VOGLIAMO LA POMPEIANA IN CAMPO!

marzo 25, 2010 by Redazione  
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La Milano – Sanremo lancia da diversi anni gridi d’allarme che gli organizzatori non hanno ancora colto. Il tracciato della “classicissima” non riesce più a reggere l’onda d’urto delle grandi velocità e, se non si interverrà, una delle corse più cariche di storia del calendario italiano diventerà una gara sempre meno amata dai grandi campioni, che preferiscono altri lidi più consoni ai loro mezzi. Bisogna ridonarle i fasti degli anni d’oro, quando sul traguardo di Via Roma furoreggiavano i grandi assi del pedale. Bisogna insaporire il finale e la Pompeiana potrebbe essere l’ingrediente giusto.

Foto copertina: l’altimetria ufficiale dell’ultima Milano – Sanremo (www.gazzetta.it)

Più tenaci di un picchio, più persistenti di Biscardi nel reclamare la moviola in campo, siamo ancora qui, come abbiamo già fatto in passato, a implorare il salvataggio della Milano – Sanremo.
Dopo l’infelice conclusione dell’ultima edizione della “corsa dei fiori”, che ancora una volta ha visto l’epilogo allo sprint, urge ancor più evidente la necessità salvare il prestigio della classicissima che, dati alla mano, si sta sclassicizzando sempre di più.
Che non sia più la Sanremo di una volta è evidente e basta semplicemente lasciar scorrere l’albo d’oro, sul quale s’evidenza una progressiva scomparsa dei nomi dei grandi campioni, scalzati da quelli dei velocisti (con tutto rispetto per le ruote veloci del gruppo).
Nei primi 50 anni di vita alla Sanremo le vittorie di sprinter erano eventi del tutto eccezionali, nonostante il tracciato non proposse nessuna difficoltà altimetrica dopo gli storici capi Mele, Cervo e Berta, in un’epoca, quella del ciclismo eroico, nel quale contribuivano alla selezione anche i pessimi stati dei fondi stradali. È proprio in quel periodo che si registrò un’impresa oggi impossibile e insuperabile, quella messa in atto sul Turchino da Fausto Coppi nella Sanremo del 1946, la prima disputata dopo due anni di stop forzato per il secondo conflitto mondiale. Il dopoguerra e la conseguente politica di ricostruzione arrecheranno benefici ovunque ma non alla Sanremo, dove la sistemazione dei principali assi viari italiani, e tra questi c’era e c’è ancora l’Aurelia, si portò via gli sterrati e le buche che costituivano uno dei principali ostacoli di gara.
Le conseguenze non tardarono a farsi avvertire poiché, una volta ultimati i lavori di asfaltatura, le volate diventarono sempre più frequenti sul traguardo di Via Roma. Non accadde subito ma a metà degli anni ’50 quando, nel volgere di breve tempo, si passò dagli altisonanti successi di Coppi e Bartali, dalla doppietta di Petrucci e dal successo di Bobet a tre arrivi allo sprint consecutivi: i due successi di Poblet, con la vittoria di Van Looy a far da spartiacque, fecero capire a Vincenzo Torriani che qualcosa andava cambiato. Continuando con quell’andazzo, la Sanremo sarebbe diventata una gara per velocisti, poco appetibile alle grandi firme del ciclismo, che avrebbero preferito concentrare i loro sforzi sulle classiche del nord anziché pedalare per 281 Km – questa la distanza della Sanremo “liscia” – e rischiare si sfasciarsi in volata, perché era una distanza che stava diventando meno abituale e in quelle condizioni – percorso facile, tanti all’arrivo – molti correvano il rischio di presentarsi in Via Roma con più stanchezza di corpo e minor lucidità di testa rispetto alla partenza meneghina.
Per scongiurare sia il pericolo delle cadute, sia una “perdita di tono” della classicissima, il mitico patron del Giro tirò fuori dal cilindro il Poggio, ascesa che ottenne l’effetto desiderato. Per una ventina d’anni l’onore della Sanremo fu salvato ed è grazie alla felice intuizione di Torriani che sulle strade liguri si vissero grandi pagine di sport, come i sette successi di Merckx (record tuttora imbattuto), le vittorie di scalatori del calibro di Gimondi e Poulidor, l’interruzione dell’egemonia straniera – che perdurava da 16 anni – per merito di Dancelli.
Le volate tornarono a mostrarsi più affollate verso la fine degli anni ’70 – il gruppo si era pian piano assuefatto al Poggio – ma riuscirono comunque a spuntarla atleti di spessore come Raas e De Vlaeminck. Torriani aveva imparato la lezione e così bastò la vittoria di Gavazzi (1980), uno dei velocisti più celebri dell’epoca, a suggerigli l’inserimento di una nuova asperità. Arrivò così la Cipressa, ascesa più dura del Poggio, non solo nel verso della salita (ne sa qualcosa Raas che, nel 1983, planando su Torre Aregai andò dritto in un tornante e finì nella scarpata) e anche stavolta lo spettro della volata fu esorcizzato. Tempo una quindicina d’anni e il gruppo ha imparato a domesticare anche questo nemico, tornando a consegnare la corsa nelle mani dei velocisti. Che tuttora la detengono saldamente perché i successori di Torriani, Castellano prima e Zomegnan poi, non hanno più avuto il coraggio d’osare.
È una corsa facile, si dice, è sarebbe un errore indurire il finale. E no! È vero il contrario, perché se era una corsa facile col cavolo che avrebbero potuto esprimere le loro potenzialità i vari Girardengo, Coppi, Bartali, Merckx e compagnia. Col cavolo che Torriani, ben conscio dell’eredità che gli era stata tramandata da Cougnet, sarebbe volutamente andato alla caccia di nuove occasioni per riquelibrare il percorso.
Gli attuali organizzatori, invece, hanno finito per far propria la diceria moderna e per comportarsi con i corridori come certi genitori troppo accondiscendenti. “Mamma voglio questo!” “Eccolo!”, “Papà voglio quest’altro!” “Tieni!”. Così si è educati i corridori e ci si educati a una corsa che “deve” essere facile, “deve” essere aperta ai velocisti. Ma perché non si prova a fare un piccolo esperimento mnemonico, provare a immaginarsi una Sanremo degli anni d’oro affrontata sul percorso d’oggi? Ci troveremo di fronte un palmares assai scarno di nomi illustri, con questi ultimi schierati ai nastri di partenza solo per far presenza e far parlare i giornali e scarse probabilità di vittoria, un po’ come accade con i grandi big che vengono a scaldare la sella sulle strade della Liguria.
MA QUESTA NON E’ LA MILANO – SANREMO!
È solo una delle corse più antiche del calendario che d’illustre ha solo il nome delle località che congiunge e che col tempo è destinata a sparire, com’è successo con classiche che erano ritenute prestigiose come la Milano – Torino e la Bordeaux-Parigi.
Bisogna saper osare perché inserendo una nuova difficoltà non si tradisce la corsa e la sua storia che, come abbiamo visto, in 103 anni, ha contemplato in diverse occasioni la scelta di una nuova rotta. Altrimenti si rischia di tradire la tradizione della classicissima e il ciclismo stesso, defraundandolo di una corsa che sta sempre più lentamente perdendo quel pathos che ne ha sempre permeato le battute finali. Se gli organizzatori non se la sentiranno, allora tanto vale attuare una drastica soluzione e trasferire la partenza lontano da Milano (a Pavia, Novi Ligure o addirittura ad Arenzano), gareggiando su una distanza che sicuramente farà contenti molti corridori e l’UCI stessa, che nelle ultime stagioni ha ridotto la lunghezza di diverse competizioni.
MA QUESTA NON E’ LA MILANO – SANREMO!
Allora salviamo questa classica, con la Pompeiana o con quale altro ingrediente! Basta con questo immobilismo!
Perché la Milano – Sanremo torni a essere la Milano – Sanremo.

Mauro Facoltosi

FOTOGALLERY
Abbiamo effettuato anche noi un piccolo esperimento , andando a ridisegnare il finale della Sanremo, che vi proponiamo nella versione classica e in quella “pompeiana”. I grafici sono stati realizzati con lo speciale programma online http://tracks4bikers.com, che opera mediante rilievi altimetrici satellitari e l’esame comparato con le carte stradali di Google Maps.

Il classico finale della Sanremo con i tre capi, Cipressa, Poggio e nuovo traguardo

Il classico finale della Sanremo con i tre capi, Cipressa, Poggio e nuovo traguardo

Con la Pompeiana sarebbe così

Con la Pompeiana sarebbe così

Il grafico relativo al nuovo tratto

Il grafico relativo al nuovo tratto

LE PAGELLE DELLA CLASSICISSIMA: MODOLO IL MIGLIORE DOPO FREIRE

marzo 22, 2010 by Redazione  
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A spuntarla, per la terza volta in carriera, è stato l’iberico Oscar Freire Gomez che, sul lungomare Italo Calvino, ha regolato in volata un gruppetto composto da una trentina di unità. Piazzati, nell’ordine, Boonen e Petacchi. Ma tra i due quotati litiganti per il piazzamento la figura migliore l’ha fatta un giovane, il neoprofessionista Sacha Modolo, autore di quarto piazzamento che ha del prodigioso: sentiremo ancora parlare di lui.

Foto copertina: Sacha Modolo in azione nella 101a edizione della Milano – Sanremo (foto Bettini)

OSCAR FREIRE GOMEZ. Campione di scaltrezza ma anche di umiltà. Conosce alla perfezione i propri mezzi e, grazie a questa consapevolezza di sé, lo spagnolo riesce a sfruttare a proprio vantaggio le varie situazioni che si sviluppano durante la corsa. Bravissimo “limatore”, non lo si nota mai nelle prime posizioni, a differenza dei suoi avversari più quotati, salvo poi palesarsi tra i primi negli ultimi mille metri di gara. Le numerose curve presenti sul lungomare Italo Calvino non favoriscono, inoltre, quelle volate lanciate tanto care ai velocisti più potenti. Freire non fa parte di quest’ultima categoria e ha, conseguentemente, potuto impostare uno sprint, quello a lui più congeniale, basato maggiormente su accelerazioni repentine che non su progressioni maestose. VOTO: 10

TOM BOONEN. Il dominatore delle classiche fiamminghe degli ultimi anni non sembra trovare il giusto feeling con la Classicissima. Eppure la pioggia che si è abbattuta sui corridori nelle prime fasi della gara avrebbe dovuto favorire gli uomini del Nord, quelli come Boonen. Sempre nelle prime posizioni sui Capi, già sulla Cipressa appare affaticato e, infatti, alleggerisce il rapporto per salvare la gamba in vista degli ultimi chilometri. Sul Poggio paga lo scatto, per quanto timido, di Gilbert e nel finale non riesce, quindi, a sprintare con la potenza necessaria per trionfare. VOTO: 8


ALESSANDRO PETACCHI.
Il velocista spezzino pedala vigorosamente su tutte le asperità del percorso (forse come mai nella sua carriera), sul Poggio resiste stoicamente a Gilbert e Pozzato scollinando nelle primissime posizioni. Nel finale non è supportato dalla squadra e coglie un terzo posto che gli lascia l’amaro in bocca. Deve, invece, essere soddisfatto della sua prestazione perchè non sono tanti i velocisti, e i ciclisti in generale, che possono vantare un terzo posto alla Sanremo a trentasei anni suonati. Bisogna, poi, ricordare che Petacchi non ha mai amato, a differenza di Freire, i finali troppo insidiosi. VOTO: 8

SACHA MODOLO. Il neoprofessionista della Colnago corre alla Freire, sempre nascosto. Imposta una volata da una posizione arretrata ma, grazie a una rimonta sublime, agguanta un quarto posto che ha dell’incredibile. Ne sentiremo ancora parlare. VOTO: 9

FILIPPO POZZATO. Il campione italiano mette alla frusta la squadra sin dalle Manie, corre con autorevolezza, ma al vento, tutta la corsa. Quando Gilbert scatta sul Poggio Pippo lo passa con facilità, tuttavia non intuisce che quello è il momento buono e non dà continuità all’azione. Ci prova anche dopo la discesa ma una corsa interpretata troppo dispendiosamente, non gli permette di resistere più di cinquecento metri al rientro del gruppetto inseguitore. Con una condizione del genere, non sarebbe stato meglio giocarsi le proprie carte in volata? VOTO: 7


DANIELE BENNATI.
Non ci siamo. L’aretino gestisce male se stesso e la squadra. Incomprensibili i tentativi di Nibali, Kreuziger e Pellizotti che non fanno altro che appesantire le gambe già affaticate del capitano. Sul Poggio, Daniele si salva col rapportino e, anche se pilotato da un ottimo Oss, in volata s’incurva, sbuffa e non riesce a mulinare come dovrebbe. Se vorrà trionfare, in futuro, dovrà cambiare più mentalità che preparazione. VOTO: 5,5


FRANCESCO GINANNI
. Molto attivo, il giovane toscano, specialmente in discesa. Corre con intelligenza e, al momento opportuno, sa prendersi dei rischi come ci aveva già abituato, in passato, Mirko Celestino. In effetti, come caratteristiche, ricorda molto il ligure che adesso si dedica alla mountain bike. In futuro farà sua la corsa: ci è già andato molto vicino. VOTO: 7,5

STEFANO GARZELLI. Il recente vincitore della Corsa dei Due Mari corre tutta la Classicissima in funzione del compagno di squadra Paolini. Encomiabile il lavoro del varesino che sul Poggio traina il gruppo con grinta e caparbietà. Purtroppo, le trenate di Stefano stancano sia i velocisti sia Paolini, che taglia il traguardo nell’anonimato. Peccato. VOTO: 7

FABIAN CANCELLARA. Abbiamo ancora negli occhi la sparata che ha permesso all’elvetico di vincere l’edizione 2008. Anche quest’anno appare tirato ma la condizione, evidentemente, non c’è. VOTO: 4


MARK CAVENDISH
. Quest’anno non ha finto, alla Tirreno, di staccarsi in salita. La gamba non gira davvero e già le Manie lo escludono dal lotto dei possibili vincitori. Si rifarà. VOTO: 4

Francesco Gandolfi

PIOMBO ROVENTE: FACCE DA NORD PER IL MONDIALE DI PRIMAVERA

marzo 20, 2010 by Redazione  
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Tripla Sanremo per il triplo campione mondiale: Freire lavora di lima ed è il più brillante e bruciante in fondo a una gara tirata, col gruppo stiracchiato e spezzato ma infine ricomposto per una volata quasi ristretta. Smorfie infangate, vento in faccia, trionfa il più forte.

Foto copertina: il tris di Freire alla classicissima (foto Bettini)

Gara bagnata, anche se non inzuppata come previsto: la primavera di Sanremo sembra belga, dalla nebbia del Turchino sbucano tre attaccanti: Caccia per la ISD che intuisce di non potersi fidare di Visconti, squagliato nel finale; Piemontesi per la Androni che cerca la gara dura; Ratti per una Carmiooro che cerca qui – come può – di giustificare la propria presenza in corsa. Vantaggio massimo di venti minuti, e nessuna speranza, ma tanto basta per un avvio veloce e cattivo nel quale Freire racconterà di aver intravisto le premesse del proprio successo.
Giù dal Turchino l’Acqua & Sapone pesta sull’acceleratore coadiuvata dalla Katusha, chiarendo subito che non sarà una giornata amena e amica allo sbocciare di giovani virgulti come fu l’anno scorso. Il gruppo si spacca in due tronconi, e dietro resta subito Cavendish, appesantito, con un Cunego abbastanza provato. Cade Fischer, ed è una pessima notizia per la Garmin che con un Farrar smarrito svanisce completamente dalla competizione. Sulle Mànie la Katusha lavora di prepotenza con Ivanov e Kolobnev, i velocisti più quotati reggono bene, premurandosi di presidiare le prime posizioni (Petacchi, Boonen, Bennati) ma le tossine si accumulano. In fondo alle Mànie, però, la collaborazione resta troppa ridotta, l’Acqua & Sapone ha il solo Failli da giocare e Pozzato ordina di ammainare le vele: il gruppo si ricompone, e ha spazio una nuova azione interlocutoria pressoché esclusivamente televisiva nei propri fini in attesa della Cipressa, dentro la quale segnaliamo Bouet (Ag2R) che la inizia, Grabovsky (ISD) che la protrae più a lungo, e Monfort (HTC) come nome “di spicco”, se così lo possiamo ancora definire. Mori e Mazzanti bravissimi stopper per Lampre e Katusha.
La stanchezza pesa, sfianca e viene a galla lungo la Cipressa su visi straniti, sporchi, tesi, l’Androni alza il ritmo con uno scalpitante Ginanni, la Liquigas fa rullare a tutto ritmo Kreuziger; in fondo alla discesa, disegnata tutta camminando sulle corde da Ginanni, il gruppo sembra rompersi ma si opta invece per il ricompattamento: Offredo della FdJ riempie la casella obbligatoria dell’attaccante alla cieca, mentre dietro si va a pieni giri in un peloton che arriva a stento alle quaranta unità.
Le energie sono quindi al lumicino non solo nei serbatoi dei singoli, ma anche in quelli delle squadre, decimate. Il Poggio è macinato da un encomiabile Garzelli, in un estremo tentativo della A&S che però non finalizzerà con un Paolini non in vena. Si fan vedere davanti anche Gilbert e Pozzato, inevitabilmente, ma il vento fortissimo è andato ad aggiungersi al cocktail da Fiandre di questa giornataccia: la dimostrazione più evidente ne è il tentativo di Rogers, letteralmente schiantatosi contro una muraglia di aria che lo schiaffeggia e lo inchioda. Impressionante, letteralmente impressionante, un Petacchi che non sente la catena e non molla mai le prime quattro posizioni del gruppo allineato e in apnea. Giù dal Poggio è Nibali che prova le proprie doti da discesista, in compagnia del solito Ginanni e di Hushovd.
Si arriva all’ultimo paio di chilometri, l’adrenalina è alle stelle e Nibali allunga ancora, Pozzato lo aggancia e lo salta, ma la muta sparuta di mastini inseguitori non molla. Il finale è all’insegna di un monumentale Oss, che col suo fisico statuario rompe il vento per tutti i sopravvissuti trascinando coi denti Bennati fino agli ultimi duecento metri. Bennati però, nonostante l’impresa del compagno, è decisamente troppo avanti: una volata così interminabile sarebbe anche nelle sue corde, ma non certo dopo una gara così che lo aveva visto al gancio già lungo il Poggio.
Alla ruota di Bennati è comparso Freire. Senza squadra, mai in vista per tutta la gara: è vero, con tre vittorie in questo avvio di stagione, ma parse arrivare così, quasi per caso; tant’è che la stampa specializzata non lo metteva nemmeno sul podio dei favoriti. Ma questo è Freire, questa è da sempre la sua storia. Un assassino da delitto perfetto, l’ennesimo capolavoro del 34enne che si conferma uno dei pochi grandi veri campioni dell’ultimo decennio: per lui una Sanremo ogni tre anni. Freire vince praticamente per distacco, con uno scatto al fosforo che incenerisce Boonen, il quale peraltro era perfettamente piazzato alla sua ruota ed era parso pimpante e a proprio agio su ogni salita. Petacchi è buon terzo, quarto il vispo e giovanissimo Modolo, l’unica baby-face in un ordine d’arrivo per gente ruvida “da barba incolta”. Bennati scivola al numero cinque, seguito da Hushovd e Ginanni.
Bella Sanremo, grigia come il piombo nei cromatismi climatici ma arroventata da un’alta tensione costante: la vince un fenomenale proiettile arancione. Bene Petacchi, forse tradito dalle proprie ottime sensazioni: stare in terza o quarta posizione quando il vento è contrario comunque logora. Bene Boonen, gara perfetta, ma la Sanremo assume per il belga sempre più il connotato di “classica maledetta”. Eccellente Modolo; grande protagonista l’arrembante Ginanni, forse non abbastanza supportato da Scarponi e dalla squadra in generale: chissà se non avrebbe potuto raccogliere di più con un’azione singola al 110%. La Liquigas come spesso le accade fa e disfa, presente, attiva, competitiva, ma le tante idee sono confuse… con Nibali che a posteriori sarebbe stato meglio impiegato come vagone supplementare del treno: il messinese sta sbagliando spesso i tempi, e se non mette a punto il proprio “orologio interiore” di gara rischia, mancando di spunto veloce, di vedersi limitato nelle corse in linea (l’attiva partecipazione alle quali è di per sé titolo di merito per un atleta da GT). Pozzato forse l’uomo più in gamba oggi, la sua formazione l’ha appoggiato più che degnamente, ma lui pure ha forse pagato il medesimo dazio che Petacchi: in queste condizioni l’essere sempre in prima linea comporta dei costi che quando si sta bene non si avvertono… fino a che non sia troppo tardi. Comunque il vicentino è stato punito oltremisura, soprattutto a causa dell’impossibilità di agire sul Poggio a causa del vento. Buona prestazione collettiva dell’A&S, smussata dalla giornata no di Paolini. Delude Gasparotto per l’Astana, si conferma sveglio e attento Iglinsky. Disperso Boasson Hagen, solo Flecha ammicca qua e là per un impalpabile Sky (in volata lo spagnolo fa perfino involontariamente “il buco” a danno di Petacchi), Garmin a zero, Columbia a zero virgola uno con Cavendish che c’è giusto per onor di firma – e qualcosa è – più un volenteroso (ma solo quello) Rogers; galleggiano ma senza incisività alcuna Cancellara e Breschel per la Saxo; ridicolo se non vergognoso a questo punto l’invito alla RadioShack (team fantasma anche BMC, BBox, Euskaltel, Caisse: per una delle gare con più partecipata del calendario – non solo la più lunga – qualche riflessione sugli inviti si impone).

Gabriele Bugada

FAR FROM SANREMO: L’ULTIMA SPIAGGIA DEL MORALISMO

febbraio 26, 2010 by Redazione  
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Sanremo di esclusioni, gli umoristi si sono già giocati la battuta: via dal festival canoro Morgan, fruitore confesso di droghe, e via dalla Milano-Sanremo Riccardo Riccò, fruitore confesso di doping. Che intanto avrebbe anche scontato la squalifica. Se non che…

Foto copertina: vista panoramica di San Remo (panoramio)

1- LA VICENDA
Di Riccardo Riccò ricorderemo sempre, comunque scorra il resto della sua carriera, quello scatto sul Poggio nel 2007: uno scatto letteralmente annunciato eppure irresistibile, uno scatto che il doping non sa regalare a nessuno che già non lo abbia nelle gambe e nell’animo; ovvietà che, se ce ne fosse bisogno, le ondulazioni rivierasche ci hanno dimostrato nel 2008 e soprattutto nell’ancora più torpido 2009, quando il gruppo – non certo più pulito – è tornato a “vegetare”, a sbrigare il compitino prescritto, al massimo a stiracchiarsi, non a esplodere in salita attacchi da “tutto o niente”. Attacchi che facciano male, e che proprio perciò suscitino qualche malumore: tanto più se sfrontatamente annunciati.

Sembrava allora una fausta ricorrenza che la squalifica – ridotta infine dal TAS nonostante l’accanimento nei ricorsi della procura CONI (che differenza con Sella, che si è visto dimezzare la pena per denunce se non false quantomeno confuse) – si esaurisse proprio un paio di giorni prima della Classicissima del prossimo 20 marzo. Il palcoscenico su cui si era celebrata la definitiva alba professionistica di Riccò (invero già assai in vista alla Tirreno-Adriatico 2007) sarebbe stato quello su cui ne riocchieggiasse l’astro dopo un inverno durato un paio di anni.

Ma come gli inverni peggiori, anche questo si inasprisce nel finale, in una coincidenza wertheriana tra l’inclemenza di una stagione meteorologica spesso sottozero e i rigori di una vicenda dai colpi di scena drammatici. Il 10 gennaio 2010, nel fango dell’Idroscalo di Milano, si tengono i campionati nazionali di ciclocross: in particolare Vania Rossi, compagna di Riccò e da pochi mesi madre del loro figlio Alberto, correrà per raggiungere un secondo posto quasi scontato (troppo il divario tra Lechner e lei, ma anche tra lei e tutte le altre); meno di tre settimane dopo, ecco la notizia di una sua positività al CERA, lo stesso prodotto costato a Riccò la lunga squalifica. Passano pochi giorni e il 10 febbraio RCS annuncia le squadre invitate alle proprie gare di inizio stagione, Strade Bianche, Tirreno-Adriatico, Milano-Sanremo. La Flaminia, squadrà di Riccò, non è invitata a nessuna di queste competizioni. Nel giro di quattro giorni, in un 14 febbraio evocativo di feste futili e amari anniversari, la Gazzetta dello Sport dà spazio alla scomposta reazione di un McEwen indignato perché i “curatori di immagine” di Riccò hanno rilasciato un comunicato stampa in cui si annuncia il distacco sentimentale tra Riccardo e Vania. Gli strepiti del funambolo australiano sono solo la punta dell’iceberg di un chiacchericcio serpeggiante per la rete e nell’ambiente, che copre l’intera gamma che va dal complottismo difensivista all’indignazione scandalizzata. Contro Vania Rossi, contro Riccardo Riccò, pro Vania, pro Riccardo… tutte le combinazioni sono sperimentate, nell’inevitabile ignoranza della vera storia di queste persone, tutti appigliandosi però alla natura intrinsecamente pubblica di quel comunicato.

Fin troppo facile ipotizzare, vista la tempistica, una mossa disperata per levare ai censori un “motivo etico” di esclusione di Riccò dalle gare: anche se la coppia non è sposata, ci pensa l’automatismo del pensiero qualunque ad accomunarli nella buona e nella cattiva sorte. Ma specialmente nella cattiva. E si finisce per ipotizzare “una strategia” anche perché altrimenti non si spiegherebbe tutta questa necessità di diramare comunicati stampa su fatti privati. O forse si può spiegare, questa necessità di Riccò, con la confusione imperante tra le due sfere, per cui il legame personale di una coppia diventa pretesto, mai dichiarato esplicitamente, per penalizzare in eventi pubblici e generali l’una persona per colpe (diciamo così, pur in attesa di controanalisi, pur in assenza di confessioni) che sono altrui, con buona pace del concetto giuridico di responsabilità personale.

Ma non vogliamo dilungarci su una faccenda in merito alla quale, come detto, di parole ne sono già state spese tante. Tornando indirettamente anche a Morgan, all’altro Sanremo, però qualche interrogativo che valga la pena di porsi rimane.

2- L’ARBITRIO DI BANDIRE
La prima domanda riguarda l’arbitrio del potere che ammette ed esclude. Gli organizzatori delle corse hanno condotto nel ciclismo una lunga battaglia politica per avocarsi maggior potere in direzione delle ammissioni e delle esclusioni per le gare. Questo sottointende, giustamente, la compresenza di diversi criteri, potenzialmente confliggenti a livello locale di contro al livello UCI: si può preferire una squadra della nazione in cui si gareggia, o internazionalizzare la competizione; si può puntare su giovani motivati di piccole squadre, o su sponsor grandi che hanno investito molto sul ciclismo, anche se poi non portano in gara i pezzi da novanta; si possono volere squadre complete, o squadre che “si specializzino” in volate, o fughe, o traguardi volanti. Quello che in ogni caso sarebbe apprezzabile è che il criterio della selezione fosse in qualche maniera sportivo, e almeno blandamente coerente, giustificabile; per evitare che il processo di selezione non serva soltanto a esprimere faide o ritorsioni. A premiare il “reality show” di una rete piuttosto che quello concorrente, se vogliamo parlare di Morgan… Purtroppo nel caso della Flaminia – di per sé squadra non trascendentale – riesce difficile capire perché essa sia stata esclusa, non diciamo da Strade Bianche (15 team) e Tirreno-Adriatico (22 team) ma perfino dalle 25 squadre della Milano-Sanremo, una selezione quasi onnicomprensiva che vede ammesse delle vere e proprie squadrette (senza offesa, anzi se vogliamo diciamolo come titolo di merito: ma in ciò non dissimili dalla Flaminia) come la Colnago o la Carmiooro; esempi che valgono anche a dire come non sia criterio vincolante una presunta “etica pregressa”. Non parliamo poi di formazioni straniere di dubbio spessore come la Bbox.
La conferma, in questo caso, la danno gli stessi “selezionatori”: la Gazzetta dello Sport titola la propria notizia con cui segnala gli inviti “Niente Sanremo per la Flaminia di Riccò”. Inequivoco. Il centro della notizia è quello! Tanto più che ricordando, a fine pezzo, l’unica altra formazione italica di certo quale rilievo esclusa (peraltro non dotata di wild card, a differenza della Flaminia, cui invece l’UCI ha riconosciuto tale status), l’articolista ritiene di precisare: “Nessun invito per la Flaminia di Riccò e per la De Rosa, ex Lpr”. Come a dire, la De Rosa – ricordiamocelo – era la LPR (quella di Di Luca, Bosisio)… mentre la Colnago non viene affatto denominata come la “ex CSF”. E la Flaminia non è, che so io, la squadra di Noè, o di Anzà, o di Enrico Rossi, o di quel Caruso che ha scontato da innocente un esilio lunghissimo per OP, o magari la squadra diretta da Petito. O, più banalmente, più giustamente – come è per tutte le altre – solo “la Flaminia”. Deve essere “la Flaminia di Riccò”.

3- IL FILO DELLA MORALE
A questo punto si intravede la grande trappola della “morale”, quella ghigliottina armata di buon senso e affilata di battutine ipocrite al vetriolo.
La morale che suggerisce che Morgan non debba andare a Sanremo perché “sarebbe un cattivo esempio”. Ma sarebbe un cattivo esempio perché ha ammesso una pratica che dilaga nel mondo dello spettacolo (certo), in parlamento (certo), nella società tutta (lo dimostrano le analisi dei liquami fognari)? Ma allora il drogato Morgan è cattivo esempio perché “lo fa” o perché “ha detto” di farlo? Non si va a Sanremo in quanto si è un cattivo esempio, o invece perché si è meritata una punizione, per frasi avventate, fuori dalle convenzioni tacite? E soprattutto, cattivo esempio per chi? Per chi ancora non se ne è trovato uno da seguire, di cattivo esempio, magari in famiglia, o il capo sul lavoro, o il cantante preferito, il conduttore tanto seguito, il calciatore tifato, il politico votato sulla scheda elettorale? Il mondo è pieno di cattivi – anzi: pessimi – esempi, ma a Sanremo no, non ne vogliamo: niente cattivi esempi!, per fare spazio invece ai quanto buoni esempi di adolescenti (poco più che adolescenti, o nemmeno adolescenti) già abituati a prostituire integralmente la propria vita emozionale in un’esibizione non solo dei propri presunti talenti ma soprattutto dei propri sentimenti, facendo spettacolo e immediato mercimonio delle passioni, delle speranze, delle delusioni? I buoni esempi del nazionalismo ottuso e banale, il buon esempio di principi ballerini o quello di smerciatori di pacchi milionari? Il buon esempio di battute al sapor di provolone?
Su uno schermo improntato al rigore, all’onestà intellettuale, al decoro nel senso più alto del termine, siamo d’accordo, forse Morgan sfigurerebbe. Ma al contrario dentro questa cornice, in che cosa stona Morgan? Stona nell’essere della parte sbagliata, nell’essere appena appena anticonformista, ma anche quell’anticonformismo di facciata è già troppo. Solo che forse questi non sono difetti da gettare via, bensì da difendere, nel loro essere difetti, come una riserva indiana di diversità, di potenziale novità, non diciamo di rottura degli schemi (che sarebbe senz’altro dire troppo) ma per lo meno di rimescolamento delle carte.

4- BRUTTI, SPORCHI E CATTIVI
Torniamo allora a Riccò e alla Flaminia, per chiederci se il principio che li “condanna” e li esclude (almeno per adesso), faticando a identificarsi con un principio tecnico non sia piuttosto un principio “morale”, ma “morale” nel senso che abbiamo appena detto. Nel senso, cioè, che a essere definiti immorali in un mondo di radicale immoralità – ormai inghiottita intera e digerita – sono piuttosto i fastidiosi, non i “cattivi” in quanto tali. Non dico con questo che i fastidiosi siano buoni, anzi: possono essere buoni o cattivi, o – è il caso più comune – né buoni né cattivi ma umani come tanti altri; però sono fastidiosi al senso comune, antipatici, e questa antipatia invece che essere riconosciuta col suo nome diventa un marchio… quello lì è “immorale”, lui sì che è un “truffatore”, un “cheater”, lui non lo vogliamo più vedere. Nessuno chiede conto ad Andy Schleck delle gravi magagne in cui è incorso il fratellone (in verità nessuno ne chiede più conto nemmeno a Frank…), ma il conto per le magagne di Vania Rossi lo si presenta a Riccò, e quindi – quel che è peggio – alla Flaminia. Basso “si pente”, ed è subito grande ciclismo. Riccò agli occhi del pubblico non potrà mai “pentirsi”, al massimo potrà… “spergiurare di essersi pentito”; potrà porgere l’altra guancia dopo i ceffoni di Cavendish e Pinotti (tutta gente che corre per una formazione immacolata, vero?!), ma otterrà solo uno schiaffo ancora più duro da McEwen.
E non è tanto questione di comportamenti, badiamo bene: pochi in gruppo si sono comportati peggio di un Lance Armstrong, per dirne uno eclatante, che ne ha fatte di tutti i colori l’altroieri come oggi; ma Armstrong non è “antipatico”, non al gruppo, non all’UCI, non agli organizzatori, non a milioni di fans almeno (forse a qualche bastian contrario, ai francesi e a Contador). La simpatia, e quindi quella meravigliosa moralità che ti rende pulito e complimentato nonostante un hattrick di “infortuni” col doping, si misura con l’applausometro del potere e con l’organicità rispetto a una macchina ben oliata. Riccò non ha fatto in tempo a “comportarsi” davvero male, cioè a fare cose brutte come minacce, o insulti personali, o sottrarre vittorie beffando chi ha lavorato di più: ha fatto però in tempo ad ATTEGGIARSI male, molto molto male. Proprio come Morgan.

E nel nostro grande teatro, che ogni giorno è più abituato a ospitare una farsesca messinscena piuttosto che l’attenzione al sostanziale, il crimine peggiore, l’immoralità più grave, è esattamente questo: il CATTIVO ATTEGGIAMENTO. Si configura un delitto di immagine, e la pena a ciò relativa pare proprio che Riccò la debba ancora scontare.
(Morgan per conto suo sembra già più bravo a galleggiare: non ha bisogno, lui, di quei – peraltro pessimi – consulenti di immagine; i diavoli più poveri, tra i diavoli, son sempre ciclisti).


POST SCRIPTUM

Con tutto ciò, chissà mai che il mancato invito alla Sanremo non fosse stato concordato in qualche modo con la Flaminia, ad esempio nell’impossibilità di avere un Riccò competitivo con i soli allenamenti fuori gara. Ipotesi peregrina, ma buona come altre in un ciclismo di accordi sottobanco più che mai. Mal si accorderebbe con le altre tensioni da “reality show”, ma forse tutto fa brodo per lo spettacolo; nel dubbio noi “facciamo finta” che le cose siano… più o meno come sembrano!

Gabriele Bugada

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