LORENZO FINN ORO ITALIANO A ZURIGO, TRA LE DONNE AFFERMAZIONE DI CAT FERGUSON
Le prime prove su strada ai Campionati del Mondo di Ciclismo di Zurigo incoronano la britannica Ferguson e l’italiano Finn. Se la prima ha la meglio in una volata a tre, l’oro del ciclista italiano risplende ancora di più in una giornata uggiosa anche per la tattica spregiudicata e coraggiosa di Finn che dopo continui scatti nel finale si lascia tutti alle spalle, favorito anche dalla caduta di Withen Philipsen, favorito della vigilia.
Dopo le prove a cronometro ai Mondiali di Ciclismo di Zurigo inizia oggi la quattro giorni riservata alle prove su strada. Ad aprire il programma saranno le donne juniores in mattinata, seguite nel pomeriggio dagli uomini juniores. La prova delle ragazze si svolgerà su un percorso che misura 73.5 km. La partenza sarà da Uster e dopo circa 20 km completamente pianeggianti si entrerà nel circuito finale di Zurigo da affrontare due volte. La corsa è stata caratterizzata da una fuga di cinque atlete ovvero Arabella Blackburn (Gran Bretagna), Nina Lavenu (Francia), Weronika Wasaty (Polonia), Eleonora La Bella e Silvia Milesi (Italia). Il primo passaggio sul circuito faceva già selezione con le salite di Zurichbergstrasse e di Witikon. Le prime ad alzare bandiera bianca erano Lavenu e Milesi. A circa 40 km dalla conclusione soltanto La Bella era ancora in testa delle fuggitive, insieme ad altre cicliste che avevano preso un certo margine sul gruppo principale ed avevano raggiunto l’italiana in testa alla corsa, formata oltre alla La Bella da Celia Gery (Francia), Cat Ferguson (Gran Bretagna), Megan Arens (Olanda), Paula Ostiz (Spagna), Kamilla Aasebø (Norvegia), Lara Liehner (Svizzera) e Giada Silo (Italia). Il gruppo principale, o quello che restava, ritornava sulle battistrada a circa 25 km dalla conclusione. Dopo un nuovo attacco inaugurato dalla slovena Viktória Chladoňová a 11 km dal termine, restavano in avanscoperta in tre. Oltre alla Chladoňová erano in testa la Ortiz e la Ferguson. Le tre cicliste si davano cambi regolari e si giocavano così la vittoria in uno sprint ristretto. Era la Ferguson ad avere la meglio sulla Ortiz mentre la Chladoňová era terza. A 9 secondi si classificava l’olandese Megan Arens mentre chiudeva la top ten la francese Gery a 53 secondi di ritardo. La prima italiana che giungeva al traguardo era Chantal Pegolo, 19° a 2 minuti e 29 secondi di ritardo dalla Ferguson, che bissa così la vittoria di martedì nella prova a cronometro e si porta a casa due medaglie d’oro. La britannica appare una predestinata del ciclismo, visto che il suo albo d’oro stagionale è più che lodevole. Basti pensare che su quattordici corse disputate nel 2024, tra corse di un giorno e corse a tappe, ha al suo attivo in 19 giorni di corse ben 10 primi posti e 7 podi. Nel pomeriggio sotto una pioggia battente si è svolta la gara degli uomini juniores. Rispetto alla gara delle ragazze, gli uomini hanno dovuto percorrere altri due giri del circuito di Zurigo per un totale di 4 giri e di complessivi 127.2 km, sempre con partenza da Uster. La corsa, tra condizioni meteo e ritmo elevato già dai primi km imposto da belgi e danesi, è stata dura dall’inizio e già all’inizio dei quattro giri del circuito di Zurigo il gruppo era piuttosto sfilacciato. A 60 km dalla conclusione un primo attacco di Lorenzo Finn (Italia) dava il la per la fuga che avrebbe caratterizzato la corsa. Al ciclista italiano si accodavano dopo un paio di km il britannico Sebastian Grindley, lo spagnolo Hector Alvarez, il francese Paul Seixas, l’olandese Senna Remijn ed il danese Albert Withen Philipsen, già vincitore nel 2023 e favorito d’obbligo anche a Zurigo. All’ultimo passaggio sullo Zurichbergstrasse, il punto più difficile del circuito con pendenze che raggiungevano il 17%, Withen Philipsen accelerava ma alla sua ruota resisteva il solo Finn. Nella successiva discesa in una curva verso destra Withen Philipsen era vittima di una caduta e doveva così dire addio ai sogni di gloria. Finn restava da solo in testa ed una volta raggiunto dal Alvarez e resosi conto che lo spagnolo era a tutto, scattava sulla successiva salita di Witikon facendo il vuoto. Da lì, a poco più di 21 km dalla conclusione, per Finn era una cavalcata trionfale. Il giovane ciclista italiano andava a prendersi l’oro diciotto anni dopo Diego Ulissi. Secondo era Grindley a 2 minuti e 5 secondi di ritardo mentre Remijn chiudeva in terza posizione a 3 minuti e 6 secondi di ritardo, battendo nella volata per il terzo posto il tedesco Paul Fietzke e lo statunitense Ashlin Barry, rispettivamente quarto e quinto. L’Italia mette nel medagliere il metallo più pregiato dopo l’argento di Ganna ed il bronzo di Affini nella prova a cronometro e l’altro bronzo della staffetta mista. Domani è in programma la corsa degli Under 23 e l’Italia potrebbe essere ancora protagonista, in attesa di donne e uomini elite.
Antonio Scarfone
STAFFETTA MISTA MONDIALE, L’AUSTRALIA BEFFA LA GERMANIA. ITALIA TERZA
Nella staffetta mondiale a cronometro l’Australia, già prima al cambio, resiste al recupero della Germania e vince l’oro con soli 80 centesimi di vantaggio mentre l’Italia cala alla distanza e chiude in terza posizione dopo aver sognato in grande. Da domani le prove in linea
La staffetta mista dei Campionati di Ciclismo presenta un percorso esigente lungo 53.7 km. Si tratta in pratica di percorrere due volte il circuito finale di Zurigo della prova su strada di domenica, una da parte del terzetto maschile ed un’altra da parte di quello femminile. Le squadre nazionali alla partenza sono 20 e l’assenza di Belgio ed Olanda arricchiscono le speranze di medaglia, anche quella più pregiata, da parte dell’Italia, che ha in Filippo Ganna ed Edoardo Affini, secondo e terzo tre giorni fa nella prova individuale, le punte di diamante della spedizione azzurra insieme a Mattia Cattaneo, Gaia Realini, Elisa Longo Borghini e Soraya Paladin. Partono prima i terzetti maschili e successivamente quelli femminili. A metà percorso l’Australia, formata da Michael Matthews, Ben O’Connor e Jay Vine, fa segnare il miglior tempo con 33 minuti e 44 secondi. Subito dietro si piazza l’Italia a 7 secondi di ritardo mentre più lontane sono Germania, Francia e Stati Uniti, rispettivamente a 21, 22 e 34 secondi di ritardo, mentre la Svizzera padrona di casa esce subito di scena facendo segnare un più che anonimo nono posto parziale a 1 minuto e 34 secondi di ritardo dall’Australia. Nella seconda parte del percorso l’Australia con Grace Brown, Brodie Chapman e Ruby Roseman-Gannon calava leggermente il ritmo mentre cresceva il terzetto tedesco con Franziska Koch, Liane Lippert ed Antonia Niedermaier. L’Australia riusciva comunque a mantenere sulla linea del traguardo un risicato vantaggio di 80 centesimi, chiudendo con il tempo di 1 ora 12 minuti e 52 secondi e beffando così la Germania che si doveva accontentare della medaglia d’argento. L’Italia calava nel finale ed era terza con 8 secondi di ritardo dall’Australia. Comunque un bronzo onorevole da parte degli azzurri che risalgono sul podio dopo la giornata inaugurale. La top five veniva completata dalla Francia a 23 secondi di ritardo dall’Australia e dalla Danimarca a 2 minuti e 6 secondi di ritardo dall’Australia. Da domani inizieranno le prove in linea con donne e uomini junior e conosceremo ancora meglio questo circuito di Zurigo che ad una prima impressione appare molto impegnativo.
Antonio Scarfone

L'Australia vince la staffetta mista a cronometro (foto: Getty Image)
GIRO DEL LUSSEMBURGO, ALLA FINE LA SPUNTA TIBERI
Successo italiano nell’edizione 2024 dello Skoda Tour de Luxembourg. Il primo della classifica generale al termine delle 5 tapper è risultato essere il portacolori della Bahrain-Victorius Antonio Tiberi. Successi di tappa per Van der Poel, Pedersen, Vansevenant, Ayus e Gaudu.
Si è concluso domenica, nel giorno d’apertura dei mondiali di ciclismo, lo Skoda Tour de Luxembourg, la breve corsa a tappe del granducato articolata su 5 frazioni. L’avvio della competizione ha visto il successo del campione del mondo in carica Mathieu van der Poel (Alpecin – Deceuninck) sull’ex campione europeo Christophe Laporte (Team Visma | Lease a Bike) e sul danese Andreas Kron (Lotto Dstny). Si è trattato di un buon avvio di gara per l’olandese che si è così insediato in vetta alla classifica, con il laziale Antonio Tiberi (Bahrain – Victorious) primo degli italiani, 7° con 10″ di ritardo.
Nella seconda tappa il leader della classifica ha mantenuto la leadership, ma si è visto battere sul traguardo dal danese Mads Pedersen (Lidl – Trek), mentre la terza piazza è andata all’elvetico Robin Froidevaux (Tudor Pro Cycling Team). Buona la prova dei corridori di casa nostra con tre piazzamenti nella TopTen: Mirco Maestri (Team Polti Kometa) ha chiuso sesto, Lorenzo Milesi (Movistar Team) nono e Tiberi decimo. In classifica, come detto, Van der Poel precede sempre Laporte e Kron, come il giorno precedente.
La terza tappa ha visto cadere il trono del campione del mondo, che nonostante la seconda posizione di giornata ha ceduto lo scettro al vincitore di tappa Mauri Vansevenant (Soudal Quick-Step). Il belga ha chiuso le sue fatiche in solitaria con un vantaggio di 41″ sul grupp, regolato Van der Poel sull’elvetico Marc Hirschi (UAE Team Emirates) e gli altri. Nuovamente una decima piazza di giornata per Tiberi.
Nel quarto giorno di gara è andata in scena la cronometro. Il successo è andato allo spagnolo Juan Ayuso della UAE Team Emirates. Secondo di giornata si piazzato, con un passivo di soli 7 secondi, il nostro Tiberi che ha preceduto Pedersen. Per i ciclisti di casa nostra da segnalare un altro piazzamento nella TopTen con Lorenzo Milesi, 7°-
Grazie alla seconda piazza di giornata e alla 18a di Vansevenant il campione del Mondo è risalito in vetta alla classifica davanti al vincitore di giornata e allo stesso Vansevenant.
L’ultima tappa, decisiva per la classifica generale, ha visto il successo di David Gaudu (Groupama – FDJ). Il francese ha preceduto di 3″ un terzetto formato dallo statunitense Quinn Simmons (Lidl – Trek), dal connazionale Jordan Jegat (TotalEnergies) e da Tiberi. Ancora più indietro sono giunti Pedersen e Van der Poel, che hanno chiuso la prova dopo 29″. Un gap pesante per il campione del mondo, che si è visto sfilare la maglia di leader proprio da Tiberi, dimostratosi molto regolare nei 5 giorni lussemburghesi, al punto da portarsi a casa anche la speciale classifica dei giovani.
Alle spalle dell’italiano e dell’olandese sul terzo gradino del podio è salito il vincitore di tappa David Gaudu. Nona piazza per Davide Piganzoli (Team Polti Kometa).
Se si è visto sfilare il sogno di aggiudicarsi la generale, Van der Poel si può consolare con la vittoria nella classifica a punti, dove ha preceduto Pedersen e Tiberi.
La classifica dei GPM si è rivelata un campionato di società per la Soudal Quick-Step, che occupa tutti e tre i gradini del podio con Pepijn Reinderink, Vansevenant e Louis Vervaeke nell’ordine.
Infine nella Classifica a squadre il successo è andato all’UAE Team Emirates davanti al Movistar Team e al Team Visma | Lease a Bike.
Mario Prato

Antonio Tiberi vince il Giro del Lussemburgo (Getty Images)
BROWN ED EVENEPOEL, DUE ORI DA INCORNICIARE. ARGENTO E BRONZO PER GANNA E AFFINI
Grace Brown e Remco Evenepoel confermano i pronostici della vigilia vincendo la medaglia d’oro nella prova a cronometro ai Campionati del Mondo di Zurigo. Ma Demi Vollering da un lato e Filippo Ganna dall’altro, entrambi argento, hanno dato del filo da torcere ai vincitori. Da sottolineare il bel bronzo conquistato da Edoardo Affini
Il calendario dei Campionati del Mondo di Ciclismo 2024 servono immediatamente due piatti forti come la Prova a Cronometro Donne Elite e la Prova a Cronometro Uomini Elite. Le donne si misureranno su un percorso di 29.9 km mentre gli uomini affronteranno 46.1 km. Entrambi i percorsi vedono una parte centrale abbastanza impegnativa con diversi strappetti e saliscendi, con pendenze che in alcuni tratti arrivano anche a superare l’8%. Nella prova femminile la favorita della vigilia Grace Brown dopo una piccola empasse al secondo intermedio, si divora l’asfalto negli ultimi 10 km completamente pianeggianti e chiude con il tempo di 39 minuti e 16 secondi, facendo meglio di 17 secondi sulla seconda classificata Demi Vollering, che aveva fatto meglio al secondo intermedio di 8 secondi rispetto all’australiana. La Brown vince così nello stesso anno la prova a cronometro di Olimpiadi e Mondiali. Il bronzo va a Chloe Dygert, campionessa in carica, che non ripete l’exploit dello scorso anno quando ebbe la meglio sulla Brown per soli 6 secondi. La ciclista statunitense termina la sua prova con 56 secondi di ritardo dalla Brown. Chiudono la top fine la tedesca Antonia Niedermaier e la belga Lotte Kopecky, rispettivamente in quarta ed in quinta posizione con un ritardo di 1 minuto e 5 secondi e di 1 minuto e 39 secondi dalla Brown. Per quanto riguarda la prova delle atlete azzurre Vittoria Guazzini faceva registrare la 19° posizione con un ritardo di 3 minuti e 11 secondi dalla Brown mentre faceva peggio Gaia Masetti addirittura 40° a 5 minuti e 29 secondi di ritardo. La prova maschile ha visto la vittoria di Remco Evenepoel, anch’essa ampiamente prevista alla vigilia. Eppure il belga ha dovuto costruirsela questa vittoria specialmente nella parte iniziale e centrale del percorso, quando al terzo intertempo faceva registrare un vantaggio di 19 secondi su Filippo Ganna. Da quel momento, e precisamente negli ultimi 10 km, Ganna dava tutto e riusciva a recuperare quasi 15 secondi sull’indiavolato belga che chiudeva con il tempo di 53 minuti e 1 secondo. Ganna si fermava a soli 7 secondi da Evenepoel e conquistava un argento beffardo. Sul terzo gradino del podio brillava invece il bronzo di Edoardo Affini, che completava una crono mondiale, seppur a 54 secondi di ritardo da Evenepoel. A chiusura della top five si classificavano Joshua Tarling e Jay Vine, rispettivamente a 1 minuto e 17 secondi ed a 1 minuto e 24 secondi di ritardo da Evenepoel. Vine in particolare vedeva precluso il sogno di giocarsi il bronzo con Affini a causa di una caduta in un tratto in discesa e di cui portva evidenti segni nel tagliare il traguardo. Detto che Evenepoel ripercorre le gesta di Grace Brown, avendo vinto anche lui nello stesso anno Olimpiade e Mondiali, adesso le prove dei Campionati Mondiali proseguiranno domani con le cronometro individuali uomini Juniores e under23.
Antonio Scarfone

Remco Evenepoel vince i Campionati Mondiali a Cronometro per il secondo anno consecutivo (foto: Getty Images)
SUPER 8 CLASSIC, ASSOLO DI FILIPPO BARONCINI SULLE STRADE DEL BELGIO
Prima gioia tra i professionisti per il portacolori della UAE Team Emirates, che grazie ad un attacco ai -14 km dal traguardo di Haacht compie una vera e propria impresa succedendo nell’albo d’oro della ex Primus Classic all’attuale campione del mondo Mathieu Van der Poel. Al secondo posto si è classificato Rick Pluimers (Tudor Pro Cycling Team), terzo è Rui Oliveira, portoghese compagno di squadra di Baroncini.
Il Belgio (e in particolare le Fiandre) portano bene a Filippo Baroncini (UAE Team Emirates), il corridore romagnolo nato a Massa Lombarda il 26 agosto 2000 che tra gli Under 23 vinse il Mondiale di Lovanio nel 2021. Quest’oggi Baroncini è stato protagonista di un bellissimo assolo di quattordici chilometri nella nuova edizione della 14a edizione della Super 8 Classic, la corsa in linea nota fino a due anni fa con la denominazione di Primus Classic e che nel 2023 è stata appannaggio dell’attuale campione del mondo Mathieu van der Poel (Alpecin – Deceuninck), assente oggi perchè impegnato nel contemporaneo Giro del Lussemburgo.
Baroncini faceva parte di un drappello di 15 corridori ed è stato il più lesto e scaltro trovando l’azione vincente, la prima della sua carriera da professionista. A nulla è valso il tentativo di Rick Pluimers (Tudor Pro Cycling Team), scattato poco prima dell’ultimo chilometro, ma che ha garantito al belga la seconda posizione all’arrivo anticipando lo sprint del gruppo, conquistato da Rui Oliveira (UAE Team Emirates). Il portoghese è compagno di team del vincitore e per la compagine emiratina quello odierno è stato l’ennesimo podio (il secondo di oggi, dopo quello di Juan Ayuso al Giro di Lussemburgo) di una stagione da incorniciare .
L’Italia può rendersi soddisfatta anche per il sesto posto di Matteo Trentin (Tudor Pro Cycling Team), anche lui facente parte del plotoncino dei principali protagonisti della corsa odierna.
Andrea Giorgini

La prima vittoria da professionista di Filippo Baroncini (Getty Images)
SPAGNA PADRONA DEL BELGIO: ADRIA’ BATTE ARANBURU IN VALLONIA
Termina anche quest’anno con una vittoria spagnola il Grand Prix de Wallonie, per la precisione con una doppietta targata Adrià (Red Bull – BORA), Aranburu (Movistar) che succede a Serrano, vincitore della passata edizione.
Partenza da Blegny, antica terra di miniere (Patrimonio dell’Unesco) e minatori, molti dei quali italiani. Oltre 200km e diverse “côtes” più tardi l’arrivo a Namur.
La corsa è animata per lunga parte da una fuga di sei uomini: Kenny Molly (Van Rysel), Michiel Lambrecht (Bingoal), Gleb Brussenskiy (Astana), Arno Claeys (Flanders), Mulu Kinfe Hailemichael (Caja Rural) e Jan Sommer (Q36.5). Attorno ai -50km i fuggitivi sono stati ripresi e dal gruppo sono usciti una ventina di corridori, sempre tenuti a distanza di controllo dal grosso del plotone. Successivamente il forcing di Movistar, Red Bull, Lotto e Uno-X ha tenuto sotto controllo gli ultimi tentativi di Mads Wurtz-Schmidt (Israel – Premier Tech) e Georg Zimmermann (Intermarche) portando il gruppo alla volata finale.
Lo sprint è stato apannaggio degli spagnoli con il nostro Matteo Trentin (Tudor), ben posizionato a ruota di Alex Aranburu (Movistar Team), caduto per un contatto con l’altro italiano Filippo Baroncini (UAE). Roger Adrià
(Red Bull – BORA – Hansgrohe) che ha sfruttato la volata lunga lanciata dal Aranburu superandolo nel finale. Alle loro spalle si sono piazzati Clément Champoussin (Arkéa), Biniam Girmay (Intermarche) e Rick Pluimers (Tudor), mentre fuori dalla top five sono giunti i padroni di casa con Tim Wellens (UAE) sesto davanti a Quinten Hermans (Alpecin). Solo 13° Vincenzo Albanese (Arkéa), primo degli italiani.
Andrea Mastrangelo

Adrià si impone nel 64° Grand Prix de Wallonie (Getty Images)
POGACAR E’ TORNATO, LO SLOVEVO DOMINA IL GRAN PREMIO DI MONTREAL FINISCE
Era ritornato alle corse solo tre giorni fa, dopo quasi due mesi di digiuno seguito alla vittoria al Tour de France. Il tempo di ritrovare il feeling con il gruppo nel Grand Prix Cycliste de Québec e poi è tornato a far sfoggio delle sue doti e della sua classe nella corsa di Montréal, vinta in solitaria.
Il tempo che accoglie partecipanti e spettatori del Gran Prix Cycliste de Montréal è simile a quello di cui gli stessi avevano goduto in Québec, due giorni prima, nella gara vinta dal redivivo sprinter australiano Michael Matthews (Team Jayco AlUla): 20 gradi, cielo sereno, 70% di umidità. Analogo è il paesaggio circostante, parchi verdi a spezzare il tessuto urbano delle metropoli, identico il fiume che scorre nella città, quel San Lorenzo che collega il lago Ontario con l’Oceano Atlantico. Considerando la somiglianza delle due corse, che si disputano entrambe in un circuito cittadino lungo poco più di 12 chilometri, da ripetere 16 volte (a Québec) o 17 (a Montréal), e nel quale spiccano alcune “côtes” tutt’altro che proibitive. Tutti si domandano se l’esito sarà lo stesso, cosa in effetti successa due volte nella breve storia delle due “canadesi”: nel 2014, quando a vincerle fu il grande passista australiano Simon Gerrans (una Sanremo e una Liegi al suo attivo, oltre a tappe nei tre Grandi Giri) e nel 2018, quando proprio Matthews ci riuscì.
L’australiano, tornato a grandi livelli dopo 5 anni molto avari di vittorie (nonostante una vittoria di tappa al Giro e una al Tour), è ovviamente tra i principali favoriti della gara- Ma il corridore che più di ogni altro sembra avere le carte in regola per dominarla, e che a sua volta l’ha vinta due anni fa, è ovviamente Tadej Pogacar (UAE Team Emirates), settimo venerdì scorso; a contendergli la vittoria ci sono Matteo Jorgenson (Team Visma | Lease a Bike), unico dei “big” ad averci provato seriamente l’altroieri, e naturalmente Biniam Girmay (Intermarché – Wanty), che in caso di volata di gruppo sarebbe di certo fra i primissimi e che venerdì è arrivato secondo. Non dimentichiamo poi il giovane talento belga Arnaud De Lie (Lotto Dstny), vincitore in Québec l’anno scorso e che l’altroieri, pur non riuscendo nel bis, è riuscito a stoppare un Pogacar che aveva già iniziato lo scatto decisivo; poi ci sono Juan Ayuso (UAE Team Emirates), Stephen Williams (Israel – Premier Tech), Simon Yates (Team Jayco AlUla), Julian Alaphilippe (Soudal Quick-Step), Ben Healy (EF Education – EasyPost), Romain Bardet (Team dsm-firmenich PostNL), Jai Hindley (Red Bull – BORA – hansgrohe) e il nostro Alberto Bettiol (Astana Qazaqstan Team), unico italiano quest’anno capace di vincere qualche corsa in linea importante. Adam Yates (UAE Team Emirates), vincitore l’anno scorso, è assente dopo aver portato a termine da pochi giorni una discreta Vuelta.
Si parte alle 10.15 (ora locale, le 16.15 ora italiana) e quasi subito inizia la prima “côte”, una salita non banale, lunga oltre due chilometri con una pendenza media del 6% (e punte superiori al 10%), che porta a 208 metri di quota, in cima alla collina intitolata a Camillien Houde, politico canadese che è stato a lungo sindaco di Montréal. Proprio su questa salita partì, due anni fa, l’attacco decisivo di Pogacar, che riuscì a staccare quasi tutti i suoi avversari finendo poi per vincere la volata ristretta ai pochi superstiti (tra cui Van Aert, oggi assente dopo il grave incidente alla Vuelta). Il resto del circuito è prevalentemente in leggera discesa e si svolge in buona parte nel parco del Mount Royal, anche se due brevi ma ripide “côtes” di poche centinaia di metri l’una, al sesto e poi al nono chilometro del circuito, rendono la faccenda un po’ più complicata; anche gli ultimi 300 metri sono un po’ in salita, cosa che certamente avrà il suo peso se si dovesse arrivare in volata, sia ristretta, sia di gruppo.
Contrariamente a quanto si era visto venerdì, la consueta fuga non parte subito, anche se qualche corridore, di tanto in tanto, prova ad allungare. È solo nel corso del secondo giro che si avvantaggiano il giovanissimo ma promettente canadese Michael Leonard (INEOS Grenadiers, campione nazionale U23 a cronometro) e il giovane ma già esperto belga Gil Gelders (Soudal Quick-Step, due tappe vinte al Giro U23): sulla linea di arrivo i due hanno già un paio di minuti sul gruppo e nel corso del terzo giro vengono raggiunti dal navigato passista belga Dries De Bondt (Decathlon AG2R La Mondiale Team, con un campionato belga e una tappa al Giro nel suo palmarès). Il vantaggio sul gruppo che, inquadrato dall’alto, sembra procedere ad andatura cicloturistica, sale a 4 minuti nel corso del quarto giro e a ben 5 sulla linea di arrivo. È a questo punto che la UAE inizia a tirare e tanto basta a far calare lo svantaggio del gruppo a 3’20” alla fine del quinto giro e a meno di 2’40” alla fine del sesto. Il vantaggio dei fuggitivi si stabilizza intorno ai tre minuti nei giri successivi, mentre la noia regna sovrana e iniziano anche difficoltà di collegamento, con le immagini in diretta che lasciano il posto a riprese panoramiche di Montreal, agli “highlights” delle precedenti edizioni e a qualche intervista ai protagonisti: la decima volta che vengono inquadrati il ponte Jacques Cartier (dedicato all’esploratore che scoprì queste zone) e la chiesa di Saint Joseph du Mont-Royal diventa inevitabile chiedersi se davvero le due gare canadesi abbiano l’importanza data da loro dall’UCI e dagli sponsor. Quando le immagini tornano in diretta siamo ormai nel 12esimo giro (poco più di 5 alla fine) e si scopre che i tre battistrada hanno ancora 1’20” di vantaggio e che De Lie ha abbandonato. La stessa sorte tocca ben presto al nostro Bettiol, che dopo aver vinto il campionato italiano quasi tre mesi fa è entrato in una crisi dalla quale, con ogni evidenza, non riesce ad uscire. Non vanno mai in crisi, viceversa, i gregari della UAE: a tirare il gruppo concedendosi poche soste sono stati prima Igor Arrieta, poi Domen Novak e infine Finn Fisher-Black ed è grazie al loro sforzo che nel 13esimo giro il vantaggio dei tre fuggitivi si riduce a 30 secondi. È a questo punto che lo sloveno Matej Mohorič (Bahrain – Victorious), famoso per una Sanremo vinta in maniera rocambolesca due anni fa, esce di prepotenza dal gruppo e si riporta sui battistrada (diventati due dopo il cedimento di De Bondt) sulla linea di arrivo, quando mancano ancora 4 giri (quasi 50 chilometri) al termine della corsa. È improbabile che Pogacar, pur connazionale di Mohorič, lasci fare: e infatti la UAE continua a tirare il gruppo, che dopo le ripetute salite sulla salita di Camillien Houde sembra essersi molto ridotto e il cui distacco rimane a lungo sui 30 secondi; anche qualcuno dei più forti, tra i quali Girmay, inizia a staccarsene. Durante il quartultimo giro Leonard cede di schianto e viene subito ripreso, così che con Mohorič resta il solo Gelders. Inevitabilmente i due superstiti finiscono per cedere a loro volta e vengono ripresi dal gruppo (che ormai conta poco più di 40 corridori) all’inizio del terzultimo giro. Senza più nessuno in fuga tutti si rilassano e percorrono questo giro compatti e allargati, godendosi il fresco e il panorama, mentre da dietro qualcuno rientra sino a far risalire il numero totale dei suoi componenti ad una cinquantina; nel frattempo abbandona anche Ayuso. Inizia il penultimo giro e finalmente qualcosa cambia, poiché sulla salita di Camillien Houde Rafał Majka, il più forte dei gregari di Pogacar, si lancia in un micidiale forcing del quale si scopre ben presto la ragione: il grande sloveno parte nel tratto più duro della salita e, diversamente da quanto accaduto venerdì, riesce subito a fare il vuoto. Il gruppo si sfilaccia e si riduce a una ventina di corridori. Nessuno tenta l’inseguimento solitario e in cima alla salita Pogacar ha già una ventina di secondi di vantaggio. Ancora qualche chilometro di attesa e ci prova Neilson Powless (EF Education – EasyPost), ma la convinzione è poca e il suo tentativo ha breve durata. A un paio di chilometri dalla linea d’arrivo ci prova infine Alaphilippe, poi affiancato da altri tre corridori, fra cui Jorgenson e lo spagnolo Pello Bilbao (Bahrain – Victorious), vincitore di tappe un po’ dappertutto ma non eccelso nelle corse in linea; ciò nonostante il vantaggio di Pogacar continua a salire inesorabilmente sino a raggiungere 30 secondi – 45 sul resto del gruppo – all’inizio dell’ultimo giro; sull’ultima salita i quattro al suo inseguimento cedono uno dopo l’altro e vengono riassorbiti dal gruppo; il solo Bilbao, con tenacia ma senza speranza, continua ad inseguire da solo lo sloveno. Pogacar, implacabile, aumenta progressivamente il suo vantaggio che nel finale arriva a sfiorare il minuto, e la sua cavalcata assume toni talmente trionfali che negli ultimi duecento metri si vede qualcosa di inaudito: lo sloveno rallenta e quasi si ferma a stringere le mani degli spettatori in delirio, prima ancora di varcare la linea del traguardo! Bilbao ne approfitta per portarsi a soli 24 secondi, cogliendo un prestigioso secondo posto che vale quasi quanto una vittoria, e alle sue spalle ciò che resta del gruppo è regolato da Alaphilippe dopo una dura volata. Matthews è fra i ritirati.
Inizia così, con una vittoria delle sue, l’ultima parte della stagione di Tadej Pogacar, il nuovo Merckx: una gara che stava facendo addormentare gli spettatori, non molto diversa da quella di venerdì, si è invece trasformata negli ultimi giri in una dimostrazione di forza a tratti esaltante, di quelle a cui ci stiamo nuovamente abituando solo da qualche anno e che una volta erano la regola, non l’eccezione. Il podio, quasi a voler consacrare quella che è stata forse la più bella edizione di questa corsa, è di tutto rispetto. Dopo la scarsa combattività da tutti mostrata venerdì, persino dallo stesso Pogacar, ce n’era un gran bisogno.
Andrea Carta

Pogacar vince l'edizione 2024 del Gran Premio di Montreal (Getty Images)
EUROPEO A MERLIER. L’ITALIA FA LA CORSA MA RESTA A BOCCA ASCIUTTA
Va ad un corridore di casa l’europeo 2024. Il Belgio, che si presentava con due punte di lusso visto il percorso, lascia all’Italia l’onere di controllare la corsa e di chiudere sull’attacco più pericoloso. Nel finale, i nostri lasciano a desiderare nel preparare lo sprint e Milan resta chiuso, uscendo addirittura dai dieci. Polemiche per la scia prolungata di Merlier dopo una foratura.
Il campionato europeo di ciclismo è una corsa relativamente giovane e sono numerose le perplessità sul senso stesso di una corsa a carattere continentale.
Se in uno sport come il calcio o la pallavolo la presenza di un campionato nazionale che si svolge in un’intera stagione giustifica una rassegna continentale, nel ciclismo, sport in cui le corse professionistiche sono quasi tutte a carattere mondiale, non si sentiva il bisogno di questa invenzione.
Se poi ci si sforza anche per inventare percorsi insipidi cercando di mascherarli con un paio di tratti di pavè per nulla difficili e due strappi di meno di un chilometro con pendenze del 4%, le perplessità aumentano.
Un tracciato per velocisti in una corsa che aspira a diventare una classica importante, vista anche la copertura televisiva degna di un mondiale, è abbastanza deprimente.
Cervellotico pure lo sviluppo, con due circuiti da percorrere poche volte intervallati da tratti in linea con il primo percorso che veniva ripreso nel finale.
Il percorso quindi sorrideva agli sprinter che dovevano semplicemente reggere la distanza, che quando supera i 200 Km è comunque una difficoltà di cui tenere conto, e tenere gli occhi aperti sulle poche insidie presenti.
Come spesso accade, la classe di alcuni corridori riesce, anche se solo in parte, a rimediare alle mancanze degli organizzatori e così abbiamo visto andare in scena tanti attacchi nella fase centrale di corsa con ottimi corridori che, nonostante la loro grandissima classe, non hanno mai avuto seriamente speranze.
Nelle prime fas la corsa è stata caratterizzata dall’attacco di Mathis Le Berre (Francia), Nils Brun (Svizzera), Ivo Oliveira (Portogallo), Felix Ritzinger (Austria) e Jonas Rutsch (Germania)
La presenza di un corridore francese non ha impedito a Remi Cavagna di mettersi in testa al gruppo a tirare in modo per nulla timido, tanto da impedire alla fuga di prendere il largo. Dal canto suo Le Berre, sollecitato dal direttore sportivo, ha iniziato a non collaborare prendendosi gli improperi dei compagni di avventura.
La strategia è stata vista come singolare un po’ da tutti, ma l’impressione è che ci siano state gravi carenze nella preparazione della gara perché, se è vero che in corse come quella di oggi i corridori non sono in comunicazione con i direttori sportivi, è altrettanto vero che certi attacchi e certe strategie dovrebbero essere quasi degli automatismi. E’ impensabile che non fosse stato stabilito che, in caso di attacco nelle prima fasi di gara, Le Berre si sarebbe inserito. La soluzione potrebbe essere anche un’iniziativa personale di Cavagna, che ha declinato l’invito del capitano Christophe Laporte a rallentare l’andatura.
La situazione è rientrata quando è stato Jacopo Mosca a prendere in mano le redini dell’inseguimento e Le Berre che ha ripreso la collaborazione in testa alla corsa.
Intorno ai 115 Km dall’arrivo si forma un gruppetto di contrattaccanti di lusso. Ne fanno parte Mathieu van der Poel, Mike Teunissen (Paesi Bassi), Mads Pedersen, Soren Kragh Andersen (Danimarca), Matteo Trentin (Italia), Jordi Meeus (Belgio), Michal Paluta (Polonia) ed Erik Fetter (Ungheria).
Questo gruppo non ha spazio a causa della reazione del plotone ma, da qui in avanti, è un continuo di scatti e controscatti con Van der Poel particolarmente attivo.
Nel corso di questa girandola di attacchi Tim Merlier (Belgio) fora e per riportarsi in gruppo sfrutta per molti chilometri la scia dell’ammiraglia. Ovviamente in tali situazioni si cerca di chiudere un occhio in favore del corridore sfortunato ma, in questo caso, l’impressione è che i giudici gli occhi li abbiano chiusi entrambi, perché la scia è stata davvero molto prolungata e forse il fatto che si trattasse di un corridore di casa (e per giunta uno dei favoriti) ha giocato a favore del belga.
Poco prima dei meno 80 Km al traguardo Van der Poel ci riprova e stavolta il tentativo, seguito da Trentin e Bjerg, riesce a mettere un gap di una ventina di secondi, costringendo altre squadre a tirare. La situazione provoca una frattura in gruppo e davanti rimagono Van der Poel, Pascal Eenkhoorn, Mike Teunissen e Danny Van Poppel (Paesi Bassi), Hugo Page (Francia), Laurenz Rex, Jonas Rickaert e Edward Theuns (Belgio), Kasper Asgreen, Mikkel Bjerg e Pedersen (Danimarca), Mirco Maestri, Jacopo Mosca e Matteo Trentin (Italia), Stian Fredheim e Alexander Kristoff (Norvegia), Jannik Steimle (Germania), Rui Oliveira (Portogallo), Oded Kogut (Israele), Madis Mihkels e Norman Vahtra (Estonia).
Dopo una fase molto concitata di attacchi in gruppo il ricongiugimento avviene a poco più di 60 Km all’arrivo.
Van der Poel non ne ha abbastanza e mette in scena altri due tentativi: il primo con Laporte e Davide Ballerini viene annullato in breve, mentre il secondo è molto ben assortito con Pedersen, Laporte, Arthur Kluckers (Lussemburgo) e Jonas Rutsch (Germania) sembra più deciso, costringendo la nazionale italiana ad un gran lavoro. L’intelligenza è stata nel ricucire pian piano un gap che era arrivato a toccare i 30 secondi: il ricongiugimento avviene ai -25 con la nazionale italiana che resta in testa.
Negli ultimi chilometri è sempre l’Italia a controllare la corsa, annullando anche i tentativi di attacchi come quello abbastanza poderoso quanto effimero di Asgreen. Il plotoncino azzurro con Trentin, Ballerini e Simone Consonni arriva fino agli ultimi 500 metri, quando si gettano nella mischia altre squadre e Milan rimane chiuso nella mischia. L’errore è abbastanza grave in quanto il treno dell’Italia era saldamente in testa al gruppo e farsi tagliare fuori da quella posizione è certamente qualcosa che bisognava evitare.
Perfetti sono stati i belgi che, invece, si sono risparmiati per tutta la corsa e hanno solo pensato a tenere coperti i capitani.
Merlier ha mostrato uno spunto ottimo e si è rivelato in condizioni migliori rispetto al connazionale Jasper Philipsen, rimasto giù dal podio in quanto bruciato al fotofinish per il terzo posto da Madis Mihkels (Estonia), mentre secondi si è classificato Olav Kooij (Paesi Bassi).
Massimo risultato con il minimo sforzo per il Belgio, mentre situazione diametralmente opposta per gli italiani, ai quali va dato atto di aver messo generosità sulla strada anche se è mancata l’organizzazione degli ultimi due uomini nel finale.
La stagione volge al termine con gli ultimi due grandi appuntamenti del mondiale e del Giro di Lombardia, nei quali rivedremo il protagonista assoluto di questa stagione Tadej Pogacar col numero sulla schiena.
Benedetto Ciccarone

Tim Merlier vince il volata il campionato europeo (foto Luc Claessen/Getty Images)
MEMORIAL MARCO PANTANI, A HIRSCHI LA VITTORIA NON SFUGGE PIU’
A Cesenatico c’è la quinta affermazione per lo svizzero dell’UAE Team Emirates in poco più di un mese, nell’edizione che ricorda i vent’anni dalla tragica scomparsa del campione romagnolo. Marc Hirschi si è imposto su Lorenzo Milesi (Movistar Team) e Vincenzo Albanese (Arkea – B&B Hotels).
Da Cesena a Cesenatico si è disputata una edizione speciale del Memorial Marco Pantani, che ricorda il vincitore di Giro e Tour nel 1998 con il sottotitolo “2004-2024 – Vent’anni senza Marco” e con il ritorno della partenza a Cesena, città natale del Pirata.
La fuga prende il via e all’attacco ci sono Filippo Turconi (VF Bardiani CSF Faizané), Simon Carr (EF Education – Easypost), Ivan Romeo (Movistar Team) e Valentin Ferron (Total Energies). Il loro vantaggio arriva ad un massimo di 2′15” per poi cominciare a ridursi. Ai -80 si torna compatti ma c’è ancora una chance di attacco grazie a Filippo Baroncini (UAE Team Emirates), Matteo Vercher (Total Energies) e Marco Brenner (Tudor Pro Cycling Team). Una caduta del transalpino lascia in testa il corridore romagnolo e il tedesco, i quali restano al comando della corsa fino al circuito conclusivo di quattro chilometri da ripetere quattro volte. La coppia prova a giocarsi le proprie chance, che però svaniscono a 500 metri dal traguardo; c’è lo sprint di gruppo ed è ancora Marc Hirschi (UAE Team Emirates) a imporre la sua supremazia. Lo svizzero in poco più di un mese ha vinto la Classica di San Sebastian (il 10 agosto), il GP Ouest France a Plouay (il 25 agosto) e nell’ultima settimana ha trionfato alla Coppa Sabatini e al Giro di Toscana prima della “manita” odierna a Cesenatico.
A quindici giorni dal Campionato del Mondo di Zurigo, la Nazionale elvetica avrà ormai deciso su chi puntare nella gara Elite della rassegna iridata e Hirschi sarà un corridore pericoloso per tanti candidati al titolo mondiale.
Andrea Giorgini

Hirschi vince anche il Memorial Pantani (foto Sprint Cycling Agency)
MATTHEWS METTE IN BACHECA IL TERZO GRAN PREMIO DEL QUÉBEC
Terza vittoria in carriera (record per questa gara) per l’australiano Michael Matthews, che vince allo sprint un’edizione non particolarmente effervescente del Grand Prix Cycliste de Québec
Tra le cose che più mostrano la differenza tra il ciclismo attuale e quello dei “vecchi tempi” ci sono alcuni albi d’oro che potrebbero suscitare più di una perplessità negli appassionati, specialmente quelli ancora giovani. Chi avrebbe mai detto che ciclisti leggendari come Gimondi e Bitossi, per fare un facile esempio, abbiano vinto, oltre alle corse che tutti conoscono, decine e decine di sconosciuti “circuiti” o “criterium”? Oggi avremmo un bel cercare, nei palmarès di Van der Poel o di Van Aert, tanto per citare due corridori di livello analogo, questo tipo di vittorie. Ma un tempo, quando di soldi ne giravano pochi, anche negli sport professionistici, era normale per tutti corridori, inclusi i più forti, arrotondare i guadagni partecipando spesso e volentieri a gare estemporanee, disputate in piccoli circuiti e di lunghezza limitata, che nascevano e morivano nell’arco di poche stagioni ma in compenso offrivano premi in denaro (anche sottobanco) di un certo rilievo. Queste corse, che spuntavano letteralmente come i funghi ed esistevano già ai tempi di Girardengo e Belloni, erano così tante che ancora oggi non è chiarissimo quante gare abbia vinto in carriera Eddy Merckx e come lui tutti i grandi che lo hanno preceduto.
Sta di fatto che oggi, con i soldi che non mancano, i “circuiti” e i “criterium” sono ormai scomparsi… salvo riapparire laddove uno meno se lo aspetta: per esempio nelle due gare canadesi (Grand Prix Cycliste de Québec e Grand Prix Cycliste de Montréal), che si svolgono entrambe in un circuito cittadino e che, a dispetto di un percorso indegno di una grande Classica e un numero di edizioni piuttosto basso (entrambe nascono nel 2010), fanno parte del calendario “World Tour” al pari delle Monumento. I loro albi d’oro, poveri di grandi nomi ma in compenso ricchi di velocisti, sembrano confermare che l’importanza di queste due corse sia più “politica” che reale; ma per ora è meglio lasciare ad altri le considerazioni “politiche” e seguire da vicino le due gare, nella speranza che quest’anno i partecipanti facciano qualcosa per farle sembrare degne dell’importanza che viene loro data.
Particolarmente atteso è il rientro di Tadej Pogacar (UAE Team Emirates), che non corre dallo scorso 21 Luglio, dopo aver completato la doppietta Giro-Tour, e che parteciperà ad entrambe le corse (avendo vinto la seconda due anni fa, ma non ancora la prima). Suoi principali avversari saranno il giovane talento belga Arnaud De Lie (Lotto Dstny), che ha già molte vittorie al suo attivo, è campione del Belgio in carica ed è stato capace di vincere il Quebec l’anno scorso; l’americano Matteo Jorgenson (Team Visma | Lease a Bike), vincitore quest’anno della Parigi-Nizza e ottavo al Tour; il formidabile eritreo Biniam Girmay (Intermarché – Wanty), di gran lunga il miglior corridore africano in attività, quest’anno vincitore della classifica a punti del Tour e di tre tappe della “Grande Boucle”; l’australiano Michael Matthews (Team Jayco AlUla), vincitore nel 2018 di entrambe le corse e che se non fosse in palese declino sarebbe forse il primo favorito; e poi ancora, per citare solo i nomi più famosi, Juan Ayuso (UAE Team Emirates), Stephen Williams (Israel – Premier Tech), Simon Yates (Team Jayco AlUla), Julian Alaphilippe (Soudal Quick-Step), Ben Healy (EF Education – EasyPost), Romain Bardet (Team Dsm-Firmenich PostNL) e il nostro Alberto Bettiol (Astana Qazaqstan Team), campione italiano in carica.
Alle 11 ora locale (le 17 in Italia) parte dunque il Grand Prix Cycliste de Québec, 16 giri di un circuito di 12,6 chilometri, caratterizzato da 4 “côte” nel finale che in sostanza vanno a comporre un piccolo arrivo lungo poco più di 2 chilometri per un dislivello di una novantina di metri. Non c’è da stupirsi che la corsa sia spesso appannaggio dei velocisti, né che da subito parta la fuga dei soliti gregari desiderosi di mettersi in mostra, tra I quali vanno notati i nostri Filippo Ridolfo e Antonio Polga, entrambi in forza alla Team Novo Nordisk, e il campione canadese a cronometro James Walton (Team Ecoflo Chronos). Il tempo è buono, la temperatura mite (21 gradi), l’umidità si sente (siamo pur sempre alla foce del San Lorenzo). Dietro tirano le squadre di De Lie e di Girmay, anche se senza molta convinzione: già dopo due giri i fuggitivi (che però perdono per strada Polga) hanno circa 4 minuti di vantaggio. Quando i giri sono quattro anche Ridolfo alza bandiera bianca, ma in compenso i minuti di vantaggio salgono a 5. La situazione si stabilizza; Ridolfo abbandona al sesto giro. Al settimo cede anche Walton e dei sei corridori che avevano preso il largo alla partenza ne restano tre: l’americano Artem Shmidt (INEOS Grenadiers), anche lui campione nazionale a cronometro, il giovane olandese Frank van den Broek (Team Dsm-Firmenich PostNL) e un altro canadese, Félix Hamel (Team Ecoflo Chronos), professionista dallo scorso anno. È proprio Hamel il quarto a cedere, sulle “côtes” in vista della fine del decimo giro; il vantaggio dei due superstiti resta comunque sui 5 minuti, sostanzialmente immutato da quasi 100 chilometri. Succederà mai qualcosa? E quando? Se non altro una gara così “tranquilla” (per usare un eufemismo) almeno ci risparmia i doppiati che, in un circuito che si percorre in meno di 20 minuti, sono sempre in agguato. Walton (e poco dopo anche Hamel) abbandona nel corso dell’11esimo giro, al termine del quale i due battistrada conservano 4’40” di vantaggio: probabilmente il calo è dovuto più alla loro stanchezza che a qualche movimento nel gruppo, che procede allargato e senza che nessun corridore di rilievo venga messo in difficoltà sulle salite. Dopo 12 giri, a quattro dalla fine, il vantaggio è ancora di 4’30” sul gruppo, che però, sotto la spinta di tutti i corridori della UAE finalmente si allunga e recupera terreno sulle salite con cui termina il circuito. Lo sforzo della UAE, tuttavia, termina una volta passata la linea di arrivo, così che i due fuggitivi riprendono fiato nella prima parte del circuito, quella più facile che contorna il grande parco di Champs-de-Bataille, e mantengono 4 minuti di vantaggio quando iniziano le salite finali, nella parte urbana del circuito. Sulla linea d’arrivo, dopo un’altra tirata della UAE, il vantaggio scende però a 3 minuti e mezzo e comincia a farsi strada l’idea che in effetti Pogacar voglia vincere anche questa corsa: ad ogni modo tutti i migliori sono ancora in gruppo. Mancano 3 giri e stavolta la UAE si dà un po’ da fare anche nel tratto più facile; i due battistrada sembrano sempre più stanchi, col solo Shmidt che cerca di mantenere alta l’andatura. Il più attivo dei compagni di Pogacar è Rafael Majka, che al Giro era stato il più efficace dei suoi gregari, e quando inizia il penultimo giro il gruppo non ha che 1’25” di svantaggio. La fuga è segnata; adesso è da vedere chi e quando cercherà veramente di vincere la corsa. Ben presto si muovono il belga Gil Gelders (Soudal Quick-Step) e il francese Alex Baudin (Decathlon AG2R La Mondiale Team), due onesti gregari che si mantengono a lungo tra il gruppo e i fuggitivi, ma vengono riassorbiti prima che inizi l’ultimo giro; la stessa sorte tocca infine a Shmidt e Van den Broek quando mancano appena 14 chilometri al traguardo. Il gruppo si ricompone e passa compatto la linea d’arrivo, a un solo giro alla fine; in testa c’è sempre la UAE (stavolta è il belga Tim Wellens a darsi da fare). Si riparte dunque, come se nulla fosse successo, per gli ultimi chilometri di una gara sino ad ora ben poco appassionante: ai -10 ci prova Jorgenson, che con uno scatto perentorio approfitta del rilassamento del gruppo dopo il riassorbimento della fuga. Dietro esitano e ai -8 l’americano ha 13 secondi di vantaggio: che fa Pogacar? È la Ineos che tira il gruppo col belga Laurens De Plus, non la UAE. Ai -6 Jorgenson ha 17 secondi e inizia a sperare, ma poi dietro iniziano a tirare sul serio e all’inizio delle ultime salite gli restano 7-8 secondi, non di più. Ancora 500 metri e viene raggiunto, mentre il gruppo si sfilaccia e Pogacar non si vede. E invece no! Eccolo: rimane in mezzo a un gruppetto di sei corridori, che sullo slancio dell’inseguimento appena concluso riescono a prendere qualche metro di vantaggio sul gruppo; poi, qualche decina di metri. Tra loro molti dei favoriti: De Lie, Alaphilippe e lo stesso Jorgenson. Ai -2 Pogacar, finalmente, accelera, sembra fare il vuoto ma il copione della Sanremo si ripete e stavolta è De Lie a stopparlo; dietro cedono Alaphilippe e Jorgenson, ma Pogacar e De Lie non insistono e il resto del gruppo, tutt’altro che rassegnato, ne approfitta. A 800 metri tutti rientrano e si prepara la volatona finale. Pogacar resta chiuso (arriverà settimo) e i velocisti migliori, Girmay e Matthews, emergono di prepotenza: dopo una dura lotta sull’arrivo in salita, anche se tutt’altro che proibitivo, la spunta proprio l’australiano: terza vittoria per lui a Quebec (aveva vinto anche nel 2019) e un declino che si interrompe inaspettatamente con una vittoria di prestigio. Terzo il modesto francese Rudy Molard (Groupama – FDJ). Gara, nel complesso, che si è accesa solo nell’ultimo giro dopo quasi 200 chilometri di noia e che, a dispetto di ogni considerazione di natura “politica”, rimarrà sempre un “circuito”, e neanche di quelli con un buon albo d’oro.
Andrea Carta

Per la terza volta in carriera Matthews vince il Gran Premio del Québec (foto Alex Broadway/Getty Images)