AD HAYMAN LA PIU’ FOLLE DELLE ROUBAIX

aprile 10, 2016 by Redazione  
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Dopo più di 100 km di corsa all’arma bianca, la 114a edizione della Parigi-Roubaix ha trovato in Mathew Hayman il più impronosticabile dei padroni. L’australiano, 38 anni fra 10 giorni, ha negato allo sprint il record di 5 Parigi-Roubaix a Tom Boonen, forse all’ultima occasione per staccare Roger De Vlaeminck nella classifica dei plurivincitori. Tagliati fuori da una caduta Cancellara e Sagan, prima ancora dell’entrata nella Foresta di Arenberg.

È forse giusto che la Parigi-Roubaix più pazza, impronosticabile e divertente della storia recente sia finita nelle mani di un corridore che, alla vigilia, forse nemmeno rientrava nel pur folto ventaglio degli outsider. Nessuno, peraltro, ha meritato il trofeo più umile e al contempo più ambito messo in palio dalle grandi classiche più di Mathew Hayman – nessun errore di battitura: Mathew con una t sola -, infilatosi nella fuga a quindici che ha caratterizzato quasi quattro ore di corsa, e capace poi di rimanere in scia ai migliori fino alla fine dei tratti in pavé, di andare più vicino di tutti alla stoccata vincente, e infine di trovare le forze per bruciare uomini più quotati di lui allo sprint.
Da appassionati di ciclismo e di sport, però, è difficile non provare un po’ di rammarico per il secondo posto di un Tom Boonen per il quale nessun superlativo sarebbe sprecato. A dispetto delle dichiarazioni ottimistiche rilasciate alla vigilia dal diretto interessato, inserire il quattro volte vincitore della regina delle classiche nella rosa dei favoriti sembrava anacronistico; del resto, anche a posteriori, alla luce della quasi-vittoria, la sensazione è che Tommeke sia finito sul podio più con la classe e con la testa che con le gambe, molto meno esplosive di quelle di quattro o cinque primavere or sono.
Mai Boonen avrebbe potuto dire la sua in una Roubaix dallo svolgimento lineare, con il gruppo dei favoriti ad assottigliarsi per selezione naturale e i migliori a separarsi definitivamente sul Carrefour de l’Arbre. Le chance di dare l’assalto al quinto successo passavano per la capacità di sovvertire le gerarchie della corsa, approfittando di un’eventuale opportunità. E l’opportunità si è presentata, sia pure quando ancora mancavano più di 100 km alla conclusione.
La prima possibilità di veder deviare la Parigi-Roubaix dal canovaccio usuale si era in realtà presentata già dopo una quarantina di chilometri, quando nell’andirivieni di scatti e controscatti per entrare in fuga si è sganciato un drappello di ventiquattro unità. Fra queste, spiccava una foltissima rappresentanza della Trek di Cancellara, forte di Devolder, Van Poppel, Stuyven e Coledan, cui andava ad aggiungersi il tandem Etixx composto da Van Keirsbulck e Matteo Trentin. Il gruppetto ha acquisito un vantaggio massimo di circa quaranta secondi, prima che le squadre escluse – Astana in particolare – si rendessero conto del pericolo e si impegnassero a fondo per neutralizzare l’azione.
Il forte vento laterale incontrato in quel tratto ha fatto sì che il forcing dei kazaki producesse la spaccatura del gruppo principale in più tronconi, ma quando il grosso dei battistrada è stato raggiunto, lasciando al comando i soli Viviani, Van Poppel e Porsev, la situazione è tornata sui binari previsti.
Nemmeno il terzetto di Viviani ha avuto via libera, rimandando così ancora di qualche chilometro la partenza della fuga buona. Ad avere successo è stato l’attacco di Le Bon, Puccio, Kump, Popovych, Martinez, Declercq, Bozic, Van Rensburg, Backaert, Erviti, Wallays, Chavanel, Daniel, Nielsen e Hayman, uscito probabilmente dal gruppo senza avere la più pallida idea di dove quell’azione avrebbe contribuito a portarlo.
Nulla ha più scosso la gara fino al tratto in pavé di Monchaux-sur-Écaillon, settore numero 20, apparentemente innocuo con le sue tre stellette di difficoltà e la sua collocazione a quasi 120 km dal traguardo. È stato allora che una delle tante cadute, con protagonista Porsev, ha prodotto in gruppo il frazionamento destinato a segnare le sorti della Roubaix. Davanti sono infatti rimasti Burghardt (BMC), Haussler e Saramotins (IAM), Durbridge (Orica), Wallays (Lotto Soudal), Pichot (Direct Énergie), Boasson Hagen e Eisel (Dimension Data), e soprattutto tre massicce rappresentanze di tre formazioni di punta: Rowe, Knees, Moscon e Stannard della Sky; Vanmarcke, Castellijns, Tjallingii, Van Asbroeck, Wagner e Wynants della Lotto NL – Jumbo; Boonen, Keisse, Van Keirsbulck e Martin della Etixx. Cancellara, Sagan, Kristoff e tutti gli altri favoriti sono rimasti intruppati nel secondo gruppo, ritrovatosi con un ritardo prossimo al minuto prima di poter organizzare qualsiasi inseguimento.
Boonen, che ha corso e vinto abbastanza su queste strade da poter leggere le pieghe della Roubaix meglio di chiunque altro, ha capito immediatamente che quello poteva essere lo spiraglio che aspettava, e ha subito spedito Tony Martin a mettere a frutto le sue doti di cronoman. Il tedesco ha forse perfino esagerato, riducendo il drappello, nel tratto di Haveluy, a sole cinque unità, con i soli Boonen, Boasson Hagen, Stannard e Wagner alla sua ruota, raggiunti in un secondo momento da Durbridge.
Dietro, Cancellara ha provato a prendere le redini delle operazioni nella Foresta di Arenberg, riuscendo da un lato a rosicchiare qualche secondo, ma falcidiando dall’altro la già scarna rappresentanza di compagni dei leader attardati.
Il drappello di Boonen è stato rimpolpato, poco prima di entrare nel settore di Hornaing, ad un’ottantina di chilometri dal termine, dal rientro di quel che rimaneva del gruppo Vanmarcke, che ha rinvigorito un’andatura che il solo Tony Martin non riusciva più a mantenere abbastanza elevata.
Nello stesso tratto di pavé, il numero 16, Hayman si è sbarazzato dei compagni d’avventura, salvo poi subirne il rientro pochi chilometri più avanti, per quella che sembrava la parola fine alle già esigue possibilità del quasi 38enne in maglia Orica di emulare le gesta di Stuart O’Grady, fino ad oggi unico aussie ad alzare le braccia nel velodromo.
Per una ventina di chilometri ancora la corsa è vissuta sull’inseguimento fra i due gruppi di favoriti, che ha visto Cancellara e Sagan riportarsi fino a 30 secondi abbondanti, prima di essere respinti dall’entrata in azione di Salvatore Puccio, poco dopo il ricongiungimento di Boonen e compagni alla fuga.
All’imbocco del tratto 12, quello di Orchies, il tandem svizzero-slovacco ha così provato a mettersi in proprio, ma quando la sfuriata iniziale si è esaurita e il distacco, ridottosi ancora intorno al mezzo minuto, ha ripreso a salire, si è avuta la sensazione che la vittoria sarebbe stata questione fra gli atleti al comando.
Nemmeno l’harakiri del Team Sky, che nel settore #11, Auchy-les-Orchies à Bersée, ha visto un eccezionale Gianni Moscon volare a terra e trascinare con sé Luke Rowe, per poi essere imitato dopo poche centinaia di metri da Puccio, evitato miracolosamente da Stannard, è servito a dare nuova linfa all’inseguimento. E quando, a Mons-en-Pévèle, Cancellara è volato a terra, tradito dal fango lasciato in eredità dalla pioggia della notte, le possibilità di rientro si sono pressoché azzerate, malgrado la prodezza con cui Sagan ha schivato la bicicletta dello svizzero, finitagli praticamente sotto le ruote.
Quasi in contemporanea, Vanmarcke ha sferrato il suo primo affondo, trovando in un primo tempo risposta dal solo Stannard. Boonen, Boasson Hagen, Erviti, Hayman e Saramotins si sono ricongiunti al termine del tratto in pavé, mentre Rowe, Sieberg e Haussler si sono rifatti sotto nel settore #8, Pont-Thibaut.
Malgrado un tentativo alla chetichella di Sieberg, un più deciso allungo di Boonen su asfalto ai -30, e una sorta di mini-ventaglio orchestrato dagli Sky, risultato fatale a Saramotins, per ulteriori colpi di scena si è dovuto attendere Camphin-en-Pévèle, dove ad allungare è stato Ian Stannard. Boonen, Hayman, Vanmarcke e Boasson Hagen non si sono fatti sorprendere, andando a formare un quintetto che, fra mille vicissitudini, spaccandosi e riformandosi infinite volte, si sarebbe poi riproposto all’ultimo giro nel velodromo.
Lo scatto secco di Vanmarcke all’imbocco del Carrefour de l’Arbre ha illuso i belgi, ma, dopo l’allungo iniziale, Boonen, Stannard e Boasson Hagen – cui si è aggiunto nel settore di Gruson un già allora stupefacente Hayman – sono riusciti a mantenere il passivo entro i 10”, chiusi poi da Stannard con un’impressionante trenata al ritorno su asfalto.
Gli ultimi 6 km si sono trasformati in una girandola di scatti ininterrotti: tutti hanno provato almeno una volta, ma solo ai -3, quando Boonen ha tentato il secondo affondo, si è avuta l’impressione che un attacco potesse essere vincente. È stato allora che Hayman ha denunciato di essere meno allo stremo di quanto tutti ipotizzassero, riportandosi sul fiammingo e permettendosi anche il lusso di ripartirgli in faccia, dando per qualche istante la sensazione di poter tirar dritto fino al velodromo. Più con la tenacia che con le gambe, Boonen ha colmato il gap, e sarebbe stata allora questione fra i due per la vittoria, non fosse stato per il marcamento reciproco che ha permesso il rientro prima di Vanmarcke, all’entrata del velodromo, e poi anche di Stannard e Boasson Hagen, poco prima della campana.
In una volata al rallentatore, è stata la scelta di tempo e posizione di Hayman a fare la differenza, permettendo all’australiano di presentarsi davanti all’uscita dall’ultima curva. Boonen, secondo all’imbocco del rettilineo conclusivo, ha provato ad uscire, ma quella rimonta che in altri tempi gli sarebbe riuscita con tre colpi di pedale si è oggi arrestata prima di cominciare davvero.
Prima di consegnare agli archivi una corsa che difficilmente potremo rimuovere dalla memoria, c’è stato ancora il tempo per un ultimo momento da ricordare, allorché, più di sette minuti dopo l’arrivo di un ancora incredulo Hayman, Cancellara ha raccolto il meritato ultimo applauso del velodromo in cui ha potuto alzare per tre volte le braccia, mettendo la parola fine all’ultima recita sul palcoscenico che ha ispirato le più belle pagine della carriera.

Matteo Novarini

ORDINE D’ARRIVO
1 Mathew Hayman (Aus) Orica-GreenEdge 5:51:53
2 Tom Boonen (Bel) Etixx – Quick-Step
3 Ian Stannard (GBr) Team Sky
4 Sep Vanmarcke (Bel) Team LottoNl-Jumbo
5 Edvald Boasson Hagen (Nor) Dimension Data 0:00:03
6 Heinrich Haussler (Aus) IAM Cycling 0:01:00
7 Marcel Sieberg (Ger) Lotto Soudal
8 Aleksejs Saramotins (Lat) IAM Cycling
9 Imanol Erviti Ollo (Spa) Movistar Team 0:01:07
10 Adrien Petit (Fra) Direct Energie 0:02:20
11 Peter Sagan (Svk) Tinkoff Team
12 Maarten Wynants (Bel) Team LottoNl-Jumbo
13 Oliver Naesen (Bel) IAM Cycling
14 Luke Rowe (GBr) Team Sky
15 Ramon Sinkeldam (Ned) Team Giant-Alpecin
16 Dylan Van Baarle (Ned) Cannondale Pro Cycling
17 Bert De Backer (Bel) Team Giant-Alpecin
18 Luke Durbridge (Aus) Orica-GreenEdge 0:04:40
19 Marcus Burghardt (Ger) BMC Racing Team 0:05:48
20 Christophe Laporte (Fra) Cofidis, Solutions Credits 0:06:18
21 Gijs Van Hoecke (Bel) Topsport Vlaanderen – Baloise
22 Frederik Backaert (Bel) Wanty – Groupe Gobert
23 Koen De Kort (Ned) Team Giant-Alpecin
24 Zakkari Dempster (Aus) Bora-Argon 18
25 Tom Van Asbroeck (Bel) Team LottoNl-Jumbo
26 Florian Senechal (Fra) Cofidis, Solutions Credits
27 Maarten Tjallingii (Ned) Team LottoNl-Jumbo 0:06:28
28 Maxime Daniel (Fra) AG2R La Mondiale 0:07:12
29 Nikias Arndt (Ger) Team Giant-Alpecin
30 Mark Cavendish (GBr) Dimension Data
31 Preben Van Hecke (Bel) Topsport Vlaanderen – Baloise
32 Marco Marcato (Ita) Wanty – Groupe Gobert
33 Salvatore Puccio (Ita) Team Sky
34 Damien Gaudin (Fra) AG2R La Mondiale
35 Andre Greipel (Ger) Lotto Soudal 0:07:24
36 Matteo Trentin (Ita) Etixx – Quick-Step
37 Borut Bozic (Slo) Cofidis, Solutions Credits
38 Gianni Moscon (Ita) Team Sky 0:07:26
39 Jasper Stuyven (Bel) Trek-Segafredo 0:07:35
40 Fabian Cancellara (Swi) Trek-Segafredo
41 Stefan Kueng (Swi) BMC Racing Team 0:11:14
42 Bert Van Lerberghe (Bel) Topsport Vlaanderen – Baloise
43 Magnus Cort Nielsen (Den) Orica-GreenEdge
44 Bernhard Eisel (Aut) Dimension Data
45 Mike Teunissen (Ned) Team LottoNl-Jumbo
46 Timo Roosen (Ned) Team LottoNl-Jumbo 0:12:55
47 Bjorn Thurau (Ger) Wanty – Groupe Gobert 0:14:22
48 Alexander Kristoff (Nor) Team Katusha 0:14:23
49 Taylor Phinney (USA) BMC Racing Team
50 Michael Morkov (Den) Team Katusha

ROUBAIX 2015: DEGEN-COP MIRA E FA CENTRO IN UNA CORSA FACILE E INTRICATA

aprile 13, 2015 by Redazione  
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Il bel tempo, un ventaccio che spariglia poco e frena assai gli attachi, e infine il livello equilibrato dei contendenti, ci consegnano la Roubaix meno selettiva degli ultimi 18 anni. Allora fu l’ultima vittoria francese, oggi è la prima tedesca… dopo che Fischer vinse 119 anni fa l’edizione inaugurale. Ma Degenkolb ha fatto ben altro che regolare il gruppo in volata.

I commentatori televisivi di mezzo mondo sembrano deliziati dal ripercorrere l’aneddotica appartenenenza di John Degenkolb e Tony Martin alle forze di polizia (in realtà pare che si trattasse di un programma simile a quello italiano di reclutamento degli sportivi nei corpi statali, realizzato dopo una specie di “servizio militare”): oggi però Degenkolb sembrava davvero uno spietato poliziotto con vena da killer, uscito da qualche “polar”, la letteratura noir francese che troverebbe un’ambientazione ideale nella regione postindustriale un po’ cupa di Roubaix e dintorni.

Certo, la giornata non era da noir, sole: tepore e vento primaverile. Ma il nostro bravo poliziotto ha passato nove decimi del film, quando la trama si faceva via via più intricata, a pedinare gli avversari più pericolosi, attaccato alla loro ruota come un vero segugio, e senza mai prendere nemmeno una folata di vento mentre gli altri, a turno, si scornavano in una girandola di assalti che regolarmente finivano in nulla. Come quei gangster eterni perdenti della letteratura e del cinema di genere, che siano capirione o banditelli di piccolo capotaggio, perseguitati dal destino tragico di vedere i propri colpi sfumare in un pugno di mosche, per quanto sangue (o sudore, in questo caso) siano disposti a spargere lungo la propria strada.
Il buon tenente Degenkolb, no, lui faceva la parte di quello che ligio e implacabile li arrestava.

Questo fino all’ultimo pirotecnico quarto d’ora del film, dai meno dieci km all’arrivo diciamo, quando il buon John si è anzitutto esibito in una scena classica del cinema “di sbirri”, il lavoro in coppia col compagno: nemmeno fossero i Chips, quei poliziotti in moto della serie televisiva dei primi anni ’80, i due uomini del Team Giant hanno aperto il gas, prima il fido Bert De Backer, in avanscoperta, lasciato andare perché poco pericoloso; poi il furbo Degenkolb, scattato subito dopo, e “lasciato andare” per il semplice motivo che la sua accelerazione da sprinter non è per nulla facile da pareggiare, almeno lungo i primi duecento metri. Ma esaurita la fiammata, c’era la ruota di Bert su cui accucciarsi, scavando una prima voragine sugli inseguitori.

Come da copione, il compagno di pattuglia che fa coppia col protagonista non dura molto: adempie al suo ruolo e poi esala l’ultimo respiro. E qui scatta la sparatoria. Degenkolb diventa il cattivo tenente, e comincia a impallinare gli avversari con mano e testa freddissime, gamba e cuore bollenti.

In quel momento in testa alla corsa c’era una coppia di figure non da poco. Il personaggio di spicco è Greg Van Avermaet, della BMC, chi più di lui emblema del bandito arrembante e sfortunato, sempre all’attacco nelle Grandi Classiche e sempre relegato ai gradini inferiori del podio: una vera gattabuia per lui, da dove rimira amareggiato il compagno di turno che si è intascato il bottino. Il compagno di scorribanda era Lampaert della banda Etixx-Quickstep, quest’anno una vera Banda Bassotti: numerosi, grandi e grossi, ma alla fine della fiera non hanno vinto mai, senza il boss Boonen. Il giovane Yves Lampaert, baby-face, ha 24 anni, è un ragazzino, ma si è già fatto notare nei giri che contano grazie alla sia audacia.

I due corrono e sognano e corrono, ma in un bang (supersonico) Degenkolb piomba alla loro ruota e li inchioda, proprio alla fine dell’ultimo settore serio di pavé, il penultimo prima di quello simbolico in città. Siamo ai -5 km dal traguardo. Come se fosse un gioco di bambini, i corridori “beccati” dal tedesco “fanno il morto”. Si piazzano passivi alla ruota di Degenkolb, come trofei alla cintura di un cacciatore. Fuor di metafora, nel ciclismo con uno così veloce al fianco, semplicemente non si tira più. Se vuole arrivare, che pigli vento lui.
E Degenkolb non si tira indietro. Ma da dietro arrivano rinforzi, e come in ogni film che si rispetti il poliziotto sfrutta le beghe tra i criminali per salvarsi da una situazione complicata. Ai meno 4 km, è il ceco Stybar, il pistolero venuto dall’Est, campione nel fango del ciclocross e compagno di Lampaert nella banda Etixx, colui che su una leggera salitella lascia secco il gruppo dei favoriti. Ecco che davanti Van Avermaet si mette a collaborare con Degenkolb per evitare che la banda rivale si trovi in superiorità numerica…
Ma non serve: ai -3,3km Stybar raggiunge il trio di testa, e di nuovo si rimescolano le strategie: ora la Etixx vuole lavorare, per non vanificare il lavoro di Stybar, impedendo quindi che da dietro rientrino altri rivali. L’agnello sacrificale non può che essere il giovane Lampaert, che si immola qui: e Degenkolb ringrazia.
Ma la sceneggiatura riserva altri colpi di scena: nonostante i vari rivolgimenti, là davanti tira aria di “Mexican standoff”, quella scena amata dal cinema di Tarantino in cui quattro o più personaggi si ritrovano bloccati dalle pistole che si puntano vicendevolmente. In termini ciclistici, vuol dire che così vicino all’arrivo tutti tirano al risparmio, e da dietro rinvengono tre cani sciolti, cacciatori di taglie che amano cogliere al volo l’occasione. L’olandese Boom, oggi dell’Astana, che su queste strade intascò la mitica tappa del Tour; lo svizzero Elmiger, il tipico cagnaccio dalle mille vite agonistiche, più largo che altro; e infine Jens Keukeleire, lo “strano” (con quel nome!), un giovane belga che corre per gli australiani dell’Orica.

Questi i magnifici sette che entrano nel velodromo tutti assieme, una folla che davvero non si vedeva da anni e anni. Ma il film ha un protagonista chiaro, un tedesco dal nome americano, e ra-ta-ta-tà il buon John li stende tutti. Last man standing.
Stybar fa secondo al fotofinish e Van Avermaet ancora una volta sul podio va a finire di piangere nel prato.

Tutto questo negli ultimi, davvero appassionanti, dieci km. Quindici minuti. Prima la gara è stata una sarabanda senza costrutto: il vento spesso contrario bloccava gli attacchi, che pure sono stati riproposti in una girandola infinita. Cambiava il colore delle palette, cioè della maglia di chi era in testa, ma gira e rigira e ritirigira il gruppo dei favoriti, non un vero peloton, certo, ma abbastanza corposo, di una quarantina di atleti, tornava sempre unito. Non a caso la scarsa selettività della gara non si desume solo dalla numerosità del gruppo che si è disputato la vittoria nel velodromo, ma anche dal fatto che un totale di 23 corridori hanno chiuso la gara entro un mezzo minutino di distacco. Roba da Milano-Sanremo… certo, quella più dura degli ultimi anni, quella del 2011 dove fece podio Nibali, ma la più dura delle Sanremo è la meno selettiva delle Roubaix! Perché qui a Roubaix un ammassamento tale non si vedeva da 18 anni in qua.

La Foresta di Arenberg non faceva selezione alcuna, anzi, caso più unico che raro, chi appariva attardato riuscirà ad avere la propria seconda chance (salvo poi bucare nel momento peggiore, come il francese Demare). C’è un siparietto comico, ma solo perché non è finito in tragedia, con mezzo gruppo che si infila sotto le sbarre di un passaggio a livello con TGV imminente. Sagan dà il suo contributo alla commedia grottesca, con un’impellenza scatologica espletata in un fosso prima, e poi, nel finale, rompendo il cambio nel momento clou della gara.
Per il resto, l’intricatissima trama si riduce a una lista di attacchi abortiti dal vento contro o da tattiche machiavelliche che si neutralizzavano a vicenda. Come si diceva, sviluppo intricato per una gara, molto tra virgolette, “facile”. L’unica botta di creatività sono i ventagli inscenati dalla Etixx-Quickstep tra i settori 15 e 17. Un bell’esempio di imprevedibilità della corsa, che sembra tagliare fuori nomi grossi come Wiggins, Demare e Kristoff, ma le rispettive squadre “fanno pulizia” e risolvono il problema.

Nel settore 11, quello tosto a quattro stelle di Auchy-lez-Orchies, attaccano Bozic e Sagan. Vanmarcke e Vandenbergh chiudono. Cascano Vansummeren e Breschel, il presunto guardaspalle di Sagan (mai così solo come quest’anno nemmeno quando era nella pur teoricamente più “scarsa” Liquigas!). Kristoff e Degenkolb ben presenti. Poco accade nel durissimo Mons-en-Pevele, un’altra occasione persa nei tatticismi, verso l’uscita però attacca il TIR della Etixx Vandebergh, e se ne va. Galoppa solitario una quindicina di chilometri, mentre Katusha, Giant e Sky tengono il gregge unito, fatta salva un’escursione di comprimari tra cui il nostro Quinziato. Casca al suolo Bak, fora Demare.
Nel facile e cortissimo settore 7, quello di Templeuve, il vero colpo di scena di questa noiosa prima parte del film: Wiggins, il vecchio leone britannico, allunga sul pavé e decolla sull’asfalto, imprendibile per Offredo che cerca di tenerne la ruota. Il baronetto era sembrato in difficoltà, ma, gangster navigato come pochi, sull’orlo della pensione, prova l’ultimo colpo da maestro.
Si ricongiunge con Vandenbergh davanti, due uomini duri, con loro dopo poco arriva Debusschere e, potenzialmente decisivo, Stybar. Il ceco si produce in uno sforzo solitario impressionante, simile a quello che più tardi farà per rientrare su Degenkolb, Lampaert e Van Avermaet, l’inseguimento dura un km, ma alla fine Stybar ce la fa. Siamo ai -30 km dall’arrivo, e in una Roubaix “come si deve”, la gara avrebbe svoltato qui. Perché in questo quartetto non c’è un Degenkolb, nessuno è velocissimo, sono tutti rudi pugili da vicolo, in nome del “codice della mala” avrebbero potuto collaborare fino al traguardo, pur tallonati dai russi della Katusha e da altre combriccole. Ma con i motori di Wiggo e VDB da sfruttare…
Il colpo non riesce, l’accordo non si trova.
Da qui è un’altra gara, o meglio, la stessa di prima. Prova Van Avermaet. Chiudono Boom, Degenkolb, Wiggins, Sagan, Vanmarcke. Prova Sagan. Chiudono Van Avermaet, Vanmarcke, Stybar, Boom, Terpstra. Prova Terpstra, lo marca Degenkolb. Prova Vanmarcke, lo marcano Boom e Stybar.
Il tentativo di Vanmarcke stronca la Sky e la Katusha, due “mafie” potenti per controllare il sottobosco della gara… Ma Vanmarcke fora. Prova Marcato, l’italiano della piccola squadra Wanty, che a dispetto del nome non è marcato da nessuno. Ma arriva il Carrefour de l’Arbre, il settore più duro e decisivo. Troppo per l’avventuriero italiano.
Terpstra ci prova, ma continua il ritornello: chiudono Boom e Van Avermaet. Poi prova Boom e lo marca Degenkolb. Continua così, la cosa, in infiniti anagrammi e combinatorie dei nomi di chi attacca e di chi chiude. Finché ai meno 12 km Van Avermaet, l’epico perdente, e Lampaert, il “bambino” della banda Etixx-Quickstep se ne vanno… e torniamo all’inizio del nostro racconto.

La fine è nota: Degenkolb unisce alla Sanremo 2015 anche la Roubaix. Due Monumenti in un anno fa già impressione, ma l’accoppiata è specialmente sofisticata: l’ultimo prima di lui fu Sean Kelly, quasi trent’anni fa. Ed è solo la terza volta che accade nella storia del ciclismo. Che sia stata una Roubaix in tono minore è un dettaglio, anche perché nel finale Degenkolb ha spianato la calibro 38 e ha fatto capire di essere davvero il più forte. Come Kristoff al Fiandre, non si è limitato ad attendere la volata, pur essendo il più veloce. E le lacrime sul podio, come già alla Sanremo, fanno capire che il poliziotto con l’istinto del killer ha anche un cuore tenero, anche se questo particolare ha più un retrogusto da sbirri di Hollywood che da “polar” della provincia mineraria francese.

Gabriele Bugada

ORDINE D’ARRIVO

1 John Degenkolb (Ger) Team Giant-Alpecin 5:49:51
2 Zdenek Stybar (Cze) Etixx – Quick-Step
3 Greg Van Avermaet (Bel) BMC Racing Team
4 Lars Boom (Ned) Astana Pro Team
5 Martin Elmiger (Swi) IAM Cycling
6 Jens Keukeleire (Bel) Orica GreenEdge
7 Yves Lampaert (Bel) Etixx – Quick-Step 0:00:07
8 Luke Rowe (GBr) Team Sky 0:00:28
9 Jens Debusschere (Bel) Lotto Soudal 0:00:29
10 Alexander Kristoff (Nor) Team Katusha 0:00:31
11 Sep Vanmarcke (Bel) Team LottoNL-Jumbo
12 Bert De Backer (Bel) Team Giant-Alpecin
13 Aleksejs Saramotins (Lat) IAM Cycling
14 Borut Bozic (Slo) Astana Pro Team
15 Niki Terpstra (Ned) Etixx – Quick-Step
16 Andreas Schillinger (Ger) Bora-Argon 18
17 Florian Senechal (Fra) Cofidis, Solutions Credits
18 Bradley Wiggins (GBr) Team Sky
19 Björn Leukemans (Bel) Wanty – Groupe Gobert
20 Grégory Rast (Swi) Trek Factory Racing
21 Jurgen Roelandts (Bel) Lotto Soudal
22 Marco Marcato (Ita) Wanty – Groupe Gobert
23 Peter Sagan (Svk) Tinkoff-Saxo
24 Laurens De Vreese (Bel) Astana Pro Team 0:01:38
25 Frederik Backaert (Bel) Wanty – Groupe Gobert
26 Alexis Gougeard (Fra) AG2R La Mondiale
27 Ramon Sinkeldam (Ned) Team Giant-Alpecin 0:02:21
28 André Greipel (Ger) Lotto Soudal 0:02:55
29 Michael Morkov (Den) Tinkoff-Saxo
30 Tim De Troyer (Bel) Wanty – Groupe Gobert
31 Koen De Kort (Ned) Team Giant-Alpecin
32 Yoann Offredo (Fra) FDJ.fr
33 Stijn Vandenbergh (Bel) Etixx – Quick-Step
34 Manuel Quinziato (Ita) BMC Racing Team
35 Lars Ytting Bak (Den) Lotto Soudal
36 Marcel Sieberg (Ger) Lotto Soudal 0:02:58
37 Arnaud Demare (Fra) FDJ.fr 0:03:21
38 Benoit Jarrier (Fra) Bretagne-Séché Environnement
39 Tom Van Asbroeck (Bel) Team LottoNL-Jumbo
40 Yannick Martinez (Fra) Team Europcar 0:03:24
41 Tim Declercq (Bel) Topsport Vlaanderen – Baloise
42 Marcus Burghardt (Ger) BMC Racing Team
43 Dmitriy Gruzdev (Kaz) Astana Pro Team
44 Luca Paolini (Ita) Team Katusha
45 Danny Van Poppel (Ned) Trek Factory Racing
46 Sébastien Minard (Fra) AG2R La Mondiale
47 Ian Stannard (GBr) Team Sky 0:03:29
48 Marco Haller (Aut) Team Katusha 0:06:05
49 Jasper Stuyven (Bel) Trek Factory Racing
50 Viacheslav Kuznetsov (Rus) Team Katusha
51 Matteo Trentin (Ita) Etixx – Quick-Step 0:07:35
52 Maarten Wynants (Bel) Team LottoNL-Jumbo 0:07:48
53 Edward Theuns (Bel) Topsport Vlaanderen – Baloise 0:07:50
54 Tyler Farrar (USA) MTN – Qhubeka
55 Alessandro Bazzana (Ita) UnitedHealthcare Pro Cycling
56 Jimmy Engoulvent (Fra) Team Europcar
57 Oliver Naesen (Bel) Topsport Vlaanderen – Baloise
58 Jarl Salomein (Bel) Topsport Vlaanderen – Baloise
59 Frederico Zurlo (Ita) UnitedHealthcare Pro Cycling
60 Davide Frattini (Ita) UnitedHealthcare Pro Cycling
61 Nelson Oliveira (Por) Lampre-Merida
62 Guillaume Van Keirsbulck (Bel) Etixx – Quick-Step
63 Stefan Küng (Swi) BMC Racing Team
64 Imanol Erviti (Spa) Movistar Team
65 Filippo Pozzato (Ita) Lampre-Merida
66 Francisco Ventoso (Spa) Movistar Team
67 Daniel Oss (Ita) BMC Racing Team
68 Roy Curvers (Ned) Team Giant-Alpecin
69 Scott Thwaites (GBr) Bora-Argon 18
70 Alexander Porsev (Rus) Team Katusha
71 Bernhard Eisel (Aut) Team Sky
72 Kristijan Koren (Slo) Cannondale-Garmin Pro Cycling Team
73 Jean-Pierre Drucker (Lux) BMC Racing Team
74 Markel Irizar (Spa) Trek Factory Racing
75 Johan Van Summeren (Bel) AG2R La Mondiale
76 Mathew Hayman (Aus) Orica GreenEdge
77 Jack Bauer (NZl) Cannondale-Garmin Pro Cycling Team 0:07:56
78 Maciej Bodnar (Pol) Tinkoff-Saxo
79 John Gadret (Fra) Movistar Team
80 Heinrich Haussler (Aus) IAM Cycling
81 Christian Knees (Ger) Team Sky
82 William Bonnet (Fra) FDJ.fr
83 Maarten Tjallingii (Ned) Team LottoNL-Jumbo
84 Damien Gaudin (Fra) AG2R La Mondiale 0:08:13
85 Adam Blythe (GBr) Orica GreenEdge 0:08:24
86 Stig Broeckx (Bel) Lotto Soudal 0:10:53
87 Thomas Leezer (Ned) Team LottoNL-Jumbo
88 Gijs Van Hoecke (Bel) Topsport Vlaanderen – Baloise 0:11:59
89 Pavel Brutt (Rus) Tinkoff-Saxo 0:12:25
90 Roger Kluge (Ger) IAM Cycling 0:13:06
91 Mitchell Docker (Aus) Orica GreenEdge
92 Zakkari Dempster (Aus) Bora-Argon 18
93 Matteo Tosatto (Ita) Tinkoff-Saxo 0:15:21
94 Sylvain Chavanel (Fra) IAM Cycling
95 Christopher Jones (USA) UnitedHealthcare Pro Cycling
96 Ralf Matzka (Ger) Bora-Argon 18
97 Matti Breschel (Den) Tinkoff-Saxo
98 Bjorn Thurau (Ger) Bora-Argon 18 0:16:32
99 Nikolas Maes (Bel) Etixx – Quick-Step
100 Tiesj Benoot (Bel) Lotto Soudal

Degenkolb si impone in una della classiche più intrise di fascino e leggenda, la Parigi-Roubaix (foto Bettini)

Degenkolb si impone in una della classiche più intrise di fascino e leggenda, la Parigi-Roubaix (foto Bettini)

A ROUBAIX TRIONFA L’OMEGA SBAGLIATO: ASSOLO DI TERPSTRA

aprile 13, 2014 by Redazione  
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L’olandese si impone in solitaria dopo aver staccato il gruppetto dei favoriti a 7 km dal traguardo. Grande equilibrio tra i big, incapaci di fare la differenza, e beffati alla fine da un outsider di lusso. Piazza d’onore a John Degenkolb, davanti ad un Cancellara meno brillante di una settimana fa. Sesto posto per Sagan. Solo decimo Boonen, grande animatore della corsa negli ultimi 80 km. Prova da applausi di Wiggins, nono.

Non si può forse parlare di grande sorpresa nel commentare la prima Parigi – Roubaix in carriera di Niki Terpstra, già 5° e 3° nelle ultime due edizioni e due volte 6° al Giro delle Fiandre. È però indubbio che, nelle gerarchie Omega Pharma, il nome dell’olandese venisse fra il secondo e il quarto posto, dietro senz’altro a quello di Tom Boonen, e più o meno alla pari di quelli di Stybar e Vandenbergh, il migliore sette giorni fa; valori peraltro non troppo dissimili da quelli emersi sulle pietre, ed in particolare sul Carrefour de l’Arbre, dove il quasi 30enne di Beverwijk sembrava aver perso definitivamente il treno giusto, restando invischiato in un gruppetto inseguitore ripescato in extremis dalla poca collaborazione fra i battistrada.
Al termine di una corsa senza padrone come mai negli ultimi anni, un gruppetto di undici uomini si è così presentato compatto alle porte di Roubaix, preannunciando la volata più folta della storia recente. Lo sprint avrebbe trovato il suo naturale favorito in John Degenkolb, forte peraltro del supporto di Bert De Baecker. A 7 km dalla conclusione, la Omega, forte di tre uomini (Boonen, Terpstra e Stybar), ha però provato a far valere la propria superiorità numerica, trovando sorprendentemente lo spunto giusto al primo tentativo: nessuno ha avuto la prontezza e la forza di agganciarsi immediatamente alla ruota dell’olandese, e il tempo necessario a rendersi conto che mai De Baecker sarebbe riuscito a rintuzzare l’attacco aveva già regalato al leader il margine per resistere fino al Velodromo.
Benché il successo non sia arrivato con l’uomo più accreditato, sarebbe stato impossibile trovare una squadra più meritevole di quella belga, i cui tentativi di far saltare la gara sono cominciati già a quasi 80 km dall’arrivo.
Fin lì, ad animare la corsa avevano provveduto David Boucher, Kenny de Haes, Andreas Schillinger, Michael Kolar, Clément Koretzky, Benoit Jarrier, Tim De Troyer e John Murphy, promotori della fuga della prima ora, oltre alle usuali forature e guai meccanici che avevano rallentato, ormai in vista della Foresta di Arenberg, Van Avermaet prima e Sagan poi. Il passaggio più suggestivo dell’Inferno del Nord ha dimezzato gli attaccanti, frenando con forature Koretzky e de Haes e lanciando in testa i soli Schillinger, Murphy, De Troyer e Jarrier, mentre un analogo contrattempo comprometteva la gara di Kristoff; soltanto una quindicina di chilometri più tardi, però, dopo l’ormai tradizionale incidente del passaggio a livello abbassato (vittima Boucher) e una caduta senza conseguenze di Cancellara, i grossi calibri sono entrati in scena. Ad accendere la miccia sono stati Boonen e Terpstra, trovando la cooperazione di Greg Van Avermaet, prima di due ulteriori allunghi di Hushovd.
Una dozzina di uomini hanno approfittato del caos per guadagnare una manciata di secondi, prima che un secondo e più deciso tentativo di Boonen, nel tratto di Beauvry-la-Forêt à Orchies, desse il là alla prima azione davvero significativa del giorno: il quattro volte vincitore della Roubaix ha raggiunto in poche pedalate gli uomini di testa, per poi insistere ed andarsene in compagnia dei soli Ladagnous, Gaudin, De Baecker, Martinez e Thomas. Quest’ultimo è stato il solo ad offrire collaborazione al belga, che ha così optato per un’ulteriore accelerazione nella sezione di pavé di Auchy-les-Orchies à Bersée, con la quale si è sbarazzato dei passivi Ladagnous e Gaudin, mentre da dietro rinvenivano un iperattivo Hushovd e Bram Tankink.
Il sestetto, malgrado un accordo incerto, ha sfiorato i 50’’ di margine, prima di cominciare a soccombere all’inseguimento di Trek e Belkin. Vanmarcke, Van Avermaet, Cancellara e Boom hanno tentato di reagire in prima persona nel tratto di Pont-Thibaut à Ennevelin, ad una quarantina di chilometri dal termine, ma senza riuscire a selezionare significativamente il gruppo. Sagan ha così provato ad avvantaggiarsi nel tratto in asfalto successivo, portandosi dietro un Maarten Wynants non di grande aiuto, ma riuscendo ugualmente a ricucire sui battistrada dopo una dozzina di chilometri di caccia.
Con il gruppo ormai ad un pugno di metri dalla testa della corsa, lo slovacco ha allungato nuovamente in vista del settore di Camphin-en-Pévèle, mettendo da parte quella quindicina di secondi che gli ha consentito di uscire dal successivo Carrefour de l’Arbre in compagnia di Vanmarcke, Cancellara, Degenkolb e Stybar, i più veloci nel passaggio chiave della corsa.
Il quintetto, assortito di passisti formidabili, è stato però rallentato dalla presenza di un corridore molto stanco (Sagan) e di un velocista del calibro di Degenkolb, che obbligava i compagni d’avventura a ragionare sul modo migliore per scongiurare la volata. I tentennamenti hanno così consentito il recupero di un sestetto pilotato da un superlativo Bradley Wiggins, comprendente, oltre al futuro vincitore, Sebastian Langeveld e gli stremati Boonen, Thomas e De Baecker. Il ricongiungimento si è materializzato ai -9, due chilometri prima dello scatto che ha deciso la 112a edizione della regina delle classiche.
20’’ dopo l’arrivo di Terpstra, Degenkolb ha prevedibilmente vinto la volata per il secondo posto, ignorato dall’inqualificabile regia francese, che ha battezzato invece un drappello in lotta per la dodicesima piazza. Un risultato amaro per il tedesco, il cui braccio alzato dopo l’arrivo obbliga per di più a sospettare che non sapesse della presenza dell’olandese poco più avanti.
Fabian Cancellara, apparso molto meno brillante rispetto al Fiandre di domenica scorsa, si è comunque garantito una terza piazza sufficiente a renderlo il primo uomo nella storia capace di cogliere tre podi nelle prime tre classiche monumento in tre diverse stagioni. Vanmarcke, forse il più forte di tutti sul pavé, si deve quest’anno accontentare del quarto posto, davanti a Stybar e ad un Sagan che ha comunque dimostrato di poter puntare anche alla Roubaix negli anni a venire. Thomas e Langeveld hanno chiuso in settima e ottava piazza rispettivamente, davanti a Wiggins e Boonen, entrambi da applaudire – per motivi diversi – ben al di là del mero risultato.
Non pervenuti, ancora una volta, i corridori italiani, con Paolini e Pozzato – migliore dei nostri, con un 50° posto a quasi 7’ da Terpstra – penalizzati da forature e cadute assortite. Il primo successo tricolore del terzo millennio sulle pietre francesi sembra ancora molto lontano.

Matteo Novarini

ORDINE D’ARRIVO

1 Niki Terpstra (Ned) Omega Pharma – Quick-Step Cycling Team 6:09:01
2 John Degenkolb (Ger) Team Giant-Shimano 0:00:20
3 Fabian Cancellara (Swi) Trek Factory Racing
4 Sep Vanmarcke (Bel) Belkin-Pro Cycling Team
5 Zdenek Stybar (Cze) Omega Pharma – Quick-Step Cycling Team
6 Peter Sagan (Svk) Cannondale
7 Geraint Thomas (GBr) Team Sky
8 Sebastian Langeveld (Ned) Garmin Sharp
9 Bradley Wiggins (GBr) Team Sky
10 Tom Boonen (Bel) Omega Pharma – Quick-Step Cycling Team
11 Bert De Backer (Bel) Team Giant-Shimano 0:00:26
12 Arnaud Demare (Fra) FDJ.fr 0:00:47
13 Bernhard Eisel (Aut) Team Sky
14 Sébastien Turgot (Fra) AG2R La Mondiale
15 Björn Leukemans (Bel) Wanty – Groupe Gobert
16 Stijn Vandenbergh (Bel) Omega Pharma – Quick-Step Cycling Team
17 Greg Van Avermaet (Bel) BMC Racing Team
18 Jos van Emden (Ned) Belkin-Pro Cycling Team
19 Thor Hushovd (Nor) BMC Racing Team 0:01:05
20 Jean-Pierre Drucker (Lux) Wanty – Groupe Gobert
21 Edvald Boasson Hagen (Nor) Team Sky
22 Marcus Burghardt (Ger) BMC Racing Team
23 Sébastien Minard (Fra) AG2R La Mondiale
24 Yannick Martinez (Fra) Team Europcar
25 Jens Keukeleire (Bel) Orica GreenEdge
26 Bram Tankink (Ned) Belkin-Pro Cycling Team
27 Steve Chainel (Fra) AG2R La Mondiale
28 Adrien Petit (Fra) Cofidis, Solutions Credits 0:02:55
29 Mitchell Docker (Aus) Orica GreenEdge
30 Taylor Phinney (USA) BMC Racing Team
31 Luke Rowe (GBr) Team Sky
32 Matthieu Ladagnous (Fra) FDJ.fr
33 Laurens De Vreese (Bel) Wanty – Groupe Gobert
34 Michael Schär (Swi) BMC Racing Team
35 Nikolay Trusov (Rus) Tinkoff-Saxo
36 Kristijan Koren (Slo) Cannondale
37 Lars Boom (Ned) Belkin-Pro Cycling Team 0:02:59
38 Johan Vansummeren (Bel) Garmin Sharp
39 Maarten Wynants (Bel) Belkin-Pro Cycling Team
40 Borut Bozic (Slo) Astana Pro Team
41 Mathew Hayman (Aus) Orica GreenEdge 0:04:14
42 Maciej Bodnar (Pol) Cannondale 0:05:48
43 Alexandre Pichot (Fra) Team Europcar 0:06:42
44 Roger Kluge (Ger) IAM Cycling
45 Benoit Jarrier (Fra) Bretagne – Seche Environnement
46 Yauheni Hutarovich (Blr) AG2R La Mondiale
47 Gediminas Bagdonas (Ltu) AG2R La Mondiale
48 Brice Feillu (Fra) Bretagne – Seche Environnement 0:06:44
49 Florian Senechal (Fra) Cofidis, Solutions Credits
50 Filippo Pozzato (Ita) Lampre-Merida

Niki Terpstra alza le braccia nel Velodromo di Roubaix (foto AFP)

Niki Terpstra alza le braccia nel Velodromo di Roubaix (foto AFP)

PAGELLE 2013: PROMOSSI E BOCCIATI DELLA PARIGI – ROUBAIX

aprile 9, 2013 by Redazione  
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Superlativo Cancellara che firma la tripletta, Vanmarcke sorpresa del giorno. Altra delusione da parte di Pozzato e anche un indomito Paolini lontano dalle prime posizioni.

Foto copertina: Fabian Cancellara, promosso con lode (foto Bettini)

Fabian Cancellara: senz’altro la più bella tra le Classiche del Nord conquistate in carriera dallo svizzero perché la più sofferta, complice la doppia caduta patita nell’ultima settimana. Benché non in perfette condizioni fisiche e nonostante tutti gli altri favoriti gli abbiano corso contro sin dalle prime battute di gara, è stato molto intelligente nel gestire la squadra per poi, arrivato il suo momento, infilzare uno dopo l’altro gli avversari con cambi di ritmo “spezza gambe”. La guerra di nervi vinta all’interno del velodromo di Roubaix giunge a coronamento di una gara perfetta, condotta da autentico maestro del pavè: forse il più grande specialista degli ultimi vent’anni. Voto: 10 e lode

Sep Vanmarcke: sorpresa, sì, ma solo parzialmente se è vero che il giovane belga è stato capace di battere Boonen nell’unica gara sul pavè persa da quest’ultimo nella passata stagione. E’ necessario avere tante energie e anche tanto coraggio per non lesinare cambi regolari ad un fenomeno come Cancellara. La freddezza mostrata in volata l’anno scorso contro Boonen, questa volta è mancata, complice anche lo sforzo profuso per contenere le trenate di Cancellara nel finale. Voto: 9,5

Niki Terpstra, Greg Van Avermaet: entrambi partiti come spalle dei rispettivi capitani (Chavanel e Hushovd) si sono ritrovati, per via delle scarse prestazioni dei propri leader, a gestire una situazione di corsa inaspettata ma estremamente favorevole. Il risultato finale premia senz’altro i loro sforzi e rappresenta una giusta misura delle loro potenzialità. Voto: 8

Damien Gaudin: dopo aver tirato come un forsennato tutta la gara, rilanciando continuamente l’andatura dei vari gruppetti in cui riusciva regolarmente ad infilarsi, il tutto per agevolare un eventuale attacco di capitan Turgot (che lo scorso anno meravigliò tutti gli appassionati con le sue progressioni sul pavè che porta a Roubaix), si è trovato infine a giocarsi in prima persona il podio. Voto: 8

Zdenek Stybar: eccelso ciclocrossista, da quest’anno ha deciso di dedicarsi totalmente al ciclismo su strada. Solo la sfortuna lo ha messo fuori dai giochi per la vittoria quando appariva ancora più fresco del compagno di fuga Vanmarcke. Le acrobazie di cui si è reso protagonista nel finale per riuscire a non cadere sono state la testimonianza di una lucidità non ancora appannata dalla fatica. Voto: 8

Juan Antonio Flecha: questo navigato specialista del pavè non ha mai corso nell’anonimato la corsa che più ama e questa edizione non ha fatto eccezione. Lo spagnolo ha tentato più volte di anticipare le mosse degli altri favoriti ed è stato anche uno dei pochi temerari ad azzardarsi a concedere qualche cambio a Cancellara. Nel finale ha colto l’ennesimo piazzamento nei dieci. Voto: 7

Luca Paolini: non ha mai amato particolarmente “L’inferno del Nord” anche per via della sua minuta costituzione che non lo aiuta di certo ad affrontare la ‘corsa delle pietre’. Ciononostante anche quest’anno si è dimostrato tra i più attivi e sebbene abbia interpretato con la giusta lucidità le varie fasi della gara, la sfortuna di una foratura in un momento cruciale lo ha relegato al ventunesimo posto. Voto: 6,5

Lars Boom: capitano e tra i più attesi della corsa, ha dimostrato di non possedere il fondo necessario per competere con i migliori. Al di là di qualche sparata fatta senza troppa convinzione, non si è mai visto. Voto: 4

Thor Hushovd: nonostante tutta la BMC fosse a sua disposizione (in particolare Phinney: voto 7), anche questa gara, dopo il Giro delle Fiandre, si è conclusa nell’anonimato. A parziale discolpa si possono ricordare gli incidenti subiti in corsa che, tuttavia, sono spesso i segnali di un non perfetto stato di forma. Voto: 4

Sylvain Chavanel: dopo la defezione di Boonen, si è trovato capitano unico della Quick-Step. Tuttavia, invece di sfruttare l’occasione della vita data anche la non più giovane età, non ha avuto le gambe e la testa per competere con i primi. Voto: 3

Edvald Boasson Hagen: promessa del ciclismo mondiale ormai da qualche stagione, il polivalente ciclista norvegese in grado teoricamente di vincere tutte le gare in linea, anche in questa occasione è stato respinto e, a 26 anni, deve ancora riuscire a vincere una Grande Classica. Voto: 3

Filippo Pozzato: doveva essere l’anti-Cancellara ma, anche questa volta, Pippo non riesce ad arrivare competitivo, come lui potrebbe esserlo, agli appuntamenti stagionali più congeniali alle sue caratteristiche tecniche. Un inizio di stagione del tutto insufficiente per un atleta dalle sue potenzialità. Voto: 3

Francesco Gandolfi

gandolfi.francesco@libero.it

IL CAPOLAVORO TATTICO DI CANCELLARA A ROUBAIX

aprile 8, 2013 by Redazione  
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Non solo gambe: nel terzo trionfo a Roubaix c’è più testa che cuore. L’analisi tattica del “tutti contro Cancellara”. La sua vittoria più bella?

Foto copertina: la smorfia di Cancellara sul traguardo della Roubaix (foto AFP)

Nel velodromo di Roubaix, Fabian Cancellara è tra lo stremato e lo stupito. “Pure fighting”, ripete per tre volte all’intervistatore. “Pura battaglia”. Conquistare la sua terza Roubaix, dopo 2006 e 2010, nonché 76esima perla in carriera è stata, ammette la Locomotiva svizzera, “la più grande battaglia da quando vado in bici”. Alla fine di un inferno di polvere e pietre, Cancellara si chiede: “Come ho fatto?”. Te lo spieghiamo noi, Fabian: di testa, più che di gambe.

Certo, le gambe non le possiamo dimenticare. Perché quando per 5h45’33” mulini i pedali alla media di 44,02km/h su quelle mulattiere di porfido e chiudi la seconda Roubaix più veloce della storia (dietro solo a quella di Peter Post del ’64 a 45,13km/h), vuol dire che cosce e polpacci hanno fatto il loro lavoro. Eppure, proprio dal dato della velocità media conviene iniziare per spiegare come Cancellara la Roubaix l’abbia portata a casa a colpi di calcoli più che di pedali, di sangue freddo più che di cuore.

Partire da favorito non è cosa semplice. E Cancellara lo ricorda bene: proprio su queste strade nel 2011, il suo strapotere convinse i suoi avversari – o, meglio, i diesse dei suoi avversari – a far attaccare le seconde linee da lontanissimo. Rammentiamo tutti come andò: a nulla valse il feroce inseguimento di un Cancellara a cui Ballan e Hushvod non davano mezzo cambio per recuperare Vansummeren, in fuga dal mattino, che trionfò con appena 19” sullo svizzero.

Oggi come due anni fa, l’avvicinamento all’Inferno del Nord era stato dominato da una sola parola: “anticipare”. Che tradotto dal gergo ciclistico significava: isolare Cancellara dalla sua squadra. La stessa che sette giorni fa al Fiandre aveva dato dimostrazione di avere i corridori per tenere cucita una corsa (Devolder, Popovych, Rast, Irizar ma anche un campione che verrà, Bob Jungels). E per isolare la Radio Shack una e una sola cosa bisognava fare: attaccare a ripetizione.

Ne esce una corsa fulminea, con la prima ora inghiottita a 49,9km/h. Nessuna fuga a prendere un discreto vantaggio. Addirittura Thomas e Boasson Hagen che a meno 135km provano a portar via un’azione di una quindicina di uomini. Niente da fare: la Radio Shack non lascia andar via nessuno. Tirare per così tanti chilometri ha un costo: prima o poi ti squagli. E il punto di ebollizione la Radio Shack lo raggiunge a meno 58km, quando le sue casacche scompaiono dalla testa del gruppo. Da questo momento, Cancellara dovrà far da solo.

E da solo Cancellara fa. O almeno ci prova. 46 chilometri all’arrivo. Pavé di Mons-en-Pévèle. La Locomotiva di Berna apre il gas. Quando terminano pietre e accelerazione, Cancellara resta con gli 11 che si giocheranno la corsa. Qui cambia la Roubaix. E nasce una situazione che manda in solluchero gli amanti della tattica.

Cancellara ha di fronte un dilemma. “Siamo in dodici, non ho compagni di squadra ma l’Omega ha 3 uomini e la Blanco 2. Ho le gambe migliori della truppa ma non dei giorni migliori. Sono caduto, sia allo Scheldeprijs che in ricognizione. Le botte si fanno sentire. Posso fare il vuoto ma poi non ho la continuità per portare l’azione all’arrivo. Di riprovare azioni stile Harelbeke e partire a qualche decina di chilometri dall’arrivo non se ne parla”.

Continua il ragionamento: “Ora si gioca a tutti contro Cancellara. Mi attaccheranno di qui al velodromo. Se li rincorro tutti, mi spremo e il destino mi restituisce lo scherzetto che ho fatto ha Sagan alla Sanremo, dove ha dovuto chiudere su tutti per poi perdere in volata da Ciolek”.

Cancellara tenta l’azzardo. Lasciare andare quelli che suppone essere i gregari per evitare di dover rintuzzare tutti gli allunghi. Tenersi a fianco i più quotati, leggi Terpstra e Boom. E poi, capolavoro, staccarli con un allungo a sorpresa in un tratto insignificante di asfalto a 31 dall’arrivo.

Piano perfetto, non fosse per la forza della Omega. Pur senza Boonen (e una sua costola), alla squadra belga quasi riesce l’altro capolavoro tattico della Roubaix. Perché quando Cancellara sta per rientrare davanti, via radio arriva l’ordine a Vanderbergh di attaccare, portandosi dietro l’apparentemente innocuo Vanmarcke. Di modo da tenere in testa un uomo quando si formerà la fuga decisiva. E addirittura, quando sul pavé di Bourghelles, Cancellara riaccelera, è l’altro Omega Stybar a portarsi sulla ruota dello svizzero. Così, alle porte del Carrefour de l’Arbre, nella fuga a quattro decisiva, ci sono comunque due pedine della squadra belga.

Dicevamo capolavoro quasi riuscito? Già, perché dei due Omega uno capitombola e l’altro si salva solo con un miracolo funambolico ma perdendo l’aggancio del pedale e, di conseguenza, il treno buono. Sfortuna, si dirà. Certo, quando uno spettatore decide di sporgersi proprio quando passi tu si può citofonare solo alla iella. Eppure, entrambi gli Omega sono caduti (uno metaforicamente, l’altro meno) cercando quella sottile linea (non rossa ma) gialla di terra. Se ne hai davvero, il pavé lo puoi anche affrontare a muso duro.

Chiusa la parentesi tattica della Omega, torniamo a quella di Cancellara. Il quale, senza gambe immensamente superiori a quelle dei rivali, è comunque riuscito a portare a casa la Roubaix. Che non fosse il miglior Cancellara di sempre lo si è visto quando ha provato per tre volte a fare il vuoto (alla Cancellara) sul pavé, senza successo. Decisiva per trionfare è stata dunque la lettura della corsa, la capacità di mantenere freddo il sangue nei momenti più frenetici.

Così come la gestione della fuga a due con Vanmarcke. Cancellara la chiamerà “pure fighting”, per noi è “esperienza e mestiere, capitolo uno”. Lo svizzero ha fatto un eccellente uso del proprio carisma nei confronti del giovane belga, costringendolo a dare qualche cambio di troppo, a rincorrere uno scatto a 4,1km dall’arrivo, a ingobbirsi (da spavaldo che era) in vista dello sprint, dove il portacolori della Blanco è comunque partito con troppo anticipo, quei 15 metri in più che le sue gambe non hanno retto.

Quando lo incontrai una mattina di primavera del 2009 in un bar vicino a Bologna, di Fabian Cancellara mi colpì una cosa. Alla domanda se puntasse a vincere la cronosquadre d’apertura del Giro del centenario a Venezia, mi rispose che sì, ci teneva, soprattutto perché era a Venezia e nel Giro del centenario e perché lui cerca sempre di dare un valore aggiunto ai suoi successi. Oggi, a Roubaix nel sacco, lo svizzero ha commentato: “E’ bello arrivare da solo, per lo spettacolo. Stavolta invece è stata una lotta fino all’ultimo millimetro”. Non mi stupirei se, nelle sue memorie, Cancellara ricordasse questa come la sua vittoria più bella. Io, nella mia, ne sono già convinto.

Federico Petroni

Continua l’omaggio delle firme storiche di ilciclismo.it in occasione del decennale della testata. Oggi è tornato a scrivere per noi l’ex condirettore Federico Petroni, che ringraziamo.

La redazione

SEMPRE CANCELLARA: A ROUBAIX PIEGA UN IMMENSO VANMARCKE

aprile 7, 2013 by Redazione  
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Dopo il pezzo di bravura del Giro delle Fiandre, lo svizzero bissa alla Parigi – Roubaix, sia pur faticando più del previsto per spezzare la resistenza di uno strepitoso Sep Vanmarcke, battuto allo sprint. Tagliati fuori da due contatti con i tifosi a bordo strada Vandenbergh e Stybar, giunti al Carrefour de l’Arbre in compagnia dei due. Male gli italiani, con Paolini messo fuori causa da una foratura e Pozzato mai in corsa per le posizioni di testa.

Foto copertina: Uno stremato Fabian Cancellara al termine della Parigi – Roubaix (foto AFP)

In assenza di Sagan e Boonen, la 111a Parigi – Roubaix poteva essere poco più di una passerella per Fabian Cancellara, ingiocabile per chiunque appena una settimana fa, sulle strade del Giro delle Fiandre. Proprio lo status di stra-favorito, combinato forse con un paio di cadute nei giorni scorsi, ha invece rischiato di mandare all’aria i propositi di trionfo dello svizzero, costretto a chiudere in prima persona su qualsiasi tentativo negli ultimi 50 km di gara, e non straripante come al Fiandre quando ha preso l’iniziativa e ha tentato di involarsi in solitaria verso il Velodromo, come in occasione dei due precedenti successi sulle pietre.
Che la giornata di Spartacus potesse rivelarsi meno rilassante del previsto – per rilassante che possa essere una Roubaix – lo si era capito già prima di metà gara, quando, dopo quasi tre ore di gara a medie da prima settimana di Tour de France, BMC e Team Sky avevano provato a stuzzicarlo con un’azione a sorpresa, con l’arrivo distante ancora 135 km: Phinney, Boasson Hagen e Thomas si sono intrufolati in un drappello di dodici uomini, costringendo la Radioshack ad un inseguimento di una decina di chilometri che ha contribuito ad isolarne il leader prima del giusto.
Poco più avanti, ad avvantaggiarsi sono stati Hayman (sempre Team Sky), Koretzky, O’Grady e Steegmans (Omega Pharma, formazione che strada facendo sarebbe diventata la principale minaccia per Cancellara), capaci di acquisire un vantaggio massimo prossimo ai due minuti, calato però drasticamente durante l’attraversamento della Foresta di Arenberg. A pilotare il gruppo attraverso il passaggio simbolo della Roubaix è stato ancora Phinney, il cui ritmo non ha prodotto la selezione vista in altre edizioni, ma è stato sufficiente a dimezzare il plotone, generando sufficiente confusione da consentire la sequenza di attacchi dei chilometri immediatamente successivi.
A trovare l’attimo buono per evadere sono stati Michael Schär (ancora BMC) – costretto però ad un inseguimento di una ventina di chilometri prima di agguantare il drappello di testa, nel frattempo ridottosi ai soli Hayman e Steegmans – e Damien Gaudin, tanto scomposto in bicicletta quanto attivo nell’ultimo quarto di gara. Non altrettanto fortunati i tentativi di Koren, Boom, Stannard, Guarnieri, Bonnet, Breschel, Elmiger, Sinkeldam, Vansummeren, Terpstra e Paolini, che hanno tuttavia contribuito a vario titolo ad animare un frangente potenzialmente interlocutorio, e soprattutto a falcidiare un fronte Radioshack a lungo rimasto compatto, ma dissoltosi improvvisamente con l’avvicinarsi della fase calda.
Per assistere alla prima vera selezione si è dovuto attendere il tratto di Mons-en-Pévèle, dove a dare la scossa è stata la Omega Pharma, con Vandenbergh e Terpstra. Ai due si sono uniti il compagno Stybar, le coppie Vanmarcke – Boom (Team Blanco) e Gaudin – Turgot (Europcar), e gli indipendenti Langeveld, Flecha, Paolini, Van Avermaet ed Eisel, oltre all’ovvio Cancellara.
Vandenbergh ha confermato la gran vena nel tratto di Pont-Thibaut à Ennevelin, portando una nuova accelerazione cui hanno replicato soltanto Vanmarcke, Langeveld e Gaudin, orfano del compagno, vittima di una foratura. Flecha, Paolini, Van Avermaet e Stybar sono tornati sotto a 31 km dal termine, mentre Cancellara, rimasto per un attimo attardato insieme agli altri componenti del gruppetto di testa, è stato costretto ad impegnarsi in una trenata delle sue per rientrare, evitando che la situazione di otto contro quattro potesse tagliarlo fuori.
In contemporanea con il recupero dello svizzero è nata – tanto per cambiare sotto l’impulso di Vandenbergh – l’azione che avrebbe deciso la gara: Vanmarcke è stato l’unico ad accodarsi al tarantolato belga della Omega Pharma, mentre Cancellara, perso di nuovo l’attimo, si è lanciato al contrattacco nel settore di Bourghelles à Wannehain, seguito dal solo Stybar, mentre Paolini veniva estromesso dai giochi da una foratura.
La progressione con cui l’elvetico aveva recuperato 40’’ in un pugno di chilometri ai due fuggitivi, senza ricevere cambi da Stybar, pareva il prologo all’ennesima dimostrazione di forza, salvo poi rivelarsi invece il suo massimo exploit di giornata. Nemmeno sul Carrefour de l’Arbre è giunto il tanto atteso affondo del bernese, cui ha però semplificato la vita il più che riuscito tentativo della Omega Pharma di battere il record del mondo di sfiga in corsa ciclistica: Vandenbergh (per la verità già in affanno) è stramazzato a terra dopo pochi metri di pavé, in seguito al contatto con uno spettatore che ha assimilato troppo letteralmente il concetto di “dentro la gara”, mentre Stybar, ancora pienamente in lizza per il successo, ha atteso gli ultimi metri del settore per urtare un altro tifoso, ebbro di entusiasmo e forse non solo (ma la scena è poco chiara, causa riprese solo dall’alto), e perdere la pedalata quanto bastava per veder scappare i compagni d’avventura.
Vanmarcke, per la prima volta in un condizione di giocarsi una grande classica, ha mostrato una personalità non da neofita, affrontando in testa gli ultimi tratti sulle pietre e collaborando quasi alla pari con Cancellara, perfino dopo l’ultimo scatto ai -4 dello svizzero. La maggiore esperienza ha però consentito a Spartacus di intraprendere lo sprint doveva voleva, partendo alla ruota del belga, per poi sfilarlo sul rettilineo d’arrivo.
31’’ più tardi, recuperando quasi un minuto per via del quasi-surplace inscenato dai leader all’interno del velodromo, Terpstra ha regolato Van Avermaet e Gaudin, salvando quantomeno il podio per la Omega. Stybar, Langeveld e Flecha, giunti nell’ordine a 39’’, sono riusciti a resistere per 11’’ al ritorno di quello che era stato a lungo il terzo gruppetto, comprendente, fra gli altri, Chavanel e gli sfortunati Paolini e Vandenbergh.
Cancellara ha così affiancato il suo nome a quelli di Lapize, Rebry, Van Looy, Merckx, Moser e Museeuw, grazie ad un successo paradossalmente ancor più prezioso e significativo in quanto non frutto della solita, schiacciante superiorità: per la prima volta in carriera, Fabian ha saputo prevalere su un rivale per un giorno alla sua altezza, trovato sorprendentemente in Vanmarcke. È forse proprio il ragazzo di Kotrijk l’eroe di giornata, nonché il nome attorno al quale i belgi, ormai prossimi al tramonto dell’era Boonen, possono pensare di costruire il futuro nelle corse a loro più care.

Matteo Novarini

ROUBAIX: UN INFERNO PER TANTI, UN PARADISO PER BOONEN

aprile 10, 2012 by Redazione  
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A vincere la corsa, come era prevedibile, è il favorito della vigilia, Boonen, che così entra definitivamente nella storia del ciclismo, affiancando con quattro vittorie un campionissimo del passato come Roger De Vlaeminck. Gli italiani, dopo aver incredibilmente buttato all’aria l’occasione di giocarsi la gara, si consolano con il terzo posto di Ballan.

Foto copertina: questa strada della Roubaix sembra puntare dritta verso il paradiso… o verso l’inferno…. (bikeobsession.blogspot.it)

Tom Boonen: ciò che lo scorso anno riuscì a Philppe Gilbert per quanto riguarda le classiche vallonate, quest’anno è accaduto al fiammingo, autentico dominatore delle gare sul pavè. Oltre che l’indubbia prestanza fisica bisogna riconoscere al gigante di Mol la capacità di mantenere la piena concentrazione in ogni fase della corsa, abilità che gli consente di evitare le insidie del percorso e di sfruttare al massimo le disattenzioni degli avversari (per l’occasione Pozzato e Ballan). Se la vittoria non è stata una sorpresa, il modo con cui l’ha ottenuta di certo lo è e non tanto per la cavalcata solitaria che gli ha permesso di suggellare il quarto, storico successo a Roubaix. Capace sì di vincere per distacco (nel 2009 vinse la gara dopo 15 km di fuga), tutto ci si poteva aspettare ma non una azione solitaria di più di 50 km.
Con un Boonen così stratosferico, che gara sarebbe stata poterlo vedere battagliare con i vari Cancellara, Hushovd, Pozzato a vario titolo incidentati! Voto: 10 e lode

Sebastièn Turgot: il primo ad essere sorpreso del secondo posto è proprio il corridore di casa e non solo per la propria prestazione ma anche per la valutazione a lui favorevole della giuria di un fotofinish alquanto dubbio. Dopo essere stato protagonista di varie scaramucce, ha avuto il merito di credere nel tentativo di ricucitura sul principale gruppo inseguitore di Boonen e di esserci riuscito di fatto a volata per il secondo posto ormai lanciata. Voto: 8

Alessandro Ballan: chiude questa prima parte delle classiche del Nord con un ennesimo onorevole piazzamento (terzo) come al Fiandre, dimostrando solidità e continuità apprezzabili. A differenza di quest’ultima gara è qui mancato lo scontro diretto fra i tre protagonisti della corsa dei muri e questo anche a causa di una suo momento di disattenzione, al momento della progressione del duo della Omega Pharma. Probabilmente il capitano designato della BMC era Hushovd (voto 5), dato che il veneto aveva già avuto una propria opportunità al Fiandre, tanto è vero che Alessandro ha promosso un tentativo di attacco a 75 km con l’ovvio intento di fare da spalla al norvegese. L’errore tattico cui accennavo poc’anzi è dipeso forse dalle energie profuse in questo tentativo. Un secondo errore è stato quello di sopravvalutare le possibilità degli atleti SKY di poter ricucire il distacco da Boonen e conseguentemente di non aver contribuito al lavoro di riaggancio quando questo era ancora del tutto possibile. Della volata con Turgot ho già detto a proposito di quest’ultimo. Voto: 7,5

Filippo Pozzato: si ostina, a differenza di Boonen, a correre coperto, nella pancia del gruppo, gran parte di queste classiche del pavè, senza considerare i rischi che, in generale, questo tipo di condotta comporta e, a maggior ragione, in tipologie di gare come questa. Per tali ragioni, dopo essere rimasto attardato a causa di frazionamenti dovuti a ventagli e a cadute, ha dovuto più volte inseguire il gruppo principale, con un sicuro spreco di energie. Ciò nonostante è stato il primo a rispondere con facilità al primo allungo di Boonen, dimostrando una condizione eccelsa come al Fiandre. Sorretti da questa forma fisica non si doveva temere di rispondere in prima persona all’allungo del belga : per vincere, come ci insegna quest’ultimo, bisogna anche rischiare di perdere. Cadere poi, da solo, alla Roubaix , può anche essere sintomo di scarsa concentrazione e lucidità nel fronteggiare delle difficili situazioni di corsa. Fortunatamente ha deciso di non concludere la gara e di risparmiarsi per l’Amstel dove, con una gamba del genere, potrebbe finalmente vincere una classica. Voto: 5,5

Matteo Tosatto: non adattissimo alle pietre della Roubaix ma dotato di grande fondo e capace di gestirsi, coglie un ottimo settimo posto in una gara tra le più importanti e davanti a corridori ben più adatti e quotati di lui, come Van Summeren (voto 5). Voto 7

Luca Paolini: impeccabile dal punto di vista tattico e sorretto da una ottima condizione , si rende protagonista di una gara in cui ha più volte avuto la speranza di poter agguantare il podio. Purtroppo le caratteristiche del percorso non sono troppo adatte ai suoi mezzi e non gli hanno permesso di coronare la sua carriera con un prestigioso podio nella Classica Monumento. Voto: 6,5

Juan Antonio Flecha: lo si aspettava piazzato in queste gare e in effetti non ha deluso le aspettative. Conclude la gara nel gruppetto che si è giocato i gradini più bassi del podio, rimanendovi tuttavia, come da pronostico, ai piedi. Voto: 6,5

Edwald Boasson Hagen: atleta veloce del Team Sky, ha dimostrato di mal digerire, data anche la prestazione al Giro delle Fiandre, le classiche del pavè. Infatti, sul finale di gara, si è sciolto come neve al sole assieme alla sua squadra. Voto: 4

Frederic Guesdon: il velodromo di Roubaix ha tributato il giusto riconoscimento ad un vecchio leone, trionfatore nell’inferno del Nord nel lontano 1997, nel giorno del suo ritiro dalle corse. Da segnalare il fatto che l’atleta aveva subito un grosso incidente nel mese di marzo. Con caparbietà e spirito di sacrificio ha voluto a tutti i costi concludere la sua carriera portando a termine una gara massacrante come non altre. Oltre alla Roubaix si ricorda la spettacolare vittoria in un’altra classica importante come la Parigi-Tours del 2006. Voto: s.v.

Francesco Gandolfi

L’UOMO CHE HA SFONDATO IL CIELO: BOONEN RACCOGLIE LA QUARTA PIETRA

aprile 9, 2012 by Redazione  
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Boonen contro tutti, Boonen più di tutti. Tom coglie l’istante e si lancia in una cavalcata solitaria, intangibile, irraggiungibile, mentre avversari (e compagni) precipitano in un inferno di sconcerto, confusione, discordia, cadute e rotture. Unico nella storia a duplicare la doppietta della pietre Fiandre-Roubaix, affianca De Vlaeminck con il record di quattro Roubaix conquistate. Finora.

Foto copertina: Boonen lanciato verso la sua quarta Roubaix (foto Bettini)

Un uomo solo è al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Tom Boonen. La citazione è e resta blasfema, ma merita di essere scomodata per celebrare l’ingresso di Tommeke tanto nel velodromo di Roubaix come nel mito del ciclismo. Ottanta minuti di interminabile solitudine. Ottanta minuti fatti di pura magia, quando la bicicletta del fiammingo galleggia sul pavé, con la schiena del campione – perfettamente allineata al suolo – che non registra più nessuna delle tremende vibrazioni assorbite dalle braccia e dagli addominali; ma ottanta minuti fatti anche di sofferenza, quando le gambe stantuffano, la bocca si spalanca, il motore batte in testa e perfino il re delle pietre cerca disperato un corridoio di terriccio ed erba.
Ottanta minuti della violenza totale ed assoluta che si esercita nel ciclismo, senza alcun contatto fisico con l’avversario: Boonen distrugge da solo, se non perfino tutto il gruppo, quantomeno i quattordici più immediati inseguitori. Li distrugge nell’animo, con il veleno di una distanza minima, misurabile in secondi, eppure incolmabile; li distrugge nelle gambe, imponendo a se stesso, e di riflesso a loro, un ritmo martellante; li distrugge nella mente, obbligandoli a giochi tattici che finiscono per fondarsi sull’assioma della sconfitta.

Boonen oggi batte anche il convitato di pietra, Fabian Cancellara. L’avversario più duro da battere, perché nello sport a volte si rovescia l’aurea regola sugli assenti che hanno torto, e viceversa gli assenti finiscono spesso per ammantarsi di una perfezione che la realtà complicherebbe non poco. Un Cancellara assente, a rigor di termini, non può essere staccato, messo in mezzo, mandato allo sbaraglio, insomma non può essere, nei fatti, battuto. Il Cancellara fortissimo del 2011 non ha vinto né il Fiandre né la Roubaix, ma tutti giurerebbero che il Cancellara ugualmente fortissimo del 2012 le avrebbe vinte entrambe, certamente! Ecco come mai i fantasmi sono sempre gli avversari più acerrimi. D’altro canto la grandezza di Boonen nasce anche dalla compresenza storica di un grande avversario: il paradosso a cui si potrebbe giungere è che Boonen finisca per essere riconosicuto come il più grande di sempre sul pavé, e nondimeno Cancellara come il più forte corridore da pietre di questa generazione.
Oggi però Tom, con un vero miracolo, sconfigge anche Fabian. Non lo sconfigge – o non solo – perché allunga il passo negli albi d’oro, che da soli dicono poco (anche se di fronte a un albo d’oro così rotondo…); e nemmeno lo sconfigge per aver lanciato se stesso come una pietra qualche chilometro più lungi di quanto fece lo svizzero; il punto non è neppure che Cancellara scappò via di furbizia, approfittando di distrazione e complicità con atleti di altre squadre, mentre Boonen se ne va squadernando in faccia a tutti una plateale follia.
Il punto è che il fianco alla “sconfitta” lo prestò proprio lo svizzero, strillando ai quattro venti la propria insoddisfazione per il fatto che tutti gli altri “gli corressero contro”. Tommeke oggi ha suggerito una soluzione. Osare l’improponibile, senza mai aver lamentato le occasioni perse – spesso a vantaggio di compagni di squadra! – a causa del fatto di essere faro della corsa.

La cronaca è essenziale e brutale. C’è una fuga del mattino, con poche conseguenze. Cadute e ventagli qui e là denunciano un Pozzato un po’ distratto, spesso in pancia al gruppo, ancora non sintonizzato con il ruolo che lo dovrebbe vedere duellare alla pari con Boonen. Arenberg è condotta a gas spalancato dall’Omega, con un Chavanel in bello spolvero. “Modesti” gli esiti, si fa per dire, vale a dire gruppo ridotto a una trentina di unità. Da qui si dipartono un paio di tentativi, il primo con i nomi pesanti di Flecha e Ballan, poi entrambi in predicato di approdare sul podio fino agli ultimi metri di gara: mettono la testa fuori molto presto, ai -80km, forse troppo presto: c’è aria di gambe pimpanti, certamente, ma anche di complesso di inferiorità, di ansia di anticipare, sottraendosi allo scontro diretto, quel che è peggio di relativa sfiducia da parte delle rispettive squadre, anzi squadrone. I fatti confermeranno poi tristemente questa ipotesi, molto curiosamente in entrambi i casi per cercare di tutelare un capitano norvegese seppure a discapito dei marinai mediterranei; sfidando, in un caso come nell’altro, l’evidenza delle gare precedenti sui reali rapporti di forza tra i corridori. Nell’azione entra l’avventizio Casper, poi due uomini che mostreranno bella gamba fino in fondo, pur frenati da alterne vicende, come Ladagnous e Wynants, e infine un altro personaggio da podio, per quanto decisamente più improbabile degli esperti Flecha e Ballan, ovvero il sorprendente francese Turgot della Europcar.

Ricondotti all’ordine questi ammutinati, l’Omega Quickstep tesse la propria tela tattica lanciando in avanscoperta Chavanel in un peculiare assalto quasi tutto transalpino: ci riprovano Ladagnous e Turgot, e c’è anche Mangel. L’unico intruso è Schar della BMC, lo squadrone ha già lavorato duramente e inizia ad andare in affanno. Chavanel dovrebbe essere la testa di ponte per un attacco di Boonen già programmato, ma sul pavé di Orchies proprio Chavanel fora, e contestualmente Turgot allunga restando per un po’ a faticare solo al comando. Ben presto però il piano Omega prenda forma nonostante l’imprevisto occorso al campione nazionale di Francia: Boonen allunga, e Pozzato sembra aver fatto scintillare il proprio innesco, accodandosi prontamente in bella scioltezza al belga. In un rimescolamento delle medesime carte del Fiandre è ora Ballan a rientrare prepotente, con sulla coda l’incomodo ingombro di Terpstra, gregario d.o.c. di Boonen. Un quartetto delle meraviglie in cui l’estraneo sembra Turgot (che alla fine, come vedremo, troverà perfino il secondo posto nell’uovo di Pasqua).

Il problema è però che Boonen scalpita, vuole cementare il vantaggio, così – intorno ai meno 57km al traguardo – dà una bella frustata assieme al compagno. Qui il primo istante decisivo: Pozzato fa per seguire, ma d’un tratto si ferma e fa il buco; vuole che chiuda Ballan, rientrato però da poco, e tartassato nell’auricolare da un direttore sportivo che pretende un atteggiamento passivo in vista del rientro di Hushovd, appiedato da una foratura e poi cascato. Ma tant’è. Incombe anche l’armata Sky che accorre in forze. L’incertezza dei due italiani è fatale: la tragica, incofessabile verità, è che probabilmente i due, e non solo loro, hanno pensato che la mossa di Boonen fosse suicida, che si trattava di mandarlo a cuocersi per bene, lessando nel frattempo anche l’ultimo gregario a portata di mano.
E in effetti questa ultima parte del ragionamento non fa una grinza: Terpstra deve incaricarsi di una serie di menate a fondo per dilatare il vantaggio almeno oltre i venti secondi, per uscire da mirino insomma, ma così facendo finisce ben presto in acido lattico, nonché in clamoroso debito d’ossigeno sul primo tratto in pavé in cui la coppia incappa (c’è forse di mezzo un problema meccanico?). Boonen è solo.
Qui però subentra il colpo di classe del campione fiammingo: saggiata la gamba, decide di giocarsi il tutto per tutto. Sono bastati frazioni di secondo per leggere la psicologia della gara: avversari già propensi a bisticciare tra loro per un piazzamento, squadre confuse e divise al proprio interno. Rimanere invischiato in quella melassa significherebbe fare la fine di Fabian in versione Roubiax 2011. Meglio, se proprio si deve “finire”, l’abito di scena del Cancellara del Fiandre 2011. Quel che là dietro sperano tutti è che anche il finale dell’opera coincida, con il fuggitivo spiaggiato dopo un oceano di chilometri solitari.

Boonen però si gestisce, non si fa prendere dall’isteria di gonfiare il minutaggio per scioccare e terrorizzare. Procede regolare, rosicchiando un secondo alla volta, rimanendo in pareggio per interminabili tratti, sfidando l’ansia nei momenti in cui il margine si erode. Solo con se stesso, con le pietre, con il vento che soffia veemente. Grande alleato dei fiamminghi, il vento. Stopper d’eccezione al Fiandre, qui invece quando non arriva dalle spalle a sostenere il fuggitivo, è più spesso, molto più spesso, laterale. Vale a dire la tipologia di vento che più di ogni altra compromette il vantaggio di correre in gruppo. Col vento di taglio si sta a ruota, illusoriamente convinti di star risparmiando, ma lavorati duramente ai fianchi da quell’aria che ti consuma.

Si compone un gruppo di inseguitori là dietro, senza Pozzato però: il vicentino casca in curva e chiude la propria gara, dolorante e demotivato. Come anticipato c’è un robusto contingente Sky, quasi un terzo del totale del gruppetto con Stannard, Hayman, Flecha e Boasson Hagen. C’è una bella rappresentanza italiana, con Ballan, Paolini, ancora in notevole evidenza (specie per lo standard offerto quest’anno dal suo team in queste gare), l’inossidabile Tosatto e un Guarnieri in potenziale evoluzione. Ci sono un paio di Rabobank, cioè Wynants e Boom, quindi i francesi iperattivi già in precedenza, Ladagnous e Turgot, il campione uscente Vansummeren (prova dignitosa e poco più), infine, fondamentale, un Trepstra che correndo sulle ruote ha modo di riprendersi. Tutti pretendono, comprensibilmente, che lavorino gli Sky.

E gli Sky lo fanno, ma nel modo peggiore. Forse pensando di sfruttare al meglio le caratteristiche di Stannard e Hayman, vengono realizzate lunghe trenate solitarie, invece che una rapida rotazione. Così, in pratica, il vantaggio del numero si annulla, riducendo la prova a un paio di “uno contro uno” dove però la teorica possibilità degli anglosassoni di consumarsi a fondo non compensa la maggiore qualità di Tommeke. Risultato, quasi algebricamente, un incremento sgocciolante ma emorragico del vantaggio. Se a questo aggiungiamo le fasi di negoziazione con i Rabobank, decisissimi a fare corsa in due senza sacrifici dell’uno o dell’altro, ma tra gli stessi Sky un Hayman che in realtà pure lui va di conserva (arriverà nel gruppetto, sei minuti prima di Stannard!), un Boasson Hagen che o viene tutelato in quanto è al gancio (ma allora che cosa si spera, che arrivi fino alla volata?), o è al gancio tout court, però in tal caso per un paio di sparate sull’asfalto lo si poteva anche spendere, invece che tenerlo lì a zavorrare il gruppo fino a che non si staccherà penosamente. Insomma: è quasi un miracolo che Boonen non prenda il largo.
Quello che colpisce dell’impresa di Boonen è che essa non si è sviluppata su canoni e linee che solletichino immaginazioni paranoiche di motorini o doping fantascientifici: la smentita può essere dietro l’angolo, è chiaro, ma nel guardare la corsa in sé risulta sorprendente la maniera implacabilmente “naturale” con cui ha preso forma un esito straordinario. Si è trattato di scelta di tempo, di temerarietà, di lettura azzeccata delle dinamiche di gara, di gestione oculata. Non di uno strappo violento e irresistibile, né di una cavalcata a velocità inumane.

Irritato forse dalla condotta dei compagni, o magari nell’ambito di uno schizofrenico tentativo di cambiare il corso delle cose, un allungo di Flecha romperà il gruppo in due ai -27km, ma l’unità poi si ricomporrà per iniziativa di Terpstra: arguta intuizione, unirli per dividerli. Tre o quattro capitani pari grado che collaborino potrebbero avvicinarsi a Boonen più pericolosamente che non un gruppo folto e asimmetrico, dove ognuno si aspetta che lavori qualcun altro. Conferma eminente quando sul Carrefour del’Arbre Boom con pedalata mostruosamente fluida rientra da un cambio bici per foratura e trapassa il gruppo, tirando dritto e portandosi dietro Ballan e Flecha, oltreché Ladagnous che però forerà (come dietro Guarnieri): per la prima volta il vantaggio di Tom cala.

Ma il traguardo è troppo vicino, e il trio inizia a tirare indietro la gamba pensando a giocarsi i piazzamenti. Tanto la tireranno indietro che mentre Boonen sta già celebrando, i suoi tre più valorosi opponenti vengono ripresi, in pieno velodromo e in pieno cincischiamento, da Turgot e Terpstra. Il francese avrà così modo di soffiare la seconda piazza, battendo Ballan in uno dei fotofinish più stretti mai visti qui. Un ex aequo sarebbe stato d’uopo, ma dopotutto… siamo in Francia! Queste però sono le briciole, seppur briciole d’oro, che valgono una giornata di dolore e sudore, quindi tutto fuorché disprezzabili, come il bei piazzamenti di Paolini (11.o) e Tosatto (7.o).

Cocente sconfitta per le “celestiali” schiere Sky, sfondate e sbriciolate dallo strapotere tecnico di Boonen: una giornata di gran forma collettiva (ripetiamolo, quattro uomini nella dozzina o poco più che “si giocava”, tra virgolette visto l’atteggiamento, la gara) si traduce in una gestione deludente dell’uomo più in forma, poco appoggiato e parso quasi battitore libero, vale a dire quel Flecha che per sue caratteristiche non farà nemmeno podio. Hayman ottavo, e poi bisogna sfilare oltre il quarantesimo posto per raccogliere i cocci.

Ma la nostra memoria, oggi, non riterrà numeri, statistiche e strategie; semmai conserverà per sempre l’immagine di Boonen librato al di sopra delle gabbie tattiche, del “correre contro”, del “tenersi per”, liberatosi da tutto e da tutti grazie alla scelta pazza di rinunciare al proprio punto di forza (cioè quell’attesa della volata che l’avrebbe magari intrappolato), per mettersi in gioco in un tutto o niente, corsaro solitario nel mare polveroso delle pietre. Dal folle volo, all’olimpo del ciclismo.

Gabriele Bugada

LA FORZA DELLA SQUADRA

aprile 11, 2011 by Redazione  
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Ancora un 10 e lode e non poteva che andare al vincitore della classica del pavè, Johan Van Summeren, riuscito a sgominare non solo le pietre dell’Inferno del Nord ma anche una concorrenza di tutto rispetto. Elogi anche per Cancellara e tutte le seconde linee che, per una volta, si sono ritrovate davanti a giocarsi un posto al sole in una delle gare più nobili del calendario.

Foto copertina: Van Summeren esulta sotto il sole della Roubaix (foto Bettini)

Anche questa seconda Classica del Nord si conclude con la vittoria di un corridore, Van Summeren, che alla vigilia non compariva di certo fra i favoriti. Ottima, ancora una volta, la prestazione di Cancellara giunto alle spalle del vincitore. Corsa caratterizzata dalle innumerevoli cadute che hanno coinvolto, e messo fuori gioco, alcuni fra i favoriti come Boonen, Haussler, Pozzato e Chavanel. Disgustosa, ancora una volta, la condotta dei motociclisti al seguito della gara i quali ne hanno più volte influenzato l’esito, spesso in momenti topici. Ottima la prestazione di Alessandro Ballan che ha colto un meritato sesto posto.

Johan Van Summeren: vale il discorso fatto la settimana scorsa per Nuyens, vincitore delle Fiandre. La differenza sostanziale tra le due vittorie risiede nel fatto, però, che Van Summeren ha conquistato il successo dopo che, in fuga per quasi 70 km con un drappello di una ventina di corridori, ha saputo trovare le energie per salutare il resto della compagnia (lungo il famigerato Carrefour de l’Arbre) e percorrere in solitaria gli ultimi chilometri di gara. Dopo i buoni piazzamenti ottenuti in edizioni precedenti della corsa, finalmente anche Johan potrà annoverare, tra i suoi trofei, quello più prestigioso, l’ormai famoso blocco di pavè. Voto : 10 e lode

Fabian Cancellara: se la settimana scorsa potevamo imputargli di aver perso la gara per un errore tattico, questa volta l’atleta svizzero ha corso in maniera ineccepibile. Purtroppo, quest’anno, non può disporre di una squadra attrezzata per affrontare le Classiche del Nord e, conseguentemente, in grado di supportarlo. Così, Fabian, si è trovato stretto nella morsa di due formazioni (BMC e Garmin) che invece hanno saputo, per lo meno la seconda, sfruttare alla perfezione il gioco di squadra. E’ doveroso sottolineare che ha corso con entusiasmo tutta la gara e, anche quando al traguardo mancavano solo pochi chilometri e il successo di Van Summeren era quasi scontato, ha continuato a credere nella vittoria spremendosi fin sulla linea d’arrivo. Voto : 9

Maarten Tjallingii, Gregory Rast, Lars Bak: queste seconde linee hanno avuto l’intelligenza di cogliere il momento opportuno per andarsene dal gruppo di corridori avvantaggiatosi dopo la Foresta di Arenberg. Purtroppo, sulla loro strada, hanno incontrato Van Summeren che è molto più adatto di loro per le corse sul pavè. Rispettivamente 3°, 4°, 5° sul traguardo, possono ritenersi più che soddisfatti. Voto : 8

Alessandro Ballan: tornato a correre la Parigi-Roubaix dopo due anni, si è dimostrato davvero in forma. Dopo aver ricucito tutto solo e con relativa facilità lo strappo creato da uno scatenato Cancellara in uno dei tanti tratti di pavè, evidenziando una condizione di forma superlativa, si è trovato costretto ad obbedire ad una logica di gara della BMC (voto al direttore sportivo : 4) che, per favorire il compagno Quinziato rimasto nel gruppo di testa, ha finito per bloccare ogni eventuale tentativo di Ballan di giocarsi la vittoria. Voto : 8

Thor Hushovd: sicuramente uno dei più in forma insieme a Cancellara, ha finito per correre da stopper per tutta la gara, svoltasi all’insegna dei tatticismi. La Garmin è riuscita, quindi, come la Quick Step domenica scorsa, ad obbligare il campione elvetico ad esporsi in prima persona, assumendosi da solo il peso della corsa. Questa è la dimostrazione che, nel ciclismo di oggi, non solo nelle corse a tappe ma anche in quelle in linea il corridore, anche se campione formidabile, può vincere solo se ha il supporto della squadra. Voto : 7

Juan Antonio Flecha: bravo corridore da pavè, forse i suoi anni migliori sono già passati. Soffre le accelerazioni di Cancellara e Ballan, e, anche nel finale, si è dimostrato il meno brillante tra i favoriti. Riesce comunque ad entrare nella top ten. Voto : 6

Tom Boonen: la sua gara termina, di fatto, lungo la Foresta di Arenberg, dove un incidente meccanico lo mette fuori dai giochi. Bravo nella rimonta successiva, cade quando ormai stava per rientrare sul gruppo di testa. Può consolarsi con la vittoria nella Gand-Wevelgem. Voto : n.c

Filippo Pozzato, Heinrich Haussler, Sylvain Chavanel: altre vittime dell’Inferno del Nord, a differenza di Boonen tornano a casa con l’amaro in bocca per le occasioni mancate. Voto : n.c

Francesco Gandolfi

SUMMER(EN)TIME ALLA ROUBAIX. PER GLI ALTRI, CHIEDI ALLA POLVERE

aprile 10, 2011 by Redazione  
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Van Summeren finalizza la perfetta tattica Garmin in una Roubaix estiva. Nella polvere finiscono Boonen, Chavanel, Pozzato, vittime di cadute e incidenti. Cancellara domato da un Hushovd magistrale si scatena nel finale per fregiarsi almeno del podio, il terzo in tre “monumento”, ma ciò nonostante resta con un retrogusto di bocca asciutta. Buona la gara di Ballan.

Foto copertina: Van Summeren, dalla polvere alle stelle (foto Bettini)

Boonen si staglia nel cuore della foresta di Arenberg, la bici azzoppata, si guarda le dita sporche di olio nero come l’eroe di un kolossal che si scopre ferito a morte. Si asciuga gli occhi, più che le lacrime probabilmente è quel sudore che acceca quando, fermandosi all’improvviso, si gronda senza rimedio.

La gara fin qui era stata regolare: un’evasione precoce che diverrà poi la scommessa del giorno per l’Omega Pharma con Boucher, Greipel e Roelandts (aggregatosi dopo Arenberg); scommessa tuttavia persa, a differenza di quella spregiudicata di Tjallingi, che rilancerà fino al podio, alfiere di una Rabobank complessivamente positiva.

Arenberg, come spesso accade, è la svolta. Una svolta tragica per Boonen, che attende invano un cambio di bicicletta, rifiuta quella di Steegmans sperando di poter contare sul compagno per il recupero, infine riparte con un paio di minuti da recuperare sul gruppo.

Un’altra svolta, però, contraddistingue l’uscita dal micidiale settore: Boom aveva condotto sulle pietre un’offensiva veemente da vero crossista, e quando si torna a mordere l’asfalto promuove un’azione di peso assieme a Roelandts, come detto, e altri rappresentanti di rilievo delle principali squadre. Ci sono ottime seconde punte come Quinziato per la BMC di Ballan, o Van Summeren per la Garmin di Hushovd, Hayman per la Sky di Flecha, Bak per l’HTC, o veri e propri capitani di giornata come Cooke per la Saxo, e Guesdon per la FDJ. In breve queste forze vanno a ingrossare la fuga iniziale, e ad essi si aggiungono altri elementi in un secondo momento altre pedine fondamentali, come Degenkolb dell’HTC (bravo il giovanissimo tedesco), Rasch della Garmin o Leezer della Rabobank, utilissimi a rafforzare la rappresentanza e la capacità di sacrificio delle rispettive squadre, unitamente a Rast, lo svizzero che sarà capitano di giornata per la Radioshack.

Lo scacchiere tattico della giornata è quasi delineato a perfezione: gli ultimi tratti cruciali sono una foratura con successiva caduta di Chavanel, che liquideranno le residue speranze odierne di risultato per la Quickstep, assieme alla definitiva caduta di Boonen. Tom, parallelamente a quanto aveva fatto sul rettilineo finale del Fiandre, sfodera invano una classe e un’energia disperate: recupera quasi integralmente i due minuti di distacco accumulati sul peloton in Arenberg, per un poco aiutato da due compagni, ma ben presto solo, troppo superiore alle retroguardie stremate che sorpassa come un lampo. Un gesto tecnico impressionante, pur nella consapevolezza che il solo compierlo avrebbe tarpato ogni susseguente chance di vittoria (ma l’adrenalina a volte fa miracoli): se non che a poche decine di metri dalla coda del gruppo principale la caduta di un Rabobank travolge inevitabilmente e irreparabilmente anche Boonen. Risalirà in bici sotto la sferza della squadra, ma la sua Roubaix finisce di fatto qui, formalmente qualche inutile decina di chilometri più in là.

In molti, come spesso accade, cadono o rompono. Di meglio senza incidenti avrebbe potuto fare Boom, appiedato dal gruppetto che lui stesso aveva fatto decollare: ritornerà davanti nel finale, ma deprivato di posizioni e minuti preziosi. Il suo esempio, certo, potrebbe dire qualcosa a chi dopo una caduta è affondato, come Sagan (ma la gioventù è più che scusante) o soprattutto Pozzato; pur sempre considerando che c’è caduta e caduta, da alcune ci si rialza più malconci che da altre. Ma questa è l’ordinaria amministrazione della Roubaix.

A questo punto abbiamo davanti un gruppetto corposo, composto di apporti vari, ma senz’altro volenteroso e tutto sommato sostenuto da diverse coppie di squadre importanti. Il distacco oscilla costantemente intorno al minuto, salvo rare puntate intorno ai due. Dietro, Cancellara è costretto a sfiancare l’unico compagno superstite, un O’Grady ancora una volta straordinario nel suo farsi letteralmente uomo squadra: alla Leopard i nomi di spicco non mancano, sarà forse il caso di interrogarsi sulla loro gestione nella stagione e sull’acume strategico di chi siede in ammiraglia. Sa un po’ di beffa il fatto che Cancellara se ne sia andato dalla corte di Riis perché temeva che con Contador la squadra non si sarebbe focalizzata nel sostenere degnamente la campagna del nord cara alla svizzero! Nessun altro ha motivo di collaborare all’inseguimento, men che meno chi davanti possiede possibili corridori già in grado di realizzare delle top ten pur servendo da gregari.

Cancellara, improrogabilmente abbandonato ai -60km, è così forzato a prodursi in una serie di assalti feroci distribuiti negli ultimi dieci settori di pavé, a partire proprio dal durissimo Mons-en-Pévèle. Hushovd non gli concederà mai nemmeno un metro di spazio, mentre Ballan si dimostrerà sempre capace di rientrare in un secondo momento, sfogata la primissima fiammata dei due rivali. In queste occasioni Ballan dimostra invariabilmente una classe sopraffina, la capacità di recuperare gap anche importanti a un certo Fabian Cancellara tanto sulle pietre che sull’asfalto; la domanda è però se queste azioni del veneto fossero dettate da premeditazione (troppo violenta la fiammata di Cancellara così come quella di immediata reazione da parte di Hushovd, più consono alle corde di Alessandro un rientro in progressione considerando che all’esplosione dovesse seguire una velocità più ponderata) oppure da “distrazioni”: il secondo caso configurerebbe un vero spreco di forze di per sé però mirevoli, ma la ripetizione dello schema fa forse propendere per la prima opzione.
Il quarto uomo sarebbe Flecha, che però non mostra mai di avere il guizzo per recuperare quando l’azione è davvero nel vivo.

Cancellara deve così amaramente constatare che, pur esibendo una forma fisica che si direbbe finanche superiore a quella dell’anno passato, la stoccata vincente non è a sua disposizione, in assenza di condizioni di contorno favorevoli se non perfino provvidenziali. Al Fiandre 2010 Boonen collaborò con cavalleria perfino sfrontata e senz’altro esagerata, al Fiandre 2011 scopriamo che con un compagno di fuga più assennato come Chavanel il disco di Fabian non suona più allo stesso modo. Alla Roubaix 2010 la tattica dissennata di altri elementi del gruppetto (ostacolare Boonen e non inseguire Cancellara per distruggere il fiammingo?) favorì la ben nota cavalcata trionfale, alla Roubaix 2011 invece tutti gli altri finalmente si decidono a correre per vincere, fors’anche complice l’eliminazione “autonoma” di Boonen. Avrà un bel lamentarsi Cancellara, bussando perfino alle porte della ammiraglie Garmin e BMC, ma le sue rivendicazioni finali di avere il gruppo “che gli corre contro, per farlo perdere” sono abbastanza ridicole: la Garmin corre per vincere, avendo davanti l’atleta più forte in questa corsa di tutto il blocco dei fuggitivi, e altrettanto fa la BMC, con un rappresentante meno di spicco, ma pure validissimo quale Quinziato, epperò con un leader dietro quale Ballan sicuramente battuto in un finale ristretto tanto dal collega norvegese come dallo svizzero.

Cancellara rinuncia dopo “appena” una ventina di chilometri di assalti all’arma bianca, tira platealmente i remi in barca, e da dietro si materializzano i rientri. Cancellara presumibilmente sta rifiatando, in vista di una sparata finale: la stessa tattica che una settimana fa aveva adottato ai piedi del Muur, per poi provare nel tratto più impervio dell’ascesa una fucilata simile a quella dell’anno prima (abbiamo saputo da calcoli posteriori che quest’anno Cancellara ha scalato i 500m più duri del Muur vero e proprio in soli 5” in più che nel 2010). La Garmin studia e gestisce a meraviglia, recupera Vanmarcke da davanti e pure Rasch, li ruota come in un’orchestra, decide i tempi e i distacchi. Tutti i tentativi di Cancellara sono stroncati dall’implacabile campione del mondo.

Quando i primi raggiungono il Carrefour de l’Arbre, come ampiamente previsto, Van Summeren prende il volo. Lo rivedranno nel velodrono. Si segnala l’inseguimento disperato in particolare di Tjallingi, Bak e Rast, mentre Quinziato è beffato da una rottura della bicicletta proprio nel momento chiave. Passati i -5km là dietro Cancellara spara il suo colpo da finisseur rimuginato da un po’, e stavolta nessuno riesce a tenerlo, probabilmente perché le forze vengono meno assieme alla motivazione. La corsa è decisa, e solo lo svizzero ha il cuore smisurato di svenarsi per un piazzamento: d’altra parte forse ormai è solo lui ad avere qualcosa da dimostrare, ad essere lacerato tra l’umanità che gli fa ribadire quasi ossessivamente “nemmeno io sono una macchina”, e la brama di esibire una superiorità singolare schiacciante. Cancellara si mangia tutti, fuorché Van Summeren, che taglia il traguardo a braccia alzate diciotto secondi prima dello svizzero. Dietro volate e volatine, Ballan buon sesto ma soprattutto terzo “uomo più forte” dopo Cancellara e Hushovd.

Tuttavia la gloria luminosa in cui si è trasfigurata tutta quella polvere è per un uomo solo, e per la sua squadra, finalmente perfetta come un congegno a orologeria. Per gli altri, solo un pulviscolo di punteggi, chiacchere e interviste più o meno compiaciute. Per Boonen e la Quickstep, l’ombra nera di una maledizione.

Gabriele Bugada

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