STAFFETTA EUROPEA A CRONOMETRO, E’ ANCORA GRANDITALIA!
Affini, Cattaneo, Maestri, Cecchini, Guazzini e Masetti non deludono le aspettative della vigilia e vincono l’oro davanti a Germania e Belgio. Da domani iniziano le prove su strada e l’Italia può ancora essere protagonista
L’esigente crono mista per nazioni dei Campionati Europei di Ciclismo, seppur completamente piatta, ha comunque impegnato gli atleti per oltre un’ora essendo lunga 52 km e 300 metri. Partenza da Heusden-Zolder ed arrivo ad Hasselt e l’Italia, forte dell’oro e del bronzo conquistati proprio ieri nella priva individuale da Edoardo Affini e da Mattia Cattaneo, ha di nuovo sbaragliato la concorrenza proprio grazie al contributo dei due ciclisti appena citati, a cui si sono aggiunti Mirco Maestri, Elena Cecchini, Vittoria Guazzini e Gaia Masetti. Il sestetto azzurro diviso in due ‘tranches’ ha visto inizialmente la prova dei tre ciclisti azzurri che hanno fatto segnare il miglior tempo a metà percorso con 55 secondi di vantaggio sui diretti avversari. Alle ragazze il compito di difendere il vantaggio acquisito e nonostante una prova non eccelsa hanno saputo limitare i danni chiudendo complessivamente col tempo di 1 ora 1 minuto e 43 secondi. A 17 secondi di ritardo la Germania chiudeva in seconda posizione mentre terza era il Belgio con un ritardo di 1 minuto e 33 secondi. La top five era completata dalla Polonia, quarta a 1 minuto e 49 secondi di ritardo, e dall’Ucraina quinta a 4 minuti e 23 secondi di ritardo. La presenza di sole sei nazioni non è stata certamente il massimo per una competizione continentale, mancando ai nastri di partenza nazioni come Gran Bretagna, Francia e Olanda, ma l’Italia ha comunque confermato le previsioni della vigilia ed un oro continentale non è certo da buttare, specialmente se viene dopo quello di Affini. Ebbene, altre soddisfazioni per l’Italia possono arrivare già domani con l’inizio delle prove su strada che avranno il loro culmine domenica 15 settembre con la prova riservata agli uomini elite.
Antonio Scarfone

L'Italia vince la staffetta mista a cronometro ai Campionati Europei (foto: Getty Images)
COPPA SABATINI, BIS DI HIRSCHI
Marc Hirschi vince in solitaria anche la Coppa Sabatini, dopo l’acuto di domenica a Larciano. Battuti Mühlbelger e Foldager
Prosegue il fitto calendario delle classiche di (quasi) autunno Italiano con la Coppa Sabatini, ancora in terra toscana ma quest’oggi in territorio pisano. La fuga di giornata evade presto ed è composta da Lorenzo Milesi (Movistar), Sebastian Berwick (Caja Rural-Seguros RGA), Alexandre Balmer (Team corratec-Vini Fantini), Diego Uriarte, Carlos Garcia Pierna (Equipo Kern Pharma) e Davide Bais (Polti Kometa). Il sestetto inizia al comando la prima delle cinque scalate in programma a Montefoscoli mentre alle loro spalle il gruppo è controllato dalla UAE Emirates, in forze per il proprio capitano di giornata Marc Hirschi fresco vincitore giusto qualche giorno fa a Larciano, sempre in terra toscana. Il vantaggio massimo dei battistrada raggiunge 5 minuti, ma il loro destino sembra comunque segnato: la UAE Emirates è impeccabile con i calcoli e in vista dell’ultima ascesa al Muro di Greta giunge all’annullamento della fuga.
È proprio in questo esatto momento che ci prova Marc Hirschi, facendo subito il vuoto alle sue spalle. Il talento della formazione emiratina scollina con 20 secondi su un drappello inseguitore in cui è presente anche un buon Davide Formolo (Movistar), ma già si capisce che per la vittoria finale la corsa è in cassaforte quando sul primo passaggio sul traguardo il gap ha raggiunto 25″.
Una volta issata bandiera bianca per il gradino più alto del podio nel gruppetto inseguitore iniziano le schermaglie per giocarsi la piazza d’onore: riescono ad avvantaggiarsi in quattro, Kristian Sbaragli (Team corratec-Vini Fantini), Anders Foldager (Team Jayco AlUla), Gregor Mühlberger (Movistar) e Axel Huens (TDT-Unibet). Questo gruppetto trova buon accordo e mette abbastanza distacco fra sé e gli inseguitori per giocarsi la volata per il secondo posto: 30 secondi dopo un ingiocabile Marc Hirschi trionfante sul traguardo di Peccioli, il più veloce per il secondo posto è l’austriaco Mühlberger davanti a Foldager. Solo medaglia di legno per un buon Sbaragli.
Lorenzo Alessandri

Marc Hirschi esulta in solitaria a Peccioli. Photo Credit: Sprint Cycling Agency/Gran Premio Città di Peccioli – Coppa Sabatini)
PROVE A CRONOMETRO INDIVIDUALI LIMBURGO 2024, L’ITALIA SPLENDE CON EDOARDO AFFINI
Si stanno svolgendo gli Europei di Limburgo 2024 in Belgio, vediamo come sono andate le prove individuali a cronometro nelle categorie Elite e Under23 per gli atleti maschili e le atlete femminili, oggi invece è in programma la cronosquadre mista.
UOMINI ELITE
Si distingue l’Italia nella prova regina della cronometro agli Europei di Limburgo grazie alla conquista del titolo europeo con Edoardo Affini, l’azzurro chiude la prova con un tempo di 35’:15” nei 31,5 chilometri previsti da Heusden-Zolder ad Hasselt prendendosi la medaglia d’oro. Al secondo posto si piazza, con 10” in più, il veterano elvetico Stefan Küng prendendo così la medaglia d’argento, terzo invece con il bronzo un altro azzurro ovvero Mattia Cattaneo con 20” di ritardo dal connazionale.
UOMINI U23
Nella prova a cronometro riservata agli under 23 a conquistare l’oro è Alec Segaert con il tempo di 35’06”, il belga ha scekto di correre in qiuesta categoria e non in quella riservata ai profesionisti in cui mantenedo invariate le stesso condizioni meteo avrebbe superato il nostro Affini, inciso a parte, al secondo posto, distanziato di 30”, si prende la medaglia di bronzo SÖDERQVIST Jakob Soderqvist per la Svezia, al terzo e quindi medaglia di bronzo il neerlandeseWessel Mours.
DONNE ELITE
A Limburgo nella prova a cronometro regina riservata alle donne splende Lotte Kopecky, la belga sulle strade di cas divora lettermente la strada e vola a prendersi una medaglia d’oro meritatissima con un tempo di 39’:00” per coprire i 31,2 chilometri in programma da Heusden-Zolder ad Hasselt. A 43″ di distanza dal suo tempo chiude la neerlandese Ellen Van Dijk. In medaglia di bronzo infine ci va l’austriaca Christina Schweinberger.
DONNE U23
Appassionante la prova a crono donne Under23 agli Europei di Limburgo 2024 infatti la lotta si è giocata è il caso di dirlo sul filo dei secondi e nel rettilino di arrivo quando ad arrivare è stata la tedesca Antonia Niedermaier fermando le lancette a 41’:23”, l’unica che stava per insidiare il tempo della finlandese Anniina Ahtosalo, partita un minuto prima di lei, che prende la medaglia d’argento, e l’unica a scendere sotto il muro dei 41 minuti, fermando le il cronometro a 40’54” con quasi 46 km/h di media che le hanno consentito quindi di prendere la medaglia d’oro. A completare il podio, con il tempo di 41:’26” è stata la lussemburghese Maria Schreiber.
Antonio Scarfone

Edoardo Affini con la medaglia d'oro agli Europei di Limburgo 2024 (Photo credit: Getty Images)
GIRO DI TOSCANA, VITTORIA DEL FRANCESE CHAMPOUSSIN
Il francese Clément Champoussin vince la 96a edizione della corsa brena. Secondo l’australiano Storer, terzo il connazionale Jegat. L’intramontabile Pozzovivo è il migliore degli italiani
Scorrendo Wikipedia si potrebbe quasi pensare che un tempo il Giro di Toscana fosse quasi al livello delle Monumento, sia per la sua longevità (è nata oltre un secolo fa), sia per un albo d’oro nel quale compaiono Girardengo (2 vittorie), Binda (2), Guerra, Bartali (5, record), Coppi, Magni (2), Bitossi, Moser (4), Baronchelli (2), Fondriest, Nibali e molti stranieri di alto livello come Altig e De Vlaeminck; anche negli ultimi due anni la vittoria è andata a due “pesi medi” come Hirschi e Sivakov. I più anziani ricorderanno anche che un tempo si poteva leggere su alcuni libri di testo per le scuole medie, tra i saggi di letteratura italiana, l’appassionante resoconto dell’edizione 1953, famosa per essere stata l’ultima vittoria importante nella carriera di Gino Bartali, resoconto oltretutto scritto dallo stesso “Ginettaccio”.
Quelli, purtroppo, erano altri tempi, con percorsi di 245 chilometri ben più selettivi. Quest’anno i chilometri erano 183, e in apparenza molti di meno in quanto la corsa si svolge interamente intorno a Pontedera, con
un primo breve circuito nelle fasi iniziali, e un lungo circuito finale di ben 56 chilometri, ideato al fine di far scalare due volte l’unica salita importante della giornata: il monte Serra (613 metri), circa 8 chilometri al 7% su cui potrebbero decidersi le sorti della corsa. Ma gli italiani al via oggi non hanno un Bartali in gara e i loro migliori esponenti sono probabilmente il non più giovane Diego Ulissi (UAE Team Emirates) – otto tappe vinte al Giro e qualche corsa in linea di prestigio (tra le quali la Grand Prix Cycliste de Montréal e la Milano-Torino) – e l’eterno (ormai quasi 42enne) Domenico Pozzovivo (VF Group – Bardiani CSF – Faizanè),ottimo nei Grandi Giri ma scarso nelle corse in linea. Tra gli stranieri si fanno notare i nomi del kazako Alexey Lutsenko (Astana Qazaqstan Team) e del giovane svizzero Jan Christen (UAE Team Emirates), a luglio vincitore del Giro dell’Appennino.
Si parte alle 11.30, con un tempo ottimo e finalmente non troppo caldo, sperando che le due salite al Monte Serra bastino ad evitare la volatona finale. Neanche i siti di scommesse si azzardano a pronosticare una gara tristemente disertata da tutti i corridori più forti del ranking mondiale, Parte, comunque, dopo un po’ di confusione iniziale, la solita fuga dei soliti ignoti, sei corridori di cui il migliore è forse l’italiano Matteo Spreafico (Mg.K Vis – Colors for Peace), che nel 2018 riuscì a vincere un Giro del Venezuela. Pare improbabile che qualcuno di costoro possa arrivare e, infatti, nonostante un vantaggio che nel giro di 20 chilometri raggiunge
i 7 minuti, il gruppo reagisce al passaggio a Pontedera, quando inizia il primo dei due lunghi giri conclusivi e già durante la prima salita recupera quasi tutto lo svantaggio. Quando il giro termina, al nuovo passaggio a Pontedera, i fuggitivi vengono ripresi e il gruppo procede con relativa tranquillità sino all’attacco del Monte
Serra. La tranquillità dura poco: la strada è stretta e dopo neanche due chilometri si verifica una incredibile caduta in salita – pensavamo di averle viste tutte, e invece… – con diversi corridori che vengono letteralmente sbattuti contro il muro che delimita la sede stradale. Il gruppo si assottiglia e ne approfitta il colombiano Esteban Chaves (EF Education – EasyPost) – non proprio l’ultimo arrivato (ha vinto addirittura un Lombardia nel 2016, anche se da molti anni è sparito dai riflettori), per far partire un’azione che ai bei tempi (i suoi) sarebbe stata forse decisiva. Ma quei tempi sono passati e alcuni corridori, tra i quali il nostro Pozzovivo, il francese Clement Champoussin (Arkéa – B&B Hotels) e l’australiano Michael Storer (Tudor Pro Cycling Team), tutti gregari di belle speranze, finiscono per raggiungerlo. Dietro di loro il gruppo si sfalda completamente e un
secondo gruppetto, che comprende il nostro Ulissi, tenta invano di riportarsi sul primo, anche se un paio di corridori, col passare dei chilometri e con l’arrivo dei falsopiani, se ne staccano e finiscono per riuscirci. In vista della cima della salita, sul tratto più duro con pendenze superiori al 10%, partono Champoussin e Storer; Pozzovivo cerca di restare con loro, ma cede subito e viene riassorbito dagli inseguitori. I due battistrada fanno sul serio e negli 8 chilometri di discesa, spesso stretta e difficile, portano a 35 secondi il loro vantaggio sui corridori alle loro spalle, che continuano a frazionarsi e a rimescolarsi. A 20 chilometri dall’arrivo, all’inizio del tratto di pianura che riporta al traguardo di Pontedera, la situazione si stabilizza, con Champoussin (che è transitato primo in cima al Monte Serra) e Storer che si danno cambi regolari e gli inseguitori che – nonostante siano diventati una decina (fra loro sia Ulissi, sia Pozzovivo) – si guardano un po’ troppo spesso. L’impazienza è cattiva consigliera e alla fine il gruppetto si fraziona, con Pozzovivo e il tedesco Ben Zwiehoff (Red Bull – BORA – hansgrohe) – poi raggiunti dal francese Jordan Jegat (TotalEnergies) e dall’altro tedesco Marco Brenner (Tudor Pro Cycling Team) – che a forza di scatti riducono un po’ il distacco, sino ad arrivare a 20 secondi all’ultimo chilometro. Ma ormai è tardi e i due fuggitivi smettono di collaborare solo a 500 metri dall’arrivo: quasi subito Storer si distrare un attimo e il furbo Champoussin ne approfitta per lanciare la volata e vincere senza difficoltà: il francese, la cui vittoria di maggior prestigio in carriera era stata una tappa alla Vuelta del 2021, può scrivere il suo nome accanto a quelli di Binda, Bartali, Coppi eccetera. Storer, anche
lui vincitore di tappa alla Vuelta (e anche lui nel 2021), è secondo. A 17 secondi è terzo Jegat, che in carriera non ha vinto nulla; sesto ed ultimo del quartetto inseguitore arriva Pozzovivo, primo degli italiani.
Gli altri arrivano un po’ per volta, con Ulissi – secondo degli italiani – all’ottavo posto e oltre metà gruppo ritirato (incluso Christen). Chaves è 16esimo, i due Davide (Piganzoli e Formolo), tra i pochi corridori non del tutto sconosciuti, si piazzano 17esimo e 28esimo. Lutsenko arriva 68esimo, fra gli ultimi.
Corsa da dimenticare, vinta da un corridore di secondo piano? Forse. Ci sarà sempre qualcuno che preferirà una corsa come quella odierna a una dominata dal Pogacar o dal Van der Poel di turno. A qualcuno piacciono i
grandi campioni e le grandi imprese, a qualcun altro le corse incerte sino all’ultimo, e poco importa chi le vince. Finché dura ce ne sarà per tutti i gusti.
Andrea Carta

Champoussin regola in volata Storer sul traguardo di Pontedera
VUELTA, POVERA E BELLA: ESISTE CICLISMO ANCHE SENZA MOSTRI SACRI
Roglič appaia Heras col record di Vuelte vinte, a quota quattro. Una bella gara che riconcilia con lo sport gli amanti di un ciclismo diverso dai wattaggi atomici.
La crono tracciata con creatività e cuore fra i barrios di Madrid viene vinta da Küng, uno dei grandissimi indiscutibili di questa specialità che, udite udite, porta a casa solo in quest’occasione per la prima volta in carriera una tappa di Grande Giro, a testimonianza appunto di come la disciplina stia vivendo in questi anni delle punte qualitative a dir poco clamorose. Ed è tutto dire che questo fior di fenomeni contro le lancette vengano spesso e volentieri ramazzati sul loro terreno, cioè le tappe a cronometro, dai mostri tout court di questi anni, Evenepoel (e va benissimo, perché di questo esercizio fa una delle proprie eccellenze), Van Aert (e sia pure, dopotutto non è uomo di classifica, per lo meno, e fa una bandiera delle polivalenza), Roglič (è una sua prerogativa in fin dei conti), Pogačar (sì, d’accordo, ha il fisico, sappiamo che è bravo, altro?) ma talvolta perfino da …Vingegaard! Tempi duri insomma per i Küng, i Ganna, i Bisseger, i Foss, gli Oliveira e tanti ancora. Non c’è da stupirsi se un Affini si “trattorizzi” e trovi il proprio spazio nel peloton assumendo il ruolo di “ammazzafughe” del quale cui fu quasi eponimo Tim Declerq.
In questa Vuelta, però, torna sotto i riflettori il ciclismo umano, o degli umani, e così stavolta Roglič si deve accontentare del secondo posto di tappa. È sintomatico anche che dietro questi due non ci sia la solita trafila di uomini di classifica con la “scusa” (scusa, sia chiaro, con un suo fondo di verità) per la quale dopo tre settimane con tanta montagna i cronomen sarebbero più spompati di chi lotta per il vertice. Stavolta invece annusano scampoli di alta classifica – parlando sempre di piazzamenti di giornata – anche un Cattaneo, in forma strepitosa, inspiegabilmente castigato dal team che l’altro giorno gli ha impedito di lottare per una vittoria di tappa, col solo fine di soccorrere molto ma molto tardivamente (e qui sta il vulnus) il capitano Landa finito in un momento di sbando; oppure Baroncini, il cui talento cristallino è ancora in attesa di trovare una propria definizione e approdo, per un ciclismo come quello azzurro i cui orizzonti ormai assumono i toni cupi di un abisso oceanico senza risalita. I migliori uomini di classifica al netto di Rogla sono Skjelmose, che agguanterà così in extremis una top 5 nella generale a discapito di Gaudu (unica svolta in tutta la top 30 della CG, a parte Sepp Kuss che scala in giù al 14º posto, sì proprio lui che l’anno passato vinse, e nella crono piatta perse meno di un minuto da Rogla contro i tre e passa di stavolta), e poi ovviamente O’Connor, che consolida il secondo posto su Mas: e d’altronde Lidl-Trek e Decathlon sono gli unici due team la cui prestazione d’assieme faccia – ma proprio leggermente – denotare un afflato prestazionale più positivo rispetto alle aspettattive, in linea peraltro con quanto siamo andati vedendo durante tutto l’anno.
E questo ci porta direttamente a un altro grande tema di questa Vuelta, il ruolo delle squadre. Il ciclismo è sempre più uno sport di team e superteam, in cui pare che la differenza di resa di un atleta dipenda in gran parte dell’andazzo generale della squadra in cui milita, così come le squadre nel giro di pochi anni possono avere sbalzi prestazionali talora poco comprensibili per entità e repentinità.
Ebbene, questa Vuelta ha consentito di rivalutare certe parti del puzzle. È palmare ad esempio che né Van Aert né Roglič abbiano toccato i vertici prestazionali degli anni a bordo di uno squadrone Jumbo che letteralmente volava, ma è altresì palese che entrambi abbiano confermato i propri picchi qualitativi al di là di un anno difficile per il team nel caso del primo e al di là del cambio di formazione per quanto concerne il secondo. Sotto altro angolo prospettico, dopo la vittoria peraltro non così impronosticabile di McNulty in molti si erano lanciati in profezie risibili a proposito dell’inevitabile dominio del Team UAE, indiscutibilmente in annata di grazia: eppure, nonostante le qualità di un Almeida o di un Adam Yates siano a questa altezze indiscutibili, sia quale sia la squadra in cui corrono, ambedue hanno potuto manifestare il proprio talento, ma senza trasformarsi nelle potenze inarrestabili che troppi pronosticavano . Anzi. Adam si è ritagliato un ruolo di cacciatore di tappe con un occhio solo di rimbalzo alla classifica, peraltro con meno successo di un Carapaz dedito allo stesso esercizio, e non parliamo di O’Connor. Almeida si è dovuto ritirare causa covid dopo 9 tappe, ma anche prima di stare male era apparso un solido pretendente al podio piuttosto che non un potenziale dominatore. Anche Vine (maglia a pois blu finale di miglior scalatore) e Soler (vittoria di tappa condita da tripletta di terzi posti), reduci da una prestazione molto positiva anche perché liberi da ogni obbligo di gregariato, sono apparsi arrembanti ma certamente non invincibili: in ogni caso, altrettanto credibili quanto il resto dei vincitori di maglie secondarie o tappe, vale a dire che sono apparsi sostanzialmente in condizione di esprimere il proprio talento ma senza i fuochi d’artificio che alcuni si immaginavano a priori, e che altre squadre hanno esibito nel passato recente o meno recente. Del tutto confrontabili, per dire, agli uomini Jayco, quel Groves che da tempo bussa alle porte dell’elite degli sprinter e che in Spagna trovo terreno privilegiato (classifica a punti grazie all’incidente di Van Aert e tre tappe) oppure quel Dunbar che fa doppietta, ora in fuga, ora staccando i migliori – contingentemente – in salita. Se proprio vogliamo sono sembrati più roboanti i numeri degli uomini dei team invitati di seconda fascia, ma in questo caso possiamo supporre che la motivazione, gliela si leggeva in volto, spieghi parecchio nelle vittorie di Castrillo o Berrade: oppure, più in generale, possiamo dire che in un ciclismo più “alla mano” ci sia meno salto verticale anche fra le diverse categorie di team, com’era fino a qualche stagione fa peraltro.
Spazio a un ciclismo un po’ diverso, come si è detto, e ne è l’emblema il secondo posto di O’Connor che, fatte le debite proporzioni, ricorda l’impresa di Arroyo al Giro 2010. In quel caso la fuga era stata ancora più torrenziale, mentre in questo caso va detto che O’Connor, in piena consonanza con una annata globalmente eccellente del team Decathlon, ci ha messo atleticamente molto del proprio, inserendo qualche picco prestazionale da urlo in una gara che complessivamente è stata da applausi per tenuta. Ma se O’Connor col suo secondo posto finale e il vittorione in solitaria lasciando il gruppo a sei minuti è stato il simbolo di questa tendenza, non ne è stato certo l’unico rappresentante, dato che su scala minore hanno fatto classifica così anche Sivakov (senza vincere tappe), Yates (mancando la top 10), Carapaz, che pure non vince tappe e resta giù dal podio ma ottiene col quarto posto finale in CG un risultato che pareva impronosticabile, proprio grazie a un paio di raid coraggiosi. Non entra nella categoria, però rende l’idea: se perfino Mas a volte si è mosso a più di tre km dalla linea di meta!
A questo proposito, la Vuelta 2024 è stata anche la rivincita delle squadre spesso sbeffeggiate nel ciclismo delle cilindrate esagerate per la loro presunta inadeguatezza, come la Movistar o la EF: Mas, appunto, pur con i suoi umanissimi limiti ormai ben conosciuti, vuoi tecnici, vuoi caratteriali, si conferma scalatore di livello e uomo di classifica credibile. Carapaz, pur mancando il podio, torna ad essere uno dei pochi in grado di tenere le ruote dei top top top quando la strada sale, seppur non a tempo pieno; così ratifica la propria tenacia e il proprio fondo, tanto da far sospettare che una fetta non da poco degli stravolgimenti in corso nel ciclismo di oggi dipendano anche da un mutato approccio al disegno dei tracciati.
Per esemplificare: è indiscutibile che Pogačar sia uomo di fondo pazzesco , ma è altrettanto indiscutibile che le sue pochissime battute a vuoto, quando ne ha avute, siano state sul piano della continuità all’atto di entrare nel profondo dei GT; è indiscutibile che Vingegaard sia corridore di solidità granitica nel cumulo delle tappe, ma è altresì indiscutibile che in modo apparentemente paradossale l’atleta desse il meglio di sé (fino a quest’anno almeno) su tracciati di non esageratissima durata oraria. Ebbene, è altrettanto indiscutibile che l’andazzo del ciclismo moderno e soprattutto del Tour de France (pure del Giro di quest’anno, mentre la Vuelta che ha invertito la tendenza… partiva da una base già “modernissima” di tappe brevi e monosalita) faccia tirare ulteriore vento, come se non bastasse quello elargito da madre natura e dai superteam di appartenenza, a favore delle caratteristiche di questi fenomeni, e parallelamente a discapito dei Carapaz, dei Mas , degli O’Connor, degli Adam Yates, ma anche – nel passato prossimo – dei Bardet, oppure aggiungiamoci anche un Carlos Rodríguez.
Due parole su quest’ultimo per riscattarlo dalla sua condizione di uomo invisibile. Una buona Vuelta è stata distrutta da una defaillance come nel caso di Landa: non è un caso che entrambi venissero da un Tour corso comunque per la classifica, con un risultato eccellente nel caso di Landa, più discreto ma ad ogni modo non deludente per quanto concerne Carlos Rodríguez. Prima 5º poi 7º il basco, 7º e poi 10º l’andaluso. La sensazione per entrambi è ad oggi amara visto che alla Vuelta sembravano in lizza rispettivamente per il podio e la maglia bianca, anzi con buone chance di conseguire i rispettivi obiettivi; ma si tratta comunque di una doppia top ten che di fondo conferma la qualità di base notevolissima di tutti e due. Va soprattutto tenuto in considerazione il contesto: la Quickstep o T-Rex che dir si voglia sta avendo un’annata ambivalente, dove emerge prepotente il talento di Evenepoel, come in seconda linea quello dello stesso Landa, ma dove pure spiccano chiaramente troppe manchevolezze a livello di preparazione o strategia globali del team. E Landa ha ormai la sua bella età, anello di congiunzione che permette di paragonare le performance di due generazioni molto diverse, cresciute in un modello intrinsecamente diverso dello sport, dove però il basco si è sempre dimostrato all’altezza… anche se mai “abbastanza” all’altezza da finalizzare con vittorie di peso. La INEOS a propria volta è molto ma molto distante dalla corrazzata che fu, per parecchi motivi, a cominciare dal disinvestimento “energetico” da parte sia della proprietà sia, a livello politico, delle istituzioni pubbliche d’Oltremanica. Carlos Rodríguez però è ancora molto giovane; inoltre è pure lui uomo di fondo più che da fiammate, e questa “doppia top 10” ricorda da vicino quella “doppia top 20” che nel 2008 deluse cocentemente molti appassionati in attesa dell’uomo della provvidenza, quando fu raccolta fra Giro e Tour da un Nibali praticamente coetaneo del Carlos Rodríguez attuale. Ora, dubitiamo anche solo per ragioni statistiche che “il leone di Almuñécar” possa replicare quanto seguì, ma “lo squalo di Messina” dopo quell’annata passò i dieci anni (!) successivi senza mai più uscire dalla top 10 di nessun Grande Giro portato a compimento, eccettuando il TDF 2016 dove preparò le Olimpiadi: e su 14 GT finiti, per 10 volte salì sul podio finale. Come detto, la questione non è se l’andaluso possa replicare questa carriera pazzesca (non proprio facilissimo), ma è semmai rendersi conto di come delusioni e aspettative su atleti giovani vadano pesate e comprese rispetto al contesto, con pazienza; in questo caso purtroppo anche accettando che il ciclismo attuale non sembra favorire questo profilo atletico.
In conclusione, una Vuelta divertente e varia, specie nella prima parte, mentre la seconda si è un po’ appiattita sul concept del monosalita ad libitum. Gran merito di questa apertura va dato appunto al disegno del percorso specie nella prima metà della competizione, giusto per sottolineare che se si vuole scompaginare un po’ le carte è importante lavorare sui tracciati. Non è un caso se al Tour la tappa più bella e memorabile in assoluto sia stata quella di Le Lioran. Roglič è stato fenomenale nel districarsi fra le difficoltà fisiche dovute agli infortuni accumulati e le puntuali debolezze di squadra a causa sembra di un virus. La gestione tattica del complesso della Vuelta è stata stratosferica, come spesso accade con lo sloveno in corsa. E come spesso succede proprio alla Vuelta,Roglič ci ha anche regalato momenti di autentico spettacolo con attacchi violentissimi o tirando i rivali al limite dello sconsiderato, il tutto alternato logicamente a tappe viceversa di attesa o stallo in cui ha pensato soprattutto a difendersi e recuperare, con lo spettro per tutti della sua staffilata finale. Proprio la varietà dello spartito maneggiato sempre con la massima padronanza è stato il suo punto di forza, ancor più che la comunque netta superiorità atletica. È per questo che lo sloveno possiede chiaramente lo status di campione che lo situa come unico trait d’union o quasi fra il mondo degli umani e quello dei fuoriserie.
Nota più negativa della Vuelta, le riprese televisive pessime, oltre il credibile. Non ci siamo. È vero che la Vuelta ha un budget che è un 10% di quello del Giro e un 5% di quello del Tour, ma su questi aspetti bisogna investire sì o sì, né d’altro cando le limitazioni economiche (peraltro arbitrarie, nel senso che essendo la Vuelta di ASO, cioè dei padroni del TDF, volendo si potrebbe dotarla meglio…) giustificano appieno questo tipo di carenze. Si vede di meglio in gare organizzate da organizzatori di ben minor taglia in Italia. No, ecco, forse la palma di nota peggiore in assoluto non è nemmeno della TV. Il peggio è il silenzio vergognoso dell’associazione corridori a fronte di situazioni climatiche dove ben due atleti han visto compromessa la loro gara da seri problemi di salute (colpo di calore) durante la competizione, fra cui Tiberi. Il tutto condito da pietose bugie sul fatto che “nessun atleta si sia lamentato” quando invece le rimostranze dei corridori sono state rese pubbliche a mezzo stampa. Questa è la prova del nove di come le chiacchiere sulla salute e sicurezza dei corridori tirate in ballo ormai sistematicamente, edizione dopo edizione, per boicottare tipicamente il Giro siano state a dir poco pretestuose. Anzi, usarle per secondi fini le inflaziona e squalifica. Questo fa il paio con la Freccia Vallone, sempre posseduta da ASO, dove pure problemi di salute reali e gravi, non immaginati o congetturabili, furono comportati da freddo e pioggia che condussero qualche atleta all’ipotermia; pure lì, niente da dire da parte del sindacato corridori. Il buon O’Connor che da compaesano di chi quel sindacato lo dirige ebbe a spalleggiarlo durante il Giro con dichiarazioni di fuoco; alla Vuelta si è ben guardato dall’aprire bocca, anche quando i problemi organizzativi della corsa l’hanno lasciato orfano di scorta in cima a una montagna, in maglia rossa di leader ma abbandonato al suo destino; e quando poi lui decise di tornare per conto proprio in albergo alla buona, è stato multato per aver mancato il podio. Ma questi sono organizzatori modernissimi e bravissimi, che non si dica!
Gabriele Bugada
IL TOUR OF BRITAIN È DI STEPHEN WILLIAMS, ULTIME VITTORIE PER MAGNIER E GOVEKAR
Al Tour of Britain 2024 Paul Magnier e Matevž Govekar si sono aggiudicati le ultime due tappe disputate nel weekend. Vittoria finale per Stephen Williams.
Nel weekend appena trascorso si sono disputate le ultime due tappa del Tour of Britain 2024. Le due frazioni, entrambe dedicate alle ruote veloci, non hanno influenzato la classifica generale che è definitivamente andata al britannico Stephen Williams. Il portacolori della Israel – Premier Tech, vincitore della seconda e della terza tappa, ha mantenuto senza patemi d’animo la sua leadership nelle tappe successive, piazzandosi anche al secondo posto nella classifica a punti.
Le ultime due tappe portano la firma del francese Paul Magnier (Soudal Quick-Step) e dello sloveno Matevž Govekar (Bahrain – Victorious). Il primo, tre vittorie per lui, si è aggiudicato la frazione di Northampton, mentre la conclusiva Lowestof-Felixstowe è andata a Govekar, tappa quest’ultima tappa caratterizzata da una caduta che ha coinvolto anche Magnier, costretto al ritiro e al ricovero in ospedale per commozione cerebrale e varie ferite che hanno necessitato di punti di sutura.
Con l’uscita di scena del dominatore delle volate in terra britannica la classifica a punti è andata al britannico Ethan Vernon (Israel – Premier Tech), compagno di squadra del leader della classifica Stephen Williams. Terza piazza per il vincitore dell’ultima tappa Govekar.
La classifica generale è andata come detto a Williams che ha preceduto il connazionale Oscar Onley (Team dsm-firmenich PostNL) di 16″ mentre di 36″ è il gap che lo divide dal francese Tom Donnenwirth (Decathlon AG2R La Mondiale Development Team), che ha scalzato dall’ultimo gradino del podio il britannico Mark Donovan (Q36.5 Pro Cycling Team) proprio nell’ultima tappa.
La Classifica dei GPM è andata a Callum Thornley (Trinity Racing), che con 50 punti ha più che doppiato il compagno di squadra Dean Harvey. La maglia di miglior giovane è andata a fasciare il busto di Onley, che ha preceduto di 25″ il recente vincitore del Tour de l’Avenir Joseph Blackmore (Israel – Premier Tech). Infine, si è laureata squadra migliore l’Israel – Premier Tech del capoclassifica con un divario di 1′29″ sulla Decathlon AG2R La Mondiale Development Team.
Nelle sei tappe della corsa britannica la sparuta pattuglia italiana, quattro elementi, è stata portata agli onori della cronaca soprattutto da Edoardo Zambanini, con il giovane della Bahrain – Victorious che ha chiuso in settima posizione nella classifica generale e in sesta in quella a Punti. Nei sei giorni di gara ha raccolto un settimo posto, un terzo e due undicesimi.
Mario Prato

Il podio del Tour of Britain 2024 (foto SWPix.com)
GP LARCIANO, HIRSCHI NELLA TORMENTA
Marc Hirshi vince il GP di Larciano, ridotto per maltempo. Alle sue spalle Silva e Ulissi
La cinquantaquattresima edizione del Gran Premio Industria e Artigianato di Larciano è una delle prime tappe della parte conclusiva di stagione, nella quale le classiche italiane giocano un ruolo di primo piano nel calendario ciclistico internazionale.
Quest’anno però un inatteso protagonista è il maltempo che si sta abbattendo sulla Toscana e sulla provincia di Pistoia in particolare in questi giorni, costringendo gli organizzatori a ridurre il percorso per motivi di sicurezza.
La corsa che ne viene fuori è così frammentata e irregolare, con un gruppetto di 13 unità che riesce ad evadere solo dopo non pochi tentativi: fra di loro, Manuele Tarozzi (VF Group-Bardiani CSF-Faizanè), Walter Calzoni (Q36.5 Pro Cycling Team), Mark Stewart (Team corratec-Vini Fantini), Baptiste Huyet (TDT-Unibet), Paul Ourselin (TotalEnergies), Yuma Koishi (JCL Team UKYO), Emanuele Ansaloni (Team Technipes #InEmiliaRomagna), Matteo Spreafico (Mg.KVis Colors for Peace), Antonio Polga e Andrea Peron (Team Novo Nordisk), Davide De Cassan (Team Polti-Kometa), Aaron Van Der Beken (Bingoal WB) e Tommaso Bambagioni (Work Service-Vitalcare-Dynatek).
Il vantaggio massimo di questi tredici uomini al comando sfiora i 4 minuti fra le due ascese del temibile strappo di Fornello, ma scende sensibilmente già poco sopra i 2′ in vista della prima scalata al San Baronto. Il maltempo però non dà cenno di arrestarsi, e gli organizzatori sono costretti nuovamente a intervenire sul percorso tagliando l’ultimo giro del circuito – e dunque ultima scalata del GPM di San Baronto.
In testa al gruppo passa dunque l’UAE Emirates a fare ritmo forsennato e riportare il grosso della corsa a poche decine di secondi da quel che rimane dei battistrada. Lungo le prime rampe di quella che è diventata l’ultima ascesa di giornata al San Baronto ci prova Marc Hirschi (UAE Team Emirates), riuscendo a rientrare sulla testa prima e fare il vuoto poi.
Nulla possono alle sue spalle prima uno sfortunato Christian Scaroni (Italia), scivolato nella discesa finale verso il traguardo, e poi Guillermo Thomas Silva (Caja Rural-Seguros RGA), nuovo primo inseguitore alle spalle del talento della formazione emiratina e ora solitario secondo di giornata.
Chiude terzo un buon Diego Ulissi (UAE Emirates), capace di regolare la volata per il piazzamento del gruppo.
Lorenzo Alessandri

Marc Hirshi esulta nella tormenta (foto Sprint Cycling Agency)
KOOIJ SORPRENDE MILAN. LA CLASSICA DI AMBURGO PARLA OLANDESE DOPO 26 ANNI
Nonostante fosse tra i velocisti più quotati per la vittoria della BEMER Cyclassics Hamburg 2024, Jonathan Milan (Team Lidl Trek) deve arrendersi ad Olav Kooij (Team Visma Lease a Bike) che vince davanti all’italiano ed a Bibiam Girmay (Team Intermarchè Wanty)
Pur essendo più corto di circa 30 km rispetto all’edizione 2023 a causa di un incidente sul percorso che ha ritardato la partenza, la BEMER Cyclassics Hamburg – ex Classica di Amburgo – presenta un finale identico a quello dell’anno scorso con la triplice scalata del Waseberg. I velocisti, o quanto meno la maggior parte di loro, hanno già dimostrato nelle passate edizioni di riuscire a domare questa asperità ma non sono comunque da escludere attacchi alla Evenepoel che possano sconvolgere la corsa negli ultimi km. Da tenere d’occhio Jonathan Milan (Team Lidl Trek), apparso in gran forma nelle ultime uscite tra Deutschland Tour e Renewi Tour ed ormai nel gotha dei velocisti più forti. LA corsa ha visto la fuga di Michael Mørkøv (Team Astana), Taco van der Hoorn (Team Intermarchè Wanty), Stefan De Bod (Team EF Education EasyPost), Remi Cavagna (Team Movistar), Andrea Vendrame (Team Decathlon AG2R La Mondiale) e Cyrus Momk (Team Q36.5 Pro Cycling). Una caduta a circa 80 km dalla conclusione ha tagliato fuori alcuni nomi più che papabili per la volata finale come Matteo Trentin (Tudor Pro Cycling Team), Tim Merlier (Team Soudal Quick Step) e Fernando Gaviria (Team Movistar). A 50 km dalla conclusione il vantaggio della fuga si attestava sui 3 minuti dopo aver avuto nelle prime fasi della corsa un vantaggio che sfiorava gli 8 minuti. Ad una trentina di km dalla conclusione erano coinvolti in una caduta anche Paul Penhoet e Cadel Ewans, gli uomini veloci rispettivamente della Groupama FDJ e della Jayco AlUla. La fuga veniva ripresa definitivamente a 25 km dalla conclusione. Negli ultimi 20 km alcuni ciclisti provavano ad attaccare. SI segnalavano in particolare le azioni di Alex Aranburu (Team Movistar), Fabio Christen (Team Q36.5 Pro Cycling) e Rudy Molard (Team Groupama FDJ) ma sotto l’impulso delle squadre dei velocisti il gruppo tornava compatto a poco più di 10 km dall’arrivo. La volata non era più in dubbio ed a vincere era Olav Kooij (Team Visma Lease a Bike) davanti a Jomatham Milan e Biniam Girmay (Team Intermarchè Wanty). Chiudevano la top five Jordi Meeus (Team Red Bull BORA Hansgrohe) in quarta posizione ed Alexander Kristoff (Team Uno X Pro Cycling) in quinta posizione. Jasper Philipsen (Team Alpecin Deceuninck), altro atteso velocista, non faceva meglio del settimo posto mentre nella top ten si segnalavano il nono posto di Trentin ed il decimo di Stefano Oldani (Team Cofidis). Per Kooij è l’ottava vittoria stagionale ed è il secondo olandese a vincere la Classica di Amburgo dopo Léon van Bon che la vinse nel 1998.
Antonio Scarfone

Olav Kooij vince la BEMER Cyclassics Hamburg 2014 (foto: Getty Images)
EDDIE DUNBAR FA DOPPIETTA, SUO L’ARRIVO IN SALITA AL PICON BLANCO
Eddie (Team Jayco – AlUlaDunbar) vince in solitaria l’ultimo temuto arrivo in salita alla Vuelta a España 2024, l’irlandese scatta in faccia ai big e conquista la tappa regina della corsa spagnola, tardiva la reazione del gruppo maglia rossa, infatti deve accontentarsi della seconda posizione Enric Mas (Movistar) mentre terzo, in assoluto controllo, arriva Primož Roglič (Red Bull – Bora – hansgrohe).
Penultima tappa della Vuelta a España 2024 e subito dopo il via ufficiale a provare a portar via una fuga sono Kasper Asgreen (T-Rex Quick-Step) e Enzo Leijnse (Team dsm-firmenich PostNL), in un tratto in salita l’azione dei due si esaurisce e vengono ripresi e soprvanzati da Jay Vine (UAE Team Emirates), Marco Frigo (Israel-Premier Tech) e Harold Tejada (Astana Qazaqstan), su cui poco dopo si portano Marc Soler (UAE Team Emirates), Clément Berthet (Decathlon Ag2r La Mondiale Team), Sylvain Moniquet (Lotto Dstny), Carlos Canal (Movistar Team), Jack Haig (Bahrain Victorious), Thomas Champion (Cofidis), Pablo Castrillo (Equipo Kern Pharma) e nuovamente (Team dsm-firmenich PostNL). Dietro controllano i Red Bull-Bora-hansgorhe e gli uomini del Team dsm-firmenich PostNL che con una andatura regolare fanno andare via la fuga che arriva ad avere un vantgagio massimo di 6’. I battistrada arrivano ai piedi del Puerto de La Braguia, dopo lo scollinamnto provano intanto un allungo Kasper Asgreen (T-Rex Quick-Step) e Pavel Bittner (Team dsm-firmenich PostNL), imitati anche da Xabier Isasa (Euskaltel-Euskadi). In questo punto della corsa la fuga prende ben 6’:10” di vantaggio, dietro c’è un cambio in testa dove si portano, un pò a sopresa, gli Ineos Grenadiers per aumentare l’andatura. Il lavoro in testa dà i frutti sperati ed infatti la fuga è segnalata adesso a 4’, dove davanti si portano in testa alla corsa grazie ad un allungo Vine, Soler e Berthet. Verso la salita del Portillo de Lunada, Soler è il solito generoso ed allunga portandosi dietro sempre Vine e Berthet, lo spagnolo riprova ancora e va via tutto solo mentre sulla coppia inseguitrice si riportano Castrillo e Frigo, questo quartetto scollina con 48” di ritardo dallo spagnolo. Dietro intanto si esaurisce il lavoro degli Ineos sotituite in testa l gruppo maglia rossa dalla T-Rex Quick-Step, la formazione belga rosicchia ancora tempo prezioso portando così il plotone a 3’:25” dalla testa della corsa. Soler scollina tutto solo con 38” da Vine che è rimasto tutto solo all’inseguimento interessato anche dai punti per la maglia a pois. nel lungo tratto in discesa si ripete il copione, Soler viene ripreso e si rialza sulla penultima salita di giornata, troppo poco il vantaggio dove da dietro un grande Mattia Cattaneo fa il forcing dal gruppo maglia rossa, il primo a farne le spese è Carlos Rodriguez (Ineos Grenadiers) poi Mattias Skjelmose (Lidl-Trek). L’accelerazione fa sì che Jay Vine e Clément Berthet, ultimi superstiti della fuga di giornata vengano presto ripresi dal gruppo. Il ritmo cala leggermente e prova così ad allungare Pavel Sivakov (UAE Team Emirates) che prende subito 20 secondi. La Red Bull Bora Hansgrohe si porta in testa al gruppo per provare a tenere alto il ritmo in vista del GPM su cui passa per primo proprio Pavel Sivakov, per lui 6” di abbuono, mentre quarto è Jay Vine che conquista così matematicamente la classifica degli scalatori. L’andatura del gruppo dei migliori cala nuovamente e così ad allunga Eddie Dunbar (Team Jayco – AlUla), Roglic prova a non farsi sorprendere insieme anche a Enric Mas. Riescono ad agganciarsi anche David Gaudu (Groupama-FDJ), Richard Carapaz (EF Education-EasyPost) e Urko Berrade (Equipo Kern Pharma). Davanti intanto Dunbar raggiunge stacca Sivakov ormai allo stremo. Un nuovo calo di ritmo permette il rientro da dietro di Ben O’Connor (Decathlon – Ag2r La Mondiale) insieme ad altri corridori. Tra i più attivi è David Gaudu che ci prova insieme a Urko Berrade. Davanti l’irlandese riesce a resistere ed arrivare così per la secvonda volta in questa edizione della corsa a tappe spagnola a braccia alzate davanti ad Enric Mas e Primoz Roglic. I big della generale arrivano in uno spazio di 20” senza quindi grandi distacchi, Ben O’Connor (Decathlon – Ag2r La Mondiale) chiude in sesta posizione e riesce a conservare 9″ su Enric Mas e 58″ su Richard Carapaz (EF Education-EasyPost) per difendere il suo piazzamento sul podio. Come detto a pagare la tappa odierna è stato Carlos Rodriguez (Ineos Grenadiers) che naufraga a quasi 6 minuti, perdendo tre posizioni, scivolando in decima posizione in classifica e dicendo addio alla Maglia Bianca ora sulle spalle di Mattias Skjelmose (Lidl-Trek).. Domani cronometro conclusiva intorno a Madrid con la lotta per le posizioni del podio, dalla seconda alla quarta ancora tutte da definire.
Antonio Scarfone

Eddie Dumbar fa doppietta alla Vuelta de Espana 2024 (Photo credit: Getty Images)
ROGLIC SI CONFERMA SIGNORE DEL MONCALVILLO, LA MAGLIA ROSSA E’ DI NUOVO SUA
Lo sloveno della Red Bull – Bora Hansgrohe bissa la vittoria ottenuta nel 2020 sullo stesso traguardo e scavalca Ben O’Connor in classifica generale. A 46” arrivano Damien Gaudu (Groupama-FDJ) e Mattias Skjelmose (Lidl-Trek), mentre l’ormai ex leader della classifica perde 1′49” ma resiste al secondo posto assoluto. E ora la Vuelta offre su un vassoio d’argento le due giornate decisive: il tappone di domani con oltre 5000 metri di dislivello e domenica la cronometro individuale sulle strade di Madrid.
Nulla da fare per Ben O’Connor (Decathlon AG2R La Mondiale Team), che nella 19° tappa della Vuelta 2024 (Logroño – Alto de Moncalvillo, 173.5 km) deve arrendersi alla supremazia di Primoz Roglic (Red Bull – BORA – hansgrohe), vincitore di tre tappe in questa edizione. Il campione sloveno, che già ha in bacheca tre Giri di Spagna oltre alla Maglia Rosa 2023, ha lasciato la compagnia di tutti gli “acerrimi” rivali con un allungo ai -5,8 dall’arrivo, prima con l’aiuto di Daniel Martinez e Aleksandr Vlasov, poi è partita la sua scalata solitaria verso la cima già domata quattro anni fa.
Dopo 40 km dal via è finalmente partita la fuga del giorno, con Fran Miholjevic (Bahrain-Victorious), Isaac Del Toro (UAE Team Emirates), Edward Planckaert (Alpecin – Deceuninck), Vito Braet e Simone Petilli (Intermarché – Wanty), che hanno raggiunto fino a cinque minuti di vantaggio. A differenza di molte tappe precedenti, però, il plotoncino dei migliori non ha voluto lasciare tanto spazio agli attaccanti, con la Red Bull che controlla in prima persona il gap da colmare in vista della impegnativa salita finale (8,6 chilometri all’8,9% medio e pendenza massima del 16%).
L’ultimo dei fuggitivi a venire ripreso è stato Miholjevic, e successivamente c’è l’azione decisiva di Roglic e dei suoi compagni di squadra. Il campione sloveno va via nel tratto più duro della salita e il solo Enric Mas (Movistar Team) ha provato a stargli dietro fino ad esaurire le energie ai -500 metri. Lo spagnolo verrà raggiunto da David Gaudu (Groupama – FDJ) e Mattias Skjelmose (Lidl – Trek), che completeranno il podio di tappa con circa 50” di ritardo da Roglic, mentre O’Connor cede quasi due minuti allo sloveno, nuovo leader della classifica generale.
Il Picón Blanco e la cronometro di Madrid in programma in questo weekend finale saranno giudici supremi di questa Vuelta 2024, nella quale il corridore sloveno sta dimostrando di essere il Re assoluto e si avvicina al quarto trofeo in carriera nella corsa spagnola, in un anno in cui la Slovenia sta per fare l’en-plein nei tre Grandi Giri.
Andrea Giorgini

Roglic riprende il comando della Vuelta sulle impegnative rampe del Moncalvillo (Getty Images)