GIRO DONNE: A CHIARA CONSONNI L’ULTIMO ATTO

luglio 11, 2023 by Redazione  
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Vittoria per Chiara Consonni ad Olbia, nel giorno della consacrazione del successo finale di Annemiek Van Vleuten e dell’addio al ciclismo di Marta Bastianelli. Podio finale e maglia bianca per Giaia Realini.

L’arrivo di Olbia sancisce il termine del Giro Donne 2023. La Maglia Rosa finale è di Annemiek van Vleuten (Movistar Team), che oltre al quarto giro d’Italia si porta a casa anche la classifica a punti e quella dei Gpm. Il podio finale della corsa a tappe di casa nostra vede fare corona alla fuoriclasse olandese la francese Juliette Labous (Team Dsm-Firmenich) e l’italiana Gaia Realini (Lidl – Trek), maglia bianca di miglior giovane.
La tappa conclusiva invece è andata a Chiara Consonni (UAE Team ADQ), che in volata ha preceduto Marianne Vos (Team Jumbo-Visma), stranamente a secco in questa edizione del Giro, e Ally Wollaston (AG Insurance – Soudal Quick-Step).
Rimanendo in “casa” della vincitrice odierna, da citare la coéquipier Marta Bastianelli che oggi è scesa definitivamente dalla bicicletta. La trentaseienne laziale – che vanta un palmares di tutto rispetto con la perla del Campionato del mondo 2007 – ha deciso di dire basta con il ciclismo agonistico, pur avendo dimostrato in questa stagione di essere ancora competitiva. Per lei 2 successi in questo 2023, alla corsa belga Le Samyn des Dames e alla prima tappa della Ceratizit Festival Elsy Jacobs (con relativo secondo posto finale nella classifica generale).

Mario Prato

La vittoria di Chiara Consonni nella tappa conclusiva del Giro Donne (Getty Images)

La vittoria di Chiara Consonni nella tappa conclusiva del Giro Donne (Getty Images)

PUY DE DÔME: SOPRA IL VULCANO ROTOLIAMO SULLA PELLE DELLA TERRA

luglio 10, 2023 by Redazione  
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“Dammi un senso, dammi una direzione, un cavallo di luce… Sono un vulcano e non mi ferma nessuno”, con un cuore che “pompa sangue dall’ombelico della vita e della morte”. I Litfiba preconizzavano così nel 1993 la tappa che si sarebbe svolta giusto trent’anni dopo, questa domenica.

Un grumo di sensazioni contraddittorie e rockettare s’impastano nella canzone qui citata in apertura, così come nella tremenda tappa che chiude la prima vulcanica settimana del Tour. La musica dei primi anni Novanta sembra di un’altra era geologica, ma il disperato “SOS Terra SOS uomo, vento spazza via, terremoto cancellaci” che risuonava in questo testo è inquietante per attualità. E quasi coeva era stata l’ultima apparizione del Puy de Dôme, solo cinque anni prima del pezzo in questione. Indiscutibilmente un altro ciclismo, anche se il decennio ciclistico allora alle porte non sembra, ad oggi, così lontano da quello odierno, nel bene e nel male. I nipoti somigliano più ai nonni o ai propri padri? Il gomito a gomito su questa rampe fra Anquetil e Poulidor immortalato in una storica istantanea rivive nel duello secondo contro secondo fra Pogacar e Vingegaard. Coppi che proprio all’ultimo chilometro sorpassa nel 1952 l’ultimo sopravvissuto della fuga per andare a vincere in maglia gialla, dopo aver saltato come birilli gli altri fuggitivi fra cui il 38enne Bartali (comunque clamorosamente quarto nella generale finale) ricorda frammenti di ieri, o forse un frullato di universi paralleli. Il ciclismo è sempre ieri e oggi combinati o sovrimpressi come in un palinsesto medievale, un documentario d’avanguardia o un sogno. Sembra un sogno anche il salto dalle strade strabordanti di folla attorno a Clermont-Ferrand per passare invece a quelle svuotate da ragioni di sicurezza e punteggiate solo di poliziotti e silenzio nell’ascesa finale vera e propria. Le prime ricordano il ciclismo di tutti i tempi, sport popolare e di massa, le seconde ricordano invece il ciclismo modernissimo dei paesi mediorientali, denaro e deserto, introspezione e astrazione tecnica.
Ripercorriamo allora questa giornata di ciclismo al contempo antico, perturbante e moderno o postmoderno. Un classico del ciclismo di tutti i tempi sono le due tappe in una: alla fuga viene lasciato un quarto d’ora, i distacchi in classifica generale sono già abissali anche se la compongono uomini di qualità, spesso proposti dai team in solide coppie di appoggio mutuo. Di conseguenza, la battaglia per la vittoria di giornata e quella per la maglia gialla correranno su due binari paralleli, pur avvitandosi l’uno sull’altro, come quelli del tram a cremagliera che si arrampica in spirale attorno al cono del Puy de Dôme, a di fianco ai quali competono i ciclisti.
La fuga, come detto, è potente: vi va segnalato il kazako Lutsenko, già capace di vittorie di tappa su terreni variegati oltreché di difendere belle top ten nella generale finale; Mohoric, naturalmente, sebbene il finale non gli si addica sulla carta; Latour che abbiamo già visto all’arrembaggio col suo stile sciabolante, proprio l’altro giorno, in un finale mosso; Berthet, scalatore francese di cui abbiamo già segnalato la progressiva crescita qualitativa; e poi i due uomini più indicati per un arrivo in salita, il canadese Woods, ben stagionato perché viene dall’atletica leggera, e la maglia a pois di Powless. Impossibile non avere un occhio di riguardo per Matteo Jorgenson, il giovanissimo statunitense emerso con prepotenza quest’anno come talento a tutto tondo ma già brillante in fuga la stagione passata; per adesso ancora in casa Movistar prima di traslocare armi e bagagli in direzione Jumbo-Visma, purtroppo per il tasso di competitività diffusa del ciclismo.
La fuga si struttura nell’ultima ora di gara secondo una struttura interessantissima: davanti a tutti c’è proprio Matteo Jorgenson, partito da solo a quasi 50 km dall’arrivo. Per lui tantissimo vento in faccia, ma anche la possibilità di gestire in piena autonomia il proprio ritmo, nonché di scommettere sulla regolarità dell’andatura. Manterrà a lungo un minuto circa sui più immediati inseguitori. Dietro c’è un secondo blocco all’apparenza parecchio solido, una più tipica fuga della fuga, con Powless, Mohoric, De la Cruz (che consente a Lutsenko di non lavorare dietro) e Burgaudeau (idem per il compagno Latour). La situazione tattica inchioda il favoritissimo Woods in un imbarazzante terzo blocco, ove gli atleti più forti hanno un compagno davanti (aggiungiamo Gorka Izagirre ai già nominati, in quanto compagno della testa della corsa Jorgenson), mentre altri da isolati non avrebbero gran motivo di esporsi in prima persona, come Berthet. Tuttavia questo terzo gruppo, precisamente in virtù della sua posizione, non ha alcun interesse ad avanzare a strappi, ma, piano o forte che macini i km a seconda delle circostanze, tenderà comunque a muoversi con un passo più regolare e dunque meno spaccagambe: tutto il contrario di quanto accade nel secondo gruppo, dove regnano l’aggressività e le fasi di attendismo, magari anche strumentali, pensando alla fin fine più a fiocinarsi vicendovelmente che non a riprendere anzitutto Jorgenson.
La grande sfida finale vedrà dunque scontrarsi non solo corridori dalle caratteristiche diverse, ma anche avvicinamenti alla salita di assai varia impostazione, portando così a rimescolamenti delle carte fra i più inattesi. Woods avrà dalla sua diversi fattori chiave, in parte meritori, come il sacrificio del connazionale e gregario Boivin, gran passistone, e in altra parte invece totalmente fortuiti, come il problema meccanico di De la Cruz, che, sganciando lo spagnolo dal secondo gruppo e spostandolo al terzo, non solo sottrae spinta propulsiva agli uomini intercalati, ma ne aggiunge oltretutto al terzo gruppo, perché l’Astana diventa di colpo parte in causa sia con lo stesso David sia con Lutsenko. Da ricordare anche le trenate kamikaze di atleti con ben poche chance di emergere a fronte degli avversari odierni come i nordici dell’Uno-X (anche se il danese Gregaard, in formissima, salverà comunque una top ten di giornata), o l’isolato e sempre più cane sciolto Campenaerts, che sembra correre per il puro piacere di devolvere watts a qualunque causa, come con Van Aert l’altro giorno.
La resistenza e la regolarità di Jorgenson sono davvero epiche, mentre alle sue spalle il terzetto già privato di De la Cruz si sgretola a base di scatti e controscatti, con il prevalere inatteso di Mohoric. Ma da ancor più dietro sta rimontando con l’implacabile meccanica di un treno il 36enne Woods, il suo naso una reincarnazione bartaliana, fuggitivo come Bartali nel ’52 ma non uomo di classifica, eppure come Coppi implacabilmente lanciato a saltare avversari che non hanno il suo passo, uno via l’altro, fino a mettere spietatamente nel mirino l’ultimo dei mohicani quando il traguardo non dista più km bensì centinaia di metri, eppure, anche così, senza speranza alcuna di reazione per Matteo, che china il capo, cede, crolla, e abbattuto finisce quarto liquidato anche da Latour e Mohoric, poi Berthet, Powless, Lutsenko…
Quando transita l’ultimo residuo dei drappelli che avevano preso la salita in testa, i favoriti sono a metà dell’interminabile spirale che porta in cima. L’altra gara nella gara si è già accesa nelle periferie di Clermont-Ferrand.
La Jumbo ha lavorato, ma hanno lavorato anche INEOS e, un po’ a sorpresa, la DSM di Bardet. Sintomo di un passo non così furibondo da parte dell’alveare meccanico. Ad ogni modo, anche suonando in tono minore, la musica della Jumbo è ballabile per pochi, e così dopo un paio di trenate da parte di Van Aert e Kelderman tocca a Kuss dare una bella scremata in vista dei 4 durissimi km finali, tutti al 12%, quelli veramente iconici avvolti come un serpente mitologico attorno le pendici del vulcano.
Quattro chilometri per un quarto d’ora circa di sforzo. E, un po’ a sorpresa, otto uomini rimasti in testa: meno a sorpresa la loro identità, due INEOS, con Pidcock e il giovanissimo spagnolo Carlos Rodríguez, entrambi ancora in età da maglia bianca, i due gemelli Yates, di cui uno a supporto di Pogacar, e naturalmente Pogacar stesso, i due Jumbo Kuss e Vingegaard, quindi l’australiano Hindley già campione del Giro.
L’attesa per l’esplosione atomica è palpabile, e si attende soprattutto Vingegaard dato che è la sua squadra ad aver lavorato, mentre Adam Yates cederà ancora una volta senza poter aver offerto alcun aiuto diretto a Pogacar. La strada scorre a ritmo regolare, ma nessuno si decide a imporre accelerazioni violente, chi soffre riesce a rientrare, Kuss stesso, unica figura chiaramente devota al sacrificio, è l’unico a proporre un certo ritmo, appena spezzato da qualche allungo di colui che appare il più coraggioso del giorno, Simon Yates. Si inizia a sentire odore di no contest, di polveri bagnate, di gambe piegate dal caldo e imballate da una giornata corsa forse, per paradosso, “troppo piano”. Poi, a due terzi del lungo muro finale, ecco quella che nei corsi di sceneggiatura professionistica viene chiamata appunto “la svolta dei due terzi”: Pogacar prende coraggio e, da davanti, senza sotterfugi, senza mimica ingannevole, intraprende una atroce progressione che in un attimo squaglia il fragile equilibrio dell’ottetto.
Mancano 1.300 metri alla fine, circa quattro minuti di sforzo inumano, estremo, stravolgente, impossibile per chiunque altro. Tutte le lancette virtuali schizzano fuori parametro mentre Pogacar e il suo cavallo di luce pompano sangue dall’ombelico della vita e della morte: quasi 20 km/h su pendenze in abbondante doppia cifra, 2.400 m/h di VAM, valori inconcepibili per il resto dei mortali che continuano a salire a 15 o 16 km/h e incassano così un minuto di distacco in poco più di un chilometro. Una voragine. Il resto dei mortali tranne Vingegaard. Il danese non riesce a tenere la ruota. Gli manca poco, meno di mezzo chilometro all’ora. La distanza si misura in metri, poche decine di metri, non si arriva mai a cinquanta metri di distacco. I secondi sono quattro, otto, dodici al massimo, poi di nuovo otto, sette sul traguardo. Gli abbuoni sono volati via con la fuga. Sono stati quattro minuti di violenza estrema. Pogacar vigilava costantemente affinché Vingegaard non potesse prendergli la ruota, tirando e tirando la corda, senza però che l’elastico si spezzasse mai. Sul 14% con cui sadicamente finisce la salita, Pogacar si alza sui pedali, e si contorce, pestando con violenza inaudita una martellata dopo l’altra, “un minatore” l’aveva definito sprezzantemente Dumoulin prima di abbandonare anzitempo e con poco bottino lo sport professionistico. Pogacar scava secondi, diamanti minuscoli di secondi preziosissimi, poi rifiata prima della linea. Vingegaard subisce e subisce, ma non molla, non crolla, non si spezza, e fiuta la ruota fino all’ultimo metro.
Quattro minuti di mito, quattro minuti fuori scala. Dietro è cronaca: Adam e Hindley i più in affanno, Carlos Rodríguez il più solido ma il meno esplosivo nel finale, Simon Yates il più propositivo e arrembante, Pidcock sulla sua scia. Il resto dei contendenti si spartiranno le frattaglie della top ten, con i francesi Bardet, Gaudu e perfino Pinot ancora in lizza con gli storici frequentatori della media classifica a piccolo cabotaggio di questi ultimi anni, i Bilbao, i Meintjes, uno spento Landa, un malinconico Guillaume Martin. Insomma il solito ciclismo dei tardi anni ’10 che non può fare altro se non correre la propria “gara nella gara nella gara” mentre davanti esplodono i lapilli della leggenda. Quanto può durare un’eruzione vulcanica?

Gabriele Bugada

Pogagar stacca Vingegaard sulle infuocate rampe del vulcano francese (Getty Images)

Pogagar stacca Vingegaard sulle infuocate rampe del vulcano francese (Getty Images)

VOLATA REGALE DI PEDERSEN A LIMOGES. IL DANESE VINCE L’8A TAPPA. CAVENDISH KO

luglio 9, 2023 by Redazione  
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Quello di Limoges era un finale particolarmente adatto a sprinter resistenti come Mads Pedersen. Il campione della Lidl-Trek non ha deluso le attese e ha conquistato l’8a tappa del Tour de France con una volata lunghissima e di rara potenza. Nulla han potuto i due fiamminghi Jasper Philipsen (Alpecin-Deceuninck), miglior velocista di quest’edizione della Grand Boucle, e Wout Van Aert (Jumbo-Visma), che deve accontentarsi dell’ennesimo amaro piazzamento di questa difficile stagione. Fuori dai giochi Mark Cavendish (Astana Qazaqstan Team) vittima di una caduta a 60 km dall’arrivo che lo ha costretto ad abbandonare la corsa e il sogno di staccare Eddy Merckx nella classifica assoluta dei vincitori di tappa al Tour. Resta quasi immutata la classifica generale se si fa eccezione delle due posizioni perse da Simon Yates (Team Jayco-AlUla), rimasto coinvolto in una caduta nel finale.

L’8a frazione del Tour, da Libourne a Limoges per un totale di 200.7 km, proponeva un tracciato tutto sommato semplice ma reso frizzante dalla presenza di diversi strappetti nel finale che sorridevano ai corridori veloci e resistenti come Wout Van Aert (Jumbo-Visma), Mads Pedersen (Lidl-Trek), Biniam Girmay (Intermarchè-Circus-Wanty) e Mathieu Van der Poel (Alpecin-Deceuninck). Andando nel dettaglio, erano presenti 3 gpm: la Côte de Champs-Romain (2.8 km al 5.2%, 3a categoria) posta ai -70 e quindi nel finale due gpm di 4a categoria, ovvero la Côte de Masmont (1.3 km al 5.5%) ai -16 e la Côte de Condat-sur-Vienne (1.2 km al 5.4%) ai -9.

La lotta per entrare nella fuga di giornata è partita sin dai primissimi chilometri ed è continuata a lungo vista la volontà di tanti corridori di centrare l’azione di giornata. Come sempre accade in questi casi, ne è venuto fuori un inizio di tappa caratterizzato da un’andatura altissima. Dopo una lunga serie di tentativi che hanno visto tra i protagonisti anche Giulio Ciccone (Lidl-Trek), la fuga buona è partita al km 22 grazie all’azione di 3 corridori: Tim Declecq (Soudal-Quick Step), Anthony Delplace (Team Arkea-Samsic) e Anthony Turgis (TotalEnergies). Un tentativo destinato a non avere buon esito visto l’esiguo numero di corridori in avanscoperta e l’intenzione di alcune squadre, Alpecin-Deceuninck e Intermarchè-Circus-Wanty su tutte, di non lasciarsi scappare l’occasione di giocarsi la tappa coi rispettivi capitanti. Il gruppo ha quindi mantenuto i battistrada sempre ad una distanza di sicurezza (vantaggio massimo di circa 5′30″). Dopo lo sprint intermedio di Tocane-Saint-Apre, una dozzina di uomini (tra cui addirittura Mathieu Van der Poel) hanno provato ad approfittare del classico rilassamento del gruppo post-volata per andare al contrattacco. La Jumbo-Visma, intuito il pericolo, ha subito messo a lavoro Dylan Van Baarle e Nathan Van Hoodydonck al fine di riprendere immediatamente i contrattaccanti. Come diretta conseguenza il gap di battistrada è rapidamente crollato sotto i 4′.

Nei chilometri successivi il distacco non è ulteriormente diminuito e così intorno ai -80 davanti al gruppo sono arrivate le maglie della Lidl (con un Ciccone molto attivo) e della Intermarchè, aumentando l’andatura del plotone e facendo diminuire di conseguenza il vantaggio dei fuggitivi. Ai -61 è arrivato il primo colpo di scena della giornata: Mark Cavendish (Astana Qazaqstan Team) è finito a terra insieme ad altri alteti. Il britannico, decisamente dolorante, è stato costretto ad alzare bandiera bianca a causa di una frattura alla clavicola che lo ha privato della possibilità di vincere una tappa al suo ultimo Tour de France (si ritirerà a fine anno) staccando Eddy Merckx nella classifica assoluta dei vincitori di tappa al Tour.
Ai -37, un pò a sorpresa, dal gruppo è uscito tutto solo Kasper Asgreen (Soudal-Quick Step). Il danese si è lanciato all’inseguimento dei 3 fuggitivi, a cui era rimasto un vantaggio ormai inferiore ai 2 minuti, ma si è dovuto arrendere dopo una quindicina di chilometri.
Il gruppo ha così imboccato il secondo gpm di giornata, la Côte de Masmont, con circa 45″ di ritrardo. A quel punto Turgis ha deciso di accelerare staccando Delaplace e Declerc per proseguire la sua fuga in solitaria. Di lì a poco in testa al gruppo sono tornate le maglie giallo-nere della Jumbo-Visma che hanno decisamente preso il comando delle operazioni andando raggiungere uno alla volta Declercq, Delaplace e Turgis. Tiesj Benoot, Nathan Van Hooydonck e Christophe Laporte hanno continuato a tenere alto il ritmo anche lungo l’ultimo strappo di giornata, la Côte de Condat-sur-Vienne.

Una volta conclusa la cote, Victor Campenaert (Lotto-Dstny) e Fred Wright (Bahrain-Victorius) hanno provato a soprendere il gruppo, ma la loro azione è stata prontamente rintuzzata dai ‘calabroni’. Poco dopo, ai -6, uno spettatore disattento ha causato una caduta nelle retrovie del gruppo che ha coinvolto Stef Cras (TotalEnergies), poi costretto al ritiro, e Simon Yates (Team Jayco-AlUla). Il britannico non è riuscito a rientrare sul plotone lanciato ad altissima velocità verso lo sprint finale ed è giunto al traguardo con un passivo di 47″ che gli è costato due posizioni nella classifica generale. Nel frattempo in testa al gruppo erano giunte le maglie blu-giallo-rosse della Lidl, con in testa Alex Kirsch, intenzionate a lanciare al meglio Mads Pedersen. Ai -500 i corridori della Lidl sono stati superati da Christophe Laporte che ha lanciato, probabilmente con troppo anticipo, la volata di Van Aert. Il francese però si è man mano piantato mentre veniva superato da un lato da Mathieu Van der Poel con Jasper Philipsen a ruota e dall’altro da Mads Pedersen. Ai 250 metri il danese ha lanciato la sua lunghissima e potente volata resistendo al timido tentativo di rimonta di Philipsen. Van Aert, rimasto chiuso dal compagno, ha provato a sua volta la rimonta ma si è dovuto accontentare della terza piazza esternando poi l sua delusione per l’ennesima occasione mancata. Quarta piazza per un Dylan Groenewegen (Team Jayco-Alula),molto bravo a resistere sullo strappo finale, davanti a Nils Eekhoff (Team DSM-Firmenich).

Classifica generale quasi immutata, al netto dei 47″ persi da Simon Yates. In testa troviamo sempre Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma) con appena 25″ su Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) e 1′34″ su Jai Hindley (Bora-Hansgrohe). Il duello tra i due fuoriclasse proseguirà nella 9a tappa, la Saint-Léonard-de-Noblat – Puy-de-Dome. La Grand Boucle tornerà sulla mitica cima del Massiccio Centrale dopo ben 35 anni.

Pierpaolo Gnisci

Mads Pedersen regale a Limoges (Getty Images)

Mads Pedersen regale a Limoges (Getty Images)

GIRO DONNE: DOPO IL RIPOSO SORPRESA VLAS

luglio 8, 2023 by Redazione  
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Il Giro Donne riparte dopo il giorno di riposo che ha permesso alla carovana rosa di raggiungere la Sardegna, sede delle ultima due tappe. Oggi nell’arrivo in volata il successo è andato alla campionessa magiara Kata Blanka Vas. Podio di giornata per Dygert e Lippert. Quarta Silvia Persico.

Il Giro Donne è ripartito oggi con la Nuoro-Sassari, una tappa che nonostante il percorso ondulato nulla ha detto per quanto riguarda la classifica generale. Molto, invece, ha detto la faccia stupita di Kata Blanka Vas (Team SD Worx) dopo aver tagliato il traguardo. La faccia di chi in un’unica espressione ha messo insieme incredulità, stupore e felicità. Tutti sentimenti piovutegli addosso dopo che la campionessa nazionale d’Ungheria ha tagliato il traguardo per prima regolando il gruppo compatto.
Alle spalle della 21enne di Budapest sono transitate nell’ordine sotto lo striscione del traguardo Chloe Dygert (Canyon//SRAM Racing) e Liane Lippert (Movistar Team). Medaglia di legno per Silvia Persico (UAE Team ADQ) che ha anticipato Ally Wollaston (AG Insurance – Soudal Quick-Step). Annemiek van Vleuten (Movistar Team), ha chiuso in 14a posizione senza alcun rischio per la sua leadership nella classifica generale-
Domani si correrà l’ultimo atto di questo Giro Donne, la Sassari-Olbia di 126 Km. Il tracciato non è particolarmente insidioso, ma potrebbe nascondere delle sorprese se venisse interpretata in maniera meno scontata. L’unica che fin’ora ha dimostrato di correre in questa maniera, però, è stata l’olandese in maglia rosa.

Mario Prato

Kata Blanka Vas vince la tappa di Sassari (Getty Images)

Kata Blanka Vas vince la tappa di Sassari (Getty Images)

PHILIPSEN FIRMA IL TRIS E NEGA IL RECORD A CAVENDISH A BORDEAUX. VINGEGAARD SEMPRE LEADER

luglio 8, 2023 by Redazione  
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Dopo una due giorni Pirenaica memorabile, la 7a tappa del Tour ha riportato alla ribalta le ruote veloci premiando ancora una volta uno Jasper Philipsen che possiamo ormai considerare a pieno titolo come il miglior sprinter del mondo (almeno in questo momento). Il 25enne belga in forza alla Alpecin-Deceuninck ha ottenuto il suo 3° successo stagionale alla Grand Boucle superando negli ultimi 50m l’eterno Mark Cavendish (Astanza Qazaqstan Team) che è andato vicinissimo dallo staccare Eddy Merckx nella speciale classifica dei plurivincitori di tappa del Tour. Per il britannico ci saranno altre chances da qui a Parigi, mentre il fiammingo di Mol oltre a vincere la sua 5a tappa al Tour ha rafforzato ulteriormente la leadership nella classifica a punti. Terza posizione per Biniam Girmay (Intermarché-Circus-Wanty) davanti ad un ottimo Luca Mozzato (Team Arkea-Samsic) e a Dylan Groenewegen (Team Jayco-Alula). Resta invariata la classifica generale che vede in testa Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma) con 25″ su Tadej Pogacar (UAE Team Emirates), 1′34″ su Jai Hindley ed oltre 3 minuti su Simon Yates (Team Jayco-Alula).

Lasciati i Pirenei alle spalle, la 7a tappa proponeva un percorso decisamente più facile e destinato ad un epilogo a ranghi compatti. La Mont-de-Marsan – Bordeaux (169,9 km) presentava infatti un solo gpm di 4 categoria (la cote de Beguey ai -40) e tantissima pianura. Niente di meglio per i velocisti reduci dalle fatiche degli ultimi due giorni.
La tappa è stata caratterizzata dalla fuga di Simon Guglielmi (Team Arkea-Samsic) che è rimasto tutto solo al comando della corsa per tanti km. Il transalpino ha raggiunto un vantaggio massimo superiore ai 7 minuti, ma ha poi inevitabilmente perso, transitando al traguardo volante di Grignols (-82) con meno di un minuto di margine sugli inseguitori. Proprio al traguardo volante la corsa si è rianimata in virtù dello sprint parziale vinto da Biniam Girmay (Intermarché-Circus-Wanty) davanti a Jasper Philipsen (Alpecin e Bryan Coquard (Cofidis). Esaurito lo slancio del traguardo volante, dal gruppo è partita una coppia formata da due francesi: Pierre Latour (TotalEnergies) e Nans Peters (Ag2r Citroen Team). Il duo inseguitore ha ripreseo Guglielmi riportando il vantaggio sul gruppo, tirato dagli uomini di Alpecin-Deceuninck e Lotto-Dstny, ad 1′15″ (-60). Peters e Latour hanno aumentato ulteriormente il ritmo in corrispondenza della Cote de Beguey, staccando uno stanco Gugliemi e aumentando il gap sul gruppo. Ai -20 il duo di testa poteva vantare ancora 40″ di vantaggio.

La lotta tra i due battistrada e il gruppo è andata avanti per diversi km: ai -10 il margine era ancora di circa mezzo minuto. A quel punto però in testa al plotone, oltre alle maglie delle squadre dei velocisti, sono giunte anche le formazioni degli uomini di classifica. La bagarre ha contribuito ad aumentare ulteriormente il ritmo avvicinando sempre di più i due battistrada. Il primo ad arrendersi è stato Peters, mentre Latour è stato ripreso soltanto ai -3. A questo punto sono stati gli uomini di Alpecin e Lotto a prendere le redini della corsa in mano. Si è così giunti al prevedibilissimo epilogo allo sprint con alcuen squadre un pò sfaldate: è il caso della Soudal-Quick Step che ha lasciato solo il suo Fabio Jakobsen. Molto meglio invece il treno della Alpecin formato da Jonas Rickaert, Mathieu Van der Poel e Jasper Philipsen. Gli uomini della Alpecin sono stati però anticipti da quelli Bora-Hansgrohe (Danny Van Poppel e Jordi Meus) che si sono fiondati in testa poco dopo lo striscione dell’ultimo km. Van der Poel ha fiutato il pericolo e ha provato a riportare avanti Philipsen, ma si è dovuto poi spostare ai -300, lasciando solo il compango di squdra. Ad approfittare della situazione è stato Mark Cavendish (Astana Qazaqstan Team) che ha provato a sorprendere gli avversari partendo lungo. Philipsen però è stato bravo a prendere la ruota del britannico per poi superarlo negli ultimissimi metri. Cavendish si è dovuto accontentare della piazza d’onore davanti ad un ottimo Biniam Girmay (Intermarchè-Circus-Wanty),Luca Mozzato (Team Arkea-Samsic) e a Dylan Groenewegen (Team Jayco-Alula).

La maglia gialla resta sulle spalle del vincitore uscente Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma) che conserva 25″ su Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) e 1′34″ su Jai Hindley.

Pierpaolo Gnisci

Tris di Philipsen a Bordeaux (Image Credit: Getty Images)

Tris di Philipsen a Bordeaux (Image Credit: Getty Images)

GIRO D’AUSTRIA, NARVAEZ VINCE 3 TAPPE E LA GENERALE

luglio 6, 2023 by Redazione  
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Jhonatan Narvaez vince tre tappe in questa edizione e fa sua la classifica generale del Giro d’Austria. Podio finale completato da Osborne e Peña

Si è corsa oggi la frazione conclusiva dell’edizione 2023 del Int. Österreich-Rundfahrt, il Giro dell’Austria. Edizione non scevra di emozioni già dalle frazioni precedenti: se in quella inaugurale a spuntarla era stato Pascal Ackermann regalando alla UAE Emirates il successo di tappa e la prima maglia di leader della generale, il secondo di giornata Jhonatan Narvaez aveva già ampiamente dimostrato di avere una delle migliori gambe in carriera finora.
Da quel secondo posto è infatti iniziato il dominio del colombiano in terre austriache: già dalla seconda frazione con arrivo a Innsbruck il giovane capitano della Ineos Grenadiers si è imposto volata su Gianni Vermeersch (Alpecin-Deceuninck) e Javier Serrano (Eolo-Kometa), conquistando la maglia di leader che sarà di fatto sua fino alla conclusione della corsa.
Successo replicato in sequenza nella terza tappa con arrivo sullo strappo di St. Johann Alpendorf, mettendo luce fra sé e i diretti avversari e dunque qualche secondo in classifica generale. Alle sue spalle nella terza frazione si piazza un ottimo Welay Hagos Berhe (Team Jayco AlUla), distanziato di 3″ e giunto insieme al compagno di squadra Jesús David Peña terzo di giornata.
La quarta e penultima frazione nella giornata di ieri vede la prima e unica vittoria italiana in questa edizione, a firma Matteo Sobrero davanti al compagno di squadra in Jayco AlUla Felix Engelhardt, dimostrando la grande quantità di talento presente in Austria per la compagine australiana.
Oggi infine, la firma d’onore sul successo finale ancora una volta di Narvaez che sulla arcigna salita di Sonntagberg attacca, si porta dietro Behre e Osborne e li distanzia sul traguardo chiudendo un Giro d’Austria da sogno per lui e la Ineos – Grenadiers.
In classifica generale secondo finale è il proprio il terzo di giornata di oggi Jason Osborne, mentre il podio è chiuso da Jesús David Peña.

Lorenzo Alessandri

Jhonatan Narvaez vince lultima frazione e la classifica generale. Photo Credit: Cyclingpro

Jhonatan Narvaez vince l'ultima frazione e la classifica generale. Photo Credit: Cyclingpro

IL TOUR SI ACCENDE A CAUTERETS. BOTTA E RISPOSTA TRA POGACAR E VINGEGAARD, NUOVA MAGLIA GIALLA

luglio 6, 2023 by Redazione  
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Dopo i duri Aspin e Tourmalet, la sesta tappa di decide sulla salita finale di Cuterets-Cambasque quando Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) stacca Jonas Vingegaard (Team Jumbo Visma) a 2 km dalla conclusione. Lo sloveno vince ed il danese è la nuova maglia gialla. Il duello continua

Quest’anno il Tour de France è entrato subito nel vivo e dopo l’inizio scoppiettante nei Paesi Baschi, le prime avvisaglie di Pirenei hanno già dato un bello scossone alla classifica con Jai Hindley (Team BORA Hansgrohe) che ieri è riuscito ad andare in fuga e dopo una scalata incisiva sul Col de Marie Blanque non ha permesso agli immediati inseguitori, tra i quali Jonas Vingegaard (Team Jumbo Visma), di raggiungerlo. Hindley ha così vinto la sua prima tappa al Tour e soprattutto ha indossato per la prima volta in carriera la maglia gialla, con cui riparte oggi da Tarbes per una frazione ancora tutta all’insù, lunga 145 km,nella quale Col d’Aspin e Col du Tourmalet (rispettivamente di prima categoria e di hors categorie) diranno molto sul prosieguo della corsa e dell’assestamento dei valori in campo. L’attesa maggiore probabilmente è per l’UAE Team Emirates, che ieri ha deluso con Tadej Pogacar e Adam Yates, quest’ultimo costretto a cedere il simbolo del primato a Hindley. Dopo la partenza da Tarbes si formava la fuga di giornata grazie all’azione di venti ciclisti: Wout van Aert (Team Jumbo Visma), Matteo Trentin (UAE Team Emirates), Michal kwiatkowski (Team INEOS Grenadiers), Neilson Powless e James Shaw (Team EF Education EasyPost), Julian Alaphilippe e Kasper Asgreen (Team Soudal Quick Step), Nikias Arndt (Team Bahrain Victorious), Benoit Cosnefroy ed Oliver Naesen (Team AG2R Citroen), Mathieu van der Poel (Team Alpecin Deceuninck), Bryan Coquard ed Anthony Perez (Team Cofidis), Ruben Guerreiro e Gorka Izagirre (Team Movistar), Krists Neilands (Team Israel Premier Tech), Christopher Juul-Jensen (Team Jayco AlUla), Matis Louvel (Team Arkéa Samsic), Tobias Halland Johannessen e Jonas Gregaard (Uno X Pro Cycling Team). Sul primo gpm della Côte de Capvern-les-Bains, posto al km 29.9, era Powless a scollinare in prima posizione. Il ciclista statunitense oggi puntava al piatto grosso, visto che i successivi gpm del Col d’Aspin e del Col du Tourmalet offrivano parecchi punti per la speciale classifica. All’inizio della scalata verso il Col d’Aspin, il vantaggio della fuga sul gruppo maglia gialla si aggirava sui 3 minuti. Powless era il primo a scollinare mentre la fuga aveva perso già alcuni pezzi. Alle spalle dei fuggitivi si alternavano in testa al gruppo maglia gialla gli uomini della BORA Hansgrohe e della Jumbo Visma. La scalata verso il Col du Tourmalet vedeva perdere ulteriori pezzi tra i fuggitivi ma anche e soprattutto nel gruppo inseguitore. Il primo dei nomi caldi a perdere contatto era Michael Woods (Team Israel Premier Tech), che si staccava dal gruppo maglia gialla a circa 5 km dalla vetta. Prima di lui si erano già staccati Rigoberto Uran ed Esteban Chaves (Team EF Education EasyPost). A circa 4 km dallo scollinamento una violenta accelerazione del Team Jumbo Vista ad opera di Dylan van Baarle metteva in fila indiana il gruppo inseguitore. Si avvantaggiavano poco dopo Tadej Pogacar (UAE Team Emirates), Sepp Kuss e Jonas Vingegaard (Team Jumbo Visma), mentre perdeva contatto Jai Hindley (Team BORA HAnsgrohe). Johannessen scollinava in prima posizione sul Col du Tourmalet ed insieme al norvegese restavano in testa alla corsa Kwiatkowski, Shaw, Guerreiro e Van Aert. Alle loro spalle, a circa 40 secondi di ritardo, inseguivano Pogacar, Vingegaard e Powless. Van Aert rallentava nella discesa e veniva ripreso dal primo gruppo inseguitore. Il belga dava così man forte a Vingegaard per riportarsi in testa alla corsa. All’inizio della salita verso il traguardo di Cauterets-Cambasque in testa erano presenti otto ciclisti, con Vingegaard e Pogacar proiettati verso l’ennesimo duello per la vittoria di tappa. Il gruppo maglia gialla inseguiva abbastanza mestamente a 2 minuti e 40 secondi di ritardo. Van Aert terminava il suo lavoro a 4 km e mezzo dalla conclusione, proprio quando iniziava il tratto più duro della salita. Restavano in testa Pogacar, Vingegaard e Kwiatkowski. Vingegaard aumentava l’andatura a poco più di 3 km dalla conclusione e solo Pogacar gli restava attaccato a ruota. Lo sloveno contrattaccava ai meno 2 e si avvantaggiava di una decina di secondi sul danese. Pogacar andava a vincere con 24 secondi di vantaggio su Vingegaard mentre Johannessen chiudeva terzo a 1 minuto e 22 secondi di ritardo. Ruben Guerreiro era quarto a 2 minuti e 6 secondi di ritardo mentre chiudeva la top five James Shaw a 2 minuti e 15 secondi di ritardo da Pogacar. La lotta per la maglia gialla sembra ormai una questione tra Vingegaard e Pogacar, con il danese che conduce di 25 secondi sullo sloveno mentre il primo degli umani, Jai Hindley (Team BORA Hansgrohe), è terzo a 1 minuto e 34 secondi di ritardo. Domani è in programma la settima tappa da Mont-de-Marsan a Bordeaux di 169.9 km. La semplice Cote de Béguey, posta a circa 40 km dal traguardo, non dovrebbe impensierire più di tanto i velocisti, che si giocheranno al 99% la vittoria.

Antonio Scarfone

Tadej Pogacar vince a Cauterets-Cambasque (foto: Getty Images)

Tadej Pogacar vince a Cauterets-Cambasque (foto: Getty Images)

GIRO DONNE: VAN VLEUTEN SEMPRE PIÙ CANNIBALE, REALINI SALE SUL PODIO

luglio 6, 2023 by Redazione  
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Ennesima dimostrazione di forza della maglia rosa. Sul traguardo sulle alture di Alassio Annemiek van Vleuten ha dimostrato per l’ennesima volta il suo strapotere in questa edizione del Giro Donne. Se il successo della fortissima olandese non è una novità, lo è invece il rimescolamento alle sue spalle in classifica. Juliette Labous e Gaia Realini, infatti, grazie al secondo posto e al terzo posto di giornata salgono nello stesso ordine alle spalle della maglia rosa.

Il Giro Donne cambia Regione, cambia strade, ma come in matematica il risultato non cambia. Anche oggi sui saliscendi dell’entroterra del ponente della provincia di Savona la più forte è sempre stata lei, la campionessa del mondo Annemiek van Vleuten vestita di rosa griffato Movistar. Ad andare a cercare il classico “pelo nell’uovo” oggi l’olandese ha lasciato un po’ più la scena alle avversarie, salvo poi involarsi all’attacco dell’ultima salita, quella che portava al traguardo del Santuario della Madonna della Guardia, e pedalata dopo pedalata ha dimostrato tutta la sua superiorità nei confronti della avversarie.
Le uniche che hanno provato a resistere alla scatenata olandese sono state Juliette Labous (Team dsm-firmenich) e Gaia Realini (Lidl – Trek). La francese si è piazzata al secondo posto a 13” mentre per l’italiana, promossa sul campo capitana della squadra dopo il ritiro di Elisa Longo Borghini, il ritardo è stato di 20”. Un piazzamento di tutto rispetto per le due che ora seguono in classifica la maglia rosa rispettivamente di 3’56” e 4’25”-
Nonostante il finale “scontato” la tappa odierna, grazie anche ad un tracciato che in parte ha “sfruttato” le strade del Trofeo Laigueglia, non è mai stata banale, anche se la superiorità di condizione della maglia rosa non faceva certo presupporre ribaltoni in classifica o imprese da ciclismo eroico. Alcuni tentativi di attacco hanno ottenuto l’unico effetto che il gruppo delle migliori tenesse alta l’andatura, perdendo costantemente elementi.
Domani si osserverà un giorno di riposo per permettere alla carovana di raggiungere la Sardegna, dove nel weekend si disputeranno le ultime due tappe.
Sabato si correrà la Nuoro – Sassari di poco meno di 126 km, mentre domenica la conclusione sarà con la Sassari – Olbia-
In entrambe le tappe il tracciato potrebbe favorire icolpi di mano ma, per quanto visto fino a questo momento, l’unica veramente in grado di interpretare la corsa con la giusta dose di coraggio e voglia di attaccare è colei che indossa la Maglia Rosa e che sembra destinata a portare a casa il suo quarto Giro dopo i successi del ’18, ’19 e ’22.

Mario Prato

Ennesima dimostrazione di forza della Van Vleuten sulle strade del Giro Donne (Getty Images)

Ennesima dimostrazione di forza della Van Vleuten sulle strade del Giro Donne (Getty Images)

VINGE, IL CAVALIERE PALLIDO FA SBIANCARE POGI (E IL MONDO)

luglio 6, 2023 by Redazione  
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Laruns o Laredo? Tappa western, sottofondo di Morricone, Vingegaard spara più veloce che la propria ombra. Ma tappa e maglia vanno al coraggioso Hindley.

Tappa complessa, tappa avventurosa. Tappa che comincia come scontro fra squadre e finisce come un duello fra singoli. La tensione è altissima fin dal via quando prende il largo, dopo una lotta acerrima durata per oltre trenta km, una fuga potentissima di quasi quaranta atleti. Nubi nere metaforiche riempiono il cielo pirenaico, aria di Giro, aria di L’Aquila 2010, ma qui siamo oltre la fuga bidone, qui vibra nell’atmosfera una vera e propria “electrical storm”, fulmini e saette pronti e percorrere l’alta classifica: per una volta, vanno applaudite a scena aperta le formazioni che cercano una via alternativa per rompere il duopolio a cui sembrerebbe improntato il Tour.

Ecco allora che la Trek lancia in avanti Ciccone (anche se l’uomo per la classifica generale è il giovanissimo danese Skjelmose) accompagnato da due scudieri di primissima categoria come Juanpe López – a lungo maglia rosa del Giro 2022 – e l’ex campione del mondo Pedersen, idem per la Ag2R che accompagna il proprio capitano Gall con il già vincente Paret-Peintre o il promettente scalatore Berthet, la Quickstep che spedisce in avanti Alaphilippe (più per la tappa, invero) con due guardie del corpo d’eccezione quali Cavagna e Asgreen, e via dicendo, con formula simile ma ridotta a duo, con Van Gils scortato da Campenaerts per la Lotto, Matteo Jorgenson supportato da Mühlberger in casa Movistar, Martínez e Fraile per la INEOS.

Volutamente lasciamo per ultimi gli autori di quel che sarà il capolavoro di giornata, i BORA che già ci regalarono con un’azione orchestrale la tappa più memorabile del Giro 2022, quella di Torino: in fuga c’è proprio Jai Hindley, vincitore del Giro proprio quell’anno ma già secondo dietro Tao nel 2020. È al suo primo Tour, ma questo Tour non è più come quelli “di una volta”: qui di cronometro, specialità dove Hindley tentennava, ce n’è pochina. Questo è un Tour dove Hindley può fare quel che gli riesce meglio, aprire il gas con veemenza in qualche arrivo in salita strategico. È assolutamente anomalo che una figura di questo calibro sia riuscita a mettersi in fuga, che glielo si sia consentito, da parte del gruppo, ma anche da parte della fuga stessa, che gradirebbe la serenità di non vedersi inseguita alla morte. Ma la quadratura del cerchio riesce, e Hindley si trova in testa alla gara con due compagni di primissimo livello, a propria volta già, nel recente passato, grandi speranze per l’alta classifica dei movimenti austriaco e tedesco: Konrad e Buchmann.

La chiave di volta tattica è probabilmente la Jumbo che realizza, forse involontariamente, se non direttamente per sbaglio, un altro capolavoro di strategia, certamente stavolta con molta complicità da parte dell’ingenua tracotanza in casa UAE. Il punto della questione è infatti che in testa alla corsa c’è anche Wout Van Aert, anzi c’è una bella fetta del comparto classiche dello squadrone giallonero, stante il fatto che Wout ha al proprio fianco Laporte e un jolly come Benoot. Parliamo degli uomini chiave per le tappe del Galibier e dell’Hautacam l’anno scorso.

E allora qui va segnalata una prima differenza importante, rispetto a un finale che – quello sì, come vedremo – ricorda un po’ troppo la Sky dei tempi d’oro: durante i più soporiferi Tour Sky, le fughe massive della prima settimana si sganciavano con facilità a causa di accordi più o meno taciti di natura preventiva, vale a dire che tali fughe massive erano il frutto di equilibri politici che non si esprimevano in un braccio di ferro sulla strada. Idem dicasi per l’era Armstrong. Durante quei lunghi periodi di dominio, era rara la pratica ora più comune (così come era comune nel ciclismo storico, fino agli anni Ottanta) di dover negoziare la formazione della fuga a base di scatti, controscatti, trenate, chiusure, con medie altissime per mezzora, un’ora o anche più. La fuga riceveva il beneplacito dei pope del peloton con un gesto benedicente, e tanti saluti. La corsa era già controllata fuori dal nastro d’asfalto e prima che si sbandierasse il via. Tant’è che le poche eccezioni sono restate nella storia dello sport, direttamente, a prescindere dal fatto di aver o meno scosso la classifica finale. Qui la situazione, per i motivi che siano, prende un colore diverso, con una gestione degli uomini Jumbo arrischiata, dividendo il team e spostandone il baricentro all’attacco.

E i motivi magari sono bizzarri, come una possibile insurrezione di Van Aert che, insoddisfatto per non avere ancora vinto la sua brava tappetta, decide di prendere il largo con un paio di fedelissimi per farsi i fatti propri. Fatto sta che la giocata, potenzialmente suicida, anche per via della gamba non pienissima dello stesso Wout, si trasforma invece in colpo di genio. La fuga si sente corroborata dalla presenza del carismatico belga e riceve generose iniezioni di vantaggio grazie ai suoi sodali. Dietro la Jumbo stessa non tira, e viceversa si profonde da subito la UAE in solitario: ma così la minaccia per la fuga è assolutamente relativa e percepita come gestibile. Risultato? Nessuno si propone di cacciar via a base di attacchi ad personam il buon Hindley, che naviga fino al finale sostanzialmente a ruota e sostanzialmene indisturbato. Perfetto.

La UAE stessa si consola con la presenza, là davanti, di due alfieri di peso e prestigio, vale a dire Marc Soler e Grossschartner (Austria e Danimarca, come si vede anche oggi, sempre paesi in grandissimo spolvero, esibendo una “muscolatura” del proprio movimento ciclistico anche superiore alle attese, già interessanti). C’è perfino un momento in cui sembrerebbe che la Jumbo, per incapacità di dare un senso chiaro alla missione di Van Aert là davanti, stia in realtà servendo su un piatto d’argento la giocata magistrale a Pogacar: due forti gregari che si riposano in testa, se in qualche momento Pogi aprisse un buco anche piccolo, poi potrebbe agganciarli e dilatare le differenze. Questa la nota tattica che ronza come un basso continuo sullo sfondo di un distacco che oscilla in modo elastico fra i due e i quattro minuti. Un’area di indefinizione che apre ogni ventaglio di possibilità e rende lo scenario appassionante da seguire minuto per minuto, con l’aggiunta ulteriore delle sorprese che la fuga in sé riserva con le proprie dinamiche: Van Aert che anticipa il Soudet, regge con lui solo Campenaerts, e già si pregusta una cavalcata trionfale del “crossista”. Poi però in salita salta fuori che Wout non è più (o non è ancora) l’uomo dell’Hautacam, Juanpe López lavorando per Ciccone lo riporta a tiro, e i nomi forti con la strada all’insù appaiono altri, lo stesso Ciccone, ma ancor più l’arrembante Felix Gall, Dani Felipe Martínez (tutti questi a caccia di punti per la maglia a pois), e naturalmente, assai sornione, il buon Hindley, sempre al coperto. Poi tanti rientri in discesa, e di nuovo Wout a provare l’anticipo, stavolta con Alaphilippe, sulla scia di Neilands, l’uomo delle evasioni a sorpresa.

Fuochi d’artificio, o una sparatoria da saloon, a volte con la sensazione che alcuni cowboys siano perfino un po’ alticci, esaltati dalla possibilità di una vittoria inattesa, giacché dietro avvertono che sta prendendo piede il panico, nelle fila UAE. Soler e Grossschartner vengono richiamati in sequenza per lavorare in testa al gruppo, una marcia indietro che tatticamente comunque penalizza il team, dunque una correzione per evitare mali peggiori, ma con l’inevitabile sentore di confusione e di aver dunque sbagliato tutti i conti.

Arriva il Marie Blanque, lo spauracchio dei Pirenei occidentali, ed è ora di vedere tutti i bluff al tavolo da poker. Hindley se ne va con Gall, poi da solo. Ciccone insegue, il migliore degli altri, con l’altro BORA, Buchmann, sempre sulle ruote a far da stopper (ma a questo punto conta poco, giusto una remora psicologica). Il resto della maxifuga, disperso. Dietro la UAE prende la salita con un certo piglio, ma la Jumbo ha altro in mente. Kuss inietta veleno nei polpacci del gruppo con una delle sue accelerazioni da scalatore puro, potenziata da una bella trenata aggiuntiva da parte di – indovina chi? – Wout Van Aert, incrociato come per caso a mezza salita. In un batter di ciglia il gruppo dei favoriti è sfatto, ridotto al trio Kuss, Vinge, Pogi. Aveva provato a restare attaccato con le unghie il giovanissimo spagnolo della INEOS, Carlos Rodríguez, ma naturalmente scoppia e rimbalza, anche se poi riuscirà a salvare un piazzamento nei dieci, subito dietro il più cauto Gaudu, che ancora ricorda le sberle prese in edizioni anteriori del Tour dai Bud Spencer e Terence Hill che menano forte là davanti. Altro giovinetto pimpante Skjelmose, per il quale come vedremo corre la Trek (ora non più Segafredo ma Lidl). Del resto del panorama intero del ciclismo mondiale, non vanno a fondo, per un filo, giusto i gemelli Yates.

Ma non è finita. Perché deve ancora sparare Vingegaard. E Vingegaard spara. Pogacar nemmeno abbozza una mezza risposta. Quando l’uomo con il fucile, oggi evidentemente Vingegaard, incontra Pogacar armato di pistola, il secondo è un uomo morto. E che fucile impugna Vingegaard oggi. Non si era vista negli ultimi quindici anni un’erogazione di potenza del genere in salita. Praticamente 7 w/kg durante 20 minuti. L’unico termine di paragone disponibile è il Contador di Verbier. O prima, Pantani. Con il dato ancor più traumatico che questa potenza media già di per sé sconvolgente si distribuisce – il che normalmente è meno efficace – in modo disomogeneo, in una curva di continuo aumento ininterrotto. Nell’ultimo km del Marie Blanque c’è stata fra Vingegaard e Pogacar la stessa differenza proporzionale che normalmente può correre fra un professionista e un amatore seppur ben preparato. Ora, è evidente che Pogacar non è al meglio, perché così lo attesta il fatto di non aver potuto sganciarsi di ruota Kuss, che pure aveva ben lavorato in precedenza: lo sloveno doveva essere già al limite, come si deduce anche dall’incapacità di alzare il ritmo quando, dopo la discesa, si arriva a un breve tratto di pianura e flasopiani in teoria a lui più favorevole. È però altrettanto evidente che il livello prestazionale proposto da Vingegaard non ha semplicemente molti termini di paragone fisiologici nel corso della storia del ciclismo tutta.

Dopo il Marie-Blanque, tocca remare, e Vingegaard da bravo vichingo, rema, eccome se rema. Solo soletto riprende tutti i componenti della fuga, tranne Hindley, che vincerà la tappa e andrà in maglia gialla, aprendo così una breccia interessantissima rispetto allo scenario di duopolio che un po’ già ci annoiava prima del via. Hindley comunque si salva per un misero mezzo minuto, tanto per capirci. Dietro Ciccone si arrabbia anche un po’ perché in ammiraglia gli proibiscono di collaborare con Vinge, e così chiudere su Hindley per giocarsi la tappa: ma l’ammiraglia preferisce non dilatare il distacco su Skjelmose che insegue (davvero pensano di giocarsi una vittoria generale del Tour con Skjelmose? Danish power a gogo. Ma magari!). Peccato, perché la volata per il secondo posto la stravince proprio Giulio, con Vingegaard, per fortuna, diciamolo, che si sgancia esausto quando gli altri, che andavano al traino, lanciano lo sprint. Dietro Pogacar arriva mestamente con un gruppo raccogliticcio assemblatosi in discesa, fugaioli superstiti, più altri frammenti dell’esplosione avvenuta in classifica generale. Ora è quasi due minuti dietro la maglia gialla Hindley, e quasi un minuto dietro Vingegaard. Ma Vingegaard ha sentito il sapore del sangue, e potrebbe cercare già sul Tourmalet di chiudere la pratica Pogacar. Magari alleandosi con Hindley e lasciando la gialla a quest’ultimo. Oppure basterà una revolverata nel breve muro di un paio di km che interrompe la monotonia del falsopiano ascendente verso Cauterets. Oppure… Oppure… Oppure chi lo sa, perché questo Tour è partito scoppiettante. Chiudiamo con un altro dato numerico, apertissimo a revisioni naturalmente: la giornata di ieri ci riporta al ciclismo delle maturazioni graduali, agli atleti che fino ai 25-26 anni regalano giusto sprazzi e poi solo da lì in poi vanno affermandosi con crescente sicurezza. Se Bernal, Evenepoel o Pogacar ci avevano in qualche modo proiettato verso il ciclismo precoce dei Coppi, dei Gimondi, dei Merckx, degli Hinault, ci troviamo – insisto, ad oggi – ad ammirare una generale provvisoria dove Pogacar 24enne è fra i pochi più giovani, ma sul serio, con giusto Skjelmose 8º, Carlos Rodríguez 9º e Pidcock 13º a rappresentare il mondo under 23. Hindley, Vingegaard, Ciccone, gli Yates, Buchmann, Kuss ancora una volta sugli scudi, sono tutti esempi invece di maturazione graduale, come potrebbe essere Gaudu, mentre si affacciano ancora sullo sfondo alcuni “vecchietti” di qualità come Bardet, Kelderman o Landa (Woods storia diversa per il cambio di disciplina, un po’ alla Roglic). Anche fra gli eroi di giornata, Gall o Dani Felipe o Jack Haig corrispondono al profilo, più abituale per chi ha seguito il ciclismo degli anni Novanta e Duemila, di una piena espressione del potenziale solo quando si passi il crinale dei 25 anni. Vedremo se anche la classifica generale finale confermerà questa tendenza o resterà un’eccezione del momento. Simbolico che un Pogi fatto impallidire dal pallidissimo Vingegaard indossi la maglia bianca, stavolta senza prestarla a terzi, e inoltre perché oggi come oggi ne sembra l’autentico titolare più che un rivale alla pari del danese per la gialla.

Gabriele Bugada

Vingegaard allattacco sulle rampe del Marie-Blanque (foto Michael Steele/Getty Images)

Vingegaard all'attacco sulle rampe del Marie-Blanque (foto Michael Steele/Getty Images)

VAN VLEUTEN BRINDA ANCHE A CANELLI, SEMPRE PIÙ PADRONA DEL GIRO DONNE

luglio 5, 2023 by Redazione  
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La Campionessa del mondo si conferma padrona di questo Giro 2023. L’arrivo in solitaria a Canelli ha sancito, nel caso ce ne fosse stato bisogno, che l’olandese è decisamente molto al di sopra delle sue avversarie. Prima delle terrestri la campionessa europea Lorena Wiebes, che ha preceduto la Campionessa Nazionale di Germania Liana Lippert in uno sprint a due. Quarta l’italiana Soraya Paladin.

Nel caso ci fossero stati ancora dubbi, sulla tenuta atletica e sulla aggressività sportiva della portacolori del Team Movistar Annemiek Van Vleuten, l’arrivo di oggi gli ha fugati tutti.
La campionessa del mondo in carica, alla soglia dei 41 anni, non si risparmia, non fa calcoli, non corre di conserva. Con il vantaggio in classifica che aveva alla partenza della sesta tappa avrebbe potuto starsene tranquilla in gruppo a far fare la corsa a chi ha ancora speranze se non di spodestarla, almeno di lottare per i restanti gradini del podio. La disavventura occorsa ieri alla campionessa italiana Longo Borghini, non partita oggi, le aveva tolto colei che fino a poco prima dell’incidente aveva dimostrato di essere l’unica in grado, se non di batterla, comunque di impensierirla. A questo si deve aggiungere la caduta che ha costretto al ritiro la vincitrice di ieri, la tedesca Antonia Niedermaier (Canyon//SRAM Racing), che la seguiva in classifica. Si poteva prospettare quindi un proseguo di Giro Donne all’insegna del controllo e del risparmio di energie per la Maglia Rosa. Due termini che molto probabilmente non appartengono al vocabolario dell’olandese.
La tappa odierna è stata interpretata a viso aperto, ma la Maglia Rosa si è sempre dimostrata pronta e presente, senza mai risparmiarsi. Nelle fasi decisive, con il gruppo di testa ormai ridotto a poco più di una quarantina di ragazze, la DSM si è messa in mostra con l’intenzione di appropinquarsi all’ultima salita di giornata con Juliette Labous nelle migliori condizioni per fare bene. Infatti, è stata proprio la francese a forzare l’andatura sul GPM di Calosso, facendo però il gioco della Maglia Rosa che ha aperto il gas e ha salutato la compagnia. L’ennesimo assolo vincente dell’olandese ha dimostra ulteriormente che la Van Vleuten vuole portarsi a casa questo Giro senza se e senza ma.
A questo punto, con la maglia rosa involata verso il traguardo, le atlete che le si trovano appena dietro in classifica si sono organizzate per andare a cogliere almeno le posizioni di rincalzo, anche perché con le uscite di scena della Longo Borghini e della Niedermaier si aprono importanti spiragli per andare ad occupare i gradini più bassi del podio. Tornando alla tappa odierna seconda a 20″ si è piazzata Lorena Wiebes (Team SD Worx) che ha avuto la meglio sullatedesca Liane Lippert (Movistar Team). A 25″ si è piazzata Soraya Paladin (Canyon//SRAM Racing), mentre dopo altre 3 secondi Silvia Persico (UAE Team ADQ) ha avuto la meglio su altre tre componenti del primo gruppetto inseguitore.
In classifica generale alle spalle dell’olandese troviamo la statunitense Veronica Ewers (EF Education-TIBCO-SVB) a 3′03″, la francese Labous a 3′39″ e Gaia Realini (Lidl – Trek), prima delle italiane, a 3′59″.
Domani il carrozzone del Giro Donne si trasferirà in Liguria per la Albenga-Alassio, tappa dopo la quale si osserverà un giorno di riposo per effettuare la traversata che condurrà in terra sarda. L’arrivo in salita di domani al santuario della Guardia potrebbe essere l’ennesimo palcoscenico per la Maglia Rosa, sempre più decisa a essere padrona di questa edizione del Giro.

Mario Prato

La Van Vlauten allattacco tra i vigneti del Monferrato (foto Getty)

La Van Vlauten all'attacco tra i vigneti del Monferrato (foto Getty)

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