CARAPAZ MERCAN IN FIERA. VITTORIA DELL’ECUADORIANO NELLA CORSA ALPINA
Richard Carapaz (Team EF Education EasyPost) vince la terza edizione del Mercan’Tour Classic Alpes-Maritimes grazie ad un attacco deciso a sette km dall’arrivo, nel tratto più duro della salita verso l’arrivo di Valberg
Per essere soltanto la terza edizione, il Mercan’Tour Classic Alpes-Maritimes può contare già due vincitori di un certo spessore come Guillaume Martin nel 2021 e Jakob Fuglsang nel 2022. Entrambi sono presenti anche alla partenza dell’edizione 2023, essendo i rispettivi capitani del Team Israel Premier Tech e del Team Cofidis. Il percorso è sostanzialmente invariato rispetto a quello dello scorso anno, visto che ci sono soltanto 2 km in più da percorrere. Si parte da Puget-Théniers e si arriva a Valberg dopo 169.2 km. Pur essendo corsa di un giorno, l’altimetria non può che far pensare a un vero e proprio tappone alpino, con tre colli da scalare tutti superiori ai 1500 metri. Dopo un’ottantina di km tra pianura e falsopiano, inizia la prima scalata verso Saint Martin-La Colmiane, 7.6 km al 6.9%. Dopo la discesa verso Saint Sauveur sur Tinée, si ricomincia a salire verso il colle hors categorie de la Couillole, 16 km al 7.3%. Al km 139.5 si transita per la prima volta sotto la linea del traguardo, ricomincia la discesa, si arriva nel fondovalle a Guillaumes e si risale l’ultima volata verso Valberg, una salita altrettanto dura di 12 km al 7.3%. Inutile dire che a primeggiare su queste salite e su queste pendenze non potranno essere che scalatori con una buona gamba. Dopo pochi km dalla partenza dal gruppo evadeva immediatamente la fuga di giornata. Erano otto i ciclisti che la componevano: Gleb Brussenskiy (Team Astana Qazaqstan), Xavier Canellas ed Alejandro Ropero (Team Electro Hiper Europa), Pascal Eenkhoorn (Team Lotto Dstny), Fabien Grellier (Team TotalEnergies), Mathis Le Berre (Team Arkéa Samsic), Jordi Lopez (Team Kern Pharma), Rasmus Søjberg Pedersen (Team CIC U Nantes Atlantique). All’inizio della salita verso Saint Martin-La Colmiane il vantaggio della fuga sul gruppo inseguitore era di 5 minuti e 40 secondi. Le squadre più attive all’inseguimento della fuga erano per adesso l’AG2R Citroen, la Cofidis, l’Israel Premier Tech e la Groupama FDJ. Ropero era il primo ciclista della fuga che si rialzava. Dopo di lui anche Brussenskiy metteva il piede a terra. Sia lo spagnolo che il kazako si ritiravano dalla corsa, mentre Canellas era il primo a scollinare dul gpm di Saint Martin-La Colmiane. La fuga scoppiava completamente sul successivo gpm del Col de la Couillole, quando Lopez restava da solo in testa alla corsa, dopo che gli ultimi a staccarsi erano stati Le Berre e Canellas. Lo spagnolo scollinava con circa 3 minuti di vantaggio sul gruppo principale, a sua volta ridottosi a circa 40 unità sotto il forcing dell’EF Education EasyPost che riponeva le sue speranze su Richard Carapaz. Il peggioramento delle condizioni meteo, con pioggia e grandine a circa 30 km dalla conclusione, indurivano ancora di più la corsa. Contemporaneamente Lopez concludeva la sua azione venendo ripreso dal gruppo prima dell’ultimo gpm verso l’arrivo di Valberg. Era sempre l’EF Education EasyPost a condurre le operazioni ed il gruppo si sfilacciava lungo l’ultima salita. A 7 km dalla conclusione Carapaz attaccava. Anche se il suo vantaggio sui diretti inseguitori non lievitava eccessivamente, l’ex campione olimpico riusciva a mantenere la testa fino al traguardo, che tagliava con 12 secondi di vantaggio su Felix Gall (Team AG2R Citroen). A 38 secondi di ritardo si piazzava Lennert van Eetvelt (Team Lotto Dstny), che vinceva la ‘volata’ per la terza posizione davanti a Lenny Martinez (Team Groupama FDJ) e Cristian Rodriguez (Team Arkéa Samsic). Da segnalare il crollo di Fuglsang, che non riusciva a ripetere la prestazione che gli permise di vincere nel 2022 e che tagliava il traguardo soltanto in diciannovesima posizione ad oltre 5 minuti e mezzo di ritardo da Carapaz, alla sua seconda vittoria stagionale ed alla prima sul suolo europeo, dopo essersi imposto a febbraio nei Campionati Nazionali su Strada.
Antonio Scarfone
CAVE CAVEN: TRIONFO A ROMA, MA C’È ARIA DI CIRCO.
Finisce un Giro mesto con un altro colpo a effetto. Ma un paio di alzate d’ingegno da campioni, non si sa quanto studiate, non tengono in piedi tre settimane di stasi.
Tante volate, forse troppe volate, a questo Giro 2023, come già dissero alcuni in sede di presentazione del percorso, e alla fine con sei protagonisti diversi. Sostanzialmente, si scherzava alla vigilia, han vinto pressoché tutti i velocisti puri presentatisi al via: a Roma sarebbe dunque dovuto toccare a Cavendish o a Gaviria, ma quest’ultimo si affaccia al finale sempre più in vesti di finisseur, e quindi di fatto finisce spesso per lanciare lo sprint di qualche rivale. In questo caso un Cavendish imperiale non ne avrebbe avuto comunque bisogno perché c’è l’antico collega di Team Sky e di velodromi, Geraint Thomas, a fargli da apripista, benché oggi corrano in squadre diverse. Probabilmente già si erano ripromessi di proporre la scenetta quando ancora il gallese coltivava sogni rosa, solo l’altroieri, ricreando così il finale del peraltro osceno Tour de France 2012 al cui termine Bradley Wiggins in maglia gialla lanciò la volata vincente di Cav sui Campi Elisi. Suona tutto un po’ troppo bene, da sceneggiatura di una serie TV, magari redatta da un’intelligenza artificiale, e infatti il sospetto è che ci sia lo zampino di una complicità collettiva nel metter su un regalone d’addio per Cavendish giunto all’ultimo giro di pista della sua carriera agonistica, e giustamente commosso in più occasioni durante questo Giro, annunciando il ritiro prima e poi da vincente. Per una volta, non ce ne scandalizziamo (troppo). In fin dei conti stiamo parlando probabilmente del più forte velocista puro della storia dello sport, e dunque di una figura eccezionale che merita un addio eccezionale, anche se questa sottocategoria di iperspecializzati è un po’ troppo striminzita – perché ovviamente il buon Cav svanirebbe al cospetto dei veri imperatori, Rik I e II, tanto per fare un esempio. La grazia del tutto sta ovviamente nel dubbio: i ciclisti a volte sono bravi nel regalare (o vendere!) con sprezzatura sufficiente a non far crollare del tutto il senso, o il sentimento, di un’effettiva competizione, a maggior ragione perché in questo caso sul rettillineo d’arrivo concorre anche una maxicaduta colossale da peplum che comunque scompagina le carte. Ricordiamo anche che, ragionando statisticamente un po’ a braccio, sei vittorie di sei diversi protagonisti presuppongono un livello tecnico-atletico non eccelso degli stessi, soggetti a rotazione in una sostanziale parità di forze, chi per limiti tecnici a strozzarne il potenziale fisico strabordante come Milan, chi per imperscrutabili assurdità di squadra come Dainese. Nell’ambito di questo panorama ci sta anche che Cavendish si porti a casa la tappa – e un record!, quello, non a caso, di più anziano vincitore in una frazione della Corsa Rosa, battendo peraltro Tiralongo a cui pure la tappa era stata servita per riconoscenza da Contador.
Esaurita la riflessione sulla giornata odierna in cui tutto ha un retrogusto teatrale, che sia l’allungo di Gee o qualche sferzata della INEOS, va riportato lo sguardo su quanto ci lasciamo indietro, con una chiave di lettura che proprio la volata ci ha fornito. Volata finale che si sarebbe voluta clone o analogia o anagogia di quella di Parigi 2012, e corsa a tappe intera che si pretende riproposizione del Tour 2020, con la redenzione in questo caso di Roglic stavolta riscattatosi per pochi secondi in una durissima cronoscalata, come invece nel 2020 Pogacar strappò a lui in una prova simile un Tour de France che pareva già in saccoccia. Ebbene, nonostante chi disegnava il Giro abbia conseguito l’esito voluto a tavolino, c’è da interrogarsi profondamente sul senso di questo “successo” che è semmai un fallimento a tutto tondo. Anzitutto, il Tour è il Tour: lapalissiano, ma non bisogna scordarlo. La corsa più importante al mondo sempre e comunque, bella o brutta che sia, dunque si può permettere strafalcioni e obbrobri che al Giro costerebbero, o costano, molto più cari. Il pasticcio del Ventoux 2016 con il tempo regalato inspiegabilmente a Froome, alla faccia dei precedenti (o alla faccia di Nibali quando patì una situazione simile sull’Alpe 2018); la farsa della partenza in griglia stile formula 1… questa sorta di episodi a stento incidono sulla grandeur della corsa transalpina. Per il Giro, nel momento in cui si affaccia di nuovo sul palcoscenico internazionale con piena dignità come sta pian piano avvenendo dopo la parentesi dei primi Duemila, non esiste lo stesso grado di tolleranza, anche perché viceversa, sul piano interno, si va affievolendo l’amore per la Corsa Rosa che invece sembrava ancora, appunto, “infinito” fino a un decennio scarso fa. Ricordiamo in questa edizione il sindaco di Vinovo negare il passaggio, e obbligare a un cambio di tracciato dell’ultimo secondo, seppur poco influente, in quanto “Vinovo non può restare paralizzata [cioè impedita nell’uso dell’automobile, NdR, per chi non lo avesse capito] per colpa di una corsa di biciclette”. Vinovo, non Milano, che pure fa pena. Invece che rendersi conto che Vinovo si dà una mossa precisamente se il Giro passa, e in quanto passa il Giro, come pure avevano ben capito i valdostani a cui invece il Giro ha negato il proprio transito per mere manfrine di cui già abbiamo conto. Insomma, viviamo un’epoca di transizioni e tensioni, un’epoca che esige pertanto il massimo slancio e la massima coerenza.
Ecco, un Giro che si traduce in uno sciopero bianco per l’80% del gruppo nella stragrande maggioranza delle tappe non è un Giro che susciti o rifletta chissà che slanci. Al Tour questa sorta di 0-0 tattico può reggere in virtù di ciò che si considera in gioco, e in virtù di un pubblico che venera la propria corsa sempre e comunque. Da notare che perfino al Tour, comunque, situazioni simili negli anni del Team Sky erano costate un’emorragia di spettatori. Ma per il Giro si tratta di un autentico suicidio. Purtroppo i dati televisivi sono lì a darne testimonianza. Dati da prendere con le pinze, perché si iscrivono comunque in un calo generale nei consumi del prodotto televisivo, per cui lo share, ad esempio, rimane piuttosto buono, anche al netto di novità nella msiurazione. I numeri assoluti però sono in picchiata, e risulta in special modo deludente il fatto che meno di due milioni di persone abbiano seguito l’emozionante cronoscalata che, per gli appassionati e fedelissimi, ha riscattato almeno in parte la gara di quest’anno. L’ultimo sabato, giornata invece di picchi in condizioni normali. Tuttavia è probabile che un certo sforzo gli spettatori, appassionati e non solo, l’avessero fatto il giorno prima, quando in giorno feriale due milioni e mezzo di persone avevano seguito l’indigeribile processione verso le Tre Cime. Dopo cotanta sofferenza (del pubblico non dei ciclisti), i più han deciso di dedicare ad altro il pomeriggio successivo, col risultato che la migliore ed unica autopromozione che questo Giro avrebbe potuto darsi… l’han vista relativamente in pochi. I superstiti. I già convertiti. Va detto che si è consolidato, in questo Giro, un nocciolo duro: a giudicare dai numeri, se è pur tristemente vero che i picchi sono sfumati completamente, in compenso si sono ridotte le differenze fra tappe di transizione – alcune guardatissime – e tappe decisive; fra l’ora finale di tappa, e tappa intera (con a volte oltre un milione e mezzo di persone a seguire ore e ore di svolgimento!, certamente ad accompagnamento di altre attività, ma comunque con apparecchio acceso e sintonizzato sul Giro); fra fine settimana e giorni feriale; fra prima e terza settimana. La sensazione è che il pubblico sia sempre più un pubblico da un lato in età da pensione, dall’altro lato comunque radicalmente appassionato. Un pubblico molto specifico, sempre più legato a una certa fascia d’età, da un lato, alla specificità dello sport ciclistico, dall’altro. Questo tipo di andamento, tuttavia, potrebbe senz’altro premiare le Classiche (e così sta accadendo in termini di audience), ma per quanto concerne il Giro rischia di essere una scommessa molto penalizzante, visto che la forza del Giro è da sempre il suo potenziale popolare, la capacità di trascendere il confine degli appassionati delle due ruote.
Anche perché, e qui chiudiamo il cerchio, questo pubblico ridotto ma vorace è anche un pubblico via via più esigente, che da un lato può magari consentire al Giro di reggere l’urto tremendo che rappresenta, di rimbalzo, il declino del movimento italiano (il pubblico popolare è spesso nazionalpopolare e vuole l’eroe locale, l’appassionato di ciclismo tout court è più cosmopolita nelle sue preferenza da tifoso), ma, dall’altro lato, non si accontenta di belle riprese di paeselli dall’elicottero. Peraltro assai benvenute. Vuole ciclismo.
Nel caso di questo Giro 2023 fin troppe volte si è avuta la sensazione di una collusione trasversale fra le squadre giganti dei big per inscenare un no contest in cui far razzolare i fugaioli di turno. Ma questo finisce per essere più circo che sport. E non il Circo Massimo, dato che oltretutto i ciclisti, non proprio a torto, si negano ad essere fino in fondo gladiatori. Più un circo di numeri musicali e acrobatici anche divertenti, a volte – molte poche volte, in questo caso! – ma in cui è proibito chiedersi se il gesto a cui si assiste sia perizia o messinscena concordata. Si tratta di una questione che va molto al di là di trite riflessioni su un doping effettivo o presunto: si tratta invece della conseguenze nefaste di una diseguaglianza non minimamente gestita dallo sport, le cui ricadute nei Grandi Giri sono specialmente distruttive.
In breve, poca competizione autentica, perché “chi puote” preferisce che a competere siano in pochi. Ma poca competizione equivale a poco ciclismo. Il dato emblematico di questo Giro è che – come mai o quasi mai a memoria di tifoso – non si è vista in nessuna tappa alcuna seria azione dalla media o lunga gittata volta a smuovere la classifica generale. Ciò che più vi si avvicinava è stato l’allungo in discesa di Caruso con un paio di compagni sotto gli acquazzoni dell’Appennino. Movimento di durata peraltro limitata e di effetto nullo. Al Tour, in quanto è il Tour, si sopravvive a un 50% buono di edizioni in cui i protagonisti non attaccano mai prima dei finali. Il Giro non era mai stato così, o quasi mai. In ogni Giro c’è almeno un tentativo di dare uno scossone alla generale provando prima della fine. Spesso anzi di tappe così ce ne sono diverse in una singola edizione… magari non addirittura quattro o cinque come nel 2015 o nel 2016, però un paio suole essere il minimo sindacale anche in Giri vissuti di tensioni più che di assalti alla sciabola come furono il 2017 o il 2020. Una, almeno una. Come la Torino del Giro 2022 già bollato come il più brutto del 21º secolo e probabilmente scalzato dal 2023 (se così non fosse, “salvato” in extremis, e proprio per modo di dire, da questa famosa cronoscalata, oltreché dai tanti bravi fugaioli, Healy, Dee, Pinot, Zana su tutti, senza scordare i Rubio, Buitrago, McNulty, Cort, e poi Bais, Denz, Paret-Peintre…). Il Giro 2020 era stato decisamente discutibile, poi il 2021 era parso di nuovo all’altezza, ma 2022 e 2023 rischiano di delineare una tendenza le cui cicatrici di medio periodo potrebbero essere irrecuperabili. E purtroppo non sembrano esistere soluzioni facili, visto che da molti punti di vista il lavoro di RCS, va detto, non è di mediocre qualità, tutt’altro (grandi inviti, buoni percorsi, anche se in peggioramento rispetto a 7-8 anni fa). Tuttavia fra “sfortune” più o meno incontrollabili e reazioni sistemiche, le cose stanno andando un po’ storte, e con un po’ troppa frequenza, come quei corridori (Roglic e Thomas, per dirne due) che cascano piuttosto spesso, certamente a volte per pura sfortuna o colpe altrui, ma… altre volte ce ne mettono del proprio; per far sì che la tendenza prenda corpo come tale, qualcosa di fondo c’è. Forse la parola chiave, nel caso del Giro, potrebbe essere “disaffezione”, nel sistema Paese da un lato, in un peloton che mitizza sempre meno l’Italia, dall’altro. È anche un serpente che si morde la coda: il che è un vero paradosso per una corsa che ha come slogan “amore infinito” e come trofeo una spirale che avvolgendosi apparentemente su se stessa, in realtà cresce e cresce. Il pubblico inteso come somma di persone e vite individuali è ancora a bordo strada, non ha smesso di seguire il Giro o aspettarlo. La struttura socio-economico-politica italiana e quella del ciclismo internazionale sembrano invece guardare dall’altra parte.
Gabriele Bugada
UN’APOTEOSI IMPERIALE
Atto finale della Corsa Rosa sulle strade della capitale italiana. Dopo il “pasticciaccio brutto” del 2018 si è preferito proporre un circuito diverso da quello sul quale si concluse l’edizione vinta da Froome limitando al minimo i tratti da percorrere sui traballanti sampietrini. Epilogo sempre in Via dei Fori Imperiali, dopo un tuffo nella grande bellezza di Roma.
Sarà Roma a chiudere i battenti del Giro 2023 e lo farà cinque anni dopo la conclusione sulle strade della capitale dell’edizione vinta da Chris Froome, una pagina che si vuole dimenticare vista la magra figura fatta dall’amministrazione capitolina, con la giuria che si vide costretta a neutralizzare parecchi giri del circuito romano a causa delle buche presenti sulle strade. Per il ritorno del gran finale della Corsa Rosa a Roma si è corso ai ripari, disegnando un circuito che non si limiterà alla zona dei fori e ha limitato all’osso i tratti da percorrere sui “sampietrini”, com’è tradizionalmente chiamato il pavé nella capitale in ricordo dell’epoca dello Stato Pontificio, quando gli operai preposti alla manutenzione delle strade venivano così soprannominati per rimarcare il fatto che fossero dipendenti della Santa Sede. Così dei 13.6 Km dell’ultimo circuito, che complessivamente dovrà essere inanellato sei volte, soli 1500 metri si dovranno percorrere sulle “pietre”, spezzati in cinque breve bocconcini sparsi qua e là lungo il percorso, per il resto totalmente pianeggiante. In realtà ci sarà lo spazio per un’ultima salita perché a quasi 7 Km dal via, che avverrà nel quartiere dell’EUR con l’ultimo raduno di partenza fissato presso il Palazzo della Civiltà Italiana (il cosiddetto “Colosseo Quadrato”), si affronterà un’ascesa di 900 metri al 5.8% che si concluderà presso i cancelli della Tenuta di Castelporziano, dal 1872 di proprietà dello Stato Italiano, inizialmente acquistata per farne una riserva di caccia a uso di re Vittorio Emanuele II e utilizzata a tale scopo anche dai Presidenti della Repubblica dopo la fine della monarchia, attività venatoria cessata nel 1977: dal 1999 è una riserva naturale statale, nonché una delle tre residenze ufficiali del capo dello stato dopo il Quirinale e la napoletana Villa Rosebery. Una decina di chilometri più avanti i “girini” raggiungeranno il mare, ma avranno appena il tempo per respirarne la salsedine perché arrivati a Lido di Castel Fusano gireranno i tacchi per riprendere nella direzione opposta la strada appena percorsa e far ritorno all’EUR. Sfilato accanto al circolare Palazzo dello Sport progettato per le Olimpiadi del 1960, il gruppo attraverserà il Parco Centrale del Lago, sorto attorno al laghetto pensato – come il resto del quartiere – per l’Esposizione Universale che si doveva svolgere nel 1942 e che sarà definitivamente annullata a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Prima di lasciare l’EUR si giungerà quindi nel cuore del quartiere dove svetta dall’alto dei suoi 45 metri quello che fino al 2004 era l’obelisco più recente di Roma, eretto nel 1959 in ricordo di Guglielmo Marconi e il cui primato è stato battuto nove anni fa da quello realizzato da Arnaldo Pomodoro e collocato presso il Palazzo dello Sport.
Pedalando sulla Cristoforo Colombo in direzione del centro della capitale il gruppo andrà a lambire i confini della Garbatella, uno dei quartieri popolari più noti di Roma, realizzato a partire dal 18 febbraio del 1920, giorno della posa della prima pietra presso l’odierna Piazza Benedetto Prim, cerimonia presieduta personalmente dall’allora re Vittorio Emanuele III. Varcata la cinta delle Mura Aureliane attraverso Porta Ardeatina, la corsa farà quindi l’ingresso sul circuito quando mancheranno poco più di 3 Km al primo passaggio dal traguardo, come nel 2018 previsto in Via dei Fori Imperiali, strada tracciata in epoca fascista su progetto dell’ingegner Barnaba Gozzi per collegare in linea retta il Colosseo con Piazza Venezia, opera che fu compiuta demolendo il “quartiere Alessandrino”, realizzato alla fine del XVI secolo. Il circuito inizierà con il passaggio nella centralissima Piazza Venezia, dove il gruppo transiterà lasciando alle spalle l’Altare della Patria, cuore del monumento detto Vittoriano perché realizzato in onore del primo sovrano del Regno d’Italia Vittorio Emanuele II, per progettare il quale si racconta che l’architetto marchigiano Giuseppe Sacconi si sia ispirato alle scenografie naturali delle Dolomiti. Subito dopo si percorrerà proprio la strada intitolata al primo re d’Italia, sulla quale si affacciano le imponenti facciate delle chiese del Gesù, di Sant’Andrea della Valle e di Santa Maria in Vallicella, presso la quale si trova quella che da molti è stata definita come la più bella e monumentale sacrestia della capitale. All’altro capo del corso inizierà il primo dei tre tratti previsti lungo il Tevere, un chilometro e mezzo in direzione del quartiere Flaminio e la prima delle cinque porzioni di sampietrini, giusto 100 metri all’altezza del moderno “sarcofago” che dal 2006 cela al suo interno uno dei monumenti della Roma antica più celebri, l’Ara Pacis, altare che l’imperatore Augusto aveva fatto innalzare in onore della pace, un bene al quale si anela oggi così come nel remoto anno 9 avanti Cristo. Transitando sul Ponte Regina Margherita ci si porterà sulla sponda opposta del fiume, seguendola in direzione del Vaticano per un chilometro esatto, costeggiano il quartiere Prati fino ad arrivare al cospetto del monumentale Palazzaccio, la sede del Palazzo di Giustizia della capitale, preceduto dal passaggio davanti alla neogotica facciata del Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, soprannominata “il piccolo duomo di Milano” e presso la quale è possibile visitare il curioso Museo delle Anime del Purgatorio, nel quale sono esposti reperti tangibili dei contatti con l’aldilà. Il chilometro successivo vedrà il gruppo allontanarsi delle sponde del fiume per effettuare il periplo di Castel Sant’Angelo, in antichità mausoleo dell’imperatore Adriano successivamente trasformato in fortezza per dare ospitalità ai pontefici durante gli assedi. Il Vaticano è alle porte e la Basilica di San Pietro farà la sua comparsa agli occhi dei “girini” quando imboccheranno Via della Conciliazione, altra strada realizzata all’epoca del regime, anche in questo caso operando una serie di demolizioni che cancellarono il rione della Spina di Borgo. Ritrovato il pavé per 200 metri i corridori percorreranno solo il tratto iniziale del monumentale viale per poi svoltare nuovamente in direzione del Tevere e iniziare l’ultimo e più lungo dei tre tratti tracciati lungo le sponde del “biondo fiume”, quasi 2 Km percorrendo i quali si andrà a transitare tra l’Isola Tiberina e il Tempio Maggiore di Roma, sinagoga costruita all’inizio del XX secolo in stile orientale assiro-babilonese e cuore del quartiere del Ghetto. Salutato il Tevere si sfreccerà a due passi della Basilica di Santa Maria in Cosmedin, chiesa tra le più gettonate dai turisti per la presenza sotto il porticato d’accesso della celebre Bocca della Verità, toccatissimo mascherone che in epoca antica era lo sportello di un tombino destinato a raccogliere le acque del Tevere in occasione delle piene più disastrose. Subito dopo si percorrerà la strada che corre tra le prime pendici dell’Aventino e la cavea del Circo Massimo, luogo dove avvenne il mitico episodio del “ratto delle Sabine”, con il quale il fondatore della città Romolo intese fondere il popolo romano con quello sabino. Un’altra breve porzione sul lastricato, 100 metri appena, porterà il gruppo su strade ben note a molti corridori, quelle del circuito delle Terme di Caracalla, che dal 1946 ospita il 25 aprile di ogni anni il Gran Premio della Liberazione, una delle principali corse del calendario riservato ai dilettanti, gara che nell’albo d’oro vanta nomi come quelli dell’ex campione europeo Matteo Trentin e del vincitore del Giro del 1990 Gianni Bugno, mentre ad aprire le danze nella prima edizione fu proprio un corridore originario di Roma, Gustavo Guglielmetti. Girando attorno alle celebri terme – che perse da secoli la loro funzione oggi ospitano le rappresentazioni della stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma, mentre nel 1960 furono “prestate” allo sport per accogliere le gare di ginnastica dell’olimpiade – si ritornerà a pedalare in direzione del Circo Massimo per poi infilarsi in Via di San Gregorio, strada con 300 metri in sampietrini tracciata tra il Palatino e il colle sul quale troneggia la barocca chiesa di San Gregorio al Celio, realizzata accanto a un complesso di tre piccoli oratori, due dei quali risalenti al XII secolo. L’apparizione della mole del Colosseo sullo sfondo avrà quasi lo stesso “rumore” della campana che annuncia l’ultimo giro di circuito. L’epilogo è oramai prossimo, dopo l’ultima svolta s’imboccherà l’ultima e più lunga porzione “ballerina” (800 metri a cavallo dal passaggio del traguardo) per un finale davvero imperiale, che incoronerà l’imperatore del Giro 2023.
Mauro Facoltosi
CIAK SI GIRO
“Solo preti qui regneranno”. Così l’irriverente poeta romano interpretò la sigla SPQR che da sempre è l’emblema di Roma e che nella realtà era l’abbreviazione della frase latina “Senatvs PopvlvsQve Romanvs” che significava semplicemente “il Senato e il Popolo Romano”. Non aveva tutti i torti il Belli perché la Chiesa ebbe un ruolo predominante nella storia della capitale e anche per questo vogliamo concludere la nostra rassegna con un sacerdote e uno dei più celebri: Don Camillo. Vi starete chiedendo cosa possa c’entrare il sanguigno prete emiliano partorito dalla fantasia di Giovannino Guareschi e da sempre protagonista in quel di Brescello? Ebbene, Roma ebbe un ruolo anche in quei film perché la Cineriz, casa produttrice dei sei episodi della saga, aveva la sua principale sede a Roma e per tutte le scene da girare in interni si preferirono gli studi di Cinecittà, dove fu costruita appositamente la chiesa nella quale Don Camillo era parroco (solo gli esterni furono girati a Brescello) e che in uno degli episodi sarà invasa dalle acque straripate nel Po. Qua e là location romane e laziali fanno capolino e così ne “Il ritorno di Don Camillo”, girato anche in Abruzzo, si possono ammirare il romano Palazzo Capizucchi (nella finzione il collegio di Parma frequentato dal figlio di Peppone), scorci di Fiano Romano e Riano e lo scomparso Ponte Sfondato di Montopoli di Sabina, crollato otto anni dopo la fine delle riprese. In “Don Camillo monsignore ma non troppo” il sacerdote viene promosso e viene trasferito nella capitale, dove ha l’ufficio nel Palazzo del Commendatore, non distante dal Vaticano. Infine ne “Il compagno Don Camillo”, il penultimo della saga e l’ultimo interpretato da Fernandel, lo schiocco del ciac tornò a farsi sentire nel Lazio, dove il borgo viterbese di Monterosi prestò la propria chiesa per interpretare quella del villaggio russo di Brezwyscewski. Una delle ultime riprese con il celebre attore francese, che successivamente sarà sostituito da Gastone Moschin, vide Fernandel in azione in uno dei luoghi toccati dal percorso dell’ultima tappa, la spettacolare sacrestia di Santa Maria in Vallicella, che il sacerdote attraversa per recarsi in udienza dal vescovo di Reggio Emilia.
Qui trovate le location dei tre film citati
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/il-ritorno-di-don-camillo/50000172
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/don-camillo-monsignore-ma-non-troppo/50005417
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/il-compagno-don-camillo/50005418
FOTOGALLERY
EUR, Palazzo della Civiltà Italiana
Tenuta presidenziale di Castel Porziano
Il Palazzo dello Sport all’EUR
Parco Centrale dell’EUR
L’obelisco dedicato a Guglielmo Marconi
Piazza Damiano Sauli, cuore del quartiere della Garbatella
Porta Ardeatina
Vittoriano
Santa Maria in Vallicella
L’Ara Pacis e il primo tratto in sampietrini
Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio
Castel Sant’Angelo visto dalla stessa prospettiva dei corridori
Il Tempo Maggiore di Roma visto dal lungotevere
Santa Maria in Cosmedin con la fila di turisti in attesa di vedere la Bocca della Verità
Terme di Caracalla
San Gregorio al Celio
Il Colosseo fa capolino dietro la strada che percorreranno i corridori
ROGLIC VINCE IL GIRO COME AVEVA PERSO IL TOUR
Nella terribile cronoscalata al Monte Lussari Primoz Roglic con una prova davvero straordinaria ribalta le sorti del Giro d’Italia, infliggendo un distacco di 40 secondi al rivale gallese Thomas e andansodi a prendere la maglia rosa alla vigilia della passerella romana. Neppure un incidente meccanico su un tratto estremamente ripido riesce a fermare lo sloveno, che vince anche la tappa.
Geraint Thomas (INEOS Grenadiers) era l’unico corridore tra i tre che saliranno sul podio domani a non aver avuto ancora una vera giornata di crisi, se non consideriamo la crono iniziale nella quale Remco Evenepoel (Soudal – Quick Step) aveva dato enormi distacchi a tutti.
Joao Almeida (UAE Team Emirates), come si poteva immaginare, ha patito sia sulla salita di Coi che sulle Tre Cime di Lavaredo le severe pendenze, Primoz Roglic (Jumbo-Visma) aveva sofferto un passaggio a vuoto sul Monte Bondone, riuscendo comunque a non naufragare grazie anche ad un ottimo Sepp Kuss.
Thomas ha avuto oggi la sua giornata di difficoltà che gli è costata la maglia rosa.
Una prova come quella di oggi, piuttosto breve e con una salita ripidissima, indubbiamente sorrideva più ad un corridore esplosivo come Roglic, piuttosto che ad un regolarista solido come Thomas.
Il gallese in effetti sembra aver patito le severe pendenze della salita verso il Monte Santo di Lussari, anche forse a causa del rapporto piuttosto duro che ha spinto. Ora il gallese indubbiamente non si trova a proprio agio a spingere i rapportini che sarebbero stati impensabili negli anni 90, ma su pendenze come quelle di oggi, che restano tali per molti chilometri, si rischia alla lunga di pagare.
In effetti Thomas ha accumulato la maggior parte del ritardo con il quale ha tagliato il traguardo nell’ultima parte della cronometro, visto che al secondo intermedio accusava solo una quindicina di secondi dei quaranta patiti all’arrivo.
Le scelte sono state diverse non solo nei rapporti scelti, che comunque riflettono le caratteristiche dei corridori, ma anche per esempio sulla questione casco che Thomas ha preferito cambiare al momento del cambio di bicicletta.
In quel passaggio Thomas ha impiegato circa 8 secondi in più rispetto a Roglic, ma ha iniziato la salita con soli 2 secondi di ritardo, segno che nel tratto pianeggiante Thomas è andato nel complesso un po’ meglio.
Il secondo episodio significativo è stata la posizione delle mani adottata da Roglic in un tratto in cui aveva già cambiato la bicicletta, salendo su quella da tradizionale dopo aver abbandonato quella speciale per le prove contro il tempo.
La posizione con gli avambracci sul manubrio senza le protesi da afferrare con le mani è stata vietata da qualche anno dai regolamenti UCI con una decisione che lascia abbastanza perplessi.
Ora il divieto riguarda le prove in linea e non quelle a cronometro, tuttavia appare abbastanza evidente che la ratio di questa decisione vada ricercata in ragione di maggior sicurezza.
E’ ovvio, quindi, che queste ragioni sono sussistenti ogniqualvolta si usi una bicicletta priva delle protesi che caratterizzano quelle usate nelle prove contro il tempo.
La colpa di questa situazione non è ovviamente di Roglic, che ha rispettato alla lettera la norma, bensì di chi quella norma l’ha scritta. Si tratta di una regola non solo insensata dal punto di vista del merito, ma anche di una norma scritta male.
Il terzo episodio da segnalare è l’incidente meccanico patito da Roglic, che è stato costretto a scendere dalla bicicletta e rimettere la catena perdendo almeno dieci secondi.
In quel momento il capitano del team Jumbo ha davvero corso il rischio di perdere il Giro, ma ormai la crisi per Thomas era arrivata, la pedalata era sempre più legnosa e il ritardo saliva vertiginosamente.
Negli ultimi 800 metri (ossia tra il terzo intertempo e il traguardo) Thomas ha perso 11 secondi, passando dai 29 di ritardo (che avrebbero lasciato il Giro contendibile con gli abbuoni) ai 40 definitivi, segno che il gallese non ne aveva davvero più.
Per il resto la cronometro ha confermato i valori emersi sinora e per esempio Almeida e Damiano Caruso (Bahrain – Victorious), terzo e quarto della classifica, sono arrivati terzo e quarto anche nell’ordine d’arrivo della tappa.
Dietro questi corridori ha terminato un ottimo Thibaut Pinot (Groupama – FDJ), che ha dato tutto per onorare la maglia azzurra di miglior scalatore, e successivamente si sono piazzati i migliori ultimi uomini dei primi tre della classifica Kuss, Brandon McNulty (UAE Team Emirates) e Thymen Aresman (INEOS Grenadiers), gregari di lusso che sono stati vicini ai capitani sino agli ultimissimi chilometri nelle tappe di montagna.
Ottima prova anche per Andreas Leknessund (Team DSM), che ha dimostrato, con un nono posto di tappa e un ottavo in generale, che la maglia rosa conquistata a Lago Laceno era pienamente meritata.
Per il resto, l’unica cosa che si può dire è che chi vince ha sempre ragione quindi, benché la condotta esasperatamente attendista di gara di Roglic sia criticabile e sia la stessa che gli aveva fatto perdere il Tour del 2020, ciascuno avrebbe da contrapporre a questa osservazione il dato oggettivo della vittoria. Però, se questo è vero, è anche vero che chi perde ha torto e non si può non notare che la sconfitta di Thomas è stata conseguenza di una tattica altrettanto attendista di Thomas che, ben sapendo che la prova odierna sorrideva più a Roglic che a lui, avrebbe dovuto cercare di attaccare per guadagnare secondi sul rivale, anche magari al termine della prima settimana sul Gran Sasso quando Roglic non sembrava al 100% (si parlava addirittura di covid) e sul Bondone, dove le pendenze erano certamente più adatte a Thomas.
Ora si potrebbe dire che con il senno di poi è facile parlare, tuttavia si è sempre detto che se non si prova a attaccare, neppure si capisce se un avversario sia o meno in crisi.
Tutti i big avrebbero dovuto provare i loro attacchi da più lontano per vedere se gli avversari riuscivano a rispondere, oppure se erano in crisi.
Questo porta alla riflessione oggettiva che il finale al cardiopalma indubbiamente emozionante vissuto oggi non può far dimenticare un Giro corso in maniera molto deludente dai protagonisti, nonostante offrisse un percorso ricco di occasioni per dare spettacolo.
Neppure l’ultima settimana ha modificato la situazione, con le tappe di montagna hanno visto i big muoversi solo negli ultimissimi chilometri. Nel tappone delle Tre Cime di Lavaredo hanno scollinato il Giau davvero in troppi e l’attacco dei big è partito solo a 1,6 km dalla conclusione.
In questi giorni sono tornte alla mente le parole, in questo senso profetiche, del compianto Marco Pantani. “Siamo ridotti a sprintare anche in salita”.
Proprio oggi su un quotidiano nazionale era riportata un’intervista ad un grande campione di quell’epoca, Miguel Indurain, che ha sottolineato come la tecnologia esasperata di questi anni e la mania dei corridori di portarsi dietro anche “il materasso” siano elementi che hanno fatto diventare il ciclismo meno romantico di quello spettacolare che i protagonisti di quegli anni ci offrivano.
Ora è vero che mancano i Pogacar ed i Vingegaard, ma l’Olano e il Tonkov del 96, il Gotti e il Tonkov del 97 e i protagonisti dei giri degli anni successivi non erano certo i campioni del Tour de France, ma davano spettacolo e se le davano di santa ragione sulle montagne. Il Gotti del 97 conquistò la rosa in una tappa di montagna della seconda settimana (Cervinia) come aveva fatto l’anno prima Tonkov (Pratonevoso), mentre in questa edizione nella seconda settimana i big sono arrivati al traguardo in un foltissimo gruppo di corridori sia a Crans Montana (ove pure c’era la durissima Croix de Coeur con discesa insidiosa), sia a Bergamo.
Non resta, quindi, che sperare che siano i nuovi giovani, che sembrano più inclini a dar battaglia da lontano, a riproporci un Giro che ci faccia rivivere le antiche emozioni.
Benedetto Ciccarone
A 100 METRI DAL PARADISO
A ventiquattrore dalla conclusione ecco sfornata una delle tappe più dure dell’edizione 2023, che vede il ritorno nel percorso del Giro della cronoscalata, esercizio visto l’ultima volta sulle strade della Corsa Rosa nel 2016, quando si affrontarono contro il tempo le pendenze dell’Alpe di Siusi. Stavolta il palcoscenico della sfida tra i “reduci” del Giro sarà la strada forestale che sale con inclinazioni piuttosto aspre al paradisiaco borgo del Monte Lussari.
La strada per il paradiso non è una passeggiata e i “girini” lo proveranno sulla loro pelle al penultimo giorno della Corsa Rosa, quando gli organizzatori hanno imbastito lo spettacolare arrivo in un posto che è davvero un paradiso, il pittoresco borgo di Monte Lussari, situato quasi all’estremità nordorientale della penisola italiana e sorto attorno al santuario costruito tra il 1500 e il 1600, detto anche “dei tre popoli” perché meta di pellegrinaggi di fedeli che provengono dalle tre stirpi linguistiche della zona, quella romanza (che contempla l’italiano e il dialetto friulano), quella germanica e quella slovena. Passeggiata non sarà e non solo perché la salita che si dovrà percorrere sarà la più ripida tra le 49 previste nel tracciato del Giro 2023, ma anche perché la si affronterà a cronometro e perché non si pedalerà sul tradizionale asfalto, ma sulle lastre in cemento che sono state collocate poco mesi or sono sull’originario fondo stradale sterrato. Non tutta la tappa sarà dure pendenze e cemento perché nei primi 10 Km l’asfalto scorrerà sotto le ruote dei corridori e di salita non se ne incontrerà, se non in occasione di due sporadici tratti. Il primo è il più impegnativo, uno strappo di 400 metri al 6.5% (picco massimo del 15%) che inizierà circa 700 metri dopo la partenza e che servirà per far “sbarcare” i corridori sulla Ciclovia Alpe Adria, pista ciclabile che collega Salisburgo a Grado e che nel tratto che si percorrerà è stata realizzata riqualificando un tratto dismesso della Ferrovia Pontebbana. Sulla ciclabile si rimarrà per 5 Km e mezzo, sfiorando in questo tratto il centro di Camporosso in Valcanale, frazione di Tarvisio situata presso l’omonimo valico, il meno elevato della catena alpina (811 metri) e spartiacque tra il bacino dell’Adriatico (verso il quale scende il fiume Fella, affluente del Tagliamento) e quello del Mar Nero, in direzione del quale si riversano le acque dello Slizza, torrente che va confluire nella Drava, a sua volta affluente del celebre Danubio. Nei pressi dell’ex stazione ferroviaria di Valbruna-Lussari si uscirà dalla ciclabile per iniziare la risalita della Val Saisera, il cui nome d’origine slovena significa “dietro al lago” con riferimento ad uno scomparso bacino, svuotatosi in seguito a un devastante terremoto che colpì queste terre nel 1349. Non è, però, ancora arrivato il momento di misurarsi con pendenze particolarmente difficili e, anzi, ci sarà giusto un pesabilissimo tratto di 1.3 Km al 3% che si concluderà all’altezza del parcheggio dove saranno posizionati gli automezzi delle squadre e dove ai corridori sarà facoltativamente concesso di cambiare bicicletta, riposizionando sulle ammiraglie quelle con le ruote lenticolari che diversi corridori avranno scelto di utilizzare nella prima, scorrevole parte della cronometro. Ancora 1200 metri tranquilli e poi si saluterà l’asfalto per iniziare la scalata al Monte Lussari, ufficialmente 7.3 Km al 12.1%, con due punti nel quale la pendenza andrà a toccare un massimo del 22%. I primi 200 metri al 7% rappresenteranno uno dei tratti più umani di questa salita fortemente voluta al Giro da Enzo Cainero, il papà ciclistico dello Zoncolan e artefice delle frazioni friulane della Corsa Rosa, scomparso lo scorso 28 gennaio dopo una breve malattia e che prima di votarsi anima e corpo al ciclismo è stato calciatore (alla fine degli anni 60 militò in serie A, dove fu portiere del Varese), dirigente dell’Udinese e presidente dell’Associazione Pallacanestro Udinese, riuscendo a riportarla per qualche tempo nella serie A1. Dopo il poco impegnativo biglietto da visita iniziale la strada diretta al Lussari mostra subito i denti e nei successivi 4 Km e 700 metri la pendenza media schizza al 15.3%, con la prima delle due rampe al 22% che s’incontra subito dopo il primo chilometro d’ascesa. Superato il penultimo degli undici tornanti previsti la salita improvvisamente si acquieta e per un chilometro l’inclinazione media scende drasticamente al 3.2%, salvo una piccola fiammata di 300 metri al 9.6%. Passata questa tregua riprende la tempesta di pendenze e con 900 metri al 10.2% e la seconda rasoiata al 22% ci si porta alla Sella Prasnig, situata in corrispondenza di un trivio di sentieri dove i corridori svolteranno a sinistra in direzione della vetta del Lussari. La strada ora spiana mentre si percorrerà l’ex sentiero che funge da circonvallazione del borgo, lungo il quale si procederà per un centinaio di metri in sensibile discesa, fino ad arrivare a imboccare il breve e nuovamente ripido rettilineo d’arrivo, anch’esso lungo solo 100 metri, per arrivare alle soglie del paradiso dopo una salitaccia di puro inferno.
Mauro Facoltosi
I VALICHI DELLA TAPPA
Sella di Camporosso (811 metri). Valicata dal vecchio tracciato della Strada Statale 13 “Pontebbana” tra Ugovizza e Camporosso in Valcanale, è quotata 816 sull’atlante stradale del TCI. Mai affrontata come GPM, non sarà direttamente toccata dal tracciato della tappa, che percorrerà la poco distante Ciclovia Alpe Adria. Il Giro vi è transitato una sola volta, nei chilometri iniziali della tappa Cave del Predil – Vajont del Giro del 2013, vinta dal lituano Ramūnas Navardauskas. Il passaggio era previsto anche durante la tappa Kranj – Lienz del Giro del 1994, il cui percorso fu modificato all’ultimo momento a causa di una frana sul Passo del Pramollo facendo deviare la corsa da Tarvisio verso il valico doganale di Coccau.
Sella Prasnig (1715 metri). Separa il Monte Lussari dalla Cima del Cacciatore ed è valicata dalla strada forestale che sale al Lussari dalla Val Saisera, appositamente cementata per permettere l’agevole transito dei corridori. Vi giunge un sentiero che sale direttamente da Tarvisio.
Sella Monte Santo di Lussari (1735 metri). I corridori vi transiteranno 100 metri prima di giungere al traguardo.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).
CIAK SI GIRO
La “longa manu” delle case cinematografiche è arrivata fino all’estremità nordorientale della nostra nazione, scoperta in tempi recenti dal “grande schermo”. Risalgono al 2007 le riprese de “La ragazza del lago”, film ispirato al romanzo “Lo sguardo di uno sconosciuto”, opera della scrittrice norvegese Karin Fossum ripubblicata dopo l’uscita del film con lo stesso titolo della pellicola. La trama ruota attorno alle indagini sulla morte di una giovane ragazza, rinvenuta morta sulle sponde di un lago: le riprese si svolsero prevalentemente a Moggio Udinese mentre per la scena del ritrovamento della ragazza priva di vita si scelsero le sponde del lago di Fusine Superiore, situato nel territorio municipale di Tarvisio. Nel medesimo comune si sono svolte in piccola parte le riprese di Scappo a casa, film del 2019 interpretato da Aldo Baglio, stavolta senza la compagnia dei colleghi del trio “Aldo, Giovanni e Giacomo”. Qui si ripercorrono le vicende di Michele, “viveur” che si ritrova derubato dei documenti durante una vacanza a Budapest e arrestato dalla polizia magiara dopo esser stato scambiato per un tunisino clandestino. Destinato a un campo di detenzione, con la complicità di altri detenuti si darà all’evasione e riuscirà a giungere in Slovenia, dove incapperà nella poliziotta Ursula, che lo arresterà nuovamente. Ma quale Slovenia? La stazione di polizia dove Michele viene condotto si trova in realtà in Italia, a un chilometro dal valico doganale di Fusine verso lo stato balcanico, mentre per frontiera italo-slovena è stata spacciata quella di Coccau, che si trova tra Tarvisio e l’Austria.
In collaborazione con www.davinotti.com
Le altre location dei due film citati (quelle del primo film sono su due pagine)
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/la-ragazza-del-lago/50008222/pagina/1
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/scappo-a-casa/50045676
FOTOGALLERY
Tarvisio, Piazza Unità
Camporosso in Valcanale, Ciclovia Alpe Adria
La dismessa stazione di Valbruna-Lussari
Val Saisera, i parcheggi del “pit stop” per il cambio di bicicletta
L’imbocco della strada forestale diretta al Monte Lussari
La cappelletta situata presso la Sella Prasnig
Il tratto (oggi cementato) che si percorrerà in leggera discesa per giungere a 100 meri dal traguardo
Il santuario di Monte Lussari
BUITRAGO VINCE SULLE TRE CIME. THOMAS RESTA IN MAGLIA ROSA
Anche sulle Tre Cime di Lavaredo ad avere la meglio è la fuga della prima ora con Santiago Buitrago (Team Bahrain Victorious) che dopo essersi staccato da Derek Gee (Team Israel Premier Tech), lo raggiunge e lo supera a 1 km e mezzo dall’arrivo, andando a trionfare in solitaria. Lotta serrata tra i big di classifica che avrà il suo culmine domani nella temutissima cronoscalata del Monte Lussari
Nel disegno generale del Giro 2023 non ci sono dubbi: il tappone alpino cade alla diciannovesima tappa, la Longarone – Tre Cime di Lavaredo di 183 km. Una distanza poi nemmeno troppo elevata, ma dal km 70 fino al termine sarà un su e giù continuo tra alcuni dei passi che hanno fatto la storia del ciclismo: Campolongo, Valparola, Giau, Tre Croci e infine le Tre Cime di Lavaredo, lì dove hanno brillato alcuni tra i più grandi campioni di questo sport. Oggi a giocarsi la maglia rosa saranno Geraint Thomas (Team INEOS), Primoz Rogloc (Team Jumbo Visma) e Joao Almeida (UAE Team Emirates), tutti e tre racchiusi in secondi, anche se la durissima cronoscalata do domanti del Monte Lussari potrebbe ancora lasciare spazio a qualche sorpresa. Anche la lotta per la maglia azzurra oggi sarà molto interessante visto che sono in palio moltissimi punti e Thibaut Pinot (Team Groupama FDJ) può chiudere il discorso. Da Longarone non partiva Hugh Carthy (Team EF Education EasyPost), a inizio Giro da molti pronosticato come uomo da top five. La fuga di giornata si formava prima dell’ascesa verso il primo gpm del Passo Campolongo grazie all’azione di 15 uomini: Alex Baudin, Larry Warbasse e Nicolas Prodhomme (Team AG2R Citroen), Stefano Oldani (Team Alpecin Deceuninck), Vadim Pronskiy (Team Astana Qazaqstan), Santiago Buitrago (Team Bahrain Victorious), Patrick Konrad (Team BORA Hansgrohe), Magnus Cort Nielsen (Team EF Education EasyPost), Mattia Bais (Team EOLO Kometa), Davide Gabburo (Green Project-Bardiani CSF-Faizanè), Derek Gee (Team Israel Premier Tech), José Joaquin Rojas e Carlos Verona (Team Movistar), Michael Hepburn (Team Jayco AlUla) e Veljko Stojnic (Team Corratec). Era Gabburo a scollinare in prima posizione sul Passo Campolongo. Nella successiva ascesa verso il Passo Valparola si staccava Stojnic e davanti restavano in 14. Gee scollinava in prima posizone sul Passo Valparola mentre il gruppo inseguiva a oltre 8 minuti di ritardo. All’inizio della scalata verso il Passo Giau il gruppo maglia rosa aveva rosicchiato qualcosa ma non sembrava voler accelerare più di tanto. La tappa dava perciò l’impressione di essere un doppione di quella di ieri, con i ciclisti in fuga in grado di giocarsi la vittoria di tappa. Sul Passo Giau Gee scollinava in prima posizione. All’inizio della scalata verso il passo Tre Croci restavano in testa alla corsa Gee, Buitrago, Cort Nielsen, Hepburn, Verona, Pronskiy e Prodhomme. Nel gruppo maglia rosa l’unico sussulto per adesso era dato dal cambio bici da parte di Roglic, a 20 km dalla conclusione. Sotto il forcing dell’INEOS Grenadiers il vantaggio della fuga diminuiva vistosamente ma i battistrada a meno di clamorosi crolli sembravano capaci di poter resistere fino alla fine. Gee scollinava in prima posizione e dopo una breve discesa il drappello dei fuggitivi iniziava l’ultima salita delle Tre Cime di Lavaredo, sette km di ascesa con pendenze quasi costantemente in doppia cifra. Sulle prime rampe della salita finale i fuggitivi iniziavano a scattarsi in faccia e Gee si avvantaggiava di qualche decina di metri. Ai meno 6 iniziava la bagarre anche tra gli uomini di classifica con Arensman e Dennis che sparavano le ultime cartucce per Thomas e Roglic. In testa Buitrago restava da solo all’inseguimento di Gee, che continuava a mantenere una cinquantina di metri di vantaggio sul colombiano della Bahrain Victorious. Buitrago raggiungeva Gee a 1 km e mezzo dall’arrivo e accelerava, distanziandolo sensibilmente in pochissimo tempo. Nel gruppo maglia rosa, Roglic rispondeva ad un attacco di Almeida e si muoveva anche Thomas. I primi tre della classifica generale restavano praticamente soli all’inseguimento di Gee, mentre Buitrago andava a trionfare a braccia alzate in cima alle Tre Cime. Gee si piazzava in seconda posizione a 51 secondi di ritardo dal colombiano mentre Cort Nielsen era terzo a 1 minuto e 46 secondi di ritardo e impediva a Roglic di conquistare i 4 secondi di abbuono, visto che lo sloveno tagliava il traguardo con lo stesso tempo del danese. Thomas chiudeva la top five a 1 minuto e 49 secondi di ritardo da Buitrago, che ottiene il primo successo stagionale ed anche la seconda vittoria al Giro, dopo quella dello scorso anno nella diciassettesima tappa da Ponte di Legno a Lavarone, anche allora al termine di una fuga. Thomas conserva la maglia rosa con 26 secondi di vantaggio su Roglic e 59 secondi di vantaggio su Almeida, mentre Damiano Caruso (Team Bahrain Victorious) sale al quarto posto ai danni di Eddie Dunbar (Team Jayco AlUla). Domani l’attesa cronometro individuale da Tarvisio al Monte Lussari metterà la parola fine al Giro 2023 per quanto riguarda la lotta per la maglia rosa. Sarà una cronometro divisa nettamente in due parti. I primi 10 km sono completamente pianeggianti e si potranno spingere alti rapporti. Gli ultimi 8 sono tutti in salita, e che salita! La pendenza media supera l’11%, con i primi 4 km e 700 addirittura al 15%. Thomas e Roglic sono attesi alla prova del nove e tra questi due nomi uscirà il vincitore del Giro 2023.
Antonio Scarfone
TRE CIME PER SOGNAR, FANTASTICAR…
Fa a spallate con il tappone del Bondone in quanto a durezza la frazione delle Tre Cime. Se la tappa trentina propone un dislivello maggiore, quella dolomitica controbatte con una lunga successione di salite, inizialmente pedalabili – Campolongo e Valparola – e via via più dotate in pendenze. I 10 Km al 9.3% del Giau e soprattutto la verticale finale delle Tre Cime (3.2 Km all’11.7%) faranno soffrire terribilmente tutti, dalla maglia rosa giù giù fino all’ultimo elemento della classifica generale. E se il capo del Giro fosse in fase calante, come capitò a Merckx nel 1974, potrebbe inscenarsi un clamoroso ribaltone.
Eccoci di fronte alla seconda giornata dolomitica, il tappone. E trattasi di un tappone con i fiocchi (si spera solo virtuali), forte di quasi 5400 metri di dislivello e di sette salite, tre delle quali porteranno ben oltre i 2000 metri di quota. C’è di che farsi venire l’acquolina alla bocca, ricordando le due imprese che più si rammentano sulle due principali ascese di giornata, l’affondo di Egan Bernal sul Giau al Giro del 2021 e soprattutto il ribaltone all’ultimo chilometro delle Tre Cime nel 1974, quando Eddy Merckx mise sul piatto tutto l’orgoglio che aveva in corpo in un momento nel quale le energie stavano declinando e riuscì a salvare per soli 12 secondi una maglia rosa che sotto la “flamme rouge” era ufficiosamente vestita dal giovane Gianbattista Baronchelli. Sarà grande impresa anche quest’anno? Lo scopriremo sul far della sera del 26 maggio, quando sotto lo striscione d’arrivo innalzato presso il Rifugio Auronzo sarà transitato l’ultimo dei “big” partiti 183 Km prima da Longarone. Non sarà subito salita, anzi non se ne troverà proprio nei primi 50 Km, che vedranno il gruppo salpare dalle soglie del Cadore in direzione di Belluno, dove si transiterà a 13 Km dal via sfiorandone il centro storico, dove è possibile ammirare monumenti come il duomo intitolato a San Martino e le vetuste porte Rugo e Dojona. Subito si tornerà a puntare in direzione delle montagne portandosi nella valle del torrente Cordevole, il corso d’acqua più lungo tra quelli presenti nel bellunese. Prendendo dolcemente quota il gruppo s’infilerà nella gola della Tagliata di San Martino, dove durante la Grande Guerra fu distrutto dall’esercito del Regno d’Italia un preesistente complesso di fortificazioni – si voleva impedire l’avanzata austriaca – che poi sarà ristrutturato da militari tedeschi in occasione del secondo conflitto mondiale. All’uscita dalla forra i corridori saranno sulle strade di Agordo, il principale centro della valle, dove presso i rustici di Villa Crotta – De Manzoni è possibile visitare un museo dedicato agli occhiali, voluto dall’imprenditore Leonardo Del Vecchio, fondatore della principale azienda mondiale del settore, Luxottica, che ha uno dei suoi quattro stabilimenti proprio ad Agordo. Una piccola balza altimetrica anticiperà il passaggio sulle rive del lago d’Alleghe, specchio lacustre che non avremmo incontrato se ci fossimo trovati da queste parti prima dell’11 gennaio del 1771, giorno della caduta di una grossa frana dal Monte Piz che causò una cinquantina di vittime e lo sbarramento del corso del Cordevole con la conseguente formazione di un invaso. Poco più avanti si giungerà a Caprile, piccola località che rappresenta un irresistibile richiamo per i “salitomani” perché da essa si dipartono, come le cinque dita di una mano, un ventaglio di salite più o meno celebri: da una parte si va verso la Marmolada, dall’altra verso i passi Falzarego e Giau mentre le due dita minori sono quelle delle ascese di Colle Santa Lucia e della cosiddetta “Digonera”. È quest’ultima che andranno ora ad affrontare i “girini”, composta da un primo tratto di 2 Km al 7.5% e da uno successivo di 3.6 Km al 7.2% con i quali si risaliranno le prime pendici del Col di Lana, montagna dolomitica il cui nome è rimasto scritto nei libri di storia per le vicissitudini della Prima Guerra Mondiale, quando gli alpini ne minarono la vetta per poi farla saltare, provocando la morte di 150 militari austroungarici, in parte sepolti nel Sacrario Militare di Pian di Salesei, sfiorato da uno dei tornanti della “Digonera”. Sarà il biglietto da visita della prima salita ufficiale, il vicino Passo di Campolongo (4 Km al 7%), il più basso e meno impegnativo dei quattro valichi (gli altri sono Pordoi, Sella e Gardena) che costituiscono il “Sellaronda”, il circuito del gruppo dolomitico del Sella, conosciuto non solo dagli appassionati di ciclismo, ma anche dagli amati dello scialpinismo. Il “circo bianco” da queste parti è di casa e a breve, dopo il passaggio da Corvara, si transiterà ai piedi della “Gran Risa”, una delle più celebri piste dell’Alto Adige, tenuta a battesimo dallo svedese Ingemar Stenmark il 15 dicembre del 1985, giorno nel quale vi si svolse per la prima volta una gara di slalom gigante inserita nel calendario della Coppa del Mondo di sci alpino. Il gruppo, nel frattempo, si preparerà a salire per la prima volta in alta quota perché è arrivato il momento del primo “over 2000” di giornata, il Passo di Valparola, che si raggiungerà risalendo la valle di San Cassiano affrontando pendenze non particolarmente indigeste: per arrivare sino ai circa 2200 metri del valico si deve, infatti, salire per 14 Km incontrando sotto le ruote una pendenza media del 5.7%. Subito sotto lo scollinamento si raggiungerà il più celebre Passo Falzarego, dove il tracciato della tappa confluirà su quello della “Grande strada delle Dolomiti”, uno dei più spettacolari itinerari stradali delle alpi, realizzato a tappe tra il 1895 e il 1909 per collegare Bolzano e Cortina, inizialmente concepito per scopi bellici. Sfiorando in discesa gli svettanti resti del castello di Andraz, citato per la prima volta dopo l’anno 1000 e originariamente proprietà dei vescovi di Bressanone, i “girini” torneranno a pedalare in direzione della valle del Cordevole fino a giungere a circa 5 Km dalla già visitata Caprile, dove cambieranno strada per andare a intraprendere l’ultima delle salite “secondarie” della tappa, quella del Belvedere di Colle Santa Lucia, 1900 metri al 7.3% che precedono di poco il primo “babau” di giornata. È il Passo Giau, valico che ha il solo difetto di non arrivare ai 10 Km di lunghezza per l’inezia di poche centinaia di metri, ma che ha il fuoco nelle pendenze, 9.3% la media, 14% la massima. Scollinato il valico, uno dei più panoramici dell’area dolomitica, ci si lancerà verso Cortina d’Ampezzo incrociando lunga la discesa il tracciato della Muraglia di Giau, costruita tra il primo luglio e il 30 settembre del 1753 dagli abitanti di San Vito di Cadore per segnare il confine con l’Ampezzano. Attraversata la celeberrima stazione di sport invernali, che fra tre anni accoglierà alcune delle gare dell’olimpiade invernale organizzata con Milano e altre località dell’Italia settentrionale, immediatamente si riprenderà a salire, stavolta avendo come meta il Passo Tre Croci, così chiamato in ricordo di una tragedia avvenuta lassù nell’inverno del 1789, quando una madre e i suoi figli morirono assiderati durante il viaggio da Auronzo verso Cortina, dove la donna sperava di trovare un’occupazione. Pur trattandosi di un’ascesa a sé stante, i suoi 8 Km al 7.2% possono essere considerati come la prima parte della salita finale verso le Tre Cime, a sua volta anticipata dall’ascesa di 1700 metri al 6% che termina presso le sponde del Lago di Misurina. Ufficialmente l’ascesa finale misura 7.2 Km, spezzati in due ripidi tratti da una breve discesa, lungo la quale si transita dalla barriera del pedaggio (la strada è di proprietà del comune di Auronzo di Cadore). Già il primo strappo è duro (1400 metri al 10.6%), ma è nella seconda parte che la salita mostra i denti con un’inclinazione media dell’11.7% negli ultimi 3200: la “fantastica trinità” ha pendenze aguzze così come le sue spettacolari cime!
Mauro Facoltosi
I VALICHI DELLA TAPPA
Passo di Campolongo (1875 metri). Insellatura di pascoli aperta tra il gruppo del Sella e la catena Pralongià – Monte Cherz, è toccato dalla Strada Statale 244 “di Val Badia” tra Arabba e Corvara e costituisce il confine tra le Dolomiti occidentali e quelle orientali, mentre quello regionale non coincide con il valico, ma si trova circa un chilometro più a valle, sul versante altoatesino. È stato GPM al Giro d’Italia in 15 occasioni, la prima nel 1958 durante la tappa Levico Terme – Bolzano, vinta dall’indimenticato Ercole Baldini, quando transitò per primo il belga Jean Brankart. Lo spagnolo Rubén Plaza è stato, invece, l’ultimo ad aver iscritto il proprio nome nell’albo d’oro del Campolongo al Giro, transitandovi in testa durante la tappa Alpago – Corvara del 2007, vinta da Esteban Chaves.
Passo di Valparola (2192 metri). Aperto tra il Sasso di Stria e il Piccolo Lagazuoi e quotato 2196 sulle cartine del Giro 2023, è attraversato dalla Strada Provinciale 24 “del Passo di Valparola” tra San Cassiano e Cortina d’Ampezzo. È stato inserito sette volte nel percorso del Giro ma nello speciale albo d’oro del Valparola si contano solo 4 passaggi perché la prima volta, nel 1976, lo striscione del GPM fu anticipato al sottostante Falzarego mentre nel 1992 fu tolto all’ultimo momento dal tracciato a causa di una frana. A legare i loro nomi a questo valico sono così stati lo spagnolo Fernández Ovies nel 1977 (tappa Cortina d’Ampezzo – Pinzolo, vinta da Gianbattista Baronchelli), il francese Charly Mottet nel 1990 (tappa Dobbiaco – Passo Pordoi, vinta dal medesimo corridore), l’elvetico Fabian Wegmann nel 2004 (San Vendemiano – Falzes, vinta da Damiano Cunego), il pescarese Matteo Rabottini nel 2012 (Falzes – Cortina d’Ampezzo, vinta da Joaquim Rodríguez) e lo spagnolo Omar Fraile nel 2017 (tappa Moena – Ortisei, vinta da Tejay van Garderen).
Passo di Falzarego (2105 metri). Aperto tra il Piccolo Lagazuoi e il Nuvolau, è attraversato dall’ex Strada Statale 48 “delle Dolomiti” tra Cortina d’Ampezzo e Livinallongo del Col di Lana. È il terzo valico dolomitico per numero di passaggi del Giro (senza contare le quattro volte nel quale fu “prolungato” verso il Valparola), con 18 traguardi GPM effettuati tra il 1940, quando fu conquistato da Bartali durante la storica Pieve di Cadore – Ortisei, vinta proprio dal corridore toscano, e il 2008 dell’affermazione di Emanuele Sella nella tappa vinta dallo scalatore veneto sul vicino Passo Fedaia. Si ricordano inoltre i tre passaggi in testa di Fausto Coppi nel triennio 1946-47-48 e quello di Merckx durante la Misurina – Bassano del Grappa del 1974.
Valico di Colle Santa Lucia (1435 metri). Coincide con l’abitato di Villagrande, sede del comune sparso di Colle Santa Lucia. Vi transita l’ex Strada Statale 638 “del Passo di Giau” tra località Rucavà e Selva di Cadore. È stato 4 volte sede di GPM, rispettivamente conquistati dallo spagnolo José Manuel Fuente nel 1973 (Andalo – Auronzo di Cadore, vinta da medesimo corridore), dall’ascolano Alberto Caiumi nel 1975 (Pordenone – Alleghe, vinta da Roger De Vlaeminck), dallo spagnolo Andrés Oliva nel 1976 (Longarone – Torri del Vaiolet, vinta da Andrés Gandarias) e dallo sloveno Jure Pavlič nel 1989 (Misurina – Corvara, vinta da Flavio Giupponi). Era previsto anche nel tracciato della tappa Trento – Marmolada del 1969, annullata per maltempo. In altre occasioni, come quest’anno, era previsto il semplice passaggio senza GPM.
Passo di Giau (2233 metri). Situato ai piedi dei monti Nuvolau e Averau, è valicato dall’ex Strada Statale 638 “del Passo di Giau” tra Selva di Cadore e Cortina d’Ampezzo. Quotato 2236 sulle cartine del Giro, è già stato affrontato nove volte, a partire dall’edizione del 1973, quando fu proposto nel tracciato della citata tappa Andalo – Auronzo di Cadore, vinta dallo spagnolo Fuente, primo anche al GPM. Gli italiani a transitar per primi sul Giau sono stati il pugliese Leonardo Piepoli nel 2007 (Trento – Tre Cime di Lavaredo, vinta dallo stesso corridore), Emanuele Sella nella tappa che vinse nel 2008 sulla Marmolada, Stefano Garzelli nel 2011 (Conegliano – Gardeccia / Val di Fassa, vittoria di Mikel Nieve) e il lucano Domenico Pozzovivo nel 2012, nel finale della tappa Falzes – Cortina d’Ampezzo, vinta da Joaquim Rodríguez. L’ultimo a conquistare questa cima, infine, è stato il colombiano Egan Bernal, che al Giro 2021 sul Giau ha staccato gli avversari per poi presentarsi in solitaria sul traguardo della tappa Sacile – Cortine d’Ampezzo. Il Giau era stato inserito anche nel percorso della Silandro – Tre Cime di Lavaredo del Giro 2013, ma la salita fu tagliata a causa della neve.
Passo Tre Croci (1805 metri). Magnifico punto panoramico frequentato per gli sport invernali, vi transita l’ex Strada Statale 48 “delle Dolomiti”, tra Cortina d’Ampezzo e il bivio per Misurina. Verrà affrontato quest’anno per la decima volta dal 1966, anno nel quale il Giro lo inserì nel tracciato della Moena – Belluno, vinta da Felice Gimondi dopo che il primo corridore a transitare in testa al Tre Croci era stato il pavese Ambrogio Portalupi. Altri italiani primi in vetta a questa salita sono stati il bresciano Michele Dancelli nel 1970 (Rocca Pietore – Dobbiaco, vinta da Franco Bitossi), il trevigiano Selvino Poloni nel 1971 (Lienz – Falcade, vinta da Gimondi), il suo conterraneo Claudio Bortolotto nel 1980 (Longarone – Cles, vinta da Giuseppe Saronni), Piepoli nella pocanzi citata tappa della Tre Cime del 2007 (vinta dal medesimo corridore) e l’abruzzese Giulio Ciccone, vincitore del GPM del Tre Croci in occasione del finora ultimo passaggio del Giro, durante la tappa Tolmezzo – Sappada disputata nell’edizione 2018, conquistata dal britannico Simon Yates.
Valico di Col Sant’Angelo (1757 metri). Detto anche “Passo di Misurina”, vi transita la Strada Provinciale 49 “di Misurina” tra Misurina e Carbonin. Quotato 1756 m sull’atlante stradale TCI, si trova nei pressi del bivio per la strada a pedaggio diretta alle Tre Cime. È stato affrontato come GPM una sola volta, durante la tappa Selva di Val Gardena – Vittorio Veneto del Giro del 1985: primo in vetta fu il portoghese Rafael Acevedo, mentre a tagliare per primo il traguardo fu in una volata a due fu Roberto Pagnin, successivamente retrocesso in seconda posizione per una scorrettezza ai danni di Emanuele Bombini, decretato vincitore dalla giuria.
Sella delle Croci (1866 metri). Chiamata anche “Sella d’Antorno” e “Sella di Rinbianco”, vi transita la strada diretta alle Tre Cime nel suo tratto iniziale, quello che precede il passaggio dal casello del pedaggio.
Forcella Longéres (2320 metri). Punto terminale della strada asfaltata delle Tre Cime, vi si trova il Rifugio Auronzo. La tappa terminerà al bivio sottostante il rifugio, a quota 2304 metri.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).
CIAK SI GIRO
Due dei valichi di questa tappa sono in passato stati “immortalati” dalle macchine da presa impegnate in riprese cinematografiche e, in ordine di apparizione lungo il percorso, cominciamo dal Passo di Valparola, dove nell’inverno tra il 2002 e il 2003 fu girata una spassosa scena dalla commedia “Oggi sposi… niente sesso!”, coproduzione tra Stati Uniti e Germania che ha avuto come set anche l’incantevole Venezia (anche se non lo sarà proprio la cadente pensione nella quale alloggeranno i due neosposini protagonisti della pellicola in occasione del viaggio di nozze). La piramide del Monte Nuvolau, che domina il Passo Giau, ha invece fatto da spettacolare quinta a una delle scene dell’inseguimento al furgone postale in “Fantozzi in Paradiso”, ottavo capitolo della saga ideata da Paolo Villaggio che, fatto poco noto, in gioventù si era appassionato all’alpinismo con il fratello gemello Piero e aveva scalato più volte le pareti dolomitiche dei dintorni di Cortina, luoghi che molti anni dopo sceglierà per le riprese delle scene della vacanza “romantica” progettata dalla moglie del celebre ragioniere, che aveva scoperto che il marito aveva una sola settimana di vita, da trascorrere con l’amata signorina Silvani.
In collaborazione con www.davinotti.com
Le altre location dei due film citati
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/oggi-sposi-niente-sesso/50007345
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/fantozzi-in-paradiso/50003248
FOTOGALLERY
Belluno, duomo di San Martino
Agordo, Villa Crotta – De Manzoni
Lago di Alleghe
Sacrario militare di Pian di Salesei
La Villa, La celebre pista da sci della Gran Risa in veste estiva
Castello di Andraz
https://media-cdn.tripadvisor.com/media/photo-s/11/2a/42/ba/vista-prospettica-sulla.jpg
Muraglia di Giau (Tripadvisor)
Cortina d’Ampezzo, basilica dei Santi Filippo e Giacomo
Lago di Misurina
IL TRICOLORE SVENTOLA SOTTO IL PELMO: IL “BOCIA” BRUCIA IN VOLATA IL “VECIO”, SORPASSO ROGLIC-ALMEIDA
Acuto di Filippo Zana. Il 24enne veneto del Team Jayco AlUla, campione d’Italia in carica, si aggiudica la diciottesima tappa del Giro d’Italia 2013, 161 km da Oderzo alla Val di Zoldo superando allo sprint Thibaut Pinot (Groupama-FDJ). In terza posizione il francese Warren Barguil (Arkea). Primoz Roglic (Jumbo Visma) arriva assieme a Geraint Thomas (Ineos Grenadiers). Poco più indietro Joao Almeida (UAE Team Emirates) a 2’16”. Damiano Caruso (Bahrain Victorius) chiude a 2’56”. In classifica generale Thomas resta in vetta, mentre Roglic supera Almeida e si riprende la seconda posizione.
Tappa, quella odierna, caratterizzata da tante salite con caratteristiche simili, non troppo lunghe ma con pendenze molto dure. Si parte col Passo della Crosetta, ma è nel finale che i giochi si faranno più duri: prima la Forcella Cibiana (9,7 km al 7,6% con ampi tratti in doppia cifra) e poi la temibile salita verso Coi (5 km al 9,7% con la tremenda seconda metà nella quale la pendenza sfiora il 20%). Il traguardo, infine, arriverà doo un’ultima ascesa di 2,3 km al 7%.
Dopo piccoli tentativi iniziali, sono sette quelli che provano una fuga concreta: si tratta di Aurelien Paret-Peintre (AG2R), Vadim Pronskiy (Astana), Marco Frigo e Derek Gee (Israel – Premier Tech), Warren Barguil (Arkea), il campione italiano Filippo Zana (Team Jayco AlUla), Thibaut Pinot (Groupama-FDJ). Quest’ultimo, che in classifica generale è 13° a 6’48” di distacco da Thomas (oggi 37 candeline spente), transita per primo sui GPM della Crosetta e di Pieve d’Alpago. Dopo la discesa, falsopiano e nuova ascesa verso Pieve di Cadore. Con cambi regolari il gruppetto aumenta il margine nei confronti del plotone, trascinato dalla Ineos Grenadiers, arrivando ai 5’ a cinquanta km dal traguardo per poi superare i 6’ a Venas di Cadore.
Dietro non sembra ci sia molta voglia di riprendere i fuggitivi. Ai -29 Pronskiy è in difficoltà, stringe i denti e prova a resistere. Nel gruppo Primoz Roglic (Jumbo Visma) continua a mantenersi nelle retrovie: pretattica? Intanto la strada riprende a salire verso Forcella Cibiana. Pronskiy si stacca definitivamente dalla testa della corsa. Intanto il gran ritmo portato avanti da Laurens De Plus (Ineos Grenadiers) frantuma il gruppo Maglia Rosa. Pinot si porta in testa alla classifica dei migliori scalatori di questo Giro in vetta al Cibiana, dove lo svantaggio del gruppo Maglia Rosa (ora composto da 18 corridori ma che inevitabilmente si scremerà) è di circa 4’30”. Roglic pare non abbia la faccia dei giorni migliori, ma mai fidarsi: non è chiaro se ne abbia davvero per poter attaccare Thomas sull’ultima salita per rovinargli la festa di compleanno. Salendo verso Coi Pinot aumenta il forcing. A tenergli testa sono solo Zana e Gee. Si staccano prima Barguil, Paret-Peintre e Frigo e poi anche Gee. Restano in due lì davanti, Pinot ed un eroico Zana.
Dietro parte Sepp Kuss (Jumbo Visma) con Roglic e Thomas a ruota, mentre Joao Almeida (UAE Emirates) è in difficoltà senza tuttavia mollare.
Alla progressione di Roglic risponde subito un Thomas con le gambe che girano a mille. Poco dopo Kuss raggiunge i due, con Almeida che si mantiene a breve distanza.
Nel frattempo i due battistranda giungono sotto lo striscione dell’ultimo chilometro e si viaggia verso uno sprint in salita, dove il 24enne Zana si impone sul quasi 33enne Pinot, che festeggerà il compleanno il giorno dopo la tappa conclusiva del Giro.
Domani l’attesissimo tappone dolomitico: da Longarone alle Tre Cime di Lavaredo con Campolongo, Valparola, Falzarego, Giau e Tre Croci prima della mitica ascesa finale.
Vito Sansone
DOLOMITI, ATTO PRIMO ALL’OMBRA DEL “CAREGÓN”
Non è il tappone dolomitico, in programma ventiquattrore più tardi, ma anche la frazione che terminerà in Val di Zoldo potrebbe lasciare un segno indelebile in classifica. Le energie si stanno pian piano esaurendo, siamo nel cuore della terza settimana di gara, che spesso ha messo in crisi fior di campioni, e oggi le possibilità di creare scompiglio non mancheranno. La Forcella Cibiana e l’inedita salita verso Coi potrebbero rappresentare una succulenta tentazione per quegli scalatori che devono recuperare terreno e non vogliono aspettare le Tre Cime.
Le genti locali lo chiamano il “Caregón de ‘l Pareterno”, il trono (cadregone) di Dio. È il Monte Pelmo, la spettacolare vetta che domina la Val di Zoldo, sede d’arrivo della prima frazione dolomitica, la meno impegnativa delle due previste quest’anno. Ma, nonostante non sia paragonabile a livello durezza ai tapponi del Bondone, affrontato 48 ore fa, e delle Tre Cime di Lavaredo, quella che terminerà a Palafavera sarà una tappa in grado di far traballare il “cadreghino” della maglia rosa di turno, se il suo vantaggio non sarà di quelli granitici. Siamo alla terza settimana di gara, le energie sono oramai al lumicino e, se si avranno forze e voglia di mettere in crisi gli avversari, le due salite che si dovranno affrontare a ridosso del traguardo potrebbero provocare un neanche tanto piccolo terremoto in classifica. Si tratta non solo di ascese dotate in pendenze, ma anche di salite piuttosto desuete, se non del tutto inedite, com’è il caso di quella che condurrà fino alla minuscola frazione di Coi e che presenta inclinazioni particolarmente forti nel tratto conclusivo.
Prima di arrivare a misurarsi con le impegnative salite del finale – che non saranno le uniche inserite nel tracciato – bisognerà anche oggi “mangiarsi” una consistente fetta di pianura nella parte iniziale, totalmente priva di ostacoli naturali nei primi 25 Km. Lasciata Oderzo – il remoto “municipium” di Opitergium, del quale sono giunti ai nostri giorni diversi resti – si pedalerà in direzione di Codognè, presso la cui chiesa parrocchiale gli amanti della natura potranno ammirare naso all’insù un platano orientale alto ben 26 metri, inserito nella lista dei ventiduemila alberi monumentali italiani, beni tutelati dalla guardia forestale. Puntando verso le prealpi bellunesi si toccherà Orsago andando poi a incrociare la “Pontebbana”, la statale che collega il Veneto con il Friuli. Ancora qualche scampolo di pianura e si giungerà a Cappella Maggiore, lasciata la quale la strada inizierà a prendere quota, inizialmente con dolcezza e poi con più decisione una volta attraversato il centro di Fregona, situato non distante dalle impressionanti grotte del Caglieron, in passato modificate dall’intervento dell’uomo per scavarvi l’arenaria e oggi visitabili grazie ad una serie di passerelle lignee. Una meraviglia della natura che i “girini” non avranno il tempo d’ammirare, impegnati come saranno nell’affrontare le prime rampe della salita della Crosetta, 13 Km e mezzo al 7% che sono stati inseriti l’ultima volta nel percorso del Giro nel 2021. Anche in questo caso si trattava delle fasi iniziali del tappone dolomitico – l’arrivo era previsto a Cortina d’Ampezzo, dove s’impose Egan Bernal incrementando il proprio vantaggio in classifica generale – e, come quel giorno, subito dopo lo scollinamento si dovrà attraversare il Cansiglio, spettacolare altopiano famoso per la sua foresta di faggi, utilizzati all’epoca della Serenissima per la fabbricazione di remi, e divenuto negli anni 90 “buen retiro” estivo dei presidenti della Repubblica Giuseppe Cossiga e Oscar Luigi Scalfaro. Dal Cansiglio il gruppo si trasferirà nel vicino Alpago, piccola regione storico-geografica dove si andrà ad affrontare la seconda difficoltà altimetrica di giornata, la salita di 3.6 Km al 5.4% che terminerà nel cuore del piccolo borgo di Pieve d’Alpago. Superate le prime due ascese di giornata si tornerà a pedalare in pianura per un’altra abbondante dose di chilometri, risalendo la valle del Piave in direzione del Cadore. Non si percorrerà in questo tratto la strada principale, che si snoda sulla sinistra del fiume, ma quella che ne costeggia la sponda opposta incontrando all’inizio di questo tratto la centrale idroelettrica di Soverzene, che all’epoca dell’inaugurazione (1951) era la più grande d’Europa. A progettarla fu la SADE, la Società Adriatica di Elettricità che qualche anno più tardi innalzò da queste parti la tragicamente famosa diga del Vajont: anche i “girini” ne sentiranno il respiro quando, qualche chilometro più avanti, transiteranno sul ponte che scavalca l’omonimo torrente proprio all’uscita dalla strapiombante gola dominata dallo “scheletro” della diga, che l’ENEL ha reso accessibile alle visite dal 2002. Bypassata la cittadina di Longarone, che tra poche ore ospiterà la partenza del tappone delle Tre Cime, si confluirà sulla strada “maestra” all’altezza di Castellavazzo, borgo il cui nome ricorda i suoi trascorsi di “castrum” difensivo in epoca romana, quando fu eretta una fortificazione trasformata nel XII secolo nel Castello della Gardona, del quale oggi rimane solo una torre dalla curiosa forma triangolare. L’ambiente torna a farsi montano, la valle prende quasi l’aspetto di una gola mentre il gruppo farà ufficialmente l’ingresso nel Cadore, la regione che deriva il nome dall’unione dei termini celtici catu e brigum, che significano rispettivamente battaglia e roccaforte. Non è, però, ancora arrivato il momento di vedere i big della classifica sfidarsi perché la strada rimarrà pianeggiante ancora per un tratto, nel quale si toccherà il centro di Ospitale, il cui toponimo ricorda la presenza in tempi andati di un ospizio, costruito nel X secolo per dare alloggio ai viandanti. Raggiunta la vicina Perarolo, luogo dal quale all’epoca della Serenissima iniziava il viaggio fluviale del legname destinato alla città di Venezia, i corridori attaccheranno la cosiddetta “salita della Cavallera”, 7.3 Km al 4.8% che si concludono nel centro di Pieve di Cadore, a due passi dalla casa natale del celebre pittore Tiziano e dopo aver affrontato un muretto finale di 600 metri all’11%. Seguirà un tratto in quota di circa 9 Km percorrendo la strada che conduce alla celebre Cortina d’Ampezzo, strada che si abbandonerà dopo il passaggio dal centro di Venas di Cadore, nella cui parrocchiale è visibile un’opera realizzata da Francesco Vecellio, fratello maggiore del pocanzi citato Tiziano. È qui che ha inizio l’ascesa verso la Forcella Cibiana, una sorta di “salita cenerentola” delle Dolomiti per il Giro d’Italia perché, a differenza di valichi più blasonati, è stata finora inserita solo tre volte nel programma della Corsa Rosa ed è un peccato perché ha numeri interessanti, soprattutto dal versante che si affronterà quest’anno, 9.6 Km al 7.6% con gli ultimi 4 Km al 10% per arrivare sino ai 1528 metri dello scollinamento, situato nel luogo dal quale partono i bus navetta che conducono i turisti al forte costruito all’epoca della Prima Guerra Mondiale sul Monte Rite, dal 2015 spettacolare sede del Messner Mountain Museum Dolomites, la più meridionale tra le “location” del museo voluto dal celebre alpinista altoatesino, nel quale ammirare opere d’arte realizzate a partire dall’epoca del romanticismo ai giorni nostri, tutte dedicate ai “Monti Pallidi”.
La successiva discesa introdurrà la corsa in Val di Zoldo, che accoglierà il gruppo all’altezza di Forno, dove è possibile visitare un’altra interessante esposizione, quel Museo del Ferro e del Chiodo che dal 2004 ricorda la tramontata attività mineraria che un tempo costituì la fortuna economica della valle. Un breve tratto in falsopiano porterà ai piedi dell’ascesa diretta a Palafavera, la località che tornerà ad accogliere un arrivo di tappa del Giro dopo la frazione vinta da Paolo Savoldelli nel 2005. Rispetto a quel finale, però, si seguirà un itinerario differente e molto più impegnativo perché dopo i primi 2.5 Km si lascerà la strada principale per deviare in direzione di Coi, piccolo villaggio presso il quale si trova l’imponente Casa Rizzardini, i cui affreschi esterni risalgono al 1713: per arrivare ad ammirarli bisogna percorrere una salita di 6.3 Km all’8.8% che nel tratto conclusivo s’inerpica per 3 Km all’11% medio, rasentando il 20% di pendenza massima lungo una strada che metterà in fila i “girini” anche a causa della carreggiata ristretta. Un tuffo di 2 Km al 7.6% riporterà infine i corridori sulla strada principale esattamente a 2700 metri dal traguardo, per raggiungere il quale bisognerà affrontare un ultimo tratto in salita. Non è duro come il precedente, ma la sua pendenza del 6.4% potrebbe farsi sentire più del previsto con le energie oramai agli sgoccioli… e il cadreghino rosa potrebbe tremare come non mai.
Mauro Facoltosi
I VALICHI DELLA TAPPA
Sella 1063 metri. Valicata lungo la salita da Fregona alla Sella della Crosetta.
Sella della Crosetta (1168 metri). Quotata 1118 metri sulle cartine del Giro 2023, è valicata dall’ex strada statale 422 “dell’Alpago e del Cansiglio” tra Fregona e il Pian del Cansiglio. Vi passa il confine tra Veneto e Friuli. Il Giro vi è transitato 7 volte, la prima durante la tappa Trieste – Bassano del Grappa del Giro del 1934, vinta d Giuseppe Olmo dopo che in testa alla Crosetta era transitato per primo Remo Bertoni. Al varesino sono succeduti il torinese Nino Defilippis nel 1962 (Lignano Sabbiadoro – Nevegal, vinta da Guido Carlesi, il cremasco Pietro Scandelli nel 1966 (Belluno – Vittorio Veneto, vinta dal medesimo corridore), il vicentino Lino Farisato nel 1968 (Cortina d’Ampezzo – Vittorio Veneto, stesso vincitore), l’elvetico Ueli Sutter nel 1978 (Treviso – Canazei, vinta da Gianbattista Baronchelli) e il francese Geoffrey Bouchard nel 2021, durante la Sacile – Cortina d’Ampezzo vinta dal colombiano Egan Bernal.
Sella 1041 metri. Coincide con la località Campon, valicata dall’ex strada statale 422 “dell’Alpago e del Cansiglio” nel corso della discesa dalla Crosetta verso Tambre.
Sella Pieve di Cadore (878 metri). Coincide con l’omonima località, situata nell’insellatura che separa il Montericco dal Col di Contras. Mai affrontata come GPM, a Pieve si sono concluse tre tappe del Giro, vinte dal cesenate Mario Vicini nel 1940, dal mitico Gino Bartali nel 1947 e dal cremonese Roberto Ceruti nel 1979.
Forcella Cibiana (1536 metri). Quotata 1530 sulle cartine del Giro 2023 e chiamata anche Passo Cibiana, è valicata dalla Strada Provinciale 347 “del Passo Cereda e del Passo Duran” tra Cibiana di Cadore e Forno di Zoldo. Come ricordato nell’articolo il Giro vi è salito solo tre volte, la prima nel 1966 quando costituì la penultima difficoltà del tappone dolomitico Moena – Belluno, vinto da Felice Gimondi. A metter per primo i pedali sulla vetta della Cibiana fu il toscano Franco Bitossi, imitato nel 1970 dal piemontese Italo Zilioli durante il tappone della Marmolada, vinto dal bresciano Michele Dancelli e scattato da Arta Terme, la località friulana che nel 1988 accolse l’arrivo della terza e finora ultima tappa ad aver presentato l’ascesa al Cibiana: nell’occasione si partì da Borgo Valsugana e far sue salita e tappa fu l’abruzzese Stefano Giuliani.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).
CIAK SI GIRO
Se vi piacciono di film di guerra e avete qualche primavera sulle spalle sicuramente avrete visto almeno una volta “Il colonnello Von Ryan”, pellicola statunitense del 1965 ambientata in Italia durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e liberamente tratta dal romanzo “Von Ryan’s Express” dello scrittore americano David Westheimer. A interpretare il ruolo del colonnello protagonista fu – perdonateci il gioco di parole – una delle più celebri celebrità di Hollywood, Frank Sinatra, che si ritrovò a recitare, tra gli altri, accanto ad Adolfo Celi, l’attore toscano che in Italia è più conosciuto per il ruolo del professor Alfeo Sassaroli nella trilogia di “Amici miei” e che nello stesso anno aveva lavorato sul set di un altro film internazionale, Agente 007 – Thunderball (Operazione tuono), il quarto film della serie di James Bond, dove aveva vestito i panni del numero due dell’organizzazione criminale SPECTRE. Tornando al “Colonnello Von Ryan”, che nel cast aveva anche una giovanissima Raffaella Carrà, le riprese per ovvie ragioni si svolsero quasi interamente in Italia, a parte un paio di capatine all’estero per girare la scena della sparatoria finale nei dintorni di Málaga e quelle ambientate nel campo di concentramento in un set appositamente costruito presso gli studi cinematografici della 20th Century Fox, la celebre casa di produzione situata nelle vicinanze di Los Angeles. In Italia si girò prevalentemente in Lazio ma per le spettacolari scene di battaglia sulla linea ferroviaria diretta verso il nord si preferì la ferrovia Calalzo di Cadore – Padova, della quale furono utilizzati sia il tratto effettivamente in esercizio quando in scena si vedeva il treno, sia uno dismesso da molti anni situato presso Perarolo di Cadore.
In collaborazione con www.davinotti.com
Scena di un combattimento de “Il colonnello Von Ryan” girata a Perarolo di Cadore (www.davinotti.com)
Le altre location del film
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/il-colonnello-von-ryan/50013514
FOTOGALLERY
Codognè, il monumentale platano antistante la chiesa parrocchiale
Fregona, Grotte del Caglieron
Altopiano del Cansiglio
Centrale idroelettrica di Soverzene
Valle del Vajont
Castellavazzo, Castello della Gardona (Facebook)
Ospitale di Cadore, l’antico ospizio
Pieve di Cadore, casa natale di Tiziano
Il forte sul Monte Rite sede del Messner Mountain Museum Dolomites
Forno di Zoldo, la sede del Museo del Ferro e del Chiodo
Coi, Casa Rizzardini
DAINESE, PIOMBA UN FULMINE A CIEL SERENO SULLA SPIAGGIA DI CAORLE
Volata era stata pronosticata e volata è stata. A Caorle Alberto Dainese (Team DSM) vince la penultima tappa per velocisti del Giro 2023 prima della passerella finale di Roma. Al secondo posto il leader della classifica a punti Jonathan Milan (Bahrain Victorius) e Michael Matthews (Team Jayco AlUla). Quindi Niccolò Bonifazio (Intermarché – Circus – Wanty) e Simone Consonni (Cofidis). In testa alla generale nulla cambia con Geraint Thomas (Ineos Grenadiers) maglia rosa davanti a Joao Almeida (UAE Team Emirates), Primoz Roglic (Jumbo-Visma) e l’immarcescibile Damiano Caruso (Bahrain – Victorius)
La frazione odierna, di 197 km, va da Pergine Valsugana a Caorle e non presenta particolari difficoltà. Primi 130 chilometri in leggera discesa, partendo da 530 metri di altitudine, e arrivo al livello del mare. Quindi si va spediti verso il traguardo di Caorle, posto dopo un rettilineo finale di 600 metri su asfalto largo 8 metri.
Superfavorita è la maglia ciclamino Jonathan Milan (Bahrain-Victorious), visti i forfait di Mads Pedersen (Trek-Segafredo) e Kaden Groves (Alpecin-Deceuninck). Dovrà vedersela, invece, con Mark Cavendish (Astana Qazaqstan) e Fernando Gaviria (Movistar).
Si parte e vanno Senne Leysen (Alpecin-Deceuninck), il “campione delle fughe” Thomas Champion (Cofidis), Diego Pablo Sevilla (EOLO-Kometa) e Charlie Quarterman (Team Corratec – Selle Italia). Arriveranno ad un vantaggio massimo di 2′40” sul gruppo della Maglia Rosa, da ieri tornata spalle di Geraint Thomas. Il gruppo dapprima lascia fare in una tappa quasi da considerare “di trasferimento”. Poi pian piano il vantaggio si riduce e la fuga viene, come si dice, “cucinata a fuoco lento” in attesa della prevedibile volata finale.
Nel plotone si mette davanti anche qualche uomo della Bahrain-Victorious per Milan. Quindi si aggiungono corridori del Team DSM ad accelerare l’andatura.
Negli ultimi 40 chilometri il gruppo recupera una ventina di secondi sulla testa della corsa. Siamo vicino al mare e al traguardo volante di Lido di Jesolo passa per primo Quarterman.
Ormai non ci sono più speranze per i 4 in fuga, anche perchè anche gli uomini dell’Astana si sono portati in testa a lavorare alacremente per Cavendish.
A questo punto ci prova Leysen ad attaccare, mentre Champion è il primo ad essere risucchiato dal gruppo. Il battistrada guadagna fino ad un minuto sul gruppo che, dopo aver lasciato fare, riprende vigore con gli uomini della Movistar a tirare.
Leysen viene ripreso ai – 5 dall’arrivo. Il gruppo è compatto con Ineos e Cofidis a tirare. All’ultimo chilometro Michael Matthews (Team Jayco AlUla) prova a sorprendere tutti. Al termine di un volatone palpitante è, però, Alberto Dainese (Team DSM) a trionfare con un bruciante colpo di reni su Milan. Il velocista di Abano Terme rivince al Giro dopo esattamente un anno (nel 2022 si impose a Reggio Emilia). La maglia ciclamino rimane sulla spalle di Jonathan Milan mentre quella azzurra di miglior scalatore, complice la totale assenza di salite, è ancora indossata da Ben Healy (EF Education – Esay Post). Il secondo della classifica generale Joao Almeida (UAE – Team Emirates) conserva, infine, la maglia bianca di miglior giovane.
Domani la 18a frazione, 161 km, porterà da da Oderzo all’arrivo in quota di Palafavera, in Val di Zoldo. Si tornerà, dunque, a salire con 5 GPM da affrontare e in particolare poco prima di giungere al traguardo si dovrà superare quella durissima di Coi, 5,8 km al 9,7% di pendenza media con una punta al 19%.
Vito Sansone