto, ha sofferto le pene dell’inferno solo per mantenere a tito gli altri due, e alla fine è quello che riesce ad allungare con più nettezza mentre i due rivali si sono consumati in una battaglia di nervi. Pinot fa scadere la generosità in una vaga grettezza, ben comprensibile, ma davvero un po’ fuori luogo, specie per lui.
E dietro? Sostanzialmente il nulla. Sì, va bene, Caruso prova un allungo ai meno 1.500 metri. Pure Carthy fa un paio di comparsate. Lorenzo Fortunato aveva messo fuori il naso a metà salita, bravo pure lui, merita la menzione. Dunbar scomoda Geraint Thomas con un’accelerazione nel finale. Insomma, trenino Sky, ahem, INEOS, in versione Alpi svizzere. Un bel plastico con le miniature. Per capirci, il “gruppo dei migliori” è quasi un plotoncino, sui venti atleti, dei quali perfino sul forcing finale una decina arrivano sostanzialmente assieme. Selezione inesistente. Gesti tecnici inesistenti.
A chi giova tutto questo? A chi vincerà il Giro, forse. Anzi, a chi crede che così vincerà il Giro – e noi speriamo che si sbagli di grosso. Ma non giova al Giro. E non giova al ciclismo. Senza Giro e senza ciclismo, non saprei dire che cosa resterà della tutta eventuale vittoria di chi la persegue con questi mezzi. Senza Giro e senza ciclismo, non so che cosa resterà delle altre corse, che magari sulle disgrazie del Giro e del ciclismo italiano gongolano vedendovi dei concorrenti. Un corpo con arti o organi molto malati non suole aver vita facile. La debolezza del sistema italiano del ciclismo rischia di essere fatale per il ciclismo tutto, dacché pur con tanta globalizzazione parliamo pur sempre di uno sport che conta molto, moltissimo, sulle sue nazioni storiche per garantire una minima massa critica di tenuta e solidità nel tempo. Il Giro va tutelato per tutelare il ciclismo in Italia, e il ciclismo in Italia va tutelato per tutelare il ciclismo tutto. Invece, purtroppo, sembra che un’architettura traballante sia lo spazio ideale per sperimentare il reciproco forzarsi la mano da parte di altre istanze, nuovi equilibri di potere, nuovi modelli e dinamiche. Il che sarebbe anche naturale, se non fosse che, dietro tutto ciò, ci sono spesso frenesie speculative e bolle di incerta durata, pronte a mettere in crisi, per i propri interessi, quel capitale culturale che rende il ciclismo uno sport vitale da oltre un secolo. E se pensiate che sia un’esagerazione, percorrete quelle strade, quei paesini, quelle scuole, a cui il Giro oggi ha negato il proprio tanto atteso passaggio in nome di un protocollo fantasma e di un sindacato i cui toni rischiano di avvicinarsi a un qui poco lusinghiero colore giallo.

Gabriele Bugada

La vittoria di Rubio nel tappino di Crans Montana (AFP / Getty Images)

La vittoria di Rubio nel "tappino" di Crans Montana (AFP / Getty Images)

IL TAPPONE DEI MISTERI

maggio 19, 2023 by Redazione  
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Presenta salite poco tradizionali il primo tappone del Giro 2023: in cima al Gran San Bernardo la Corsa Rosa non transita dal 1963, la Croix-de-Coeur è una novità assoluta e la salita finale verso Crans la conoscono solo gli habitué dei giri di Romandia e Svizzera. Affrontate una dietro l’anno andranno a comporre un colosso forte di quasi 5270 metri di dislivello, distribuiti su poco meno di 70 Km di salita.

Debuttano le Alpi e lo faranno con il più misterioso tra i tre tapponi – gli altri due saranno quelli del Bondone e delle Tre Cime di Lavaredo – inseriti nel percorso del Giro 2023. Misterioso perché le tre salite che si dovranno affrontare sono poco conosciute tra i professionisti e anche lo stesso Gran San Bernardo non sfugge a questo giudizio. Sarà anche uno dei passi più celebri della catena alpina ma le grandi corse ciclistiche lo hanno quasi sempre snobbato, se si pensa che la Corsa Rosa fino in vetta ci è salita solo quattro volte (una di meno rispetto al Tour de France) e l’ultima porta la data del 31 maggio 1963, mentre in occasione dei successivi passaggi si è scelto d’infilarsi nel sottostante traforo. Il successo colle della Croix-de-Coeur – la più difficile tra la ascese di giornata – costituisce, invece, una novità assoluta perché la strada che vi conduce è asfaltata da non molti anni e i professionisti ne conoscono bene solo la prima metà, che conduce alla stazione di sport invernali di Verbier, spesso sede di tappa ai giri di Svizzera e Romandia, corse che spesso hanno inserito nel tracciato anche la conclusiva salita diretta a Crans-Montana, totalmente sconosciuta a quei corridori che mai hanno affrontato queste due gare. Queste salite “misteriose”, affrontate consecutivamente, andranno a comporre un mosaico di quasi 5270 metri di dislivello, distribuiti su 67.7 Km da percorrere in ascesa, numeri che coniugati si traducono in una pendenza media globale del 7.8%. E pensare che questa sarà il meno difficile tra i tre tapponi inseriti nel percorso del Giro 2023, che oggi si radunerà per la partenza presso il ricetto medioevale di Borgofranco d’Ivrea, centro situato lungo la direttrice che dal Piemonte conduce verso la Valle d’Aosta. Nella più piccola tra le venti regioni italiane si entrerà poco meno di 10 Km dopo il “via”, all’altezza di Pont-Saint-Martin, centro situata nel luogo dove, secondo la leggenda, il ponte che assegna il nome al primo comune valdostano fu costruito in una notte dal diavolo dopo un patto con San Martino, che gli concedette la prima anima che l’avrebbe attraversato (con uno stratagemma il santo vi farà transitare un cane). Dopo il centro di Donnas, presso il quale è ancora oggi possibile percorrere un tratto dell’antichissima strada consolare romana delle Gallie, il gruppo giungerà ai piedi di uno dei più celebri castelli della valle, autentico biglietto da visita della più piccola regione italiana: è il forte fatto innalzare nel XIX secolo dalla famiglia Savoia sopra la cittadina di Bard, nel 2006 aperto al pubblico dopo un lungo periodo d’abbandono e oggi sede di un museo dedicato alle Alpi. Un altro celebre maniero della valle è quello cubico di Verrès, innalzato nel XIV secolo a dominio dell’imbocco della Val d’Ayas e che oggi “sorveglierà” l’inizio della prima delle quattro salite che caratterizzato il tracciato, l’unica a non essere coronata in vetta dallo striscione del Gran Premio della Montagna. Nota come “salita di Montjovet”, i suoi 5 Km al 3.9% si concludono alle porte di Saint-Vincent, una delle più rinomate località turistiche della Valle d’Aosta, oggi celebre prevalentemente per il Casino de la Vallée che dal 1921 costituisce la principale attrattiva di un centro ì fino a quel momento frequentato soprattutto per le sue terme, scoperte il 20 luglio 1770 dal parroco Jean-Baptiste Perret e le cui acque furono inizialmente utilizzate anche per azionare la funicolare che portava i pazienti allo stabilimento termale, mediante due cassoni che venivano alternativamente riempiti e svuotati d’acqua per permettere la salita e la discesa delle vetture sfruttando la forza di gravità. Ritrovata la pianura, il gruppo pedalerà alla volta di Nus, centro dominato da un castello costruito nel XIII secolo a guardia dell’imbocco del vallone di Saint-Barthélemy, per giungere quindi ad Aosta, dove i “girini” transiteranno a due passi di una delle vestigia più celebri dell’antica città fortificata romana di Augusta Prætoria Salassorum, l’arco intitolato all’imperatore Augusto che fu eretto nel 25 a.C. per celebrare la vittoria dei romani sui Salassi. Per rimanere in tema è arrivato il momento del primo salasso quotidiano perché è da Aosta he ha inizio l’interminabile salita che porterà il gruppo fino ai quasi 2500 metri del Passo del Gran San Bernardo, uno dei valichi più elevati della catena alpina, che si raggiungerà toccando i centri di Gignod ed Étroubles (vi si trovano rispettivamente le antiche torri di “Calvino” e di Vachéry) e il borgo di Saint-Rhémy-en-Bosses, noto tra gli appassionati di gastronomia per il suo prosciutto DOP mentre chi ama il folclore lo conosce per il carnevale della Combe Froide, in occasione del quale sfilano per le vie del borgo cortei vestiti con maschere ispirate alle divise delle truppe napoleoniche che attraversano questa valle nel maggio del 1800 seminando terrore nella popolazione. Saint-Rhémy sarà anche l’ultimo centro abitato che il gruppo incontrerà prima di giungere alla “Cima Coppi” del Giro 2023 (2469 metri di quota), percorsa una salita lunga poco più di 34 Km e caratterizzata da una pendenza media del 5.5%. Superate le inclinazioni più impegnative – comunque non insormontabili – negli ultimi 18.3 Km media del 6.3% – si scollinerà quello che al tempo degli antichi romani era già un frequentato punto di transito (il Mons Iovis, sul quale fu eretto un tempio dedicato a Giove Pennino) al cospetto dell’ospizio aperto nel 1035 da San Bernardo di Mentone, luogo dove ancora oggi i monaci allevano gli omonimi cani, razza che fu creata proprio lassù incrociando quelli che furono donati all’epoca ai religiosi e che inizialmente furono utilizzati come “guardie” del monastero. Entrati in Svizzera, nel corso della successiva discesa (quasi 27 Km al 6.1%) si percorrerà la Val d’Entremont sfiorando il lago artificiale di Toules, sulle cui acque nel 2019 è stato installato un impianto solare galleggiante che fornisce fino a 800 milliwatt ora l’anno e che è stato trasportato fin qui con un elicottero. Terminata la discesa si abbandonerà la Val d’Entremont per risalire la Valle di Bagnes, interamente “occupata” dall’omonimo comune, un tempo il più esteso della Svizzera, primato “crollato” nel 2015 quando il centro grigionese di Scuol si è ampliato inglobando cinque municipi soppressi. La risalita della valle sarà limitata al tratto iniziale perché dopo pochi chilometri si svolterà in direzione della nota stazione di sport invernali di Verbier, dal 1994 frequentata anche dagli amanti della musica classica grazie ad un festival che ha richiamato lassù musicisti di fama mondiale. Per arrivarvi bisognerà percorrere 8.5 Km al 7.9%, affrontati in corsa anche al Tour de France del 2009, quando sul quel traguardo Alberto Contador s’impose togliendo la maglia gialla dalle spalle dell’italiano Rinaldo Nocentini. Come anticipato più sopra, l’ascesa verso Verbier stavolta costituirà solo la prima parte, la meno difficile, della salita diretta alla “Croce del Cuore”, che presenterà le sue pendenze più ostiche nei rimanenti 6.9 Km, che riporteranno i “girini” oltre quota 2000 affrontando una pendenza media del 9.8%. Scollinati a 2147 metri sul livello del mare, si tornerà velocemente a quote sensibilmente più basse percorrendo una discesa non meno pendente della salita che l’ha preceduta, 21.5 Km al 7.8% che si concluderanno a Riddes, località alle cui porte si trova il Seminario Internazionale Pio X, fondato nel 1971 da Marcel Lefebvre, il famoso arcivescovo scismatico che sarà successivamente scomunicato dal Vaticano per non aver accettato i dettami del concilio e aver ordinato sacerdoti senza il benestare della Santa Sede. Qui inizierà una fase di “transito” di 25 Km esatti che si snoderà in perfetta pianura sul fondovalle della valle del Rodano, pedalando in direzione di Sion, il capoluogo del Canton Vallese dominato dall’altura sulla quale si trova la romanica basilica di Valère, nella quale è possibile ascoltare la musica suonata dal più antico organo a canne in attività, realizzato nel 1435 da un artigiano rimasto ignoto.
Un perfetto rettilineo pianeggiante costituirà l’ultimo tratto tranquillo della tappa prima che si torni a prendere l’ascensore per raggiungere i 1456 metri di Crans-Montana, nota non soltanto come rinomata stazione sciistica ma anche come località curativa per vie dei numerosi sanatori che vi furono realizzati a partire dal XIX secolo e che ebbero tra i pazienti la celeberrima poetessa statunitense Emily Dickinson. Ci sarà ben poco da “curare” stavolta, perché la salita finale di questa non è meno difficile delle precedenti, 13 Km al 7.2% privi di particolari picchi ma costanti nelle pendenze, lungo i quali potrebbero dilatarsi i danni causati dalle salite precedenti. E che questa sia una signora salita ce lo ricorda – tra i tanti che si sono imposti lassù – Vittorio Adorni, che a Crans-Montana vinse una tappa del Giro di Romandia nel 1965 e un’altra al Giro di Svizzera nel 1969, terminata la quale fu costretto a sostituire la maglia iridata conquistata l’anno primo a Imola con quella di leader della classifica generale. Quest’anno il Giro non toccherà la sua Parma, ma qui la Corsa Rosa avrà la possibilità di rendere omaggio postumo all’indimenticato campione emiliano, scomparso alla vigilia di Natale.

Mauro Facoltosi

I VALICHI DELLA TAPPA

Colle del Gran San Bernardo (2473 metri). Quotato 2469 metri sulle cartine del Giro 2023, separa il gruppo del Grand Combin dal massiccio del Monte Bianco ed è raggiunto sul versante italiano dalla Strada Statale 27 “del Gran San Bernardo” mentre su quello elvetico dalla “Route Principale 21”, mettendo in comunicazione Aosta con Martigny. In realtà il valico geografico non si trova sul confine di stato, che viene attraversato circa mezzo chilometro prima di raggiungerne lo scollinamento, sul versante di Aosta. Le volte nelle quali il Giro è salito lassù si possono per davvero contare sulle dita di una mano perché i passaggi dal Gran San Bernardo finora sono stati appena quattro, il primo dei quali vide conquistare questa cima l’intramontabile Gino Bartali durante la Saint Vincent – Verbania del 1952, vinta dall’elvetico Friedrich “Fritz” Schär. A rischio sino all’ultimo – il tunnel all’epoca non esisteva ancora – fu il transito previsto nell’edizione del 1957 e solo poche ore prima della corsa l’ANAS diede il benestare al passaggio della carovana durante la Saint Vincent – Sion, che si concluse con la vittoria del francese Luison Bobet nella cittadina elvetica, mentre stavolta sarà lo scalatore lussemburghese Charly Gaul a conquistare la cima della grande salita. Il 1959 fu l’anno del duro tappone Aosta – Courmayeur, che si snodava in prevalenza fuori dai confini nazionali e prevedeva entrambi i “San Bernardi”, tutti e due andati a “ingrassare” il palmares di Gaul, che in quell’occasione si portò a casa anche la vittoria di tappa ai piedi del Bianco. Come ricordato nell’articolo non si sale più al celebre ospizio dal 31 maggio 1963, giorno nel quale Vito Taccone ottenne l’ultima di quattro vittorie di tappa consecutive imponendosi nella Leukerbad – Saint Vincent, che vide l’abruzzese intascarsi anche i punti riservati al primo corridore a transitare in vetta al Gran San Bernardo. In realtà altre quattro volte il nome di questo valico è campeggiato sull’altimetria di una tappa del Giro, ma si è trattato di ascese parziali terminate all’imbocco del sottostante traforo, inaugurato nel 1964 e percorso per la prima volta dai “girini” durante la Domodossola – Saint Vincent del 1985, vinta da Francesco Moser dopo che il GPM posto al portale elvetico del tunnel era stato conquistato dal portoghese Rafael Acevedo. Nel 1996 ci fu addirittura un bis nel corso della medesima edizione perché l’ascesa al traforo fu proposta in due giornate consecutive, la prima durante la tappa Aosta – Losanna (vinta dall’ucraino Alexander Gontchenkov) e la seconda durante la successiva Losanna – Biella (vinta dal danese Nicolaj Bo Larsen): a conquistare i due GPM furono rispettivamente il trentino Mariano Piccoli e il francese Laurent Roux. L’ultimo passaggio dal traforo risale al 2006, quando il colombiano Luis Felipe Laverde s’impose nella Aosta – Domodossola e il francese Sandy Casar vinse il GPM alle porte del tunnel.

Croix-de-Coeur (2174 metri). È valicato da una strada, realizzata nel 1936 ma asfaltata solo in tempi recenti, che mette in comunicazione le stazioni di sport invernali di Verbier e La Tzoumaz (nota anche con il nome di Mayens de Riddes). La tappa del Giro sarà la prima corsa ciclistica a superarne la cima, anche se il tratto iniziale di entrambi i versanti, fino alle due località sciistiche citate, è stato spesso inserito nei percorsi dei giri di Svizzera e Romandia.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

Il Lac de Grenon a Crans-Montana e l’altimetria della tredicesima tappa del Giro 2023 (www.latitudeslife.com)

Il Lac de Grenon a Crans-Montana e l’altimetria della tredicesima tappa del Giro 2023 (www.latitudeslife.com)

CIAK SI GIRO

Quando nel 1962 il regista Terence Young girò con l’indimenticato Sean Connery il primo dei 25 film (ma altri ne arriveranno di sicuro) ispirati alla figura di James Bond, non immaginava che nei decenni successivi sui grandi schermi dei cinema sarebbero sbarcate autentiche “valanghe” di spie ispirate all’agente segreto 007, il cui nome in codice cambiava a seconda delle fantasie degli sceneggiatori. E così nel 1965, tre anni dopo l’uscita dell’originale, il regista finto spagnolo Amerigo Anton (pseudonimo sotto il quale si nascondeva il lucano Tanio Boccia) chiederà all’attore canadese Lang Jeffries di interpretare un’agente segreto nella pellicola intitolata “Agente X 1-7 operazione Oceano”, nella quale la spia dovrà liberare il professor Calvert (impersonato dall’attore spagnolo Rafael Bardem), scienziato rapito da una banda di terroristi per impadronirsi della formula che avrebbe permesso di incrementare l’approvvigionamento alimentare mondiale. Per proporre una prigione che sembrasse impossibile da “violare” Boccia scelse una fortezza che in quasi 700 anni di storia non aveva mai subito nessun assalto, il cubico castello di Verrès, anche se poi le “maestranze” si limitarono a riprenderlo dal basso, con angolazioni che facessero risaltare ancora di più la sua imponenza. Per comodità e per non dover trasportare lassù tutto l’armamentario necessario, riflettori e pesanti macchine da presa, quando si dovettero realizzare i “ciac” all’interno della prigione si ripiegò, invece, su due castelli valdostani più facilmente raggiungibili e non meno celebri, quelli di Fénis e Issogne, dei quali vengono mostrati i saloni affrescati del primo e il cortile con la famosa “fontana del melograno” del secondo.

In collaborazione con www.davinotti.com

Il castello di Verrès inquadrato nel film “Agente X 1-7 operazione Oceano” (www.davinotti.com)

Il castello di Verrès inquadrato nel film “Agente X 1-7 operazione Oceano” (www.davinotti.com)

Le altre location del film

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/agente-x-1-7-operazione-oceano/50041244

FOTOGALLERY

Il ponte medioevale di Pont-Saint-Martin

Donnas, antica strada romana per le Gallie

Forte di Bard

Castello di Verrès

Aosta, arco d’Augusto

Gignod, torre di Calvino

Étroubles, Torre di Vachéry

L’ospizio del Colle del Gran San Bernardo

Lac des Toules (Tripadvisor)

Col de la Croix-de-Coeur

Ecône (Riddes), Seminario Internazionale San Pio X

Sion, basilica di Valère

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