SPAGNA PADRONA DEL BELGIO: ADRIA’ BATTE ARANBURU IN VALLONIA

settembre 20, 2024 by Redazione  
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Termina anche quest’anno con una vittoria spagnola il Grand Prix de Wallonie, per la precisione con una doppietta targata Adrià (Red Bull – BORA), Aranburu (Movistar) che succede a Serrano, vincitore della passata edizione.

Partenza da Blegny, antica terra di miniere (Patrimonio dell’Unesco) e minatori, molti dei quali italiani. Oltre 200km e diverse “côtes” più tardi l’arrivo a Namur.
La corsa è animata per lunga parte da una fuga di sei uomini: Kenny Molly (Van Rysel), Michiel Lambrecht (Bingoal), Gleb Brussenskiy (Astana), Arno Claeys (Flanders), Mulu Kinfe Hailemichael (Caja Rural) e Jan Sommer (Q36.5). Attorno ai -50km i fuggitivi sono stati ripresi e dal gruppo sono usciti una ventina di corridori, sempre tenuti a distanza di controllo dal grosso del plotone. Successivamente il forcing di Movistar, Red Bull, Lotto e Uno-X ha tenuto sotto controllo gli ultimi tentativi di Mads Wurtz-Schmidt (Israel – Premier Tech) e Georg Zimmermann (Intermarche) portando il gruppo alla volata finale.
Lo sprint è stato apannaggio degli spagnoli con il nostro Matteo Trentin (Tudor), ben posizionato a ruota di Alex Aranburu (Movistar Team), caduto per un contatto con l’altro italiano Filippo Baroncini (UAE). Roger Adrià
(Red Bull – BORA – Hansgrohe) che ha sfruttato la volata lunga lanciata dal Aranburu superandolo nel finale. Alle loro spalle si sono piazzati Clément Champoussin (Arkéa), Biniam Girmay (Intermarche) e Rick Pluimers (Tudor), mentre fuori dalla top five sono giunti i padroni di casa con Tim Wellens (UAE) sesto davanti a Quinten Hermans (Alpecin). Solo 13° Vincenzo Albanese (Arkéa), primo degli italiani.

Andrea Mastrangelo

Adrià si impone nel 64° Grand Prix de Wallonie (Getty Images)

Adrià si impone nel 64° Grand Prix de Wallonie (Getty Images)

POGACAR E’ TORNATO, LO SLOVEVO DOMINA IL GRAN PREMIO DI MONTREAL FINISCE

settembre 16, 2024 by Redazione  
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Era ritornato alle corse solo tre giorni fa, dopo quasi due mesi di digiuno seguito alla vittoria al Tour de France. Il tempo di ritrovare il feeling con il gruppo nel Grand Prix Cycliste de Québec e poi è tornato a far sfoggio delle sue doti e della sua classe nella corsa di Montréal, vinta in solitaria.

Il tempo che accoglie partecipanti e spettatori del Gran Prix Cycliste de Montréal è simile a quello di cui gli stessi avevano goduto in Québec, due giorni prima, nella gara vinta dal redivivo sprinter australiano Michael Matthews (Team Jayco AlUla): 20 gradi, cielo sereno, 70% di umidità. Analogo è il paesaggio circostante, parchi verdi a spezzare il tessuto urbano delle metropoli, identico il fiume che scorre nella città, quel San Lorenzo che collega il lago Ontario con l’Oceano Atlantico. Considerando la somiglianza delle due corse, che si disputano entrambe in un circuito cittadino lungo poco più di 12 chilometri, da ripetere 16 volte (a Québec) o 17 (a Montréal), e nel quale spiccano alcune “côtes” tutt’altro che proibitive. Tutti si domandano se l’esito sarà lo stesso, cosa in effetti successa due volte nella breve storia delle due “canadesi”: nel 2014, quando a vincerle fu il grande passista australiano Simon Gerrans (una Sanremo e una Liegi al suo attivo, oltre a tappe nei tre Grandi Giri) e nel 2018, quando proprio Matthews ci riuscì.
L’australiano, tornato a grandi livelli dopo 5 anni molto avari di vittorie (nonostante una vittoria di tappa al Giro e una al Tour), è ovviamente tra i principali favoriti della gara- Ma il corridore che più di ogni altro sembra avere le carte in regola per dominarla, e che a sua volta l’ha vinta due anni fa, è ovviamente Tadej Pogacar (UAE Team Emirates), settimo venerdì scorso; a contendergli la vittoria ci sono Matteo Jorgenson (Team Visma | Lease a Bike), unico dei “big” ad averci provato seriamente l’altroieri, e naturalmente Biniam Girmay (Intermarché – Wanty), che in caso di volata di gruppo sarebbe di certo fra i primissimi e che venerdì è arrivato secondo. Non dimentichiamo poi il giovane talento belga Arnaud De Lie (Lotto Dstny), vincitore in Québec l’anno scorso e che l’altroieri, pur non riuscendo nel bis, è riuscito a stoppare un Pogacar che aveva già iniziato lo scatto decisivo; poi ci sono Juan Ayuso (UAE Team Emirates), Stephen Williams (Israel – Premier Tech), Simon Yates (Team Jayco AlUla), Julian Alaphilippe (Soudal Quick-Step), Ben Healy (EF Education – EasyPost), Romain Bardet (Team dsm-firmenich PostNL), Jai Hindley (Red Bull – BORA – hansgrohe) e il nostro Alberto Bettiol (Astana Qazaqstan Team), unico italiano quest’anno capace di vincere qualche corsa in linea importante. Adam Yates (UAE Team Emirates), vincitore l’anno scorso, è assente dopo aver portato a termine da pochi giorni una discreta Vuelta.
Si parte alle 10.15 (ora locale, le 16.15 ora italiana) e quasi subito inizia la prima “côte”, una salita non banale, lunga oltre due chilometri con una pendenza media del 6% (e punte superiori al 10%), che porta a 208 metri di quota, in cima alla collina intitolata a Camillien Houde, politico canadese che è stato a lungo sindaco di Montréal. Proprio su questa salita partì, due anni fa, l’attacco decisivo di Pogacar, che riuscì a staccare quasi tutti i suoi avversari finendo poi per vincere la volata ristretta ai pochi superstiti (tra cui Van Aert, oggi assente dopo il grave incidente alla Vuelta). Il resto del circuito è prevalentemente in leggera discesa e si svolge in buona parte nel parco del Mount Royal, anche se due brevi ma ripide “côtes” di poche centinaia di metri l’una, al sesto e poi al nono chilometro del circuito, rendono la faccenda un po’ più complicata; anche gli ultimi 300 metri sono un po’ in salita, cosa che certamente avrà il suo peso se si dovesse arrivare in volata, sia ristretta, sia di gruppo.
Contrariamente a quanto si era visto venerdì, la consueta fuga non parte subito, anche se qualche corridore, di tanto in tanto, prova ad allungare. È solo nel corso del secondo giro che si avvantaggiano il giovanissimo ma promettente canadese Michael Leonard (INEOS Grenadiers, campione nazionale U23 a cronometro) e il giovane ma già esperto belga Gil Gelders (Soudal Quick-Step, due tappe vinte al Giro U23): sulla linea di arrivo i due hanno già un paio di minuti sul gruppo e nel corso del terzo giro vengono raggiunti dal navigato passista belga Dries De Bondt (Decathlon AG2R La Mondiale Team, con un campionato belga e una tappa al Giro nel suo palmarès). Il vantaggio sul gruppo che, inquadrato dall’alto, sembra procedere ad andatura cicloturistica, sale a 4 minuti nel corso del quarto giro e a ben 5 sulla linea di arrivo. È a questo punto che la UAE inizia a tirare e tanto basta a far calare lo svantaggio del gruppo a 3’20” alla fine del quinto giro e a meno di 2’40” alla fine del sesto. Il vantaggio dei fuggitivi si stabilizza intorno ai tre minuti nei giri successivi, mentre la noia regna sovrana e iniziano anche difficoltà di collegamento, con le immagini in diretta che lasciano il posto a riprese panoramiche di Montreal, agli “highlights” delle precedenti edizioni e a qualche intervista ai protagonisti: la decima volta che vengono inquadrati il ponte Jacques Cartier (dedicato all’esploratore che scoprì queste zone) e la chiesa di Saint Joseph du Mont-Royal diventa inevitabile chiedersi se davvero le due gare canadesi abbiano l’importanza data da loro dall’UCI e dagli sponsor. Quando le immagini tornano in diretta siamo ormai nel 12esimo giro (poco più di 5 alla fine) e si scopre che i tre battistrada hanno ancora 1’20” di vantaggio e che De Lie ha abbandonato. La stessa sorte tocca ben presto al nostro Bettiol, che dopo aver vinto il campionato italiano quasi tre mesi fa è entrato in una crisi dalla quale, con ogni evidenza, non riesce ad uscire. Non vanno mai in crisi, viceversa, i gregari della UAE: a tirare il gruppo concedendosi poche soste sono stati prima Igor Arrieta, poi Domen Novak e infine Finn Fisher-Black ed è grazie al loro sforzo che nel 13esimo giro il vantaggio dei tre fuggitivi si riduce a 30 secondi. È a questo punto che lo sloveno Matej Mohorič (Bahrain – Victorious), famoso per una Sanremo vinta in maniera rocambolesca due anni fa, esce di prepotenza dal gruppo e si riporta sui battistrada (diventati due dopo il cedimento di De Bondt) sulla linea di arrivo, quando mancano ancora 4 giri (quasi 50 chilometri) al termine della corsa. È improbabile che Pogacar, pur connazionale di Mohorič, lasci fare: e infatti la UAE continua a tirare il gruppo, che dopo le ripetute salite sulla salita di Camillien Houde sembra essersi molto ridotto e il cui distacco rimane a lungo sui 30 secondi; anche qualcuno dei più forti, tra i quali Girmay, inizia a staccarsene. Durante il quartultimo giro Leonard cede di schianto e viene subito ripreso, così che con Mohorič resta il solo Gelders. Inevitabilmente i due superstiti finiscono per cedere a loro volta e vengono ripresi dal gruppo (che ormai conta poco più di 40 corridori) all’inizio del terzultimo giro. Senza più nessuno in fuga tutti si rilassano e percorrono questo giro compatti e allargati, godendosi il fresco e il panorama, mentre da dietro qualcuno rientra sino a far risalire il numero totale dei suoi componenti ad una cinquantina; nel frattempo abbandona anche Ayuso. Inizia il penultimo giro e finalmente qualcosa cambia, poiché sulla salita di Camillien Houde Rafał Majka, il più forte dei gregari di Pogacar, si lancia in un micidiale forcing del quale si scopre ben presto la ragione: il grande sloveno parte nel tratto più duro della salita e, diversamente da quanto accaduto venerdì, riesce subito a fare il vuoto. Il gruppo si sfilaccia e si riduce a una ventina di corridori. Nessuno tenta l’inseguimento solitario e in cima alla salita Pogacar ha già una ventina di secondi di vantaggio. Ancora qualche chilometro di attesa e ci prova Neilson Powless (EF Education – EasyPost), ma la convinzione è poca e il suo tentativo ha breve durata. A un paio di chilometri dalla linea d’arrivo ci prova infine Alaphilippe, poi affiancato da altri tre corridori, fra cui Jorgenson e lo spagnolo Pello Bilbao (Bahrain – Victorious), vincitore di tappe un po’ dappertutto ma non eccelso nelle corse in linea; ciò nonostante il vantaggio di Pogacar continua a salire inesorabilmente sino a raggiungere 30 secondi – 45 sul resto del gruppo – all’inizio dell’ultimo giro; sull’ultima salita i quattro al suo inseguimento cedono uno dopo l’altro e vengono riassorbiti dal gruppo; il solo Bilbao, con tenacia ma senza speranza, continua ad inseguire da solo lo sloveno. Pogacar, implacabile, aumenta progressivamente il suo vantaggio che nel finale arriva a sfiorare il minuto, e la sua cavalcata assume toni talmente trionfali che negli ultimi duecento metri si vede qualcosa di inaudito: lo sloveno rallenta e quasi si ferma a stringere le mani degli spettatori in delirio, prima ancora di varcare la linea del traguardo! Bilbao ne approfitta per portarsi a soli 24 secondi, cogliendo un prestigioso secondo posto che vale quasi quanto una vittoria, e alle sue spalle ciò che resta del gruppo è regolato da Alaphilippe dopo una dura volata. Matthews è fra i ritirati.
Inizia così, con una vittoria delle sue, l’ultima parte della stagione di Tadej Pogacar, il nuovo Merckx: una gara che stava facendo addormentare gli spettatori, non molto diversa da quella di venerdì, si è invece trasformata negli ultimi giri in una dimostrazione di forza a tratti esaltante, di quelle a cui ci stiamo nuovamente abituando solo da qualche anno e che una volta erano la regola, non l’eccezione. Il podio, quasi a voler consacrare quella che è stata forse la più bella edizione di questa corsa, è di tutto rispetto. Dopo la scarsa combattività da tutti mostrata venerdì, persino dallo stesso Pogacar, ce n’era un gran bisogno.

Andrea Carta

Pogacar vince ledizione 2024 del Gran Premio di Montreal (Getty Images)

Pogacar vince l'edizione 2024 del Gran Premio di Montreal (Getty Images)

­EUROPEO A MERLIER. L’ITALIA FA LA CORSA MA RESTA A BOCCA ASCIUTTA

settembre 15, 2024 by Redazione  
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Va ad un corridore di casa l’europeo 2024. Il Belgio, che si presentava con due punte di lusso visto il percorso, lascia all’Italia l’onere di controllare la corsa e di chiudere sull’attacco più pericoloso. Nel finale, i nostri lasciano a desiderare nel preparare lo sprint e Milan resta chiuso, uscendo addirittura dai dieci. Polemiche per la scia prolungata di Merlier dopo una foratura.

Il campionato europeo di ciclismo è una corsa relativamente giovane e sono numerose le perplessità sul senso stesso di una corsa a carattere continentale.
Se in uno sport come il calcio o la pallavolo la presenza di un campionato nazionale che si svolge in un’intera stagione giustifica una rassegna continentale, nel ciclismo, sport in cui le corse professionistiche sono quasi tutte a carattere mondiale, non si sentiva il bisogno di questa invenzione.
Se poi ci si sforza anche per inventare percorsi insipidi cercando di mascherarli con un paio di tratti di pavè per nulla difficili e due strappi di meno di un chilometro con pendenze del 4%, le perplessità aumentano.
Un tracciato per velocisti in una corsa che aspira a diventare una classica importante, vista anche la copertura televisiva degna di un mondiale, è abbastanza deprimente.
Cervellotico pure lo sviluppo, con due circuiti da percorrere poche volte intervallati da tratti in linea con il primo percorso che veniva ripreso nel finale.
Il percorso quindi sorrideva agli sprinter che dovevano semplicemente reggere la distanza, che quando supera i 200 Km è comunque una difficoltà di cui tenere conto, e tenere gli occhi aperti sulle poche insidie presenti.
Come spesso accade, la classe di alcuni corridori riesce, anche se solo in parte, a rimediare alle mancanze degli organizzatori e così abbiamo visto andare in scena tanti attacchi nella fase centrale di corsa con ottimi corridori che, nonostante la loro grandissima classe, non hanno mai avuto seriamente speranze.
Nelle prime fas la corsa è stata caratterizzata dall’attacco di Mathis Le Berre (Francia), Nils Brun (Svizzera), Ivo Oliveira (Portogallo), Felix Ritzinger (Austria) e Jonas Rutsch (Germania)
La presenza di un corridore francese non ha impedito a Remi Cavagna di mettersi in testa al gruppo a tirare in modo per nulla timido, tanto da impedire alla fuga di prendere il largo. Dal canto suo Le Berre, sollecitato dal direttore sportivo, ha iniziato a non collaborare prendendosi gli improperi dei compagni di avventura.
La strategia è stata vista come singolare un po’ da tutti, ma l’impressione è che ci siano state gravi carenze nella preparazione della gara perché, se è vero che in corse come quella di oggi i corridori non sono in comunicazione con i direttori sportivi, è altrettanto vero che certi attacchi e certe strategie dovrebbero essere quasi degli automatismi. E’ impensabile che non fosse stato stabilito che, in caso di attacco nelle prima fasi di gara, Le Berre si sarebbe inserito. La soluzione potrebbe essere anche un’iniziativa personale di Cavagna, che ha declinato l’invito del capitano Christophe Laporte a rallentare l’andatura.
La situazione è rientrata quando è stato Jacopo Mosca a prendere in mano le redini dell’inseguimento e Le Berre che ha ripreso la collaborazione in testa alla corsa.
Intorno ai 115 Km dall’arrivo si forma un gruppetto di contrattaccanti di lusso. Ne fanno parte Mathieu van der Poel, Mike Teunissen (Paesi Bassi), Mads Pedersen, Soren Kragh Andersen (Danimarca), Matteo Trentin (Italia), Jordi Meeus (Belgio), Michal Paluta (Polonia) ed Erik Fetter (Ungheria).
Questo gruppo non ha spazio a causa della reazione del plotone ma, da qui in avanti, è un continuo di scatti e controscatti con Van der Poel particolarmente attivo.
Nel corso di questa girandola di attacchi Tim Merlier (Belgio) fora e per riportarsi in gruppo sfrutta per molti chilometri la scia dell’ammiraglia. Ovviamente in tali situazioni si cerca di chiudere un occhio in favore del corridore sfortunato ma, in questo caso, l’impressione è che i giudici gli occhi li abbiano chiusi entrambi, perché la scia è stata davvero molto prolungata e forse il fatto che si trattasse di un corridore di casa (e per giunta uno dei favoriti) ha giocato a favore del belga.
Poco prima dei meno 80 Km al traguardo Van der Poel ci riprova e stavolta il tentativo, seguito da Trentin e Bjerg, riesce a mettere un gap di una ventina di secondi, costringendo altre squadre a tirare. La situazione provoca una frattura in gruppo e davanti rimagono Van der Poel, Pascal Eenkhoorn, Mike Teunissen e Danny Van Poppel (Paesi Bassi), Hugo Page (Francia), Laurenz Rex, Jonas Rickaert e Edward Theuns (Belgio), Kasper Asgreen, Mikkel Bjerg e Pedersen (Danimarca), Mirco Maestri, Jacopo Mosca e Matteo Trentin (Italia), Stian Fredheim e Alexander Kristoff (Norvegia), Jannik Steimle (Germania), Rui Oliveira (Portogallo), Oded Kogut (Israele), Madis Mihkels e Norman Vahtra (Estonia).
Dopo una fase molto concitata di attacchi in gruppo il ricongiugimento avviene a poco più di 60 Km all’arrivo.
Van der Poel non ne ha abbastanza e mette in scena altri due tentativi: il primo con Laporte e Davide Ballerini viene annullato in breve, mentre il secondo è molto ben assortito con Pedersen, Laporte, Arthur Kluckers (Lussemburgo) e Jonas Rutsch (Germania) sembra più deciso, costringendo la nazionale italiana ad un gran lavoro. L’intelligenza è stata nel ricucire pian piano un gap che era arrivato a toccare i 30 secondi: il ricongiugimento avviene ai -25 con la nazionale italiana che resta in testa.
Negli ultimi chilometri è sempre l’Italia a controllare la corsa, annullando anche i tentativi di attacchi come quello abbastanza poderoso quanto effimero di Asgreen. Il plotoncino azzurro con Trentin, Ballerini e Simone Consonni arriva fino agli ultimi 500 metri, quando si gettano nella mischia altre squadre e Milan rimane chiuso nella mischia. L’errore è abbastanza grave in quanto il treno dell’Italia era saldamente in testa al gruppo e farsi tagliare fuori da quella posizione è certamente qualcosa che bisognava evitare.
Perfetti sono stati i belgi che, invece, si sono risparmiati per tutta la corsa e hanno solo pensato a tenere coperti i capitani.
Merlier ha mostrato uno spunto ottimo e si è rivelato in condizioni migliori rispetto al connazionale Jasper Philipsen, rimasto giù dal podio in quanto bruciato al fotofinish per il terzo posto da Madis Mihkels (Estonia), mentre secondi si è classificato Olav Kooij (Paesi Bassi).
Massimo risultato con il minimo sforzo per il Belgio, mentre situazione diametralmente opposta per gli italiani, ai quali va dato atto di aver messo generosità sulla strada anche se è mancata l’organizzazione degli ultimi due uomini nel finale.
La stagione volge al termine con gli ultimi due grandi appuntamenti del mondiale e del Giro di Lombardia, nei quali rivedremo il protagonista assoluto di questa stagione Tadej Pogacar col numero sulla schiena.

Benedetto Ciccarone

Tim Merlier vince il volata il campionato europeo (foto Luc Claessen/Getty Images)

Tim Merlier vince il volata il campionato europeo (foto Luc Claessen/Getty Images)

MEMORIAL MARCO PANTANI, A HIRSCHI LA VITTORIA NON SFUGGE PIU’

settembre 14, 2024 by Redazione  
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A Cesenatico c’è la quinta affermazione per lo svizzero dell’UAE Team Emirates in poco più di un mese, nell’edizione che ricorda i vent’anni dalla tragica scomparsa del campione romagnolo. Marc Hirschi si è imposto su Lorenzo Milesi (Movistar Team) e Vincenzo Albanese (Arkea – B&B Hotels).

Da Cesena a Cesenatico si è disputata una edizione speciale del Memorial Marco Pantani, che ricorda il vincitore di Giro e Tour nel 1998 con il sottotitolo “2004-2024 – Vent’anni senza Marco” e con il ritorno della partenza a Cesena, città natale del Pirata.
La fuga prende il via e all’attacco ci sono Filippo Turconi (VF Bardiani CSF Faizané), Simon Carr (EF Education – Easypost), Ivan Romeo (Movistar Team) e Valentin Ferron (Total Energies). Il loro vantaggio arriva ad un massimo di 2′15” per poi cominciare a ridursi. Ai -80 si torna compatti ma c’è ancora una chance di attacco grazie a Filippo Baroncini (UAE Team Emirates), Matteo Vercher (Total Energies) e Marco Brenner (Tudor Pro Cycling Team). Una caduta del transalpino lascia in testa il corridore romagnolo e il tedesco, i quali restano al comando della corsa fino al circuito conclusivo di quattro chilometri da ripetere quattro volte. La coppia prova a giocarsi le proprie chance, che però svaniscono a 500 metri dal traguardo; c’è lo sprint di gruppo ed è ancora Marc Hirschi (UAE Team Emirates) a imporre la sua supremazia. Lo svizzero in poco più di un mese ha vinto la Classica di San Sebastian (il 10 agosto), il GP Ouest France a Plouay (il 25 agosto) e nell’ultima settimana ha trionfato alla Coppa Sabatini e al Giro di Toscana prima della “manita” odierna a Cesenatico.
A quindici giorni dal Campionato del Mondo di Zurigo, la Nazionale elvetica avrà ormai deciso su chi puntare nella gara Elite della rassegna iridata e Hirschi sarà un corridore pericoloso per tanti candidati al titolo mondiale.

Andrea Giorgini

Hirschi vince anche il Memorial Pantani (foto Sprint Cycling Agency)

Hirschi vince anche il Memorial Pantani (foto Sprint Cycling Agency)

MATTHEWS METTE IN BACHECA IL TERZO GRAN PREMIO DEL QUÉBEC

settembre 14, 2024 by Redazione  
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Terza vittoria in carriera (record per questa gara) per l’australiano Michael Matthews, che vince allo sprint un’edizione non particolarmente effervescente del Grand Prix Cycliste de Québec

Tra le cose che più mostrano la differenza tra il ciclismo attuale e quello dei “vecchi tempi” ci sono alcuni albi d’oro che potrebbero suscitare più di una perplessità negli appassionati, specialmente quelli ancora giovani. Chi avrebbe mai detto che ciclisti leggendari come Gimondi e Bitossi, per fare un facile esempio, abbiano vinto, oltre alle corse che tutti conoscono, decine e decine di sconosciuti “circuiti” o “criterium”? Oggi avremmo un bel cercare, nei palmarès di Van der Poel o di Van Aert, tanto per citare due corridori di livello analogo, questo tipo di vittorie. Ma un tempo, quando di soldi ne giravano pochi, anche negli sport professionistici, era normale per tutti corridori, inclusi i più forti, arrotondare i guadagni partecipando spesso e volentieri a gare estemporanee, disputate in piccoli circuiti e di lunghezza limitata, che nascevano e morivano nell’arco di poche stagioni ma in compenso offrivano premi in denaro (anche sottobanco) di un certo rilievo. Queste corse, che spuntavano letteralmente come i funghi ed esistevano già ai tempi di Girardengo e Belloni, erano così tante che ancora oggi non è chiarissimo quante gare abbia vinto in carriera Eddy Merckx e come lui tutti i grandi che lo hanno preceduto.
Sta di fatto che oggi, con i soldi che non mancano, i “circuiti” e i “criterium” sono ormai scomparsi… salvo riapparire laddove uno meno se lo aspetta: per esempio nelle due gare canadesi (Grand Prix Cycliste de Québec e Grand Prix Cycliste de Montréal), che si svolgono entrambe in un circuito cittadino e che, a dispetto di un percorso indegno di una grande Classica e un numero di edizioni piuttosto basso (entrambe nascono nel 2010), fanno parte del calendario “World Tour” al pari delle Monumento. I loro albi d’oro, poveri di grandi nomi ma in compenso ricchi di velocisti, sembrano confermare che l’importanza di queste due corse sia più “politica” che reale; ma per ora è meglio lasciare ad altri le considerazioni “politiche” e seguire da vicino le due gare, nella speranza che quest’anno i partecipanti facciano qualcosa per farle sembrare degne dell’importanza che viene loro data.
Particolarmente atteso è il rientro di Tadej Pogacar (UAE Team Emirates), che non corre dallo scorso 21 Luglio, dopo aver completato la doppietta Giro-Tour, e che parteciperà ad entrambe le corse (avendo vinto la seconda due anni fa, ma non ancora la prima). Suoi principali avversari saranno il giovane talento belga Arnaud De Lie (Lotto Dstny), che ha già molte vittorie al suo attivo, è campione del Belgio in carica ed è stato capace di vincere il Quebec l’anno scorso; l’americano Matteo Jorgenson (Team Visma | Lease a Bike), vincitore quest’anno della Parigi-Nizza e ottavo al Tour; il formidabile eritreo Biniam Girmay (Intermarché – Wanty), di gran lunga il miglior corridore africano in attività, quest’anno vincitore della classifica a punti del Tour e di tre tappe della “Grande Boucle”; l’australiano Michael Matthews (Team Jayco AlUla), vincitore nel 2018 di entrambe le corse e che se non fosse in palese declino sarebbe forse il primo favorito; e poi ancora, per citare solo i nomi più famosi, Juan Ayuso (UAE Team Emirates), Stephen Williams (Israel – Premier Tech), Simon Yates (Team Jayco AlUla), Julian Alaphilippe (Soudal Quick-Step), Ben Healy (EF Education – EasyPost), Romain Bardet (Team Dsm-Firmenich PostNL) e il nostro Alberto Bettiol (Astana Qazaqstan Team), campione italiano in carica.
Alle 11 ora locale (le 17 in Italia) parte dunque il Grand Prix Cycliste de Québec, 16 giri di un circuito di 12,6 chilometri, caratterizzato da 4 “côte” nel finale che in sostanza vanno a comporre un piccolo arrivo lungo poco più di 2 chilometri per un dislivello di una novantina di metri. Non c’è da stupirsi che la corsa sia spesso appannaggio dei velocisti, né che da subito parta la fuga dei soliti gregari desiderosi di mettersi in mostra, tra I quali vanno notati i nostri Filippo Ridolfo e Antonio Polga, entrambi in forza alla Team Novo Nordisk, e il campione canadese a cronometro James Walton (Team Ecoflo Chronos). Il tempo è buono, la temperatura mite (21 gradi), l’umidità si sente (siamo pur sempre alla foce del San Lorenzo). Dietro tirano le squadre di De Lie e di Girmay, anche se senza molta convinzione: già dopo due giri i fuggitivi (che però perdono per strada Polga) hanno circa 4 minuti di vantaggio. Quando i giri sono quattro anche Ridolfo alza bandiera bianca, ma in compenso i minuti di vantaggio salgono a 5. La situazione si stabilizza; Ridolfo abbandona al sesto giro. Al settimo cede anche Walton e dei sei corridori che avevano preso il largo alla partenza ne restano tre: l’americano Artem Shmidt (INEOS Grenadiers), anche lui campione nazionale a cronometro, il giovane olandese Frank van den Broek (Team Dsm-Firmenich PostNL) e un altro canadese, Félix Hamel (Team Ecoflo Chronos), professionista dallo scorso anno. È proprio Hamel il quarto a cedere, sulle “côtes” in vista della fine del decimo giro; il vantaggio dei due superstiti resta comunque sui 5 minuti, sostanzialmente immutato da quasi 100 chilometri. Succederà mai qualcosa? E quando? Se non altro una gara così “tranquilla” (per usare un eufemismo) almeno ci risparmia i doppiati che, in un circuito che si percorre in meno di 20 minuti, sono sempre in agguato. Walton (e poco dopo anche Hamel) abbandona nel corso dell’11esimo giro, al termine del quale i due battistrada conservano 4’40” di vantaggio: probabilmente il calo è dovuto più alla loro stanchezza che a qualche movimento nel gruppo, che procede allargato e senza che nessun corridore di rilievo venga messo in difficoltà sulle salite. Dopo 12 giri, a quattro dalla fine, il vantaggio è ancora di 4’30” sul gruppo, che però, sotto la spinta di tutti i corridori della UAE finalmente si allunga e recupera terreno sulle salite con cui termina il circuito. Lo sforzo della UAE, tuttavia, termina una volta passata la linea di arrivo, così che i due fuggitivi riprendono fiato nella prima parte del circuito, quella più facile che contorna il grande parco di Champs-de-Bataille, e mantengono 4 minuti di vantaggio quando iniziano le salite finali, nella parte urbana del circuito. Sulla linea d’arrivo, dopo un’altra tirata della UAE, il vantaggio scende però a 3 minuti e mezzo e comincia a farsi strada l’idea che in effetti Pogacar voglia vincere anche questa corsa: ad ogni modo tutti i migliori sono ancora in gruppo. Mancano 3 giri e stavolta la UAE si dà un po’ da fare anche nel tratto più facile; i due battistrada sembrano sempre più stanchi, col solo Shmidt che cerca di mantenere alta l’andatura. Il più attivo dei compagni di Pogacar è Rafael Majka, che al Giro era stato il più efficace dei suoi gregari, e quando inizia il penultimo giro il gruppo non ha che 1’25” di svantaggio. La fuga è segnata; adesso è da vedere chi e quando cercherà veramente di vincere la corsa. Ben presto si muovono il belga Gil Gelders (Soudal Quick-Step) e il francese Alex Baudin (Decathlon AG2R La Mondiale Team), due onesti gregari che si mantengono a lungo tra il gruppo e i fuggitivi, ma vengono riassorbiti prima che inizi l’ultimo giro; la stessa sorte tocca infine a Shmidt e Van den Broek quando mancano appena 14 chilometri al traguardo. Il gruppo si ricompone e passa compatto la linea d’arrivo, a un solo giro alla fine; in testa c’è sempre la UAE (stavolta è il belga Tim Wellens a darsi da fare). Si riparte dunque, come se nulla fosse successo, per gli ultimi chilometri di una gara sino ad ora ben poco appassionante: ai -10 ci prova Jorgenson, che con uno scatto perentorio approfitta del rilassamento del gruppo dopo il riassorbimento della fuga. Dietro esitano e ai -8 l’americano ha 13 secondi di vantaggio: che fa Pogacar? È la Ineos che tira il gruppo col belga Laurens De Plus, non la UAE. Ai -6 Jorgenson ha 17 secondi e inizia a sperare, ma poi dietro iniziano a tirare sul serio e all’inizio delle ultime salite gli restano 7-8 secondi, non di più. Ancora 500 metri e viene raggiunto, mentre il gruppo si sfilaccia e Pogacar non si vede. E invece no! Eccolo: rimane in mezzo a un gruppetto di sei corridori, che sullo slancio dell’inseguimento appena concluso riescono a prendere qualche metro di vantaggio sul gruppo; poi, qualche decina di metri. Tra loro molti dei favoriti: De Lie, Alaphilippe e lo stesso Jorgenson. Ai -2 Pogacar, finalmente, accelera, sembra fare il vuoto ma il copione della Sanremo si ripete e stavolta è De Lie a stopparlo; dietro cedono Alaphilippe e Jorgenson, ma Pogacar e De Lie non insistono e il resto del gruppo, tutt’altro che rassegnato, ne approfitta. A 800 metri tutti rientrano e si prepara la volatona finale. Pogacar resta chiuso (arriverà settimo) e i velocisti migliori, Girmay e Matthews, emergono di prepotenza: dopo una dura lotta sull’arrivo in salita, anche se tutt’altro che proibitivo, la spunta proprio l’australiano: terza vittoria per lui a Quebec (aveva vinto anche nel 2019) e un declino che si interrompe inaspettatamente con una vittoria di prestigio. Terzo il modesto francese Rudy Molard (Groupama – FDJ). Gara, nel complesso, che si è accesa solo nell’ultimo giro dopo quasi 200 chilometri di noia e che, a dispetto di ogni considerazione di natura “politica”, rimarrà sempre un “circuito”, e neanche di quelli con un buon albo d’oro.

Andrea Carta

Per la terza volta in carriera Matthews vince il Gran Premio del Québec (foto Alex Broadway/Getty Images)

Per la terza volta in carriera Matthews vince il Gran Premio del Québec (foto Alex Broadway/Getty Images)

STAFFETTA EUROPEA A CRONOMETRO, E’ ANCORA GRANDITALIA!

settembre 12, 2024 by Redazione  
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Affini, Cattaneo, Maestri, Cecchini, Guazzini e Masetti non deludono le aspettative della vigilia e vincono l’oro davanti a Germania e Belgio. Da domani iniziano le prove su strada e l’Italia può ancora essere protagonista

L’esigente crono mista per nazioni dei Campionati Europei di Ciclismo, seppur completamente piatta, ha comunque impegnato gli atleti per oltre un’ora essendo lunga 52 km e 300 metri. Partenza da Heusden-Zolder ed arrivo ad Hasselt e l’Italia, forte dell’oro e del bronzo conquistati proprio ieri nella priva individuale da Edoardo Affini e da Mattia Cattaneo, ha di nuovo sbaragliato la concorrenza proprio grazie al contributo dei due ciclisti appena citati, a cui si sono aggiunti Mirco Maestri, Elena Cecchini, Vittoria Guazzini e Gaia Masetti. Il sestetto azzurro diviso in due ‘tranches’ ha visto inizialmente la prova dei tre ciclisti azzurri che hanno fatto segnare il miglior tempo a metà percorso con 55 secondi di vantaggio sui diretti avversari. Alle ragazze il compito di difendere il vantaggio acquisito e nonostante una prova non eccelsa hanno saputo limitare i danni chiudendo complessivamente col tempo di 1 ora 1 minuto e 43 secondi. A 17 secondi di ritardo la Germania chiudeva in seconda posizione mentre terza era il Belgio con un ritardo di 1 minuto e 33 secondi. La top five era completata dalla Polonia, quarta a 1 minuto e 49 secondi di ritardo, e dall’Ucraina quinta a 4 minuti e 23 secondi di ritardo. La presenza di sole sei nazioni non è stata certamente il massimo per una competizione continentale, mancando ai nastri di partenza nazioni come Gran Bretagna, Francia e Olanda, ma l’Italia ha comunque confermato le previsioni della vigilia ed un oro continentale non è certo da buttare, specialmente se viene dopo quello di Affini. Ebbene, altre soddisfazioni per l’Italia possono arrivare già domani con l’inizio delle prove su strada che avranno il loro culmine domenica 15 settembre con la prova riservata agli uomini elite.

Antonio Scarfone

LItalia vince la staffetta mista a cronometro ai Campionati Europei (foto: Getty Images)

L'Italia vince la staffetta mista a cronometro ai Campionati Europei (foto: Getty Images)

COPPA SABATINI, BIS DI HIRSCHI

settembre 12, 2024 by Redazione  
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Marc Hirschi vince in solitaria anche la Coppa Sabatini, dopo l’acuto di domenica a Larciano. Battuti Mühlbelger e Foldager

Prosegue il fitto calendario delle classiche di (quasi) autunno Italiano con la Coppa Sabatini, ancora in terra toscana ma quest’oggi in territorio pisano. La fuga di giornata evade presto ed è composta da Lorenzo Milesi (Movistar), Sebastian Berwick (Caja Rural-Seguros RGA), Alexandre Balmer (Team corratec-Vini Fantini), Diego Uriarte, Carlos Garcia Pierna (Equipo Kern Pharma) e Davide Bais (Polti Kometa). Il sestetto inizia al comando la prima delle cinque scalate in programma a Montefoscoli mentre alle loro spalle il gruppo è controllato dalla UAE Emirates, in forze per il proprio capitano di giornata Marc Hirschi fresco vincitore giusto qualche giorno fa a Larciano, sempre in terra toscana. Il vantaggio massimo dei battistrada raggiunge 5 minuti, ma il loro destino sembra comunque segnato: la UAE Emirates è impeccabile con i calcoli e in vista dell’ultima ascesa al Muro di Greta giunge all’annullamento della fuga.
È proprio in questo esatto momento che ci prova Marc Hirschi, facendo subito il vuoto alle sue spalle. Il talento della formazione emiratina scollina con 20 secondi su un drappello inseguitore in cui è presente anche un buon Davide Formolo (Movistar), ma già si capisce che per la vittoria finale la corsa è in cassaforte quando sul primo passaggio sul traguardo il gap ha raggiunto 25″.
Una volta issata bandiera bianca per il gradino più alto del podio nel gruppetto inseguitore iniziano le schermaglie per giocarsi la piazza d’onore: riescono ad avvantaggiarsi in quattro, Kristian Sbaragli (Team corratec-Vini Fantini), Anders Foldager (Team Jayco AlUla), Gregor Mühlberger (Movistar) e Axel Huens (TDT-Unibet). Questo gruppetto trova buon accordo e mette abbastanza distacco fra sé e gli inseguitori per giocarsi la volata per il secondo posto: 30 secondi dopo un ingiocabile Marc Hirschi trionfante sul traguardo di Peccioli, il più veloce per il secondo posto è l’austriaco Mühlberger davanti a Foldager. Solo medaglia di legno per un buon Sbaragli.

Lorenzo Alessandri

Marc Hirschi esulta in solitaria a Peccioli. Photo Credit: Sprint Cycling Agency/Gran Premio Città di Peccioli – Coppa Sabatini)

Marc Hirschi esulta in solitaria a Peccioli. Photo Credit: Sprint Cycling Agency/Gran Premio Città di Peccioli – Coppa Sabatini)

PROVE A CRONOMETRO INDIVIDUALI LIMBURGO 2024, L’ITALIA SPLENDE CON EDOARDO AFFINI

settembre 12, 2024 by Redazione  
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Si stanno svolgendo gli Europei di Limburgo 2024 in Belgio, vediamo come sono andate le prove individuali a cronometro nelle categorie Elite e Under23 per gli atleti maschili e le atlete femminili, oggi invece è in programma la cronosquadre mista.

UOMINI ELITE

Si distingue l’Italia nella prova regina della cronometro agli Europei di Limburgo grazie alla conquista del titolo europeo con Edoardo Affini, l’azzurro chiude la prova con un tempo di 35’:15” nei 31,5 chilometri previsti da Heusden-Zolder ad Hasselt prendendosi la medaglia d’oro. Al secondo posto si piazza, con 10” in più, il veterano elvetico Stefan Küng prendendo così la medaglia d’argento, terzo invece con il bronzo un altro azzurro ovvero Mattia Cattaneo con 20” di ritardo dal connazionale.

UOMINI U23

Nella prova a cronometro riservata agli under 23 a conquistare l’oro è Alec Segaert con il tempo di 35’06”, il belga ha scekto di correre in qiuesta categoria e non in quella riservata ai profesionisti in cui mantenedo invariate le stesso condizioni meteo avrebbe superato il nostro Affini, inciso a parte, al secondo posto, distanziato di 30”, si prende la medaglia di bronzo SÖDERQVIST Jakob Soderqvist per la Svezia, al terzo e quindi medaglia di bronzo il neerlandeseWessel Mours.

DONNE ELITE

A Limburgo nella prova a cronometro regina riservata alle donne splende Lotte Kopecky, la belga sulle strade di cas divora lettermente la strada e vola a prendersi una medaglia d’oro meritatissima con un tempo di 39’:00” per coprire i 31,2 chilometri in programma da Heusden-Zolder ad Hasselt. A 43″ di distanza dal suo tempo chiude la neerlandese Ellen Van Dijk. In medaglia di bronzo infine ci va l’austriaca Christina Schweinberger.

DONNE U23

Appassionante la prova a crono donne Under23 agli Europei di Limburgo 2024 infatti la lotta si è giocata è il caso di dirlo sul filo dei secondi e nel rettilino di arrivo quando ad arrivare è stata la tedesca Antonia Niedermaier fermando le lancette a 41’:23”, l’unica che stava per insidiare il tempo della finlandese Anniina Ahtosalo, partita un minuto prima di lei, che prende la medaglia d’argento, e l’unica a scendere sotto il muro dei 41 minuti, fermando le il cronometro a 40’54” con quasi 46 km/h di media che le hanno consentito quindi di prendere la medaglia d’oro. A completare il podio, con il tempo di 41:’26” è stata la lussemburghese Maria Schreiber.

Antonio Scarfone

Edoardo Affini con la medaglia doro agli Europei di Limburgo 2024 (Photo credit: Getty Images)

Edoardo Affini con la medaglia d'oro agli Europei di Limburgo 2024 (Photo credit: Getty Images)

GIRO DI TOSCANA, VITTORIA DEL FRANCESE CHAMPOUSSIN

settembre 11, 2024 by Redazione  
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Il francese Clément Champoussin vince la 96a edizione della corsa brena. Secondo l’australiano Storer, terzo il connazionale Jegat. L’intramontabile Pozzovivo è il migliore degli italiani

Scorrendo Wikipedia si potrebbe quasi pensare che un tempo il Giro di Toscana fosse quasi al livello delle Monumento, sia per la sua longevità (è nata oltre un secolo fa), sia per un albo d’oro nel quale compaiono Girardengo (2 vittorie), Binda (2), Guerra, Bartali (5, record), Coppi, Magni (2), Bitossi, Moser (4), Baronchelli (2), Fondriest, Nibali e molti stranieri di alto livello come Altig e De Vlaeminck; anche negli ultimi due anni la vittoria è andata a due “pesi medi” come Hirschi e Sivakov. I più anziani ricorderanno anche che un tempo si poteva leggere su alcuni libri di testo per le scuole medie, tra i saggi di letteratura italiana, l’appassionante resoconto dell’edizione 1953, famosa per essere stata l’ultima vittoria importante nella carriera di Gino Bartali, resoconto oltretutto scritto dallo stesso “Ginettaccio”.
Quelli, purtroppo, erano altri tempi, con percorsi di 245 chilometri ben più selettivi. Quest’anno i chilometri erano 183, e in apparenza molti di meno in quanto la corsa si svolge interamente intorno a Pontedera, con
un primo breve circuito nelle fasi iniziali, e un lungo circuito finale di ben 56 chilometri, ideato al fine di far scalare due volte l’unica salita importante della giornata: il monte Serra (613 metri), circa 8 chilometri al 7% su cui potrebbero decidersi le sorti della corsa. Ma gli italiani al via oggi non hanno un Bartali in gara e i loro migliori esponenti sono probabilmente il non più giovane Diego Ulissi (UAE Team Emirates) – otto tappe vinte al Giro e qualche corsa in linea di prestigio (tra le quali la Grand Prix Cycliste de Montréal e la Milano-Torino) – e l’eterno (ormai quasi 42enne) Domenico Pozzovivo (VF Group – Bardiani CSF – Faizanè),ottimo nei Grandi Giri ma scarso nelle corse in linea. Tra gli stranieri si fanno notare i nomi del kazako Alexey Lutsenko (Astana Qazaqstan Team) e del giovane svizzero Jan Christen (UAE Team Emirates), a luglio vincitore del Giro dell’Appennino.
Si parte alle 11.30, con un tempo ottimo e finalmente non troppo caldo, sperando che le due salite al Monte Serra bastino ad evitare la volatona finale. Neanche i siti di scommesse si azzardano a pronosticare una gara tristemente disertata da tutti i corridori più forti del ranking mondiale, Parte, comunque, dopo un po’ di confusione iniziale, la solita fuga dei soliti ignoti, sei corridori di cui il migliore è forse l’italiano Matteo Spreafico (Mg.K Vis – Colors for Peace), che nel 2018 riuscì a vincere un Giro del Venezuela. Pare improbabile che qualcuno di costoro possa arrivare e, infatti, nonostante un vantaggio che nel giro di 20 chilometri raggiunge
i 7 minuti, il gruppo reagisce al passaggio a Pontedera, quando inizia il primo dei due lunghi giri conclusivi e già durante la prima salita recupera quasi tutto lo svantaggio. Quando il giro termina, al nuovo passaggio a Pontedera, i fuggitivi vengono ripresi e il gruppo procede con relativa tranquillità sino all’attacco del Monte
Serra. La tranquillità dura poco: la strada è stretta e dopo neanche due chilometri si verifica una incredibile caduta in salita – pensavamo di averle viste tutte, e invece… – con diversi corridori che vengono letteralmente sbattuti contro il muro che delimita la sede stradale. Il gruppo si assottiglia e ne approfitta il colombiano Esteban Chaves (EF Education – EasyPost) – non proprio l’ultimo arrivato (ha vinto addirittura un Lombardia nel 2016, anche se da molti anni è sparito dai riflettori), per far partire un’azione che ai bei tempi (i suoi) sarebbe stata forse decisiva. Ma quei tempi sono passati e alcuni corridori, tra i quali il nostro Pozzovivo, il francese Clement Champoussin (Arkéa – B&B Hotels) e l’australiano Michael Storer (Tudor Pro Cycling Team), tutti gregari di belle speranze, finiscono per raggiungerlo. Dietro di loro il gruppo si sfalda completamente e un
secondo gruppetto, che comprende il nostro Ulissi, tenta invano di riportarsi sul primo, anche se un paio di corridori, col passare dei chilometri e con l’arrivo dei falsopiani, se ne staccano e finiscono per riuscirci. In vista della cima della salita, sul tratto più duro con pendenze superiori al 10%, partono Champoussin e Storer; Pozzovivo cerca di restare con loro, ma cede subito e viene riassorbito dagli inseguitori. I due battistrada fanno sul serio e negli 8 chilometri di discesa, spesso stretta e difficile, portano a 35 secondi il loro vantaggio sui corridori alle loro spalle, che continuano a frazionarsi e a rimescolarsi. A 20 chilometri dall’arrivo, all’inizio del tratto di pianura che riporta al traguardo di Pontedera, la situazione si stabilizza, con Champoussin (che è transitato primo in cima al Monte Serra) e Storer che si danno cambi regolari e gli inseguitori che – nonostante siano diventati una decina (fra loro sia Ulissi, sia Pozzovivo) – si guardano un po’ troppo spesso. L’impazienza è cattiva consigliera e alla fine il gruppetto si fraziona, con Pozzovivo e il tedesco Ben Zwiehoff (Red Bull – BORA – hansgrohe) – poi raggiunti dal francese Jordan Jegat (TotalEnergies) e dall’altro tedesco Marco Brenner (Tudor Pro Cycling Team) – che a forza di scatti riducono un po’ il distacco, sino ad arrivare a 20 secondi all’ultimo chilometro. Ma ormai è tardi e i due fuggitivi smettono di collaborare solo a 500 metri dall’arrivo: quasi subito Storer si distrare un attimo e il furbo Champoussin ne approfitta per lanciare la volata e vincere senza difficoltà: il francese, la cui vittoria di maggior prestigio in carriera era stata una tappa alla Vuelta del 2021, può scrivere il suo nome accanto a quelli di Binda, Bartali, Coppi eccetera. Storer, anche
lui vincitore di tappa alla Vuelta (e anche lui nel 2021), è secondo. A 17 secondi è terzo Jegat, che in carriera non ha vinto nulla; sesto ed ultimo del quartetto inseguitore arriva Pozzovivo, primo degli italiani.
Gli altri arrivano un po’ per volta, con Ulissi – secondo degli italiani – all’ottavo posto e oltre metà gruppo ritirato (incluso Christen). Chaves è 16esimo, i due Davide (Piganzoli e Formolo), tra i pochi corridori non del tutto sconosciuti, si piazzano 17esimo e 28esimo. Lutsenko arriva 68esimo, fra gli ultimi.
Corsa da dimenticare, vinta da un corridore di secondo piano? Forse. Ci sarà sempre qualcuno che preferirà una corsa come quella odierna a una dominata dal Pogacar o dal Van der Poel di turno. A qualcuno piacciono i
grandi campioni e le grandi imprese, a qualcun altro le corse incerte sino all’ultimo, e poco importa chi le vince. Finché dura ce ne sarà per tutti i gusti.

Andrea Carta

Champoussin regola in volata Storer sul traguardo di Pontedera

Champoussin regola in volata Storer sul traguardo di Pontedera

VUELTA, POVERA E BELLA: ESISTE CICLISMO ANCHE SENZA MOSTRI SACRI

settembre 9, 2024 by Redazione  
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Roglič appaia Heras col record di Vuelte vinte, a quota quattro. Una bella gara che riconcilia con lo sport gli amanti di un ciclismo diverso dai wattaggi atomici.

La crono tracciata con creatività e cuore fra i barrios di Madrid viene vinta da Küng, uno dei grandissimi indiscutibili di questa specialità che, udite udite, porta a casa solo in quest’occasione per la prima volta in carriera una tappa di Grande Giro, a testimonianza appunto di come la disciplina stia vivendo in questi anni delle punte qualitative a dir poco clamorose. Ed è tutto dire che questo fior di fenomeni contro le lancette vengano spesso e volentieri ramazzati sul loro terreno, cioè le tappe a cronometro, dai mostri tout court di questi anni, Evenepoel (e va benissimo, perché di questo esercizio fa una delle proprie eccellenze), Van Aert (e sia pure, dopotutto non è uomo di classifica, per lo meno, e fa una bandiera delle polivalenza), Roglič (è una sua prerogativa in fin dei conti), Pogačar (sì, d’accordo, ha il fisico, sappiamo che è bravo, altro?) ma talvolta perfino da …Vingegaard! Tempi duri insomma per i Küng, i Ganna, i Bisseger, i Foss, gli Oliveira e tanti ancora. Non c’è da stupirsi se un Affini si “trattorizzi” e trovi il proprio spazio nel peloton assumendo il ruolo di “ammazzafughe” del quale cui fu quasi eponimo Tim Declerq.
In questa Vuelta, però, torna sotto i riflettori il ciclismo umano, o degli umani, e così stavolta Roglič si deve accontentare del secondo posto di tappa. È sintomatico anche che dietro questi due non ci sia la solita trafila di uomini di classifica con la “scusa” (scusa, sia chiaro, con un suo fondo di verità) per la quale dopo tre settimane con tanta montagna i cronomen sarebbero più spompati di chi lotta per il vertice. Stavolta invece annusano scampoli di alta classifica – parlando sempre di piazzamenti di giornata – anche un Cattaneo, in forma strepitosa, inspiegabilmente castigato dal team che l’altro giorno gli ha impedito di lottare per una vittoria di tappa, col solo fine di soccorrere molto ma molto tardivamente (e qui sta il vulnus) il capitano Landa finito in un momento di sbando; oppure Baroncini, il cui talento cristallino è ancora in attesa di trovare una propria definizione e approdo, per un ciclismo come quello azzurro i cui orizzonti ormai assumono i toni cupi di un abisso oceanico senza risalita. I migliori uomini di classifica al netto di Rogla sono Skjelmose, che agguanterà così in extremis una top 5 nella generale a discapito di Gaudu (unica svolta in tutta la top 30 della CG, a parte Sepp Kuss che scala in giù al 14º posto, sì proprio lui che l’anno passato vinse, e nella crono piatta perse meno di un minuto da Rogla contro i tre e passa di stavolta), e poi ovviamente O’Connor, che consolida il secondo posto su Mas: e d’altronde Lidl-Trek e Decathlon sono gli unici due team la cui prestazione d’assieme faccia – ma proprio leggermente – denotare un afflato prestazionale più positivo rispetto alle aspettattive, in linea peraltro con quanto siamo andati vedendo durante tutto l’anno.
E questo ci porta direttamente a un altro grande tema di questa Vuelta, il ruolo delle squadre. Il ciclismo è sempre più uno sport di team e superteam, in cui pare che la differenza di resa di un atleta dipenda in gran parte dell’andazzo generale della squadra in cui milita, così come le squadre nel giro di pochi anni possono avere sbalzi prestazionali talora poco comprensibili per entità e repentinità.
Ebbene, questa Vuelta ha consentito di rivalutare certe parti del puzzle. È palmare ad esempio che né Van Aert né Roglič abbiano toccato i vertici prestazionali degli anni a bordo di uno squadrone Jumbo che letteralmente volava, ma è altresì palese che entrambi abbiano confermato i propri picchi qualitativi al di là di un anno difficile per il team nel caso del primo e al di là del cambio di formazione per quanto concerne il secondo. Sotto altro angolo prospettico, dopo la vittoria peraltro non così impronosticabile di McNulty in molti si erano lanciati in profezie risibili a proposito dell’inevitabile dominio del Team UAE, indiscutibilmente in annata di grazia: eppure, nonostante le qualità di un Almeida o di un Adam Yates siano a questa altezze indiscutibili, sia quale sia la squadra in cui corrono, ambedue hanno potuto manifestare il proprio talento, ma senza trasformarsi nelle potenze inarrestabili che troppi pronosticavano . Anzi. Adam si è ritagliato un ruolo di cacciatore di tappe con un occhio solo di rimbalzo alla classifica, peraltro con meno successo di un Carapaz dedito allo stesso esercizio, e non parliamo di O’Connor. Almeida si è dovuto ritirare causa covid dopo 9 tappe, ma anche prima di stare male era apparso un solido pretendente al podio piuttosto che non un potenziale dominatore. Anche Vine (maglia a pois blu finale di miglior scalatore) e Soler (vittoria di tappa condita da tripletta di terzi posti), reduci da una prestazione molto positiva anche perché liberi da ogni obbligo di gregariato, sono apparsi arrembanti ma certamente non invincibili: in ogni caso, altrettanto credibili quanto il resto dei vincitori di maglie secondarie o tappe, vale a dire che sono apparsi sostanzialmente in condizione di esprimere il proprio talento ma senza i fuochi d’artificio che alcuni si immaginavano a priori, e che altre squadre hanno esibito nel passato recente o meno recente. Del tutto confrontabili, per dire, agli uomini Jayco, quel Groves che da tempo bussa alle porte dell’elite degli sprinter e che in Spagna trovo terreno privilegiato (classifica a punti grazie all’incidente di Van Aert e tre tappe) oppure quel Dunbar che fa doppietta, ora in fuga, ora staccando i migliori – contingentemente – in salita. Se proprio vogliamo sono sembrati più roboanti i numeri degli uomini dei team invitati di seconda fascia, ma in questo caso possiamo supporre che la motivazione, gliela si leggeva in volto, spieghi parecchio nelle vittorie di Castrillo o Berrade: oppure, più in generale, possiamo dire che in un ciclismo più “alla mano” ci sia meno salto verticale anche fra le diverse categorie di team, com’era fino a qualche stagione fa peraltro.
Spazio a un ciclismo un po’ diverso, come si è detto, e ne è l’emblema il secondo posto di O’Connor che, fatte le debite proporzioni, ricorda l’impresa di Arroyo al Giro 2010. In quel caso la fuga era stata ancora più torrenziale, mentre in questo caso va detto che O’Connor, in piena consonanza con una annata globalmente eccellente del team Decathlon, ci ha messo atleticamente molto del proprio, inserendo qualche picco prestazionale da urlo in una gara che complessivamente è stata da applausi per tenuta. Ma se O’Connor col suo secondo posto finale e il vittorione in solitaria lasciando il gruppo a sei minuti è stato il simbolo di questa tendenza, non ne è stato certo l’unico rappresentante, dato che su scala minore hanno fatto classifica così anche Sivakov (senza vincere tappe), Yates (mancando la top 10), Carapaz, che pure non vince tappe e resta giù dal podio ma ottiene col quarto posto finale in CG un risultato che pareva impronosticabile, proprio grazie a un paio di raid coraggiosi. Non entra nella categoria, però rende l’idea: se perfino Mas a volte si è mosso a più di tre km dalla linea di meta!
A questo proposito, la Vuelta 2024 è stata anche la rivincita delle squadre spesso sbeffeggiate nel ciclismo delle cilindrate esagerate per la loro presunta inadeguatezza, come la Movistar o la EF: Mas, appunto, pur con i suoi umanissimi limiti ormai ben conosciuti, vuoi tecnici, vuoi caratteriali, si conferma scalatore di livello e uomo di classifica credibile. Carapaz, pur mancando il podio, torna ad essere uno dei pochi in grado di tenere le ruote dei top top top quando la strada sale, seppur non a tempo pieno; così ratifica la propria tenacia e il proprio fondo, tanto da far sospettare che una fetta non da poco degli stravolgimenti in corso nel ciclismo di oggi dipendano anche da un mutato approccio al disegno dei tracciati.
Per esemplificare: è indiscutibile che Pogačar sia uomo di fondo pazzesco , ma è altrettanto indiscutibile che le sue pochissime battute a vuoto, quando ne ha avute, siano state sul piano della continuità all’atto di entrare nel profondo dei GT; è indiscutibile che Vingegaard sia corridore di solidità granitica nel cumulo delle tappe, ma è altresì indiscutibile che in modo apparentemente paradossale l’atleta desse il meglio di sé (fino a quest’anno almeno) su tracciati di non esageratissima durata oraria. Ebbene, è altrettanto indiscutibile che l’andazzo del ciclismo moderno e soprattutto del Tour de France (pure del Giro di quest’anno, mentre la Vuelta che ha invertito la tendenza… partiva da una base già “modernissima” di tappe brevi e monosalita) faccia tirare ulteriore vento, come se non bastasse quello elargito da madre natura e dai superteam di appartenenza, a favore delle caratteristiche di questi fenomeni, e parallelamente a discapito dei Carapaz, dei Mas , degli O’Connor, degli Adam Yates, ma anche – nel passato prossimo – dei Bardet, oppure aggiungiamoci anche un Carlos Rodríguez.
Due parole su quest’ultimo per riscattarlo dalla sua condizione di uomo invisibile. Una buona Vuelta è stata distrutta da una defaillance come nel caso di Landa: non è un caso che entrambi venissero da un Tour corso comunque per la classifica, con un risultato eccellente nel caso di Landa, più discreto ma ad ogni modo non deludente per quanto concerne Carlos Rodríguez. Prima 5º poi 7º il basco, 7º e poi 10º l’andaluso. La sensazione per entrambi è ad oggi amara visto che alla Vuelta sembravano in lizza rispettivamente per il podio e la maglia bianca, anzi con buone chance di conseguire i rispettivi obiettivi; ma si tratta comunque di una doppia top ten che di fondo conferma la qualità di base notevolissima di tutti e due. Va soprattutto tenuto in considerazione il contesto: la Quickstep o T-Rex che dir si voglia sta avendo un’annata ambivalente, dove emerge prepotente il talento di Evenepoel, come in seconda linea quello dello stesso Landa, ma dove pure spiccano chiaramente troppe manchevolezze a livello di preparazione o strategia globali del team. E Landa ha ormai la sua bella età, anello di congiunzione che permette di paragonare le performance di due generazioni molto diverse, cresciute in un modello intrinsecamente diverso dello sport, dove però il basco si è sempre dimostrato all’altezza… anche se mai “abbastanza” all’altezza da finalizzare con vittorie di peso. La INEOS a propria volta è molto ma molto distante dalla corrazzata che fu, per parecchi motivi, a cominciare dal disinvestimento “energetico” da parte sia della proprietà sia, a livello politico, delle istituzioni pubbliche d’Oltremanica. Carlos Rodríguez però è ancora molto giovane; inoltre è pure lui uomo di fondo più che da fiammate, e questa “doppia top 10” ricorda da vicino quella “doppia top 20” che nel 2008 deluse cocentemente molti appassionati in attesa dell’uomo della provvidenza, quando fu raccolta fra Giro e Tour da un Nibali praticamente coetaneo del Carlos Rodríguez attuale. Ora, dubitiamo anche solo per ragioni statistiche che “il leone di Almuñécar” possa replicare quanto seguì, ma “lo squalo di Messina” dopo quell’annata passò i dieci anni (!) successivi senza mai più uscire dalla top 10 di nessun Grande Giro portato a compimento, eccettuando il TDF 2016 dove preparò le Olimpiadi: e su 14 GT finiti, per 10 volte salì sul podio finale. Come detto, la questione non è se l’andaluso possa replicare questa carriera pazzesca (non proprio facilissimo), ma è semmai rendersi conto di come delusioni e aspettative su atleti giovani vadano pesate e comprese rispetto al contesto, con pazienza; in questo caso purtroppo anche accettando che il ciclismo attuale non sembra favorire questo profilo atletico.
In conclusione, una Vuelta divertente e varia, specie nella prima parte, mentre la seconda si è un po’ appiattita sul concept del monosalita ad libitum. Gran merito di questa apertura va dato appunto al disegno del percorso specie nella prima metà della competizione, giusto per sottolineare che se si vuole scompaginare un po’ le carte è importante lavorare sui tracciati. Non è un caso se al Tour la tappa più bella e memorabile in assoluto sia stata quella di Le Lioran. Roglič è stato fenomenale nel districarsi fra le difficoltà fisiche dovute agli infortuni accumulati e le puntuali debolezze di squadra a causa sembra di un virus. La gestione tattica del complesso della Vuelta è stata stratosferica, come spesso accade con lo sloveno in corsa. E come spesso succede proprio alla Vuelta,Roglič ci ha anche regalato momenti di autentico spettacolo con attacchi violentissimi o tirando i rivali al limite dello sconsiderato, il tutto alternato logicamente a tappe viceversa di attesa o stallo in cui ha pensato soprattutto a difendersi e recuperare, con lo spettro per tutti della sua staffilata finale. Proprio la varietà dello spartito maneggiato sempre con la massima padronanza è stato il suo punto di forza, ancor più che la comunque netta superiorità atletica. È per questo che lo sloveno possiede chiaramente lo status di campione che lo situa come unico trait d’union o quasi fra il mondo degli umani e quello dei fuoriserie.
Nota più negativa della Vuelta, le riprese televisive pessime, oltre il credibile. Non ci siamo. È vero che la Vuelta ha un budget che è un 10% di quello del Giro e un 5% di quello del Tour, ma su questi aspetti bisogna investire sì o sì, né d’altro cando le limitazioni economiche (peraltro arbitrarie, nel senso che essendo la Vuelta di ASO, cioè dei padroni del TDF, volendo si potrebbe dotarla meglio…) giustificano appieno questo tipo di carenze. Si vede di meglio in gare organizzate da organizzatori di ben minor taglia in Italia. No, ecco, forse la palma di nota peggiore in assoluto non è nemmeno della TV. Il peggio è il silenzio vergognoso dell’associazione corridori a fronte di situazioni climatiche dove ben due atleti han visto compromessa la loro gara da seri problemi di salute (colpo di calore) durante la competizione, fra cui Tiberi. Il tutto condito da pietose bugie sul fatto che “nessun atleta si sia lamentato” quando invece le rimostranze dei corridori sono state rese pubbliche a mezzo stampa. Questa è la prova del nove di come le chiacchiere sulla salute e sicurezza dei corridori tirate in ballo ormai sistematicamente, edizione dopo edizione, per boicottare tipicamente il Giro siano state a dir poco pretestuose. Anzi, usarle per secondi fini le inflaziona e squalifica. Questo fa il paio con la Freccia Vallone, sempre posseduta da ASO, dove pure problemi di salute reali e gravi, non immaginati o congetturabili, furono comportati da freddo e pioggia che condussero qualche atleta all’ipotermia; pure lì, niente da dire da parte del sindacato corridori. Il buon O’Connor che da compaesano di chi quel sindacato lo dirige ebbe a spalleggiarlo durante il Giro con dichiarazioni di fuoco; alla Vuelta si è ben guardato dall’aprire bocca, anche quando i problemi organizzativi della corsa l’hanno lasciato orfano di scorta in cima a una montagna, in maglia rossa di leader ma abbandonato al suo destino; e quando poi lui decise di tornare per conto proprio in albergo alla buona, è stato multato per aver mancato il podio. Ma questi sono organizzatori modernissimi e bravissimi, che non si dica!

Gabriele Bugada

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