APPENNINO ANCORA ROSSOCROCIATO, A GENOVA ARRIVO SOLITARIO DI JAN CHRISTEN

luglio 16, 2024 by Redazione  
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Un altro successo svizzero al Giro dell’Appennino. Dopo la vittoria di Marc Hirschi lo scorso anno, domenica a imporsi è stato Jan Christen, giunto in solitaria sul traguardo. Secondo posto per Velasco davanti ad Ulissi.

Il Giro dell’Appennino, sempre alla ricerca di una collocazione in calendario che lo riporti ai fasti del passato, si è corso domenica da Novi Ligure a Genova. Il tracciato prevedeva nell’ordine il Passo della Castagnola (2.9 Km al 5% medio), il Passo dei Giovi (2.3 km al 4,5%), la Crocetta d’Orero (9 km al 3.4%), la salita di Pietralavezzara (6.2 km al 7.7%) e infine quella della Madonna della Guardia (6.9 km al 7.9% di media, con un tratto al 21%), per poi approdare nel salotto buono di Genova, Via XX Settembre, familiarmente chiamata Via XX dai genovesi.
La corsa è iniziata con la classica fuga della prima ora, promossa dall’australiano Samuel Jenner (BridgeLane), dal britannico Zachary Walker (Rime Drali), dal sudafricano Travis Stedman (Q36.5 Continental) e dagli italiani Gabriele Casalini (MBH Bank-Colpack-Ballan), Simone Lucca (Rime Drali), Alessandro Morra (Biesse-Carrera) e Simone Olivero (Corratec-Vini Fantini). Il gruppo, controllato da UAE e Arkea, li ha lasciati fare mantenendo un gap sempre al di sotto dei 5 minuti. L’azione dei battistrada, caratterizzata dall’allungo di Walker e Casalini prima, e da quello di Walker poi e dal ricongiungimento di Stedman su Walker, termina ai piedi della salita di Pietralavezzara, tratto iniziale del celebre Passo della Bocchetta, salita simbolo del Giro dell’Appennino. È da quel momento che la corsa cambia svolgimento. Con il traguardo che si avvicina e con due salite di tutto rispetto ancora da percorrere entrano in gioco i big. Il primo a muoversi è lo svizzero Jan Christen (UAE Emirates), raggiunto quasi subito dal belga Jarno Widar (Lotto Dstny Development), dal britannico Paul Double (Polti-Kometa), dall’ecuadoriano Jonathan Caicedo (Petrolike), dall’eritreo Nahom Zerai (Q36.5 Continental) e dal neozelandese Finn Fisher-Black (UAE Emirates).
Dietro l’Astana e la solita Arkea si organizzano e nella successiva discesa si riportano sui battistrada con Alessandro Verre (Arkéa-B&B Hotels), Christian Scaroni e Simone Velasco (Astana), presto raggiunti dal francese Louis Barré (Arkéa), dagli italiani Filippo Baroncini (UAE) e Diego Ulissi (UAE) e dagli spagnoli Jon Aguirre (KERN Pharma) e Unai Iribar (KERN). Se la discesa ha portato bene al drappello di inseguitori, non si può dire lo stesso per il belga Widar, recente vincitore del Giro d’Italia Under23, caduto proprio il quel tratto. Il gruppetto affronta l’ultima salita e si accende la bagarre. I primi a staccarsi sono Zerai, Scaroni e Aguirre. Poco prima del tratto al 21 % c’è l’attacco di Christen e Double. Quest’ultimo da fondo a tutte le sue risorse per tenere la ruota dello svizzero, ma senza successo. Comincia così la galoppata vittoriosa di questo ventenne nato a Leuggern il 26 Giugno del 2004. La sua squadra, in superiorità numerica rispetto alle altre del gruppo inseguitore, fa buona guardia e smorza tutti i tentativi di coloro che volevano riportarsi sul fuggitivo. L’unico tentativo andato a buon fine è quello della coppia Velasco-Ulissi, valido però solo per i conquistare i restanti gradini del podio della corsa genovese.
Christen si è così aggiudicato la corsa con 56″ di margine su Velasco e sul compagno di squadra Ulissi. Più staccato, a 1′18″, è arrivato Baroncini, che ha preceduto Caicedo, Barré, Double e Verre. A 1′20″ Iribar e Fisher-Black hanno completato la TopTen.
Il successo di domenica, unito a al quinto posto ottenuto a febbraio al Treofeo Laigueglia, ha permesso al giovane svizzero di conquistare anche la Challenge Liguria, che premia appunto il corridore autore dei migliori piazzamenti nelle uniche due gare liguri del calendario professionistico.

Mario Prato

Un altro successo elvetico sulle strade del Giro dellAppennino: adesso tocca a Jan Christen (foto Studio MeV)

Un altro successo elvetico sulle strade del Giro dell'Appennino: adesso tocca a Jan Christen (foto Studio MeV)

TUTTO MOLTO BEILLE, MA NON C’È PLATEAU: CITIUS, ALTIUS, FORTIUS IN UN TOUR SENZA LIMITI

luglio 15, 2024 by Redazione  
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Jonas Vingegaard e la sua Jumbo Visma vanno “all in” e puntano tutto sull’autentica tappa regina dei Pirenei nonché, con buona pace della Bonette, di tutto il Tour. Gli ingredienti ci sono tutti per portare Pogacar al limite. Manca all’appello solo il limite stesso, che lo sloveno non pare più avere.

Era una tappa pirenaica come tante altre, quel giorno di mezz’estate del 1998, ma quel giorno lui attaccò. Pantani era reduce dalla durissima vittoria al Giro contro un Tonkov quasi incrollabile e dopo una solo cronometro in terra francese aveva quasi cinque minuti di distacco nella classifica generale del Tour, gara allora riservata a quanti fra i cronomen sapessero rendere anche in salita, e viceversa sostanzialmente preclusa agli scalatori puri. Per capirci, quella prima autentica cronometro prevedeva da sola altrettanti km – circa 60 d’un colpo – quanto tutto il TDF 2024 (inoltre era stata preceduta, per non farsi mancare nulla, da un cronoprologo, e ce ne sarebbe stata al penultimo giorno un’altra equivalente). Il giorno prima di Plateau de Beille c’era già stata una cavalcata pirenaica di 200 km con oltre 5 mila metri di dislivello e sul Peyresourde conclusivo, prima di un arrivo in discesa, Pantani aveva tentato la stilettata, rosicchiando poco più di venti secondi al titanico Ullrich. Non si era nemmeno levata la bandana.
Il giorno dopo ci sarebbe stata, appunto, la scalata a Plateau de Beille e dopo nemmeno un chilometro il pirata salutò tutti. 13 chilometri di quasi assoluta solitudine, interrotti da un sorpasso al fuggitivo di giornata più macchinoso del previsto, e 100 secondi strappati all’avversario tedesco. Si vedeva a occhio nudo che non era ancora il Pantani devastante in salita, usciva dal recupero post Giro come chi esce da un letargo, da una sbornia o da una lunga febbre. Quel giorno si capirono due cose: che Ullrich non avrebbe mai e poi mai perso il Tour a base di attacchi normali come quello di Plateau de Beille, l’unica opzione era che venisse portato al limite e poi da quel limite ancora un passo oltre, nel baratro della crisi; la seconda cosa importantissima che qualcuno solo qualcuno intuì, tuttavia, è che quel limite, pur ancora non sfiorato, eppure da qualche parte, fra le alte cime, esisteva. Difficile dire chi si potesse contare nel novero di quei “qualcuno” fra gli esperti di ciclismo o gli altri atleti, ma di una persona lo sappiamo per certo: Pantani stesso. Bisognava però uscire dagli schemi dell’attacco finale, pur di lungo raggio, e pensare a un altro ciclismo. Il ciclismo dell’invenzione e del viaggio nell’inesplorato.
Quel giorno di mezz’estate del 1998 Pantani stabilì uno dei suoi tanti record di scalata destinati a durare un quarto di secolo e più. Il ciclismo intanto è cambiato molte volte, sono comparsi i trenini in salita, sono comparse le squadre padrone a imporre un ritmo blando fino all’ultima ascesa, sono migliorate le bici, le ruote, le gomme, l’alimentazione, l’allenamento, la scienza. Quello di Plateau de Beille, a differenza per dire dell’Alpe d’Huez, non era un gran record, non era un record fantasmagorico, eppure resse lo stesso, un po’ per inerzia, un po’ per caso, un po’ a testimonianza di un ciclismo che si diceva più pulito ma era solo più pigro nel cuore inteso come animo anche se non nel cuore inteso come macchina da pompaggio.

Ieri, domenica, un altro pomeriggio di mezz’estate sotto il sole del Tour de France, è cambiato tutto e al contempo si è tornati al via, al punto d’origine, alla scaturigine del ciclismo. Tutto è nuovo, tutto è uguale, tutto è diverso.
Il ciclismo è tornato ancora una volta il “mano a mano”, come si dice in spagnolo, il duello uno contro uno, il “salta lui o salto io”, lo scornarsi salita dopo salita, tappa dopo tappa dopo tappa, dopo un’ultima tappa ancora che ha fatto la leggenda di questo sport, da Coppi e Bartali ad Anquetil e Poulidor, e via via fino a Pantani contro Indurain, Pantani contro Tonkov, Pantani contro Ullrich, Pantani contro Armstrong. Al contempo oggi ci sono gli squadroni da mettere al lavoro, i calcoli, le tabelle. La scienza. Il risultato è un record saltato a piè pari da ben tre atleti lo stesso giorno, e pareggiato dal quarto classificato.

Come già detto, ma pure come già accaduto tante altre volte, il lampo atomico dello scontro fra i semidei del ciclismo cancella tutto il resto. Chi si ricorda che cosa accadde dopo la musica da ballo che intercorse fra Coppi e il secondo della Sanremo? Quando Anquetil e Poulidor si scorticarono quasi a spallate sul Puy de Dome nemmeno vinsero la tappa, che andò allo spagnolo Jímenez, seguito da uno dei più grandi scalatori di ogni tempo, Bahamontes, peraltro terzo in classifica generale, capace quel giorno di ridurre il proprio distacco da Anquetil a un minuto e mezzo, strappandogliene più che altrettanto. Ma nella foto gli spagnoli non ci sono, restano fuori quadro, così come su Google la ricerca restituisce a pioggia solo loro due, Anquetil e Poulidor. Nella Merano-Aprica del 1994 la tappa la vince Berzin, che vince pure il Giro: non arriveremo a dire che il vincitore di tappa e generale finale sparisca dal ricordo, ma i colossi protagonisti di quella giornata sono per tutti loro due, Pantani e Indurain.

Questo Tour de France 2024, per ora, è solo loro due: Pogacar e Vingegaard, come da quattro anni in qua (anche se, va detto, nel 2021 il duello fu a stento tale e Vingegaard sgomitava ancora nella categoria di altri due eroi ancora in gara oggi, proprio oggi, come figure da fuga, Enric Mas e Richard Carapaz). Non c’è solo il Tour, nella sfida, ci sono state anche Tirreno-Adriatico, Parigi-Nizza, Paesi Baschi, il tutto però più sporadico e sempre con l’impressione che nello scontro diretto Pogacar prevalesse, come di fatto è accaduto quasi sempre in quelle gare, perché l’avversario non era pienamente investito della missione del massimo rendimento.
Veniamo all’oggi, ai 200 km di tappa (finalmente), ai 5.000 metri di dislivello (finalmente), ai colli durissimi e in serie, ma serie ma molto spaziate fra loro, e questo non sarebbe il massimo come norma e regola generale, seppur nel solco della tradizione del Tour; però i tempi e lo stile sono in realtà assai cambiati sotto il cielo di Francia, come pure per le crono (oggi vanno le tappe corte con salite a raffica concatenate, e non ce ne lamentiamo troppo, se non per la brevità). E allora, suvvia, per una volta anche questa distribuzione delle asperità intercalate di gran fondovalle ci sta tutta, in modo da chiamare in causa anche la strategia, il senso tattico, le alleanze e la gestione, tutti fattori che – giocoforza – si sono andati affievolendo in un ciclismo fatto di scalini così insormontabili fra atleta e atleta, sintomo statistico, peraltro, di valori assoluti davvero eccelsi, non solo di una superiorità relativa.
Gara tattica, gara di testa, gara da pensare, gara di resistenza per eccellenza, dunque, condita da un caldo infernale come da pacchetto vacanze pirenaico (Armstrong che lo odiava ne fu risparmiato dalla sua proverbiale buona sorte tranne che nel 2003): e del caldo si dice che possa costituire un tallone d’Achille di Pogacar, che ama il freddo, la pioggerellina, la nebbia, uomo finora soprattutto d’autunno e primavera, uomo da tappe alpine al Giro in maniche corte.

Tappa anche per le fughe, che dopo anni di abbuffate sembrano pure esse travolte e annichilite dal fuoco e fiamme, fuoco e fiamme, fuoco e fiamme imposto dai grandi team delle volate o delle salite. Parte in effetti una fugona epica, solida, potente, con dentro i capitani fuori classifica sostenuti dai rispettivi gregari. Giungeranno in cinque alla salita finale con un minutino e mezzo da difendere, situazione disperata per chiunque, ma oggi c’è chi sotto sotto un po’ ci crede, siccome oltre al rinato De Plus (talento in salita girato a gregario oggi battitore libero) e al fenomeno nordico Johannessen (come molti nordici e molti sovietici prima, folgorante da under poi più opaco nel professionismo, ma sempre capace di alzate d’ingegno) abbiamo un assortimento di vittorie e podi nei Grandi Giri, fra Carapaz, Mas e Hindley, fra tutti e tre mettono assieme due Giri d’Italia e la bellezza di dieci podi finali fra Italia, Spagna e Francia. Il gotha dei pretenders, ormai non più contenders. Possiamo sindacare sul comportamento scapestrato, come da stereotipo, dell’irlandese Healy che, nonostante l’appoggio ricevuto da Carapaz pochi giorni fa sul Massiccio Centrale, “ricambia” facendo i cavolacci propri, probabilmente anche a danno del compagno, a conti fatti. Possiamo sindacare sulla gestione degli sforzi e dei gregari. Ma. Ma tutto questo non conta un bel niente, perché quando arriva il treno giallo, a pois e bianco di Pogacar, Vingegaard (in maglia a pois per procura) ed infine subito staccato Evenepoel (miglior giovane), testuali parole, “ci si rende conto che fanno un altro sport”.

Ma come è potuto arrivare il gruppo selezionato dei migliori così vicino a cotanta fuga? Risposta, la Jumbo Visma. L’alveare meccanico, pur sparuto e spopolato come dopo una spruzzata di pesticidi sulle verdi campagne, ci ha messo tutto quel che ne aveva per picchiare ritmo duro e cattivo lungo i cinque colli e i duecento chilometri a disposizione. Vedono il Pogacar di Pla d’Adet e rilanciano. Dopo tutto, il loro Tour si è basato finora sull’andare a vedere fino in fondo – metro a metro – ogni rilancio di Pogi, dal San Luca agli sterrati, ai muri vulcanici da grande classica del Massiccio Centrale. Viceversa, quando Pogacar ha potuto fare il proprio gioco in solitaria, in cima al Galibier o, per definizione, nella crono, lì fu dove il distacco si era allargato. Unica eccezione, il sabato. Ma sabato faceva fresco. Ma sabato la salita era corta e lo sloveno aveva fatto la propria sparata dove le pendenze mollavano a breve per mettere a rendimento i falsipiani. Ma sabato la tappa era breve. Ma sabato la tappa era la prima dopo due abbuffate di pianura di quelle che restano più nelle gambe di Vingo che non in quelle dello sloveno.

Il ciclismo è sport di mistero e scoperta. Come sta l’altro? Come starà? Come sto io? Come staremo entrambi dopo esserci entrambi spremuti, chi ha recuperato meglio e chi meno? Chi è più prossimo al fondo del barile, ma soprattutto, al fondo del fondo, che barile ha più fondo? Dai cicloamatori che si dicono sempre gli uni gli altri di aver fatto meno km e di aver più kg del dovuto, sempre a corto di un pizzico di forma, fino ai grandi campioni che devono scoprire le proprie carte per scoprire quelle altrui. Ma nel ciclismo, e non solo, la conoscenza ha un prezzo. E il prezzo consiste nel risucchiare le energie di chi vuole sapere, svelare: appunto, andare a vedere. La strada che ha da andarsi per arrivare a quel “vedere” è lunga e aspra più di ogni salita. Ciliegina sulla torta, alla fine di quella strada molte volte da vedere c’è solamente l’abisso.

Dunque la Jumbo Visma si immola intera nella fornace pirenaica. Alla bocca di Plateau de Beille si attende solo che emerga dal crogiuolo il profeta Vingegaard trasfigurato al calor bianco. Jorgenson come un San Giovanni battezza il gruppo con pedalate sferzanti e impietose, ultimo gregario in un gruppetto in cui di gregari ce ne sono davvero pochi. Non sono più i tempi d’oro dei quattro compagni di squadra su nove uomini di ben altri trenini, pure rivisitati dalla stessa Jumbo in anni recenti. Almeida, luogotenente di Pogacar, si è staccato presto, prestissimo (poi sarà clamorosamente quinto dopo una cronoscalata in autonomia, impresa delle sue, da diesel col pace maker). Con Pogi c’è solo Yates. Con Evenepoel c’è solo Landa. Parentesi d’obbligo: che fenomeno pazzesco Mikel Landa, quarto assoluto di tappa, unico corridore abbondantemente sopra i 30 anni nelle prime venti e passa posizioni sia di giornata, sia della generale; le sue mani basse sul manubrio, un punto fermo delle salite attraverso quattro “generazioni” di ciclismo, mette all’angolo Contador, tira il collo a Froome sia da gregario sia da rivale, spalleggia Carapaz nell’interregno, e ora è ancora il primo degli umani, quando la strada sale, alle spalle dei Mazinga della Generazione Z. Carlos Rodríguez, il leone timido di casa INEOS, ha De Plus davanti dalla fuga.

Poi veramente il nulla. Tocca ammetterlo, perché a differenza dell’era Merckx ma perfino a differenza di quelle di Froome o Armstrong, o anche Indurain, qui c’è la rivalità fra due arcinemici con superpoteri, con Remco e Rogla potenziali spalle a bordo ring, ma il cast dei comprimari è, con rispetto parlando, alquanto modesto. La “lotta” per la top ten, diciamo quella misera dozzina di atleti che per ora (!) resistono al di sotto della mezzoretta buona di distacco, è costituita per 8/12 da UAE (3), Jumbo Visma (2), INEOS (1), Soudal Quickstep (2), sostanzialmente gli uomini che siamo andati nominando finora. Gli altri quattro sono l’italiano Ciccone per la Trek, lo svizzero Felix Gall per la Decathlon, il colombiano Buitrago della Bahrain e il canadese Gee per la squadra israeliana. Salvo Buitrago che forse (forse) ha ancora margini di crescita, sarebbero tutti atleti piuttosto maturi, sia pure con carriere un po’ segnate da peripezie varie, ma senza alcun pedigree nella classifica generale dei Grandi Giri. Ciccone e Gee non hanno mai visto una top ten nemmeno col cannocchiale, Buitrago ha come miglior esito un decimo posto finale in CG e Gall un ottavo. Atleti rispettabilissimi di squadre assolutamente solide, carenate e solventi, team senza complessi di inferiorità. Ma, francamente, ciclisti lontanissimi dalla categoria di talento necessaria per giocarsi un grande giro, contro chiunque, non solo contro gli Z-men. Addirittura ancora lontani dalla possibilità di vincere una corsa a tappe di una sola settimana. Sudare duro per le tappe, quello sì, per le maglie secondarie. Eppure dietro a quella dozzina di protagonisti, capitani o gregari, appartenenti ai suddetti Superteam (e tolti, ovviamente, i fuggitivi del mattino) i migliori per la tappa e per la generale sono proprio questi poco-fantastici quattro, i Meravigliosi Mestieranti. Poi si esce dai venti… primi venti arrivati, e primi venti minuti, quasi, con Carlos Verona.

Questa analisi, oltre a rendere giustizia, sebbene impietosamente, degli altri atleti comunque in lizza per una top ten del TDF, permette di comprendere un’altra questione cruciale. La Jumbo Visma ha fatto il possibile per quasi 200 km, ma erano letteralmente solo loro. Il resto del gruppo, fatti i propri conti, era in modalità sopravvivenza e risparmio. Le salite di tappa sono state affrontate a ritmo allegro, ma sempre un minuto almeno sopra ai relativi record, appartenenti quasi tutti a epoche diverse del ciclismo dagli anni 2000 in qua. Tempi comparabili o peggiori di quelli di un Barguil, di un Kessiakoff, di un Rolland, di un Pineau, di un Malori, se proprio vogliamo perfino di uno Wiggins o di un Voeckler miracolati.

Evidentemente la Jumbo Visma non è più quella capace di spompare con attacchi a raffica e trenate dei gregarioni il Pogi 2022. Tocca allora a Vingegaard l’onere di riscuotere la scommessa. Il Vingegaard 2023 non aveva avuto bisogno del team per abbattere Pogacar con un primo jab sul Marie Blanque e poi un unico diretto ben assestato a crono. Il danese e il suo team attendono questo momento messianico con fede piena, come deve essere. Il mantra recita: fatica tanta, caldo troppo, salita lunga. E Vingegaard esegue il rito a perfezione, allungando ai -10 km dalla fine. Sforzo prolungato, grande salita. Passo asfissiante. Non è che il danese vada piano. Proprio no. Evenepoel capisce subito l’andazzo e va del suo passo. Ma anche un Adam Yates in formissima si ritira subito di scena.
Vingo tira, Pogi a ruota. Implacabile, imparziale, imperturbabile come il karma, giustizia e cattiveria. È finita l’ora dei cambi dati a gratis dopo esser stato ripreso sul Perthus. È finita l’ora delle ruote ciucciate dal danese (e ben a ragione!) sulla polvere degli sterrati. Ora a ruota ci sta lo sloveno, all’altro il compito di stanarlo, scuoterlo, svuotarlo. Vingegaard tira, e tira, e tira. Tira forte, fortissimo, mentre Pogacar s’innaffia di borracce, anche senza mani quasi strafottente, non molla un centimetro. Lo si vede soffrire di tanto in tanto. Oscilla le spalle. China il capo. Sempre ruota a ruota, incollato. O salta lui, o salto io. Ad ogni modo, Vingegaard non vede nulla, né la strafottenza e la sicumera né i cedimenti e la bocca ritorta. Guarda solo avanti, come dev’essere: avanti, dentro di sé, nell’abisso.

Fino a che a un certo punto Vingegaard si volta. Novello Orfeo, ha rotto l’incantesimo, rimarrà solo e non più in coppia. Dopo un quarto d’ora menando, nel mezzo del cammin fra l’attacco e la vetta, Jonas guarda indietro. E, come la moglie di Lot, rimane di sale. Basta quello. Uno sguardo indietro. Pogacar lo vede, lo attacca. E se ne va. Non è un attacco bruciante come altre volte, più una progressione, ma è subito chiaro che il gioco è finito. Se (questo) Pogacar ha dei limiti, non è (questo) Vingegaard a poterli scoprire, a poterli portare allo scoperto. Non oggi, non qui, non ora. Il prezzo da pagare sono altri cinque chilometri di sofferenza solitaria, di abisso.

Pogacar gigantesco: nel vedere la classifica di giornata, i commentatori TV la scambiano per quella generale, per il cumulativo di due settimane intere di Tour. No, ragazzi, è una vita in una salita. Jumbo sconfitta. Vingegaard sconfitto. Seccamente, senza appello. Errori tattici? Forse. Col senno di poi. Ma bisognava provare. Un punto a favore del ciclismo che non ha tutto nero su bianco previamente ben calcolato nel retrobottega. E poi, stando così le cose, va bene così. Stando così le cose un minuto, due o tre è la stessa cosa. Non esiste una differenza atletica a favore di Vingegaard su nessun terreno, punto. Ergo, la differenza va fatta fuori dal terreno delimitato dall’atletismo. Nelle sorprese, nelle invenzioni. Questo era l’ultimo spartito razionale, ed è stato suonato fino in fondo. Ora si tratta di inoltrarsi nel terreno della lucida pazzia. La principale speranza per noi, per il pubblico, è che la gara non venga a risolversi, ora che le gerarchie sono delineate, per fattori esterni o interni di tipo accidentale: cadute, crisi inopinate non provocate dai rivali, problemi di salute estemporanei, esibizionismo poliziesco o giudiziario, ripicche, vendette. Per il resto, ci siamo divertiti e continuiamo a divertirci parecchio. Grazie Pogacar, grazie Vingegaard. La grandezza, per entrambi, sta ed è stata più nel lottare quando si è o si era in condizioni di inferiorità, piuttosto che non nei numeri da record. E un altro giorno toccherà parlare pure di questo fenomenale Remco Evenepoel.

Gabriele Bugada

Pogacar vince a Plateau de Beille e blinda il Tour (www.cyclingnews.com)

Pogacar vince a Plateau de Beille e blinda il Tour (www.cyclingnews.com)

LONGO BORGHINI REGINA D’ITALIA, IL GIRO WOMEN È SUO

luglio 15, 2024 by Redazione  
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Capolavoro di Elisa Longo Borghini che rintuzza tutti gli attacchi della sua diretta avversaria Lotte Kopecky per poi staccarla sul rettilineo finale. Ultima tappa a Kimberley (Le Court) Pienaar, prima atleta mauriziana a vincere una tappa. Podio di giornata per Ruth Edwards e Franziska Koch, arrivate con la vincitrice.

Finalmente Longo Borghini!!! Finalmente Elisa Longo Borghini (Lidl – Trek) ha scritto il suo nome nella storia del Giro d’Italia Women e lo ha fatto vestendo il simbolo del primato dalla prima all’ultima tappa. Rischiando di perderla, ma senza mai avere paura che questo accadesse veramente. La sua avversaria più forte, la belga Lotte Kopecky (Team SD Worx – Protime), ha messo sulla strada tutta la sua classe e le sue capacità, che sono veramente tante. Ma la Longo Borghini vista in queste otto tappe è stata fredda quando occorreva, calcolatrice, quasi ragioniera all’occorrenza e forte, terribilmente forte e motivata come oggi, quando dopo aver francobollato la ruota dell’avversaria per tutto il giorno l’ha staccata negli ultime centinaia di metri di questo Giro per tagliare il traguardo da sola. E poco importava se la tappa era già stata vinta da Kimberley (Le Court) Pienaar (AG Insurance – Soudal Team), che aveva regolato le compagne di viaggio Ruth Edwards (Human Powered Health) e Franziska Koch (Team dsm-firmenich PostNL).
La vincitrice di tappa, prima atleta provenuiente dalle isole Mauritius ad aggiudicarsi una tappa del Giro, ha detto dopo l’arrivo: “Non ho parole per quello che ho fatto. Era un sogno partecipare a una gara come questa e ora sono qui, con una vittoria di tappa. Ho perso molto tempo in classifica generale, quindi oggi l’intenzione era quella di divertirmi. Ho dato tutto perché non avevo nulla da perdere. È stata una sensazione pazzesca tagliare il traguardo per prima, non la dimenticherò mai. Ancora non ci credo! Non siamo venute al Giro con grandi aspettative perchè la nostra leader Ashleigh Moolman Pasio è caduta al Catalunya e quindi eravamo qui con una squadra molto giovane. Ho provato a tenere in classifica ma poi ho avuto una giornata storta e mi sono concentrata sulle tappe. E’ andata bene così. E’ un grandissimo risultato per il mio paese e spero possa ispirare più persone ad iniziare a praticare questo sport splendido”.
Questa ultima tappa era facilmente ipotizzabile come un lungo duello che vedeva le due prime della classifica, divise alla partenza da un solo secondo. La disponibilità degli abbuoni poteva favorire la belga mentre la determinazione e un’eventuale fuga tornavano a vantaggio della ragazza di Ornavasso. Un “all in” appassionante, che strada facendo sembrava sempre più emozionante e aperto a tutte le soluzioni. La Kopecky pesta sui pedali come solo una campionessa del suo calibro può permettersi. La Longo Borghini tiene botta, risponde ad ogni attacco e non molla mai la ruota della sua diretta avversaria. L’italiana ha interesse che la fuga arrivi, la belga non solo deve annullare la fuga ma deve mettere la propria bici davanti a quella dell’avversaria. I chilometri finali passano veloci e il vantaggio della fuggitive si riduce e perdono anche qualche pezzo per strada. La Kopecky insiste, Longo Borghini resiste. Le fuggitive arrivano e si giocano la tappa, la Longo Borghini da una botta, una sola, e non ce n’è più per nessuno; arriva quarta, da sola, e corona finalmente il suo sogno rosa. Elisa Longo Borghini conquista il Giro d’Italia Women 2024 targato RCS.
“E’ stato l’epilogo incredibile di una settimana perfetta. Mi piace vivere questo tipo di situazioni, essere sotto pressione, lottare gomito a gomito. Sono partita con un secondo di vantaggio ma ero motivatissima a dare tutto, e nel team tutti mi hanno supportato. Vestire la Maglia Rosa finale è qualcosa di speciale, sono orgogliosa di ciò che ho fatto, anche se mi servirà del tempo per metabolizzarlo – poi ha continuato – Questa vittoria è frutto del duro lavoro, perchè non sono nata fenomeno ma nonostante ciò non ho mai smesso di crederci, superando anche momenti difficili, infortuni, periodi in cui volevo riconsiderare la mia carriera. Anche in questa corsa ci sono stati momenti critici come nella terza tappa, in cui ho sofferto il caldo sulla salita finale. Oggi invece ero molto tranquilla, la fuga aveva un buon margine e questa situazione ha portato Kopecky a scoprirsi. Ero un po’ infastidita dal finale di ieri e oggi volevo dimostrare tutto il mio valore. Il mio prossimo obiettivo sono le Olimpiadi ma prima voglio godermi questo successo e la Maglia Rosa che ho tanto sognato e che ora posso finalmente definire mia”.
Onore della armi per la seconda classificata, che può onorarsi di essere la prima atleta belga a salire sul podio della corsa rosa: “E’ bello tornare sul podio di un Grande Giro anche se il margine che mi ha separato dal successo era veramente minimo. – sono state le sue parole – Oggi è stata una tappa durissima, devo ringraziare le mie compagne di squadra che hanno fatto il possibile per aiutarmi. Rispetto molto Elisa, è stata una grande avversaria. Sono soddisfatta e orgogliosa di ciò che ho fatto”.
L’ultimo giorno di un grande Giro è quello delle emozioni ma anche quello dei consuntivi.
Come già detto e ripetuto la maglia rosa è andata alla Longo Borghini con 21″ sulla Kopecky mentre terza a 1′16″ si è piazzata l’australiana Neve Bradbury (Canyon//SRAM Racing) grazie all’impresa del giorno prima nel tappone del Blockhaus.
La maglia rossa della classifica a punti se la porta a casa l’indomabile Kopecky grazie ai numerosi piazzamenti precendendo di 86 lunghezze la Longo Borghini con 68 e di 95 la neozelandese Niamh Fisher-Black (Team SD Worx – Protime), vincitrice a Toano del primo arrivo in salita.
La maglia azzurra dei Gran Premi della Montagna se l’aggiudica la belga Justine Ghekiere (AG Insurance – Soudal Team) davanti alla connazionale Kopecky, mentre la maglia bianca di miglior giovane è andata alla Bradbury, terza in classifica generale. Infine, la miglior formazione è risultata la Liv AlUla Jayco che, messi assieme i tempi delle loro atlete, ha sopravanzato di quasi 10 minuti la Lidl – Trek della maglia rosa.
Il Giro d’Italia Femminile, che nella sua storia ha cambiato più volte nome fino all’odierno Giro d’Italia Women, vanta nel suo palmares solo 5 atlete italiane sul gradino più alto del podio: Maria Canins (1988), Roberta Bonanomi (1989), Michela Fanini (1994), Fabiana Luperini (1995-1998, 2008) e da oggi anche Elisa Longo Borghini.

Mario Prato

Il podio del Giro dItalia Women 2024 (Getty Images)

Il podio del Giro d'Italia Women 2024 (Getty Images)

GIRO D’ITALIA WOMEN: NEVE BRADBURY VINCE SUL BLOCKHAUS, PER UN SECONDO LONGO BORGHINI È ANCORA IN ROSA

luglio 13, 2024 by Redazione  
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Neve Bradbury (Canyon//SRAM Racing) ha vinto la settima tappa del Giro d’Italia Women, la Lanciano-Blockhaus di 120 km. Al secondo e terzo posto si sono classificate rispettivamente Lotte Kopecky (Team SD Worx – Protime) e Elisa Longo Borghini (Lidl – Trek), divise ora da un solo secondo in classifica

Neve… un nome perfetto per vincere una tappa di montagna. Così si chiama la Bradbury, l’australiana portacolori della Canyon//SRAM Racing. La sua vittoria sul Blockhaus, la salita più dura del Giro d’Italia Women, è nata grazie ad un’attacco portato in solitaria al gruppetto delle migliori che conducevano le fasi salienti sella tappa. “Sono esausta ma felice. – sono state le sue parole dopo il traguardo – Non penso di aver spinto così tanto in vita mia. Quando ho attaccato pensavo soprattutto alla vittoria di tappa ma adesso la situazione si fa interessante anche in ottica Maglia Rosa. Domani ci proverò, non voglio pormi limiti”.
La sua dichiarazione a caldo può sembrare un po’ azzardata, ma grazie all’impresa odierna l’australiana è salita al terzo posto della classifica generale, sempre condotta da Elisa Longo Borghini (Lidl – Trek), oggi terza alle spalle della campionessa del mondo Lotte Kopecky (Team SD Worx – Protime), sua diretta rivale in chiave maglia rosa. Questa coppia di “stelle” ha chiuso la tappa del Blockhaus 44” dopo l’arrivo dell’australiana.
La vittoria della Bradbury è stata fondamentale per la lotta alla maglia rosa perchè l’abbuono di 10” per il primo posto se conquistato dalla Kopecky le avrebbe permesso di passare in testa alla classifica. I restanti abbuoni di 6” e 4” hanno, invece, fatto sì che la belga conquistasse ancora terreno, ma non abbastanza per scavalcare la campionessa italiana, in Rosa dalla prima tappa.
Ovviamente le protagoniste della tappa odierna non sono state solo le prime tre dell’ordine d’arrivo, che in ordine inverso sono anche quelle che occupano i primi tre posti della generale, distante rispettivamente di un secondo e di 1′12″. Tornando all’ordine d’arrivo in quarta posizione dopo 1’07” si è piazzata Pauliena Rooijakkers (Feix-Deceuninck), a 2′02″ Antonia Niedermaier (Canyon//SRAM Racing) e Juliette Labous (Team dsm-firmenich PostNL), a 2′05″ Niamh Fisher-Black (Team SD Worx – Protime), a 2′15″ Gaia Realini (Lidl – Trek), a 4′20″ Mareille Meijering (Movistar Team), Mavi García (Liv AlUla Jayco) e Cecilie Uttrup Ludwig (FDJ – SUEZ). Nella top20 si sono piazzate altre tre italiane: tredicesima Monica Trinca Colonel (Bepink – Bongioanni); quattordicesima Erica Magnaldi (UAE Team ADQ) e dicianovesima Barbara Malcotti (Human Powered Health).
La classifica generale come già scritto vede Longo Borghini e Kopecky divise da un solo secondo, seguite dalla vincitrice odierna, che ha conquistato 8 posizioni e ora è a 1’12”. Nella TopTen troviamo inoltre a 2′01″ la Rooijakkers, a 2′11″ la Labous, a 2′28″ la Niedermaier, a 2′54″ la Fisher-Black, a 3′59″ la Realini, a 4′18″ la Ludwig (FDJ – SUEZ) e a 5′13″ la García
Nelle interviste di rito la prima a prendere la parola è stata la vincitrice di tappa, che ha aggiunto a quanto detto dopo il traguardo: “Sono orgogliosa di me stessa. Non avrei mai creduto di poter vincere una tappa al Giro, e per questo sono estremamente felice. Oggi è stata una giornata molto dura, probabilmente la più difficile che ho passato in bicicletta. Ho attaccato per cercare di vincere la tappa, ma ora tutto cambia anche in ottica classifica generale. Domani farò del mio meglio”.
La Longo Borghini, ben cosciente che la sua maglia rosa è sempre più insidiata dalla campionessa del mondo, ha dichiarato: “E’ stata una giornata durissima, ma sono ancora in maglia rosa. Sapevo che Lotte Kopecky sarebbe andata forte, era migliorata molto in salita già l’anno scorso. La nostra è una sfida su molti terreni, lei è più veloce di me e oggi ha sfruttato questa sua qualità. Domani sarà un altro capitolo, voglio riposarmi e provare a rilassarmi il più possibile”.
Ultima a prendere la parola è stata la Kopecky, che indossa anche la maglia rossa, di leader della classifica a punti: “Quello tra me e Elisa è un duello molto emozionante. Oggi ho cercato di guadagnare qualche secondo sprintando nel finale, ma lei è stata molto forte. Sono molto contenta della mia prestazione su questa salita, in una giornata durissima. Domani ho un’altra chance, il percorso mi piace, soprattutto il finale. Cercheremo di controllare la corsa e se avrò le gambe cercherò di conquistare la maglia rosa”.
L’ultima sfida è stata lanciata, la partita a scacchi tra le due prime donne di questo Giro d’Italia Women si concluderà lungo i 117 Km della Pescara-L’Aquila di domani. La tappa presenta un tracciato impegnativo, un classico saliscendi appenninico con il finale cittadino caratterizzato da brevi salite con pendenza anche in doppia cifra, un traguardo più volte utilizzato anche al Giro d’Italia dei “maschietti”

Mario Prato

Neve Bradbury vince la tappa regina del Giro dItalia Women (Getty Images)

Neve Bradbury vince la tappa regina del Giro d'Italia Women (Getty Images)

­SUPER TADDEO, ATTACCA SUI PIRENEI E AUMENTA IL VANTAGGIO IN GENERALE

luglio 13, 2024 by Redazione  
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Pogacar manda in avanti Yates come apripista e, dopo il solito scatto violento con cui apre il buco su Vingagaard, lo raggiunge e riprende fiato prima di sparare tutto su pendenze non troppo arcigne e quindi più congeniali ad un corridore potente come lui piuttosto che ad uno scalatore leggero come il danese.

Chi pensa che il Tour sia finito sbaglia di grosso. Può ancora succedere di tutto a partire dalla tappa di domani, dura e lunga, e con tutte le Alpi ancora da affrontare.
Oggi però Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) oltre che incrementare il vantaggio in classifica è stato tatticamente perfetto perché ha sfruttato in contemporanea le sue caratteristiche fisiche (il suo scatto violentissimo, irresistibile per chiunque), la squadra (che ha controllato la corsa alla perfezione e Adam Yates che gli ha fatto da punto di appoggio per permettergli di rifiatare) e le caratteristiche del percorso che, negli ultimi chilometri, presentava pendenze decisamente più adatte alla sua potenza piuttosto che alla leggerezza di un corridore come Jonas Vingegaard (Visma)
Ha funzionato tutto alla perfezione e, forse, oltre le più rosee aspettative della maglia gialla e del suo team.
La squadra ha controllato la fuga senza esagerare, senza sfinire del tutto gli uomini, senza imporre ritmi impossibili, tanto che il gruppo maglia gialla è rimasto abbastanza folto sino all’ultima salita.
Dopo una lunga conversazione tra il capoclassifica e Yates c’è stato l’allungo del britannico, cosa che ha costretto la Visma a mettere in testa al gruppo l’unico uomo disponibile per il danese, Matteo Jorgenson, che non è però uno scalatore ed infatti il ritmo imposto non era affatto vertiginoso, tanto che Yates, senza dannarsi troppo, ha guadagnato in breve 20 secondi.
Pogacar, quando le pendenze erano ancora elevate, è riuscito a creare il buco su Vingegaard e Remco Evenepoel (Soudal Quick-Step) con la sua classica rasoiata violenta e a portarsi su Yates.
Il compagno di squadra lo ha aiutato a rifiatare, impedendo però a Vingegaard di chiudere il gap.
Quando ormai le pendenze stavano per calare e Yates era sfinito Pogacar è andato via da solo ed è riuscito ad incrementare il suo vantaggio su Vingegaard che, nel frattempo, aveva staccato Evenepoel.
Su pendenze non troppo elevate si riesce a fare velocità e in questo Pogacar è certamente superiore a Vingegaard, tanto che è riuscito ad incrementare il vantaggio molto più che nella prima parte dell’attacco. Al contrario di quanto accaduto sul Massiccio Centrale, quando forse Pogacar si era anche alimentato male, non solo Vingegaard non è riuscito a chiudere il gap, ma ha tagliato il traguardo con 40 secondi di ritardo.
A 1′10″ è arrivato Evenepoel che, alla prima prova sulle grandi salite, sta dimostrando di essere molto migliorato anche su questo terreno.
In questa tappa Pogacar non ha utilizzato la squadra solo per tirare e controllare la corsa, ma ha capito che poteva sfruttare la superiorità del suo team anche in altro modo e è riuscito infatti a finalizzare l’attacco di Yates anche perché Jorgenson, che era stato utilissimo a Vingegaard sugli sterrati, non è certo al livello di Yates in montagna.
Venendo alla cronaca odierna, la corsa prevedeva un lungo tratto pianeggiante nel quale ci sono stati subiti moltissimi attacchi, che non riescono però a dar vita alla fuga.
Intorno a chilometro 40 riescono ad avvantaggiarsi Bryan Coquard (Cofidis), Mathieu Van Der Poel (Alpecin-Deceuninck), Arnaud De Lie e Cedric Beullens (Lotto Dstny), preso raggiunti da Oier Lazkano (Movistar), Magnus Cort (Uno-X Mobility), Kévin Vauquelin e Raul Garcia Pierna (Arkéa-B&B Hotels). Il gruppo sembra calmarsi e questo porta altri corridori a decidere di inseguire i battistrada. Il gruppo dei contrattaccanti è formato da Christopher Juul-jensen (Team Jayco AlUla), Michał Kwiatkowski (Ineos Grenadiers), Bruno Armirail (Decathlon Ag2r La Mondiale Team), Marco Haller (Red Bull-Bora-hansgrohe), David Gaudu (Groupama-FDJ), Jasper Philipsen (Alpecin-Deceuninck), Rui Costa, Ben Healy e Sean Quinn (EF Education-EasyPost), Victor Campenaerts (Lotto Dstny), Simon Geschke (Cofidis), Louis Meintjes e Biniam Girmay (Intermarché-Wanty), Alexey Lutsenko (Astana Qazaqstan Team) e Fabien Grellier (TotalEnergies)
L’inseguimento viene portato a termine sulle prime rampe del Tourmalet ma, naturalmente, poco dopo l’inizio della salita molto uomini iniziano a perdere contatto, mentre dietro il gruppo viaggia con 4 minuti di ritardo e con la UAE in testa che controlla abbastanza tranquillamente, mentre Pogacar non si trova nella scia dei compagni di squadra bensì nella pancia del gruppo.
Al GPM, dedicato come sempre al ricordo di Jacques Goddet, Lazkano riesce a distanziare Gaudu in un duello che avrà esito opposto sul successivo GPM di Horquette d’Ancizan.
Su questa seconda salita di giornata, però, il gruppo alza il ritmo con l’intervento in testa di Marc Soler (UAE Team Emirates) e anche il gruppetto dei battistrada si riduce grazie all’azione di Healy che si porta dietro Kwiatkowski, Meintjes, Gaudu e Lazkano, con quest’ultimo che disegna della orribili traiettorie quadrate in discesa e perde contatto dagli altri per rientrare in un momento successivo.
Sull’ultima salita il ritardo del gruppo è ormai ridotto a poco più di un minuto ed in testa si portano prima Pavel Sivakov (UAE Team Emirates) poi Joao Almeida (UAE Team Emirates), mentre davanti Healy va via da solo.
Almeida resta davanti per poche centinaia di metri perché a quel punto parte Yates e in gruppo è Jorgenson a mettersi davanti, fino all’affondo di Pogacar che si appoggia a Yates per rifiatare prima di ripartire a tutta. Vingegaard, che in un primo momento riesce a contenere il gap come al solito negli 8-9 secondi, inizia a perdere sempre di più con il passare dei chilometri, tanto che nell’ultimo chilometro accusa un distacco identico a quello accumulato in oltre 3 km e giunge al traguardo con 39 secondi di ritardo.
Attualmente il danese è a quasi 2 minuti dalla maglia gialla, mentre Evenepoel perde la seconda posizione e scende al sul terzo gradino provvisorio con un ritardo di 2′22″, ma può essere soddisfatto della sua prova.
Buona la gara di Giulio Ciccone (Lidl – Trek), che giunge al traguardo con 1′23″ di ritardo e mantiene la posizione in top ten, ottavo con poco più di 9 minuti di ritardo.
Oggi è andata in scena una bellissima tappa, ma le emozioni non sono finite perché domani ci sarà un altro tappone pirenaico con partenza in salita e 5 colli da affrontare prima dell’arrivo sul Plateau de Beille, dove Pantani sferrò un attacco nell’anno che lo avrebbe poi visto firmare l’ultima doppietta Giro-Tour, obiettivo che Pogacar vuole raggiungere in questa stagione

Benedetto Ciccarone

La maglia gialla allattacco sulle strade della prima frazione pirenaica (Getty Images)

La maglia gialla all'attacco sulle strade della prima frazione pirenaica (Getty Images)

GIRO D’ITALIA WOMEN: LIANE LIPPERT SI PRENDE LA SESTA TAPPA, LONGO BORGHINI TIENE LA MAGLIA ROSA

luglio 12, 2024 by Redazione  
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Successo della tedesca Liane Lippert che si è imposta sul terzetto che ha animato la fuga buona nel finale di gara. Podio di giornata per Ruth Edwards e Erica Magnaldi. Elisa Longo Borghini risponde ad un tentativo di attacco della Kopecky e mantiene la Maglia Rosa a due tappe dal termine

La fuga buona nata nelle fasi finali della tappa premia la tedesca Liane Lippert (Movistar Team), che si è imposta nella San Benedetto del Tronto-Chieti di 159 km, sesta tappa del Giro d’Italia Women. Al secondo e terzo posto si sono classificate rispettivamente Ruth Edwards (Human Powered Health) e Erica Magnaldi (UAE Team ADQ), ultime rimaste del drappello che era riuscito ad avvantaggiarsi insieme ad Ane Santesteban (Laboral Kutxa – Fundación Euskadi) dopo il GPM di Penne.
La vittoria della Lippert, senza nulla togliere al valore delle altre atlete impegnate nella corsa, ha un valore maggiore essendo stata vittima di un infortunio che l’ha tenuta lontano dalle corse per molto tempo, come si evince anche dalle sue dichiarazioni post gara: “E’ una vittoria dal valore immenso anche perchè l’inizio di Giro è stato molto complicato. Ho iniziato ad assaporarla dal momento in cui sono entrata nella fuga ma allo stesso momento dicevo a me stessa di rimanere concentrata. Ho passato dei mesi difficili a causa di un brutto infortunio e voglio ringraziare coloro che hanno creduto in me. Sono molto emozionata perché, dopo l’infortunio che ho avuto, cercavo una vittoria o un buon risultato da dedicare non solo a me stessa ma a tutti coloro che mi sostengono. È stata una giornata dura e calda, il ritmo era molto veloce, per fortuna sono riuscita a entrare nella fuga giusta. Quella di oggi era l’ultima possibilità per me di vincere ed ero molto motivata. Non volevo ripetere l’errore commesso ai Campionati Nazionali, quindi ho deciso di anticipare un po’ lo sprint. E’ andata bene, sono molto soddisfatta”.
Se quella di oggi era l’ultima possibilità per la tedesca di dire la sua, per le “stelle” di questo Giro la sesta tappa è stata la prima di una terna che le vedrà impegnate fino alla fine per la conquista della Maglia Rosa.
Dopo la volata vincente di ieri che ha permesso a Lotte Kopecky (Team SD Worx – Protime) di avvicinarsi alla vetta della classifica, oggi è stata la maglia rosa Longo Borghini (Lidl – Trek) ad aggiudicarsi il round della loro personalissima sfida. La piemontese ha, infatti, prontamente risposto ad un allungo della belga nel finale di gara e, non soddisfatta di averne spento le velleità, è anche andata a vincere la volata del gruppetto che inseguiva le tre di testa, chiudendo in quarta posizione. “Sono felice di aver vinto la volata per il quarto posto anche se non cambia niente per la classifica generale. Non è una sfida tra me e Lotte Kopecky, il livello della gara è molto alto e non si può escludere nessuna dalla sfida per la Maglia Rosa. Domani ci saranno distacchi elevati perchè il Blockhaus è una salita molto selettiva. L’ho provata in allenamento con Gaia Realini e credo che sarà decisiva”.
Domani il Giro d’Italia femminile ha in programma quella che si può definire “Tappa Regina”. Si partirà da Lanciano alla volta della celebre ascesa del Blockhaus, che si raggiungerà in 120 Km. La salita sarà presa di petto due volte, la prima fermandosi ai quasi 1300 metri del Passo Lanciano dopo 11 Km all’8.6%, la secondda prolungando l’ascensione di quasi 5 Km – in tutto sono 16 Km all’8.3% – per portarsi fino a quota 1654, nello stesso luogo dove nel recente passato sono terminate tre tappe del Giro riservato ai professionisti. Nell’occasione l’ascesa finale sarà intitolata ad Alfonsina Strada, la ciclista emiliana che corse tra il 1907 e il 1936 e nel 1924 presa parte, unica donna, al Giro d’Italia maschile: la ricorderà un’opera realizzata dallo street artist toscano Dela Vega e che sarà installata presso il punto culminante della strada asfaltata
del Blockhaus, a 2068 metri du quota, luogo dove nel 1967 era terminata la prima tappa del Giro arrivata lassù, vinta dal “cannibale” Eddy Merckx.

Mario Prato

Liane Lippert vince la sesta tappa del Giro dItalia femminile (Getty Images)

Liane Lippert vince la sesta tappa del Giro d'Italia femminile (Getty Images)

PHILIPSEN BIS AL TOUR, SECONDA VITTORIA IN VOLATA PER IL BELGA

luglio 12, 2024 by Redazione  
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Jasper Philipsen vince in volata l’arrivo a Pau al Tour de France 2024, questa volta il belga parte lungo e fa tuto da solo dimostrando una gamba superiore a tutti i diretti avversari, seondo chiude, ancora, Wout Van Aert (Visma|Lease a Bike), terzo invece Pascal Ackermann (Israel – Premier Tech), la maglia verde Biniam Girmay (Intermarché – Wanty) si accontenta del quarto posto.

Il Tour de France registra l’assenza di Primož Roglič (Red Bull-Bora-Hansgrohe), lo sloveno non parte dopo la caduta di ieri, chi invece parte forte subito dopo il via è Mathieu van der Poel (Alpecin-Deceuninck) che riesce a portar via la fuga di giornata con un gruppetto di ben 23 uomini: Jan Tratnik (Team Visma | Lease A Bike), Adam Yates (UAE Team Emirates), Michał Kwiatkowski (INEOS Grenadiers), Julien Bernard (Lidl-Trek), Toms Skujiņš (Lidl-Trek), Matej Mohorič (Bahrain Victorious), Kevin Geniets (Groupama-FDJ), Romain Grégoire (Groupama-FDJ), Mathieu Van Der Poel (Alpecin-Deceuninck), Axel Laurance (Alpecin-Deceuninck), Rui Costa (EF Education EasyPost), Neilson Powless (EF Education EasyPost), Marijn Van Den Berg (EF Education EasyPost), Arnaud De Lie (Lotto Dstny), Cedric Beullens (Lotto Dstny), Brent Van Moer (Lotto Dstny), Jakob Fuglsang (Israel Premier Tech), Hugo Houle (Israel Premier Tech), Oier Lazkano (Movistar Team), Frank Van Den Broek (Team dsm-firmenich PostNL), Davide Ballerini (Astana Qazaqstan Team), Magnus Cort (Uno-X Mobility), Jonas Abrahamsen (Uno-X Mobility) e Mathieu Burgaudeau (TotalEnergies) che però poco dopo si stacca. Il gruppo lascia fare, in testa al plotone si portano inizialmente sia la Jayco-AlUla sia la Visma|Lease a Bike per cercare di organizzare l’inseguimento. In un tratto in rettilineo con vento laterale Wout van Aert (Visma|Lease a Bike), con una grande gamba, allunga e spezza il gruppo, il belga si porta dietro un gruppetto con dentro anche la maglia gialla Tadej Pogačar (UAE Team Emirates) e Jonas Vingegaard (Team Visma | Lease A Bike) riuscendo ad avere circa una ventina di secondi di vangtaggio sul resto del gruppo, dietro sono gli Ineos Grenadiers a dover chiudere. Il vento intanto cala di intensità ed il gruppo va a ricompattarsi. Da segnalare il ritiro in questo frangente di  Juan Ayuso (UAE Team Emirates) a causa, probabilmente di positività al Covid. Il drappello di testa nonostante la sfuriata del gruppo riesce a conservare un vantaggio di poco superiore al minuto, la presenza di Adam Yates fa si che il vantaggio non dilaghi, invece di procedere di comune accordo Magnus Cort prova un allungo a cui si accodano Michal Kwiatkowski, Julien Bernard e Romain Grégoire, i quattro riescono ad avvantaggiarsi di un minuto sugli ex compagni di fuga che intanto vengo assorbiti dal gruppo. Nel tratto di tappa con qualche salita non segnalata come GPM i più attivo sono Rasmus Tiller e Jonas Abrahamsen, ci provano anche Campenaerts, Healy e Van Gils, poco dopo allungano Richard Carapaz (EF Education – EasyPost) e Tobias Halland Johannessen (Uno-X Mobility). I due sono io soli a riuscire a guadagnare qualche secondo e rimanere in testa alla corsa ma il gruppo li riprende grazie al loro delle squadre dei velocisti, soprattutto Alpecin – Deceuninck e Lotto Dstny vanno a chiudere. Nei chilometri conclusivi è la Visma | Lease a Bike a fare la voce grossa pilotando ad altissima velocità il gruppo, si entra nel rettilineo di arrivo dove una caduta, innescata da una manovra scellerata di Van Gils coinvolge Amaury Capiot (Arkéa-B&B Hotels), Axel Zingle (Cofidis) e Cees Bol (Astana Qazaqstan) che hanno la peggio, mentre De Lie rimane in piedi ma è tagliato fuori dalla volata. In testa questa volta è Laporte a lanciare al meglio Wout Van Aert che non parte nel momento giusto e si fa anticipare da Jasper Philipsen, il belga questa volta fa tutto da solo e con una volata lunghissima vince per la seconda volta, dietro di lui proprio Wout Van Aert ennesima volta secondo, una maledizione che incombe ancora sul belga, terzo, sempre più in crescita Pascal Ackermann (Israel – Premier Tech), quarto invece Biniam Girmay (Intermarché – Wanty). Domani cambierà lo scenario grazie all’arrivo in salita di Pla d’Adet affare per gli uomini di classifica che vogliono vincere il Tour de France.

Antonio Scarfone

Jasper Philipsen (Alpecin - Deceuninck) è bis a Pau (Photo credit: Getty Images)

Jasper Philipsen (Alpecin - Deceuninck) è bis a Pau (Photo credit: Getty Images)

GIRO D’ITALIA WOMEN: LOTTE KOPECKY INSIDIA LA MAGLIA ROSA DELLA LONGO BORGHINI

luglio 12, 2024 by Redazione  
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Con il successo e i relativi abbuoni nella quinta tappa nel Giro d’Italia Women la Campionessa del Mondo Lotte Kopecky si avvicina pericolosamente alla leadership di Elisa Longo Borghini. Podio di giornata anche per Chiara Consonni e Arlenis Sierra.

La conclusione in volata della Frontone-Foligno ha premiato la Campionessa del Mondo Lotte Kopecky (Team SD Worx – Protime). La maglia rossa – la belga è la leader della classifica a punti – dopo due secondi posti centra finalmente la vittoria davanti a Chiara Consonni (UAE Team ADQ) e Arlenis Sierra (Movistar Team). La maglia rosa Elisa Longo Borghini (Lidl – Trek) non ha preso parte alla volata e ha chiuso diciottesima, ma ha comunque mantenuto la leadership in classifica generale, anche se per soli 3”. Infatti, il primo posto odierno ha fruttato alla Kopecky 10” preziosissimi secondi d’abbuono.
Alle spalle delle tre cicliste citate la topten di questa quinta tappa è completata da Kathrin Schweinberger (CERATIZIT-WNT Pro Cycling Team), Barbara Guarischi (Team SD Worx – Protime), Vittoria Guazzini (FDJ – SUEZ), Ruby Roseman-Gannon (Liv AlUla Jayco), Martina Alzini (Cofidis Women Team) e Laura Tomasi (Laboral Kutxa – Fundación Euskadi).
Non aveva certo bisogno del successo odierno per dimostrarlo, ma la Kopecky è ogni tappa che passa un’avversaria molto pericolosa per la Borghini, dalla quale è divisa dall’inezia di 3” alla vigilia di un trittico decisivo, dove le favorite per la vittoria finale si dovranno affrontare a viso aperto fino a domenica prossima.
Ora la classifica vede, dietro alle due “primedonne” di questo Giro d’Italia Women, Cecilie Uttrup Ludwig (FDJ – Suez) a 38″, Juliette Labous (Team dsm-firmenich PostNL) a 49″, Kimberley (Le Court) Pienaar (AG Insurance – Soudal Team) a 51″, Antonia Niedermaier (Canyon//SRAM Racing) a 1′06″, Niamh Fisher-Black (Team SD Worx – Protime) a 1′07″, Mavi García (Liv AlUla Jayco) a 1′33″, Katrine Aalerud (Uno-X Mobility) e Pauliena Rooijakkers (Fenix-Deceuninck) a 1′34″, Gaia Realini (Lidl – Trek) a a 1′44″, un gradino fuori dalla topten.
Al termine della sua prima vittoria in questa edizione del Giro Lotte Kopecky ha così commentato “Ho sfiorato il successo tante volte da inizio Giro e finalmente ce l’ho fatta. Ci tengo a ringraziare il mio team che mi ha posizionato alla perfezione nel finale. Le prossime frazioni saranno complicate, vedremo come riuscirò ad andare Devo ringraziare il mio team che ha controllato la corsa tutto il giorno. Nel finale Elena Cecchini e Barbara Guarischi mi hanno pilotato alla perfezione per raggiungere questo successo che era il mio grande obiettivo fin da inizio Giro. Sono a 3 secondi dalla Maglia Rosa ma credo che il Blockhaus sia un ostacolo troppo grande per me. Corro senza lo stress della classifica generale vedendo come evolverà la situazione giorno dopo giorno”.
Numeri alla mano e visto lo sviluppo preso fin dalle prime pedalate della corsa oggi, Elisa Longo Borghini non rischiava di perdere la maglia, ma quei soli 3” non sono un gruzzoletto che può far stare tranquilli. Queste sono state le sue parole dopo l’arrivo: “Oggi è stata una buona tappa nella quale ho cercato di salvare la gamba in vista del prossimo trittico che sarà decisivo per la classifica generale. Lotte Kopecky si è avvicinata ma per me cambia poco perchè nei prossimi giorni i distacchi saranno molto più rilevanti. La tappa di domani mi piace molto e voglio fare bene”.
La sfida tra queste due atlete è stata lanciata e ora si prospetta un finale da fuochi artificiali,
Ora si disputerà la San Benedetto del Tronto-Chieti di 154 Km, caratterizzata da un susseguirsi di colline senza neanche un tratto di pianura. I momenti più impegnativi si avranno lungo la salita finale verso Chieti, 6.5 Km al 4.2% con la prima metà al 7.9% e uno ripido strappo al 19%

Mario Prato

Lotte Kopecky si impone a Foligno (Getty Images)

Lotte Kopecky si impone a Foligno (Getty Images)

GIRMAY CENTRA UN TERNO AL LOT. TERZA VITTORIA PER L’ERITREO AL TOUR 2024

luglio 11, 2024 by Redazione  
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A Villeneuve-sur-Lot su un arrivo in leggera salita, ottimo per le sue caratteristiche, Biniam Girmay (Team Intermarchè Wanty) vince con una volata bruciante davanti a Wout van Aert (Team Visma Lease a Bike) ed Arnaud Démare (Team Arkea B&B Hotels), successivamente retrocesso. Primoz Roglic (Team BORA Hansgrohe) cade a 12 km dalla conclusione e perde più di 2 minuti

Sono quasi 204 i km da Aurillac a Villeneuve-sur-Lot per la dodicesima tappa del Tour 2024. Continua la marcia del gruppo verso il sud ovest della Francia, ovvero verso i Pirenei che in questo fine settimana saranno grandi protagonisti. Se dopo la tappa di ieri la maglia gialla Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) inizia a temere Jonas Vingegaard (Team Visma Lease a Bike), vedremo se al termine della tappa odierna la maglia verde Biniam Girmay (Team Intermarchè Wanty) dovrà guardarsi dalla rimonta di Jasper Philipsen (Team Alpecin Deceuninck). Sulla carta è una nuova possibilità per le ruote veloci visto che il percorso è complessivamente pianeggiante. La presenza di tre facili gpm di quarta categoria posti nella parte centrale non dovrebbe impensierire più di tanto i velocisti. Alla partenza da Aurillac non si presentava Michael Morkov (Team Astana Kazakstan), vittima del Covid, è così Mark Cavendish perdeva il suo migliore apripista per la volata. Dopo un paio di km dalla partenza si avvantaggiavano di una ventina di secondi Kevin Geniets (Team Groupama FDJ) e Thomas Gachignard (Team TotalEnergies). I due ciclisti francesi venivano raggiunti da Louis Meintjes (Team Intermarchè Wanty) ma il gruppo non concedeva troppo spazio e rientrava sul terzetto di testa dopo un paio di km. Una caduta a centro gruppo rallentava Tadej Pogacar che era costretto a mettere il piede a terra ma il ciclista sloveno rientrava rapidamente dopo che un compagno di squadra lo aveva atteso. Alla fine la fuga di giornata si concretizzava grazie all’azione di Jonas Abrahamsen (Team Uno X Mobility), Anthony Turgis (Team TotalEnergies), Quentin Pacher e Valentin Madouas (Team Groupama FDJ). Dopo 60 km i quattro battistrada avevano 3 minuti di vantaggio sul gruppo maglia gialla tirato dagli uomini del team Alpecin Deceuninck. Abrahamsen vinceva i tre gpm di tappa, nell’ordine la Côte d’Autoire posta al km 62.8, la Côte de Rocamadour posta al km 84.3 e la Côte de Montcléra posta al km 135.5, mentre Turgis si aggiudicava l’unico traguardo volante di Gourdon posto al km 110. Durante lo svolgimento della tappa si segnalavano anche i ritiri di Fabio Jakobsen (Team DSM Firmenich PostNL) e di Pello Bilbao (Team Bahrain Victorious). La fuga veniva ripresa a 42 km dalla conclusione. A 12 km dalla conclusione una caduta in mezzo al gruppo coinvolgeva tra gli altri Primoz Roglic (Team BORA Hansgrohe) che al traguardo sarebbe arrivato dolorante con oltre 2 minuti di ritardo. Nella volata finale, in leggera pendenza al 2-3 %, Biniam Girmay sceglieva alla perfezione i tempi della sua progressione e batteva di mezza ruota Wout Van Aert (Team Visma Lease a Bike) mentre terzo era tedesco Pascal Ackermann (Israel – Premier Tech), terzo dopo la retrocessione di Arnaud Démare (Team Arkea B&B Hotels). Chiudevano la top five Jasper Philipsen (Alpecin – Deceuninck) in quarta posizione e Arnaud De Lie (Lotto Dstny) in quinta posizione. Per Girmay è la terza vittoria di tappa aTour 2024 e l’eritreo vede sempre più sua la maglia verde. In classifica generale resta tutto invariato nelle prime tre posizioni con Tadej Pogacar in maglia gialla davanti a Jonas Vingegaard (Team Visma Lease a Bike) e Remco Evenepoel (Team Soudal Quick Step). Domani è in programma la tredicesima tappa da Agen a Pau do 165.3 km. Ancora protagonista la vallonata pianura francese con due gpm di quarta categoria posti negli ultimi 30 km che potrebbero riservare qualche sorpresa, estromettendo dal probabile sprint finale i velocisti meno resistenti.

Antonio Scarfone

Biniam Girmay vince a Villeneuve-sur-Lot (foto: Getty Images)

Biniam Girmay vince a Villeneuve-sur-Lot (foto: Getty Images)

A URBINO VINCE LA EMOND, LONGO BORGHINI ANCORA IN ROSA

luglio 11, 2024 by Redazione  
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La quarta tappa del Giro d’Italia Women è andata a Clara Emond. Al secondo e terzo posto si sono classificate rispettivamente Soraya Paladin e Cecilie Uttrup Ludwig. Longo Borghini lotta con la Kopecky e mantiene la maglia rosa.

La Imola-Urbino, quarta tappa del Giro d’Italia Women, ha visto la prima vittoria in carriera della ventisettenne Clara Emond (EF Education – Cannondale). La canadese, andata in fuga con altre 4 “colleghe”, è partita sulla salita di San Marino, a più di 50 km dall’arrivo e non è stata più ripresa, nonostate l’inseguimento – partito in ritardo – di atlete del calibro di Kimberley (Le Court) Pienaar (AG Insurance – Soudal Team) e di Cecilie Uttrup Ludwig (FDJ – Suez). Quest’ultima sullo strappo finale in pavè provava un ultimo attacco assieme alla trevigiana Soraya Paladin (Canyon//SRAM Racing), che si piazzava seconda con 17″ di ritardo dalla Emond, alla sua prima vittoria da professionista. La canadese così ha commentato: “E’ la prima vittoria della mia carriera e ottenerla al Giro è un’emozione speciale. La Corsa Rosa per me e per il team non era iniziata benissimo e questo successo ci darà una grande spinta dal punto di vista del morale. Spero che possa essere una svolta nella mia carriera”.
La Maglia Rosa Elisa Longo Borghini (Lidl – Trek), oggi ottava al traguardo dopo aver “duellato” con Lotte Kopecky (Team SD Worx – Protime), ha conservato la leadership con 13″ di vantaggio sulla belga: “Era una tappa in cui pensavo potesse arrivare la fuga e così è stato. Sono contenta per Clara, è sempre bello vedere quando il coraggio viene premiato. Nel finale io e Lotte ci siamo sfidate a viso aperto, quasi come fosse una rivincita delle Strade Bianche, e sono contenta di esserle finita davanti. Non vuol dire nulla per la classifica generale ma dà morale”.
Da segnalare, infine, che grazie all’attacco nel finale, la Ludwig ha guadagnato sei posizione in classifica ed è risalita fino al terzo posto, con 38″ di passivo dalla Longo Borghini
Oggi si disputerà l’ultima tappa facile prima dell’impegnativo trittico finale che determinerà la classifica del Giro. Si dovranno percoprrere 108 Km tra Frontone e Foligno, senza affrontare particolari insidie.

Mario Prato

Clara Emond in fuga solitaria verso Urbino (www.cyclingnews.com)

Clara Emond in fuga solitaria verso Urbino (www.cyclingnews.com)

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