IL FANTASMA DI VINOKOUROV NEL CUORE DELLE ARDENNE
aprile 24, 2012 by Redazione
Filed under 7) LIEGI - BASTOGNE - LIEGI, Approfondimenti
La Decana delle Classiche, giunta alla sua 98ª edizione, premia la sagacia tattica degli atleti Astana che concludono, grazie al trionfo di Iglinsky e al terzo posto di Gasparotto, una settimana fantastica iniziata con il successo all’Amstel Gold Race, di domenica scorsa, dello stesso atleta italiano. Punita, invece, l’esuberanza di Vincenzo Nibali che, dopo una splendida azione, si “pianta” letteralmente nel finale di gara. Prove del tutto deludenti hanno offerto i fratelli Schleck e Philippe Gilbert.
Foto copertina: Iglinskiy bacia il trofeo spettante al vincitore nella “Doyenne” (foto Bettini)
Maxim Iglinsky: il tenace atleta dell’Astana, che avevamo imparato ad apprezzare per le sue qualità di “solido” ciclista da pavé, oggi si è confermato come uno degli elementi migliori usciti dalla grande scuola del ciclismo kazako la quale ha, ovviamente, in Alexandre Vinokourov il proprio punto di riferimento. Anche se quest’ultimo (impegnato al Giro di Turchia per affinare la gamba in vista dell’imminente Giro d’Italia) non ha potuto essere al via di quella che può essere considerata a pieno titolo la “sua” corsa (ha trionfato nel 2005 e nel 2010), deve aver dato ottimi consigli ai ragazzi del team, almeno a giudicare da come hanno interpretato questa settimana di Grandi Classiche. In particolare Iglinsky, che si era già dimostrato in ottime condizioni di forma sia all’Amstel che alla Freccia, è stato impeccabile: ha saputo sfruttare alla perfezione la superiorità numerica creatasi nel finale di gara ed è stato bravissimo nel gestire le energie, ben consapevole che alla Liegi gli sforzi inutili o gli eccessi si pagano sempre. Freddezza e lucidità in corsa sono sempre state le principali caratteristiche di Vinokourov e lo stesso modo di pensare e di agire del “Capo” lo hanno ereditato i suoi corridori. Voto: 10
Vincenzo Nibali: al Giro di Lombardia della passata stagione aveva entusiasmato tutti grazie all’azione solitaria iniziata sul Ghisallo, dove era riuscito a fiaccare le resistenze di Gilbert con una progressione memorabile. All’euforia era poi seguita la delusione, nel momento in cui la fuga del siciliano era stata annullata. Oggi si è riproposta una scena analoga sulla salita “dei Falconi” quando l’atleta Liquigas, dopo due rasoiate assestate per bene, è riuscito a sbarazzarsi della compagnia dello stesso Gilbert e di Vanendert e sembrava destinato a conquistare la Doyenne. Peccato che si sia riproposto anche il medesimo epilogo del Lombardia, con Iglinsky, capace di riprendere e staccare di netto il siciliano ormai esausto. La sensazione è che l’atleta non sappia ben gestirsi, a differenza di chi l’ha battuto quest’oggi, nei finali di gara (probabilmente la “cotta” è stata causata da scarsa alimentazione) e in particolare quando si trova in fuga solitaria. È essenziale, per un atleta dalle sue caratteristiche, porre subito rimedio a questo deficit tattico se vorrà un giorno vincere una Grande Classica, dato che, non essendo veloce, si troverà sempre costretto a provare ad anticipare i suoi avversari con azioni da lontano. Bisogna solo augurarsi che ora i tecnici della squadra lo selezionino per il Tour de France e non per il Giro d’Italia, dal momento che difficilmente potrebbe mantenere questo stato di forma fino al termine della corsa rosa. Voto: 8
Enrico Gasparotto: dopo il successo all’Amstel arriva anche questo inaspettato terzo posto alla Liegi. Molto bravo nello svolgere il ruolo di stopper per favorire il compagno di squadra Iglinsky, ormai in fuga da qualche chilometro, è stato capace di compiere una bellissima progressione al termine della Cote di Ans. Se vederlo tra i primi sui muri che caratterizzano la classica olandese non è stata una novità, trovarlo battagliare per vincere questa corsa monumento è stata l’ennesima, piacevolissima sorpresa che ci ha riservato il ciclista veneto questa settimana. Al termine di questa campagna del Nord ci troviamo, cioè, di fronte ad un atleta maturo, sicuro dei propri mezzi, in grado di resistere anche sui percorsi più esigenti e su cui potremo contare nei prossimi anni. Voto: 8
Thomas Voeckler: davvero encomiabile la grinta dell’alsaziano che, in evidente ottimo stato di forma,viene messo fuori gioco a causa di un problema meccanico che lo obbliga a profondersi in uno sforzo inutile per poter rientrare nel gruppo principale. Nonostante questo, da suo solito, non s’è perso d’animo, ed è andato a cogliere il suo più bel risultato (quarto all’arrivo) in una delle classiche più importanti del calendario internazionale. C’è da credere che, se non avesse avuto quell’incidente, sarebbe stato il primo a scattare lungo il falsopiano che segue la Roche aux Faucons, il quale sembra disegnato apposta per le sue caratteristiche tecniche. Voto: 7
Daniel Martin: è sicuramente un gran fondista, sul Saint Nicolas si dimostra uno dei più freschi e si rende protagonista di una importante progressione proprio sulla “salita degli italiani”. La vittoria nella Tre Valli Varesine di qualche anno fa non è stato, evidentemente, un caso. Data la giovane età potrà sicuramente, in un futuro ormai non lontano, ottenere la vittoria nella corsa. Voto: 6
Michele Scarponi: al di là dell’ottavo posto finale raggiunto, quello che è importante evidenziare è la condizione in vista del prossimo Giro d’Italia, obiettivo numero uno dello scalatore marchigiano. I segnali dati sono incoraggianti e, anche se sulle ultime salite, la pedalata è un po’ legnosa, il tempo per migliorare c’è. Questo piazzamento rappresenta un’ottima base su cui lavorare. Voto: 6
Samuel Sanchez: quest’anno doveva assolutamente far sua la corsa, o almeno essere lì a giocarsela con i migliori, dato che ormai le primavere del corridore spagnolo sono 34 e le possibilità di vincere la Liegi nei prossimi anni sono davvero ridottissime. Come possibile attenuante della mediocre prova dell’olimpionico bisogna segnalare l’inconveniente meccanico occorsogli a circa 50 km dal traguardo, ma è davvero deludente vedere un ciclista del suo calibro concludere la gara con un misero settimo posto, al termine di una corsa a dir poco opaca. Voto: 5,5
Damiano Cunego: com’era ampiamente prevedibile, purtroppo, il Giro del Trentino, invece di servire come preparazione in vista della Liegi, lo ha debilitato. Le pendenze estreme di Punta Veleno e il freddo proibitivo del Passo Pordoi gli hanno tolto brillantezza, lo hanno privato di quella scioltezza e ritmo di pedalata necessari a vincere una gara impegnativa come la Decana. Bisogna chiedersi chi sia il responsabile della preparazione del veronese, dato che sarebbe stato molto più opportuno, e chiunque lo avrebbe capito, fargli correre la Freccia Vallone. Forse anche la pressione psicologica del pre-gara può avere contribuito alla cattiva prestazione del ciclista, dal momento che spesso ha dimostrato una certa fragilità sotto questo profilo. Voto: 4,5
Joaquim Rodriguez: quando le gare non si concludono su vere e proprie “rampe da garage” ma presentano caratteristiche tali da premiare i corridori più fondisti e completi del plotone, il ciclista spagnolo dimostra di soffrire. Sempre più specialista dei “muri” e sempre meno ciclista versatile, conclude lontano dai primi una gara in cui alla vigilia era dato tra i favoriti. Voto: 4
Frank Schleck: capitano designato della squadra per questa Liegi, nonostante anche il fratello Andy (a disposizione di Frank quest’oggi, voto: 6) lo dia in grande spolvero, non riesce minimamente a reggere il ritmo dei più forti nelle fasi calde della corsa. Delusione totale. Voto: 4
Jelle Vanendert: dopo aver messo alla frusta la sua squadra (Lotto, voto: 9), viene letteralmente sfiancato dalle sfuriate di Nibali sulla “salita dei Falconi”. Non va oltre il 10º posto. Voto: 5
Philippe Gilbert: corre davanti tutta la gara ma quello che ci troviamo di fronte appare davvero il Gilbert “vecchia maniera”, il ciclista che conoscevamo prima del biennio 2010-2011, tant’è vero che dopo aver provato invano a seguire Nibali nella sua azione, conclude ben lontano dai primi. Interrompe il trend positivo che sembrava vederlo in netta crescita nelle ultime gare. Voto: 4
Alejandro Valverde: come Samuel Sanchez e Voeckler, anche lo spagnolo ha avuto un incidente meccanico ma, a differenza di questi ultimi, non è stato in grado di rientrare nel gruppo dei migliori, a testimonianza del fatto che la condizione non gli avrebbe comunque permesso, al di là dell’inconveniente, di giocarsi la sua terza Liegi. Voto: 3
Francesco Gandolfi
GRAZIE VINCENZO. A IGLINSKY UNA LIEGI (QUASI) GRIGIA
aprile 22, 2012 by Redazione
Filed under 7) LIEGI - BASTOGNE - LIEGI, News
Il kazako Iglinsky vince meritatamente un’edizione sottotono della Liegi, ravvivata quasi esclusivamente dalla strepitosa azione solitaria di Vincenzo Nibali, che attacca sulla Roche aux Faucons e resiste fino alla flamme rouge, concludendo comunque secondo.
Foto copertina: Nibali taglia il traguardo di Ans (foto Bettini)
Una Liegi grigia, uggiosa, trafitta qui e là da qualche raggio di sole. L’obiettivo della telecamera spesso si appanna, metafora di una situazione confusa, della nebbia di una battaglia che diventa mischia disordinata, così come trasmette la stessa deprimente sensazione la disastrosa informazione sui distacchi fornita dall’organizzazione di corsa. Nella foschia vaporosa di un gruppo polverizzato in mezzi favoriti e stelle cadute, privo di fari, si accende di improvviso la fiamma di Vincenzo Nibali, che realizza un’azione limpida, pura, lineare, e che verrà abbattuto solo dalla scheggia impazzita Iglinsky, fornito di una gran gamba, ma sparato verso la vittoria da una situazione tattica addirittura folle.
Andiamo con ordine: prima del via già assistiamo a un fatto sconcertante, la caduta di Igor Antón con tanto di frattura della clavicola. Colui che, prima della partecipazione decisa all’ultima ora di Samuel Sanchez, era il capitano della Euskaltel, finisce la sua gara prima di cominciarla. Parte una fuga a tre, nella quale va segnalata presenza dell’italiano Cataldo, unico che poi resisterà strenuamente quasi fino alle fasi calde della Rocca dei falchi: fuga pressoché irrilevante, se non per il fatto che servirà da testa di ponte per il rientro di due uomini importanti, un Rolland in bello spolvero che gioca d’anticipo per supportare il capitano Voeckler, e l’inossidabile Kyrienka, potenziale pedina per Valverde ma forse – vista l’abitudine alle lunghe gittate – già alternativa precauzionale. Dopo la Redoute resisteranno solo questi ultimi due “nuovi arrivati”, più Cataldo, al gancio ma cocciutamente presente.
Sulla Redoute, come ormai da anni è consuetudine (ma grazie al nuovo tracciato il problema è tutt’altro che drammatico), accade poco. Quel poco che accade è un nuovo rovescio della sorte, con Valverde appiedato da un problema meccanico proprio all’imbocco della salita, costretto a prendere la bici da un compagno e tentare un inseguimento semidisperato. In precedenza un rientro faticoso ma coronato da successo (pagato forse in tossine nelle gambe) era toccato a Samuel Sanchez. Anche Voeckler accusa qualche problema, ma lui sì potrà riportarsi sui migliori. Davanti Gilbert corra da leader, impiegando i due “Van” – Van Avermaet e Van Garderen – per scandire un ritmo assai sostenuto che impedisce sortite di seconde linee. A parte i problemi meccanici di cui abbiamo detto, a farne le spese sono più di tutto gli Schleck, con Andy che affonda miseramente e Frank che a stento sopravviverà, ma solo fino ai primi metri della salita successiva. Non ci sarà gara per loro e la Radioshack, che aveva molto lavorato, resta con il solo Monfort come capitano. Ben in vista invece, dietro Gilbert, Vanendert, Joaquim Rodriguez, Cunego, parecchie maglie Astana. Non tutte le impressioni della Redoute, tuttavia, troveranno riscontri.
Da qui l’andatura resta comunque sostenutissima, e in un baleno arriviamo alla Roche, vero snodo della gara. Si parte con un’accelerazione di Santambrogio che già screma il gruppo dagli uomini veloci ancora presenti, come Freire o Rojas, ma anche da Gesink (sempre più in crisi dopo i problemi personali degli anni scorsi), Visconti (se ancora qualcuno intravede per lui opzioni a questo livello), Chris Sorensen e Kroon (notte fonda in termini di punti UCI per Riis), Gerrans (effetto Australia, come già per Goss: ottimi atleti, senz’altro, ma i cui picchi godono di una stagione “con fuso orario” in termini di forma anticipata) e molti altri.
La vera selezione, però, la fa Vincenzo Nibali, con una prima frustata alla quale replicano assai faticosamente Gilbert, Vanendert e, più dietro, Mollema. Si è trattato solo di un “assaggio”, ma ha già procurato l’indigestione a molti: Cunego si dissolve, Joaquim Rodriguez arranca, Samuel Sanchez resta attardato, Scarponi occhieggia nelle retrovie. Come vedremo, però, non necessariamente la scelta di non replicare immediatamente si rivelerà erronea. A fine gara, scopriremo che della top five di giornata, il solo… Nibali (!) era in prima fila in questi momenti. Gli altri pagano caro. Gilbert si rassegnerà alla propria forma latitante con un finale mesto, Vanendert, nonostante l’ottima condizione, stenterà a finire nei dieci, Mollema, pure parso brillante, è quello che se la caverà meglio, con un opaco sesto posto. In questo senso la prestazione di Nibali acquisisce ancor più lustro, rimarcando una differenza qualitativa sostanziale rispetto al resto del parco partecipanti, anche perché, come abbiamo detto, quest’anno il livello degli iscritti era per vari versi appannato (senza con ciò togliere nulla a chi oggi ha spiccato).
Vincenzo contempla gli esiti del suo operato, e si lancia in un’altra micidiale progressione che sbriciola ulteriormente la compagine dei migliori. La scossa decisiva arriva tuttavia nel punto migliore, il falsopiano fatale con cui corona lo strappo. Qui le sagome degli avversari scompaiono disperatamente e miseramente nel punto di fuga dell’inquadratura, e il corridore siciliano comincia un’esaltante cavalcata solitaria. Posizione in sella splendida, pedalata rotonda ma non frenetica e assai efficace. Il distacco comincia a salire.
Dietro si agglomera un gruppetto di quasi venti corridori, a testimonianza di un livello invero appiattito. Un gruppetto che, a dispetto della logica e della tattica, si comporterà come una macchia di mercurio, disfandosi e ricomponendosi in sottogruppi, attacchi e contrattacchi, improvvisate e sonore dormite. A dirla tutta, se la situazione non fosse stata così scomposta, le speranze di Nibali sarebbero state poche. A meno di strampalate congiunture astrali come quella che permise la vittoria ad Andy Schleck (la media che il gruppo inseguitore tenne nel tratto di discese e falsipiani favorevoli fu di 39km/h circa: dei discreti cicloamatori avrebbero fatto meglio), con alle proprie spalle un assieme relativamente numeroso e, quel che più conta, molto strutturato in squadre chiave, la fuga è impresa impervia. Essendo presenti numerosi gregari, specie se “indubbiamente” gregari, ci si accorda, e sacrificando un uomo per squadra si fa velocità. Diverso sarebbe se nel gruppetto restassero solo capitani, ad esempio, perché nessuno vorrà rischiare di lavorare per la vittoria altrui…
Ma qui Rodriguez disponeva di Dani Moreno, Vanendert di Van den Broeck (capitano altrove, ma di sicuro non qui, non in questa situazione di corsa), Voeckler aveva Rolland (probabilmente più forte, ma già spremuto in fuga, e dunque ormai sacrificabile senza rimpianti), Martin aveva Hesjedal (un altro gregario “di lusso”, ma indubitabilmente subordinato a un corridore più scattista come Martin).
Caso a parte quello della Astana, in superiorità schiacciante con Gasparotto, Iglinsky e Kiserlovski. Qui sì che paradossalmente la superiorità numerica rendeva vantaggioso promuovere l’anarchia, perché altrimenti le altre squadre avrebbero potuto imporre proprio all’Astana uno sforzo maggiore, fino al momento in cui si fosse ristabilita la parità. Per gli altri, però, la convenienza era solo per un’azione congiunta ad alto ritmo, che portasse i capitani a giocarsela alla pari sulle rampe conclusive: a maggior ragione perché lo sparpaglio avrebbe favorito, come di fatto è accaduto, il team kazako.
Tutto il contrario. Probabilmente si assommano vari fattori: il timore per lo spauracchio Gilbert e per la rapidità di Gasparotto, da cui una diffusa volontà di isolarli, risultato attuabile solo disgregando il gruppo a suon di scatti; in più, una fiducia forse non proprio alle stelle verso gli apparentemente ovvi “capitani” al momento di dover bruciare i “gregari di lusso”; aggiungiamoci pure, anche se è difficile esserne certi, l’effetto delle sempre più incontrollabili regole UCI sui punteggi, che portano molti a correre per il piazzamento e non per la vittoria. L’esito è il caos più assoluto, con un incessante gioco al gatto e al topo che dopo innumerevoli giri del bussolotto proietta in avanti la strana coppia Rodriguez – Iglinsky. Così però il vantaggio di Nibali arriva fino ai 45”, un margine che di fatto permetterebbe una più che meritata vittoria.
Ma la stessa follia che ha permesso a Vincenzo di prendere il largo per la destrutturazione dell’inseguimento, manifestandosi in forma quasi opposta, materializzerà il dardo che abbatterà il siciliano. Difatti, benché Iglinsky non collabori minimamente all’azione, Rodriguez si danna l’anima, fuori da ogni appropriatezza tecnica (lui, in pianura!) e strategica, per dare fiato al contrattacco. Iglinsky ringrazia di tutto cuore, e speriamo che a fine gara abbia dato almeno una bella pacca sulle spalle all’atleta spagnolo. Spremendosi in questo modo, in effetti, Joaquim non ha nessunissima speranza di rimanere poi competitivo sulle rampe del Saint Nicolas. Non per niente beccherà in tutto un minuto da Iglinsky, ma, quel che la dice ancora più lunga sulla sciaguratezza della scelta, verrà bellamente passato e lasciato a mezzo minuto da tutti, e diciamo tutti, gli uomini del gruppetto, tolti Van den Broeck, spompatosi in un delirante inseguimento solitario (ma piuttosto tirare per Vanendert, o almeno tirargli la volata, era così sgradito?), e Gilbert, che si lascia andare alla deriva tra l’affetto incondizionato dei tifosi.
Davvero non troviamo una spiegazione a un gesto fuori da ogni logica ciclistica, ben diverso da quelli compiuti da Cancellara, che garantendo il successo della fuga alla Sanremo si assicurava comunque un piazzamento, e magari un pur piccola chance – altrimenti inesistente – di vincere. Qui siamo al viceversa.
Alle prime rampe del Saint Nicolas, Iglinsky si mette in testa e si fuma il Purito. Qui accade un altro episodio che dice molto di una gara sconclusionata sotto tutti i punti di vista: i distacchi forniti dall’organizzazione perdono il contatto con la realtà, continuano a riferirsi a un gruppo arretrato, senza specificarlo, e ignorano del tutto Iglinsky. Sarebbe cambiato qualcosa per Nibali? Probabilmente no, un po’ perché ci auguriamo che i diesse in auto facciano come i più pessimisti tra i telespettatori, cioè prendano manualmente il distacco, un po’ perché a quel punto c’era ben poco da fare: un uomo in fuga solitaria da oltre 20km, che ha maturato la fuga stessa con ben tre scatti di cui almeno un paio veramente ficcanti, può ben poco contro un onestissimo corridore (vincitore ad esempio di una gara dall’albo d’oro corto ma pesante come l’Eroica), che oltretutto è stato ininterrottamente a ruota fino al finale di gara. Comunque la mancanza di professionalità dell’organizzazione ASO suona davvero penosa, specie alla luce dei precedenti al Tour con distacchi inventati di sana pianta e con cartografia e altimetrie partorite da menti fin troppo creative (talora con esiti sullo svolgimento stesso della gara).
Parlando di “se” e di “ma”, avrebbe fatto meglio Vincenzo, il più forte oggi in comproprietà con il kazako e Gasparotto, ad attendere le ultime ascese per attaccare? Difficile dirlo, sinceramente da un punto di vista personale crediamo di no. Non scordiamo che sui tratti più duri della Rocca dei falchi un comunque non brillante Gilbert ha tenuto la ruota, mentre altri si sono gestiti sapendo del recupero che sarebbe seguito. La differenza Vincenzo l’ha fatta all’ennesimo scatto, nel soffocante falsopiano. Lo spazio sul Saint Nicolas, e a maggior ragione ad Ans, sarebbe stato troppo esiguo.
Glissiamo con un’ellissi il momento davvero amaro in cui Iglinsky, dalle parti della flamme rouge che contraddistingue l’ultimo km, mette nel mirino Nibali, se lo mangia, e tira dritto vincendo con una corposa ventina di secondi. Amaro non tanto per nazionalismo, ma per il tifo che sempre ci ingenera un’azione bella e coraggiosa. Il fatto che Nibali regga comunque per fare secondo, come già fece terzo alla Sanremo (lì fu il primo atleta da GT a podio in un paio di decenni, dai tempi di Fignon, Bugno e Chiappucci!), dice di azioni che portano sì il marchio dell’atleta, che ci ha abituato a tentativi d’altri tempi certo arrischiati, ma che hanno un livello di concretezza e spessore più significativo rispetto a quanto visto nella tappa del Gardeccia o al Lombardia, dove la conclusione aveva gettato un’alone di velleitarietà sull’impresa. Qui no, qui si è tratto di scelte che imboccavano l’unico cammino possibile verso la vittoria per un’atleta, ahilui, poco dotato di quelle fibre che rendono bruciante lo scatto, sia esso sul traguardo o mirato a fare un buco secco. Un cammino che non è giunto a termine, ma davvero per poco, e qui per una combinazione della sorte, e non per “necessità” come allo Sanremo, dove a esser tre si era pur sempre troppi perché Vincenzo vinca…
Degli altri attori di giornata abbiamo già detto qualcosa per ciò che concerne un Gilbert orgoglioso ma ancora offuscato, e un Joaquim Rodriguez mandato in delirio forse dal freddo. Abbiamo nominato altri protagonisti, tra i quali va sottolineata la bella prova di Gasparotto, che vince la volatina e agguanta un prestigioso podio per mettere la ciliegina alla torta Astana, ma anche a una giornata finalmente non così cupa per l’Italia, anche se secondo e terzo non sono i posizionamenti finali migliori… C’è poi Scarponi buon ottavo, che fa fruttare un Trentino fatto davvero come allenamento (e non come Cunego, invece malamente 35.esimo; speriamo che questo modo confuso di programmare gli obiettivi, che già tanti danni gli ha fatto, possa essere corretto). Ma non dobbiamo ignorare un pimpante Nocentini a ridosso della top ten. Scarponi e Nocentini hanno pagato l’isolamento, se pensiamo che nei primi cinque ci sono solo, tolto Nibali, corridori la cui squadra aveva nel finale almeno due uomini. Fa quarto infatti l’arrembante Voeckler, che era scortato da Rolland (decimo), e non sappiamo se questa ennesima prestazione fuori dalle righe, per un atleta che si è inventato mezzo campione a trent’anni suonati (ormai ne ha quasi trentatre), testimoni più del mediocre livello della gara o piuttosto dello “strano caso” della sua formazione. Quinto è Martin, che fa coppia col nono Hejsedal.
Un Vincenzo così, però, forse al Giro è sprecato, senza contare il rischio di bruciarsi dopo una stagione con già parecchie corse all’attivo. Meglio riprendere le energie e focalizzarsi sul Tour, per poi fare un pensierino, chissà mai, al Mondiale che quest’anno strizza l’occhio alle côte.
Gabriele Bugada
RODRIGUEZ, UNA ”FRECCIA” A HUY
aprile 18, 2012 by Redazione
Filed under 6) FRECCIA VALLONE, News
Con una fucilata delle sue sul muro finale il catalano dopo i secondi posti delle ultime due stagioni si aggiudica la classica che più gli si addice davanti al sorprendente Albasini e a un ritrovato Gilbert. Discreta prova degli azzurri con Nibali 8° e un convincente Ulissi 9° mentre deludono ancora Valverde e gli Schleck
Foto copertina: due volte il Montelupone ed ora Huy: “Purito” si beve i muri (foto Photopress.be)
La 77a edizione della Freccia Vallone, secondo grande appuntamento sulle strade delle Ardenne dopo l’Amstel Gold Race e prima della Liegi-Bastogne-Liegi, aveva in Philippe Gilbert (Bmc) e Joaquin Rodriguez (Katusha), rispettivamente primo e secondo nella passata edizione, i due favoriti d’obbligo con il belga apparso finalmente in buona condizione sul Cauberg dove ha chiuso al 4° posto e il catalano che ha deluso in Olanda ma è stato strepitoso al Giro dei Paesi Baschi e ha sempre fatto la differenza su strappi brevi e con pendenze impossibili come il Muro di Huy dove nelle ultime edizioni si è sempre decisa la corsa: bisogna risalire infatti al 2003 per trovare un epilogo differente con Astarloa che si presentò ai piedi dello strappo finale in fuga con il Aitor Osa per poi staccarlo e vincere in solitudine. Accanto a Gilbert e Rodriguez i principali candidati al successo erano Anton (Euskaltel), Uran e Nordhaug (Sky), Frank e Andy Schleck (Radioshack), Valverde (Movistar), Poels (Vacansoleil), Kiserlovski (Astana), Gesink (Rabobank) e soprattutto Vanendert (Lotto-Belisol), già 2° all’Amstel e per il primo anno capitano dopo che nelle ultime due stagioni è stato luogotenente di Gilbert. Tra i grandi assenti Evans (Bmc) colpito da una sinusite, Samuel Sanchez (Euskaltel) che ha già chiuso la prima parte di stagione e Cunego (Lampre) che ha scelto il Giro del Trentino, vincendo peraltro la tappa di Sant’Orsola Terme, per affinare la condizione in vista della Liegi: le speranze di un buon risultato in casa Italia erano dunque affidate a Nibali (Liquigas), Visconti (Movistar), Nocentini (Ag2r) e allo splendido vincitore dell’Amstel Gasparotto (Astana).
I primi attaccanti di giornata sono stati Christensen (Saxo Bank) e il nostro Ratto (Liquigas) ma il gruppo non ha concesso spazio fino al km 55 quando hanno preso il largo Bellemakers (Landbouwkrediet) e Roux (Fdj), all’inseguimento dei quali si è successivamente portato De Wilde (Accent Jobs), che pur non riuscendo mai a riportarsi primi due ha insistito nella sua azione per decine di km prima di rialzarsi e attendere il gruppo che, guidato dalla Katusha e dalla Lotto-Belisol, ha concesso un vantaggio massimo di 7′ ai due battistrada prima di iniziare a ridurre il gap.
Il primo a scatenare la bagarre all’interno del plotone è stato a 40 km dal traguardo Andy Schleck, evidentemente al servizio del fratello Frank, in compagnia di Fofonov (Astana) e Trofimov (Katusha) che però si è mantenuto a ruota degli altri due. Il motivo tattico della gara di qui in avanti è stato infatti quello della formazione russa impegnata ad annullare tutti gli attacchi sia tirando in testa al gruppo, il che ha portato anche al ricongiungimento con Bellemakers e Roux a 15 km dalla conclusione, che inserendo uomini per disturbare le azioni altrui che infatti sono state tutte di breve durata: ci hanno provato a più riprese soprattutto gli uomini della Movistar, segno che Valverde non era in giornata, dapprima con Rui Costa, poi con Visconti in compagnia di Slagter (Rabobank) e infine con Kiryienka marcato stretto da Vicioso ma i soli a guadagnare un leggero margine sono stati i due ex bikers Hesjedal (Garmin) e Nordhaug, che memore forse della caduta insieme a Cunego sul Cauberg ha preferito non attendere il muro di Huy, che hanno allungato sulla côte de Villers-le-Bouillet, e si sono presentati ai piedi dello strappo finale con una decina di secondi sul resto del gruppo forte ancora di una sessantina di unità.
Non c’è stato comunque nulla da fare per il canadese e il norvegese ripresi già sulle prime rampe sotto l’impulso di Van Den Broeck (Lotto-Belisol) che ha riportato sotto il compagno Vanendert alla cui ruota c’erano Albasini (GreenEdge), Gilbert, un pimpante Nibali e Rodriguez: ai 400 metri dal traguardo Purito però è partito a velocità doppia e ha semplicemente annichilito la concorrenza conquistando il suo primo successo alla Freccia Vallone, nonchè il primo della carriera in una grande classica, dopo i secondi posti del 2010 e del 2011. Alle spalle del dominatore catalano la lotta per le piazze d’onore è invece stata molto accesa con Albasini, mai visto in passato su questi livelli al di là della recente vittoria al Giro di Catalogna, che ha saltato Gilbert negli ultimi metri chiudendo al 2° posto davanti al campione belga, a Vanendert e al sempre protagonista delle ultime corse Kiserlovski mentre Nibali ha accusato un lieve calo nel finale chiudendo 8° dietro anche a Daniel Martin (Garmin) e Mollema (Rabobank): immediatamente alle spalle del siciliano si è piazzato un ottimo Ulissi (Lampre), che in queste condizioni sarà valida spalla per Cunego alla Liegi, con Van den Broeck 10°, Gasparotto che si è difeso al meglio su un arrivo ben più duro del Cauberg 11° e Nocentini 12°, mentre non sono mai stati protagonisti Frank Schleck 20°, Valverde che inizia probabilmente a risentire della lunga inattività dopo il grande avvio di stagione 46° e Andy Schleck addirittura 81°. Con questi uomini lontani da una condizione accettabile, Gilbert che non è il marziano visto nel 2011 e Rodriguez la cui tenuta sui lunghi chilometraggi resta un’incognita ci apprestiamo a vivere una Liegi-Bastogne-Liegi apertissima nella quale in tanti potranno dire la loro nella lotta per il successo.
Marco Salonna.
FINALMENTE… LA VITTORIA DELL’UMILTÀ
aprile 17, 2012 by Redazione
Filed under 5) AMSTEL GOLD RACE, Approfondimenti
Rotto il digiuno nelle Classiche che durava dal 2009 (vittoria di Rebellin alla Freccia Vallone). A regalarci un pomeriggio di emozioni è stato l’ex campione italiano Enrico Gasparotto (Astana) che è riuscito a battere tutti i favoriti della vigilia, da Gilbert a Sagan. Deludenti le prove di Rodriguez e Valverde, mentre ha piacevolmente stupito la ‘strana’ prestazione di Freire.
Foto copertina: il podio dell’Amstel 2012 (foto Bettini)
Enrico Gasparotto: tutti sono sembrati sorpresi di vederlo, negli ultimi metri della scalata finale del Cauberg, rispondere e staccare in successione prima Gilbert e quindi Sagan. Eppure il capitano di giornata del team kazako aveva già dimostrato in più di una occasione di trovarsi a proprio agio sulle severe rampe che conducono all’arrivo della prestigiosa classica olandese. Pendenze, quelle del Cauberg, che obbligano i corridori ad impostare una lunga, asfissiante progressione, dosando attentamente lo sforzo fin sulla linea del traguardo. Questa lezione, l’ex campione italiano, ha dimostrato di averla imparata a fondo, dato che nel 2010 è saltato proprio negli ultimi metri. Oltre alla splendida prestazione individuale, bisogna sottolineare la maturità con cui l’atleta ha saputo gestire la squadra ed in particolare Simone Ponzi (voto: 7). Proprio quest’ultimo insieme allo stesso Gasparotto potrebbero rappresentare un ottimo duo in vista dei Campionati del Mondo prossimi, che si correranno esattamente su queste strade. Voto: 10
Jelle Vanendert: i più attenti si ricorderanno, al Tour della passata stagione, della scalata a Plateau de Beille che portò l’atleta a conquistare la frazione pirenaica, in quella che rimane la sua vittoria più prestigiosa. Se aveva già dimostrato di saper tenere sulle lunghe salite, oggi si è scoperto ciclista dotato di una buona esplosività, conquistando un inaspettato secondo posto davanti a ciclisti ben più quotati di lui. Piazzamento che, tuttavia, non sembra averlo soddisfatto appieno, almeno a giudicare dal gesto di stizza cui si è abbandonato sulla linea di arrivo. Voto: 8
Peter Sagan: l’errore commesso da Gasparotto due anni or sono è costato al giovante talento della Liquigas la vittoria nella corsa olandese. Con il terzo posto odierno prosegue la mirabile serie di piazzamenti ottenuti in tutte le classiche più importanti (4°a Sanremo, 2° alla Gand Wevelgem, 5° al Fiandre), dimostrando, una volta di più, una versatilità eccezionale. Raggiungere il podio in una gara dove, più che in altre, occorre coniugare fondo, senso tattico, potenza e abilità nello stare in gruppo e ‘limare’, è sintomo di maturità e di indubbie doti da cacciatore di classiche. A testimonianza di ciò bisogna sottolineare il fatto che l’atleta, sempre presente nelle posizioni d’avanguardia, ha gestito con la freddezza e intelligenza proprie di un veterano il rientro nel gruppo dei migliori dopo essere incappato in un incidente. Voto: 8,5
Oscar Freire: dopo la gara odierna, in cui ha colto il suo migliore piazzamento all’Amstel (4° all’arrivo) non si potrà più sostenere che il tre volte Campione del Mondo è un attendista, un approfittatore, in definitiva un ‘succhiaruote’. Vederlo vestire i panni di un novello Vinokourov e scattare proprio nel tratto che vide l’atleta kazako involarsi verso la vittoria nella classica olandese, non posso nasconderlo, ha suscitato dapprima molta sorpresa e quindi un moto di simpatia verso l’atleta spagnolo che con questo gesto sperava di far sua una gara, sulla carta, non adatta ai suoi mezzi. A differenza di ‘Vino’, che pure si era piantato sulle arcigne rampe del Cauberg, ad Oscarito il colpaccio, seppur per poco, non è andato in porto. Da apprezzare ancora una volta l’intelligenza tattica del corridore che, in questa occasione, gli ha permesso di valutare e quindi sfruttare meglio di altri le modifiche al percorso le quali, accorciando il tratto in pianura tra le ultime due asperità, favoriscono maggiormente i colpi di mano nel finale. Voto: 8
Philippe Gilbert: la condizione è in netta crescita ma l’inevitabile confronto con il Gilbert formato 2011 è impietoso. Ha gestito al meglio un’ottima squadra, oggi completamente al suo servizio, ma, quando ha tentato la sparata sul Cauberg, le gambe gli sono mancate. Sembra essere, insomma, tornato il Gilbert che conoscevamo fino ad un paio di stagioni fa, quando veniva sistematicamente battuto dagli specialisti delle classiche. Voto: 6
Thomas Voeckler: dopo essersi reso protagonista di una impresa alla Freccia del Brabante, l’eccentrico (ma forte e troppo spesso sottovalutato) corridore francese, dopo aver tentato il solito allungo (prontamente stoppato da Sagan) in una fase di relativa calma nel gruppo, conquista un onorevole quinto posto che gli fa ben sperare in vista della, per lui più adatta, Doyenne. Voto: 7
Damiano Cunego: lo si è visto pedalare in agilità sugli strappi più arcigni ed ha dimostrato attenzione e lucidità in tutte le fasi calde della corsa. Purtroppo non gli si può perdonare l’errore, invero piuttosto grave, che ha commesso proprio in vista del traguardo, fatto che non gli ha permesso di cogliere i frutti di una ottima condizione e di ripetere l’exploit del 2008. Voto: 5,5
Samuel Sanchez: l’errore commesso dal navigato atleta spagnolo, di farsi cioè sorprendere nelle retrovie in uno dei tratti cruciali della gara, e che ha pregiudicato totalmente la sua prestazione è inaccettabile. Dato il suo eccelso stato di forma, la scelta, poi, di non partecipare a Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi, rappresenta, oltre che una inspiegabile decisione, un aggravante non di poco conto. Il buon 7° posto finale ottenuto al termine di una gara condotta all’inseguimento del gruppo di testa risulta per l’atleta sicuramente ancora più amaro. Voto: 5
Frank Schleck: capitano indiscusso della Radio Shack, sempre attento e presente nelle fasi principali della gara, si rende protagonista di qualche allungo telefonato e sul traguardo non va oltre un misero 13° posto. Voto: 4
Alejandro Valverde, Joaquim Rodriguez: i due atleti spagnoli dati come grandi favoriti concludono nelle posizioni di rincalzo, dopo aver condotto una gara del tutto anonima. Forse hanno interpretato la gara in funzione di Freccia e Liegi, o più probabilmente le condizioni climatiche li hanno messi fuori gioco. Voto: 3
Vincenzo Nibali: non è mai stato presente nei chilometri conclusivi della corsa, interpretata a quanto risulta come allenamento in vista della Liegi, gara a lui sicuramente più congeniale. Voto: 3
Francesco Gandolfi
GASPAROTTO IMMENSO SUL CAUBERG
aprile 16, 2012 by Redazione
Filed under 5) AMSTEL GOLD RACE, News
A sorpresa Enrico Gasparotto fa sua l’Amstel Gold Race, prima gara delle Ardenne, andando così a far risplendere i colori italiani nell’albo d’oro delle classiche sbiaditi ormai dal trascorrere di troppi anni senza alcuna vittoria italiana, da quando nel 2008 Damiano Cunego vinse il Giro di Lombardia.
Foto copertina: Gasparotto svetta su tutti in cima al Cauberg (foto Bettini)
Alla vigilia la prima classica delle Ardenne non aveva ancora un favorito. Tanti nomi, tantissimi indizi ma nessuna certezza sul possibile vincitore. A sorpresa un maestoso Enrico Gasparotto (Astana) in rimonta su Jelle Vanendert (Lotto Belisol) e Peter Saan (Liquigas), rispettivamente secondo e terzo all’arrivo, va ad alzare le braccia al cielo in cima al Cauberg. La corsa che prevedeva 31 côtes da affrontare è esplosa soltanto nel finale quando, ripresa la fuga della prima ora, una sorprendente ed inaspettata azione di Oscar Freire, ripreso soltanto a 200 metri dal traguardo, ha tenuto gli appassionati col fiato sospeso con il gruppo dei migliori su per il Cauberg scatenati nel riacciuffare lo spagnolo. Fino ad allora pochissime emozioni vista la situazione in corsa con sette uomini in fuga Pello Bilbao (Euskaltel-Euskadi), Romain Bardet (Ag2r), Cedric Pineau (FDJ-BigMat), Simone Stortoni (Lampre-ISD), Steven Caethoven (Accent.Jobs-Veranda’sWillems), Raymond Kreder e Alex Howes (Garmin-Barracuda), evasi dal gruppo dopo circa 40 km. In testa al gruppo, ad alternasi nell’inseguimento, sia gli uomini della Katusha, per la soluzione Joaquim Rodriguez, sia quelli della BMC per un Philippe Gilbert, dominatore in Olanda un anno fa, ed apparso oggi in netta ripresa. Tra le due squadre “faro” della corsa sempre nelle prime posizioni le maglie azzurre dell’Astana a ben proteggere e guidare tra le insidiose stradine olandesi il loro capitano Enrico Gasparotto. La fuga, raggiunto un vantaggio massimo di 13’.20”, è stata riassorbita definitivamente a 9 Km dall’arrivo quando Bardet, da solo al comando, si è visto arrivare il gruppo di tutti i migliori. Poco prima durante l’ascesa al Kruisberg, uno dei papabili alla vittoria finale, Samuel Sanchez (Euskaltel – Euskadi), vittima di un incidente meccanico è stato costretto ad inseguire il gruppo tirato da Greg Van Avermeat (BMC). Il campione spagnolo aiutato da due compagni di squadra è riuscito ad accodarsi al gruppo dei migliori poco prima dell’ascesa dell’Eyserbosweg, terzultima côtes prevista. Su per la salita “delle antenne” la fuga era ormai ridotta a solo due unità con Bardet ed Howes che conservavano un vantaggio di solo 29”. Vantaggio che si è ulteriormente ridotto su per il Fromberg a soli 10”. A questo punto della corsa restano da affrontare il Keutenberg ed il Cauberg, e proprio sulla penultima côtes è Gasparotto a provare un allungo, subito stoppato da Rodriguez. Stessa sorte, questa volta in pianura, per un timido allungo voluto da Peter Sagan (Liquigas) e Thomas Voeckler (Team Europcar) riacciuffati da un onnipresente Greg Van Avermeat a pilotare nelle posizioni di testa il proprio capitano Gilbert. Come detto a 9 Km dalla conclusione la fuga viene annullata e sarà ancora una volta l’ascesa al Cauberg a determinare il vincitore della corsa. A sorpresa, quando al traguardo mancano 7 Km, è Oscar Freire (Katusha) a rendersi protagonista di un’azione in solitaria. Lo spagnolo riesce ad affrontare le prime rampe del Cauberg con 10” di vantaggio sugli inseguitori. Il primo a riportarsi su di lui è Niki Terpstra (Omega Pharma-Quickstep), dietro di loro i big si guardano, nessuno prende in mano la corsa fino a quando Gilbert prova a riportarsi sui due uomini di testa. Terpstra, sfiancato dall’inseguimento, si pianta letteralmente sulle prime rampe del Cauberg, stessa sorte, ma solo ai 200 metri dall’arrivo per Freire sorpassato da Gilbert, Vanendert e Gasparotto, mentre poco più indietro Damiano Cunego (Lampre) a causa di un contatto con Iglinskiy (Astana) cade a terra compromettendo ogni possibilità di riprendere i quattro lanciati verso il traguardo. Gilbert in testa è ripreso da Gasparotto con Sagan a lanciare la volata e Vanendert subito dietro. A questo punto però ad averne di più è il corridore italiano, con forza e determinazione, sopravanza lo slovacco trionfando a braccia alzate sul Cauberg. Secondo un ottimo Vanendert, terzo a completare il podio Sagan poi Freire e Voeckler, sesto arriva Gilbert. Gran bella vittoria italiana quindi a darci fiducia per i prossimi importanti appuntamenti.
Antonio Scarfone
ROUBAIX: UN INFERNO PER TANTI, UN PARADISO PER BOONEN
aprile 10, 2012 by Redazione
Filed under 4) PARIGI - ROUBAIX, Approfondimenti
A vincere la corsa, come era prevedibile, è il favorito della vigilia, Boonen, che così entra definitivamente nella storia del ciclismo, affiancando con quattro vittorie un campionissimo del passato come Roger De Vlaeminck. Gli italiani, dopo aver incredibilmente buttato all’aria l’occasione di giocarsi la gara, si consolano con il terzo posto di Ballan.
Foto copertina: questa strada della Roubaix sembra puntare dritta verso il paradiso… o verso l’inferno…. (bikeobsession.blogspot.it)
Tom Boonen: ciò che lo scorso anno riuscì a Philppe Gilbert per quanto riguarda le classiche vallonate, quest’anno è accaduto al fiammingo, autentico dominatore delle gare sul pavè. Oltre che l’indubbia prestanza fisica bisogna riconoscere al gigante di Mol la capacità di mantenere la piena concentrazione in ogni fase della corsa, abilità che gli consente di evitare le insidie del percorso e di sfruttare al massimo le disattenzioni degli avversari (per l’occasione Pozzato e Ballan). Se la vittoria non è stata una sorpresa, il modo con cui l’ha ottenuta di certo lo è e non tanto per la cavalcata solitaria che gli ha permesso di suggellare il quarto, storico successo a Roubaix. Capace sì di vincere per distacco (nel 2009 vinse la gara dopo 15 km di fuga), tutto ci si poteva aspettare ma non una azione solitaria di più di 50 km.
Con un Boonen così stratosferico, che gara sarebbe stata poterlo vedere battagliare con i vari Cancellara, Hushovd, Pozzato a vario titolo incidentati! Voto: 10 e lode
Sebastièn Turgot: il primo ad essere sorpreso del secondo posto è proprio il corridore di casa e non solo per la propria prestazione ma anche per la valutazione a lui favorevole della giuria di un fotofinish alquanto dubbio. Dopo essere stato protagonista di varie scaramucce, ha avuto il merito di credere nel tentativo di ricucitura sul principale gruppo inseguitore di Boonen e di esserci riuscito di fatto a volata per il secondo posto ormai lanciata. Voto: 8
Alessandro Ballan: chiude questa prima parte delle classiche del Nord con un ennesimo onorevole piazzamento (terzo) come al Fiandre, dimostrando solidità e continuità apprezzabili. A differenza di quest’ultima gara è qui mancato lo scontro diretto fra i tre protagonisti della corsa dei muri e questo anche a causa di una suo momento di disattenzione, al momento della progressione del duo della Omega Pharma. Probabilmente il capitano designato della BMC era Hushovd (voto 5), dato che il veneto aveva già avuto una propria opportunità al Fiandre, tanto è vero che Alessandro ha promosso un tentativo di attacco a 75 km con l’ovvio intento di fare da spalla al norvegese. L’errore tattico cui accennavo poc’anzi è dipeso forse dalle energie profuse in questo tentativo. Un secondo errore è stato quello di sopravvalutare le possibilità degli atleti SKY di poter ricucire il distacco da Boonen e conseguentemente di non aver contribuito al lavoro di riaggancio quando questo era ancora del tutto possibile. Della volata con Turgot ho già detto a proposito di quest’ultimo. Voto: 7,5
Filippo Pozzato: si ostina, a differenza di Boonen, a correre coperto, nella pancia del gruppo, gran parte di queste classiche del pavè, senza considerare i rischi che, in generale, questo tipo di condotta comporta e, a maggior ragione, in tipologie di gare come questa. Per tali ragioni, dopo essere rimasto attardato a causa di frazionamenti dovuti a ventagli e a cadute, ha dovuto più volte inseguire il gruppo principale, con un sicuro spreco di energie. Ciò nonostante è stato il primo a rispondere con facilità al primo allungo di Boonen, dimostrando una condizione eccelsa come al Fiandre. Sorretti da questa forma fisica non si doveva temere di rispondere in prima persona all’allungo del belga : per vincere, come ci insegna quest’ultimo, bisogna anche rischiare di perdere. Cadere poi, da solo, alla Roubaix , può anche essere sintomo di scarsa concentrazione e lucidità nel fronteggiare delle difficili situazioni di corsa. Fortunatamente ha deciso di non concludere la gara e di risparmiarsi per l’Amstel dove, con una gamba del genere, potrebbe finalmente vincere una classica. Voto: 5,5
Matteo Tosatto: non adattissimo alle pietre della Roubaix ma dotato di grande fondo e capace di gestirsi, coglie un ottimo settimo posto in una gara tra le più importanti e davanti a corridori ben più adatti e quotati di lui, come Van Summeren (voto 5). Voto 7
Luca Paolini: impeccabile dal punto di vista tattico e sorretto da una ottima condizione , si rende protagonista di una gara in cui ha più volte avuto la speranza di poter agguantare il podio. Purtroppo le caratteristiche del percorso non sono troppo adatte ai suoi mezzi e non gli hanno permesso di coronare la sua carriera con un prestigioso podio nella Classica Monumento. Voto: 6,5
Juan Antonio Flecha: lo si aspettava piazzato in queste gare e in effetti non ha deluso le aspettative. Conclude la gara nel gruppetto che si è giocato i gradini più bassi del podio, rimanendovi tuttavia, come da pronostico, ai piedi. Voto: 6,5
Edwald Boasson Hagen: atleta veloce del Team Sky, ha dimostrato di mal digerire, data anche la prestazione al Giro delle Fiandre, le classiche del pavè. Infatti, sul finale di gara, si è sciolto come neve al sole assieme alla sua squadra. Voto: 4
Frederic Guesdon: il velodromo di Roubaix ha tributato il giusto riconoscimento ad un vecchio leone, trionfatore nell’inferno del Nord nel lontano 1997, nel giorno del suo ritiro dalle corse. Da segnalare il fatto che l’atleta aveva subito un grosso incidente nel mese di marzo. Con caparbietà e spirito di sacrificio ha voluto a tutti i costi concludere la sua carriera portando a termine una gara massacrante come non altre. Oltre alla Roubaix si ricorda la spettacolare vittoria in un’altra classica importante come la Parigi-Tours del 2006. Voto: s.v.
Francesco Gandolfi
L’UOMO CHE HA SFONDATO IL CIELO: BOONEN RACCOGLIE LA QUARTA PIETRA
aprile 9, 2012 by Redazione
Filed under 4) PARIGI - ROUBAIX, News
Boonen contro tutti, Boonen più di tutti. Tom coglie l’istante e si lancia in una cavalcata solitaria, intangibile, irraggiungibile, mentre avversari (e compagni) precipitano in un inferno di sconcerto, confusione, discordia, cadute e rotture. Unico nella storia a duplicare la doppietta della pietre Fiandre-Roubaix, affianca De Vlaeminck con il record di quattro Roubaix conquistate. Finora.
Foto copertina: Boonen lanciato verso la sua quarta Roubaix (foto Bettini)
Un uomo solo è al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Tom Boonen. La citazione è e resta blasfema, ma merita di essere scomodata per celebrare l’ingresso di Tommeke tanto nel velodromo di Roubaix come nel mito del ciclismo. Ottanta minuti di interminabile solitudine. Ottanta minuti fatti di pura magia, quando la bicicletta del fiammingo galleggia sul pavé, con la schiena del campione – perfettamente allineata al suolo – che non registra più nessuna delle tremende vibrazioni assorbite dalle braccia e dagli addominali; ma ottanta minuti fatti anche di sofferenza, quando le gambe stantuffano, la bocca si spalanca, il motore batte in testa e perfino il re delle pietre cerca disperato un corridoio di terriccio ed erba.
Ottanta minuti della violenza totale ed assoluta che si esercita nel ciclismo, senza alcun contatto fisico con l’avversario: Boonen distrugge da solo, se non perfino tutto il gruppo, quantomeno i quattordici più immediati inseguitori. Li distrugge nell’animo, con il veleno di una distanza minima, misurabile in secondi, eppure incolmabile; li distrugge nelle gambe, imponendo a se stesso, e di riflesso a loro, un ritmo martellante; li distrugge nella mente, obbligandoli a giochi tattici che finiscono per fondarsi sull’assioma della sconfitta.
Boonen oggi batte anche il convitato di pietra, Fabian Cancellara. L’avversario più duro da battere, perché nello sport a volte si rovescia l’aurea regola sugli assenti che hanno torto, e viceversa gli assenti finiscono spesso per ammantarsi di una perfezione che la realtà complicherebbe non poco. Un Cancellara assente, a rigor di termini, non può essere staccato, messo in mezzo, mandato allo sbaraglio, insomma non può essere, nei fatti, battuto. Il Cancellara fortissimo del 2011 non ha vinto né il Fiandre né la Roubaix, ma tutti giurerebbero che il Cancellara ugualmente fortissimo del 2012 le avrebbe vinte entrambe, certamente! Ecco come mai i fantasmi sono sempre gli avversari più acerrimi. D’altro canto la grandezza di Boonen nasce anche dalla compresenza storica di un grande avversario: il paradosso a cui si potrebbe giungere è che Boonen finisca per essere riconosicuto come il più grande di sempre sul pavé, e nondimeno Cancellara come il più forte corridore da pietre di questa generazione.
Oggi però Tom, con un vero miracolo, sconfigge anche Fabian. Non lo sconfigge – o non solo – perché allunga il passo negli albi d’oro, che da soli dicono poco (anche se di fronte a un albo d’oro così rotondo…); e nemmeno lo sconfigge per aver lanciato se stesso come una pietra qualche chilometro più lungi di quanto fece lo svizzero; il punto non è neppure che Cancellara scappò via di furbizia, approfittando di distrazione e complicità con atleti di altre squadre, mentre Boonen se ne va squadernando in faccia a tutti una plateale follia.
Il punto è che il fianco alla “sconfitta” lo prestò proprio lo svizzero, strillando ai quattro venti la propria insoddisfazione per il fatto che tutti gli altri “gli corressero contro”. Tommeke oggi ha suggerito una soluzione. Osare l’improponibile, senza mai aver lamentato le occasioni perse – spesso a vantaggio di compagni di squadra! – a causa del fatto di essere faro della corsa.
La cronaca è essenziale e brutale. C’è una fuga del mattino, con poche conseguenze. Cadute e ventagli qui e là denunciano un Pozzato un po’ distratto, spesso in pancia al gruppo, ancora non sintonizzato con il ruolo che lo dovrebbe vedere duellare alla pari con Boonen. Arenberg è condotta a gas spalancato dall’Omega, con un Chavanel in bello spolvero. “Modesti” gli esiti, si fa per dire, vale a dire gruppo ridotto a una trentina di unità. Da qui si dipartono un paio di tentativi, il primo con i nomi pesanti di Flecha e Ballan, poi entrambi in predicato di approdare sul podio fino agli ultimi metri di gara: mettono la testa fuori molto presto, ai -80km, forse troppo presto: c’è aria di gambe pimpanti, certamente, ma anche di complesso di inferiorità, di ansia di anticipare, sottraendosi allo scontro diretto, quel che è peggio di relativa sfiducia da parte delle rispettive squadre, anzi squadrone. I fatti confermeranno poi tristemente questa ipotesi, molto curiosamente in entrambi i casi per cercare di tutelare un capitano norvegese seppure a discapito dei marinai mediterranei; sfidando, in un caso come nell’altro, l’evidenza delle gare precedenti sui reali rapporti di forza tra i corridori. Nell’azione entra l’avventizio Casper, poi due uomini che mostreranno bella gamba fino in fondo, pur frenati da alterne vicende, come Ladagnous e Wynants, e infine un altro personaggio da podio, per quanto decisamente più improbabile degli esperti Flecha e Ballan, ovvero il sorprendente francese Turgot della Europcar.
Ricondotti all’ordine questi ammutinati, l’Omega Quickstep tesse la propria tela tattica lanciando in avanscoperta Chavanel in un peculiare assalto quasi tutto transalpino: ci riprovano Ladagnous e Turgot, e c’è anche Mangel. L’unico intruso è Schar della BMC, lo squadrone ha già lavorato duramente e inizia ad andare in affanno. Chavanel dovrebbe essere la testa di ponte per un attacco di Boonen già programmato, ma sul pavé di Orchies proprio Chavanel fora, e contestualmente Turgot allunga restando per un po’ a faticare solo al comando. Ben presto però il piano Omega prenda forma nonostante l’imprevisto occorso al campione nazionale di Francia: Boonen allunga, e Pozzato sembra aver fatto scintillare il proprio innesco, accodandosi prontamente in bella scioltezza al belga. In un rimescolamento delle medesime carte del Fiandre è ora Ballan a rientrare prepotente, con sulla coda l’incomodo ingombro di Terpstra, gregario d.o.c. di Boonen. Un quartetto delle meraviglie in cui l’estraneo sembra Turgot (che alla fine, come vedremo, troverà perfino il secondo posto nell’uovo di Pasqua).
Il problema è però che Boonen scalpita, vuole cementare il vantaggio, così – intorno ai meno 57km al traguardo – dà una bella frustata assieme al compagno. Qui il primo istante decisivo: Pozzato fa per seguire, ma d’un tratto si ferma e fa il buco; vuole che chiuda Ballan, rientrato però da poco, e tartassato nell’auricolare da un direttore sportivo che pretende un atteggiamento passivo in vista del rientro di Hushovd, appiedato da una foratura e poi cascato. Ma tant’è. Incombe anche l’armata Sky che accorre in forze. L’incertezza dei due italiani è fatale: la tragica, incofessabile verità, è che probabilmente i due, e non solo loro, hanno pensato che la mossa di Boonen fosse suicida, che si trattava di mandarlo a cuocersi per bene, lessando nel frattempo anche l’ultimo gregario a portata di mano.
E in effetti questa ultima parte del ragionamento non fa una grinza: Terpstra deve incaricarsi di una serie di menate a fondo per dilatare il vantaggio almeno oltre i venti secondi, per uscire da mirino insomma, ma così facendo finisce ben presto in acido lattico, nonché in clamoroso debito d’ossigeno sul primo tratto in pavé in cui la coppia incappa (c’è forse di mezzo un problema meccanico?). Boonen è solo.
Qui però subentra il colpo di classe del campione fiammingo: saggiata la gamba, decide di giocarsi il tutto per tutto. Sono bastati frazioni di secondo per leggere la psicologia della gara: avversari già propensi a bisticciare tra loro per un piazzamento, squadre confuse e divise al proprio interno. Rimanere invischiato in quella melassa significherebbe fare la fine di Fabian in versione Roubiax 2011. Meglio, se proprio si deve “finire”, l’abito di scena del Cancellara del Fiandre 2011. Quel che là dietro sperano tutti è che anche il finale dell’opera coincida, con il fuggitivo spiaggiato dopo un oceano di chilometri solitari.
Boonen però si gestisce, non si fa prendere dall’isteria di gonfiare il minutaggio per scioccare e terrorizzare. Procede regolare, rosicchiando un secondo alla volta, rimanendo in pareggio per interminabili tratti, sfidando l’ansia nei momenti in cui il margine si erode. Solo con se stesso, con le pietre, con il vento che soffia veemente. Grande alleato dei fiamminghi, il vento. Stopper d’eccezione al Fiandre, qui invece quando non arriva dalle spalle a sostenere il fuggitivo, è più spesso, molto più spesso, laterale. Vale a dire la tipologia di vento che più di ogni altra compromette il vantaggio di correre in gruppo. Col vento di taglio si sta a ruota, illusoriamente convinti di star risparmiando, ma lavorati duramente ai fianchi da quell’aria che ti consuma.
Si compone un gruppo di inseguitori là dietro, senza Pozzato però: il vicentino casca in curva e chiude la propria gara, dolorante e demotivato. Come anticipato c’è un robusto contingente Sky, quasi un terzo del totale del gruppetto con Stannard, Hayman, Flecha e Boasson Hagen. C’è una bella rappresentanza italiana, con Ballan, Paolini, ancora in notevole evidenza (specie per lo standard offerto quest’anno dal suo team in queste gare), l’inossidabile Tosatto e un Guarnieri in potenziale evoluzione. Ci sono un paio di Rabobank, cioè Wynants e Boom, quindi i francesi iperattivi già in precedenza, Ladagnous e Turgot, il campione uscente Vansummeren (prova dignitosa e poco più), infine, fondamentale, un Trepstra che correndo sulle ruote ha modo di riprendersi. Tutti pretendono, comprensibilmente, che lavorino gli Sky.
E gli Sky lo fanno, ma nel modo peggiore. Forse pensando di sfruttare al meglio le caratteristiche di Stannard e Hayman, vengono realizzate lunghe trenate solitarie, invece che una rapida rotazione. Così, in pratica, il vantaggio del numero si annulla, riducendo la prova a un paio di “uno contro uno” dove però la teorica possibilità degli anglosassoni di consumarsi a fondo non compensa la maggiore qualità di Tommeke. Risultato, quasi algebricamente, un incremento sgocciolante ma emorragico del vantaggio. Se a questo aggiungiamo le fasi di negoziazione con i Rabobank, decisissimi a fare corsa in due senza sacrifici dell’uno o dell’altro, ma tra gli stessi Sky un Hayman che in realtà pure lui va di conserva (arriverà nel gruppetto, sei minuti prima di Stannard!), un Boasson Hagen che o viene tutelato in quanto è al gancio (ma allora che cosa si spera, che arrivi fino alla volata?), o è al gancio tout court, però in tal caso per un paio di sparate sull’asfalto lo si poteva anche spendere, invece che tenerlo lì a zavorrare il gruppo fino a che non si staccherà penosamente. Insomma: è quasi un miracolo che Boonen non prenda il largo.
Quello che colpisce dell’impresa di Boonen è che essa non si è sviluppata su canoni e linee che solletichino immaginazioni paranoiche di motorini o doping fantascientifici: la smentita può essere dietro l’angolo, è chiaro, ma nel guardare la corsa in sé risulta sorprendente la maniera implacabilmente “naturale” con cui ha preso forma un esito straordinario. Si è trattato di scelta di tempo, di temerarietà, di lettura azzeccata delle dinamiche di gara, di gestione oculata. Non di uno strappo violento e irresistibile, né di una cavalcata a velocità inumane.
Irritato forse dalla condotta dei compagni, o magari nell’ambito di uno schizofrenico tentativo di cambiare il corso delle cose, un allungo di Flecha romperà il gruppo in due ai -27km, ma l’unità poi si ricomporrà per iniziativa di Terpstra: arguta intuizione, unirli per dividerli. Tre o quattro capitani pari grado che collaborino potrebbero avvicinarsi a Boonen più pericolosamente che non un gruppo folto e asimmetrico, dove ognuno si aspetta che lavori qualcun altro. Conferma eminente quando sul Carrefour del’Arbre Boom con pedalata mostruosamente fluida rientra da un cambio bici per foratura e trapassa il gruppo, tirando dritto e portandosi dietro Ballan e Flecha, oltreché Ladagnous che però forerà (come dietro Guarnieri): per la prima volta il vantaggio di Tom cala.
Ma il traguardo è troppo vicino, e il trio inizia a tirare indietro la gamba pensando a giocarsi i piazzamenti. Tanto la tireranno indietro che mentre Boonen sta già celebrando, i suoi tre più valorosi opponenti vengono ripresi, in pieno velodromo e in pieno cincischiamento, da Turgot e Terpstra. Il francese avrà così modo di soffiare la seconda piazza, battendo Ballan in uno dei fotofinish più stretti mai visti qui. Un ex aequo sarebbe stato d’uopo, ma dopotutto… siamo in Francia! Queste però sono le briciole, seppur briciole d’oro, che valgono una giornata di dolore e sudore, quindi tutto fuorché disprezzabili, come il bei piazzamenti di Paolini (11.o) e Tosatto (7.o).
Cocente sconfitta per le “celestiali” schiere Sky, sfondate e sbriciolate dallo strapotere tecnico di Boonen: una giornata di gran forma collettiva (ripetiamolo, quattro uomini nella dozzina o poco più che “si giocava”, tra virgolette visto l’atteggiamento, la gara) si traduce in una gestione deludente dell’uomo più in forma, poco appoggiato e parso quasi battitore libero, vale a dire quel Flecha che per sue caratteristiche non farà nemmeno podio. Hayman ottavo, e poi bisogna sfilare oltre il quarantesimo posto per raccogliere i cocci.
Ma la nostra memoria, oggi, non riterrà numeri, statistiche e strategie; semmai conserverà per sempre l’immagine di Boonen librato al di sopra delle gabbie tattiche, del “correre contro”, del “tenersi per”, liberatosi da tutto e da tutti grazie alla scelta pazza di rinunciare al proprio punto di forza (cioè quell’attesa della volata che l’avrebbe magari intrappolato), per mettersi in gioco in un tutto o niente, corsaro solitario nel mare polveroso delle pietre. Dal folle volo, all’olimpo del ciclismo.
Gabriele Bugada
FENOMENOLOGIA DI UN MODERNO LEONE DELLE FIANDRE
aprile 3, 2012 by Redazione
Filed under 3) GIRO DELLE FIANDRE, Approfondimenti
La 96ª edizione della “corsa dei muri”, dal tracciato che definirei rivoluzionato più che rinnovato, doveva prevedere la sfida Boonen-Cancellara ma, con il secondo messo fuori gioco da una caduta, è stato il primo ad imporsi, ma non così nettamente come ci si sarebbe attesi alla vigilia della gara. A mettere i bastoni tra le ruote, metaforicamente parlando ovviamente, al “Leone delle Fiandre degli anni 2000”, ci hanno provato i nostri Pozzato e Ballan, entrambi autori di splendide prestazioni le quali, tuttavia, non hanno regalato all’Italia la tanto agognata vittoria in una Classica (successo che manca dalla Freccia Vallone 2009 di Rebellin), a causa di errori tattici piuttosto grossolani.
Foto copertina: Boonen in azione sui muri del Fiandre 2013 (foto Bettini)
Tom Boonen: ha vinto la “classica dei muri”, l’ha vinta per la terza volta, e quindi può a buon diritto fregiarsi del titolo di “Leone delle Fiandre”. Tuttavia, risulta perlomeno strano onorare di questo status un ciclista che non si è affatto dimostrato il più forte su quei “muri” che sono il simbolo e l’essenza della gara fiamminga e, a maggior ragione, risulta anomalo se si pensa che questo titolo è stato storicamente riservato ad autentici dominatori della classica belga, da Magni a Museeuw. Anzi, più volte il buon Tom è stato sul punto di perdere la ruota di Pozzato ma è riuscito stoicamente a resistere e a far valere infine il suo spunto veloce. Per quelle che sono le caratteristiche peculiari dell’atleta penso sia più corretto definirlo un “moderno Leone delle Fiandre”, per designare un ciclista capace di reggere il ritmo dei migliori sugli strappi in pavè ma raramente in grado di dettarlo in prima persona o comunque soccombente in un eventuale scontro frontale con i migliori, ma molto più forte “allo sprint” di questi ultimi. La mia opinione, insomma, è che ci troviamo di fronte ad una nuova tipologia di ciclista, un ibrido tra velocista puro e “classico” atleta da pavé. Data anche l’assenza di Cancellara alla Parigi-Roubaix, Tom può siglare domenica prossima una tripletta, con Gand, Fiandre e Roubaix, davvero memorabile. Voto: 10
Filippo Pozzato: oggi si è dimostrato indiscutibilmente il più forte sugli strappi, agile e potente come non l’ho mai visto in tutta la sua carriera. Tuttavia si deve accontentare della seconda piazza e questo, a mio modo di vedere, perché ha commesso tre errori piuttosto gravi. Il primo lo ha commesso sul Oude Kwaremont prima e, successivamente, sul Paterberg, quando la sua progressione aveva fatto davvero male, in primis a Boonen, ma, una volta guadagnato una manciata di metri sul corridore belga, boccheggiante ed in evidente difficoltà, Filippo si è inspiegabilmente rialzato e ha aspettato il rientro di quest’ultimo dimostrando, ancora una volta, un’eccessiva timidezza nel momento in cui si tratta di prendere il controllo della corsa. Il secondo lo ha commesso quando non ha nemmeno tentato un allungo negli ultimi chilometri, peccando così di superbia, pensando cioè di poter battere o per lo meno di potersela giocare alla pari, in volata, con il campione fiammingo. Il terzo errore è stato quello di lanciarsi in volata con un rapporto, almeno stando alle immagini televisive, troppo agile che non gli ha permesso di fare velocità. L’eccelsa condizione dimostrata fa comunque ben sperare per domenica prossima. Voto: 8
Alessandro Ballan: insieme a Pozzato ha incarnato la speranza di molti tifosi italiani di poter riassaporare il sapore della vittoria in una Grande Classica dopo anni dall’ultimo successo. L’ormai non più giovane atleta veneto ha saputo interpretare al meglio delle sue possibilità la corsa odierna, attaccando ripetutamente sugli strappi e dimostrando di meritare i gradi di capitano anche di una corazzata assoluta come la BMC, con Hushovd e Gilbert come gregari di lusso. Purtroppo l’età avanza e si fa sentire, sono ormai 33 primavere, e gli scatti telefonati del finale lo dimostrano ma può tranquillamente ritenersi appagato per come ha condotto questo suo Giro delle Fiandre. Alla Roubaix dividerà il ruolo di capitano con Hushovd. Voto: 9
Peter Sagan: arrivare quarto alla Milano-Sanremo e quinto al Giro delle Fiandre, a soli 22 anni, è segno che siamo in presenza di un atleta completo, di un fondista, in grado di primeggiare su qualsiasi terreno. Nella “classica dei muri” ha subito anche un paio di inconvenienti, forse dovuti alla non eccessiva dimestichezza nel destreggiarsi sulle pietre delle Classiche del Nord, e nel momento dell’accelerazione di Pozzato non è stato capace di reagire e di tenere il passo dei migliori. Come si è soliti dire in queste circostanze, “l’età è dalla sua” e “ne sentiremo di certo parlare in futuro”. Voto: 7
Luca Paolini: questa “vecchia guardia” del ciclismo italiano ha corso in maniera davvero esaltante, garibaldina, il Giro delle Fiandre. Evidentemente non sentendosi all’altezza di competere con i migliori sugli strappi, varie volte scatta per anticipare il gruppo e, insieme allo spagnolo Flecha (voto: 6), si rende protagonista di un’azione davvero interessante e pericolosa per i big. Purtroppo il tentativo viene riassorbito nel giro di qualche chilometro e l’ex gregario di lusso di Bettini deve accontentarsi infine della settima piazza finale. Voto: 7
Philippe Gilbert: lontano parente del dominatore assoluto della passata stagione, corre al servizio di Ballan quella che in passato è stata una gara che lo ha visto più volte protagonista assoluto. Lo si è visto tirare e stare al vento in più di un’occasione, interpretando la corsa in cerca della condizione ideale per affrontare le Classiche delle Ardenne. Forse sarebbe stato più opportuno partecipare al Giro dei Paesi Baschi, ideale per chi ha bisogno come il belga di macinare chilometri in vista di Amstel, Freccia Vallone e Liegi. Voto: 5
E. Boasson Hagen: quando i favoriti decidono di fare sul serio non riesce a reggere il loro ritmo e si stacca. Successivamente sprona la squadra nel tentativo di rientrare ma la gamba non gira a dovere e il tentativo fallisce. Chiude nell’anonimato e lontano dai primi una corsa che, probabilmente, non gli si addice. Voto: 4
Stijn Devolder, Leif Hoste, Heinrich Haussler: tre forti ciclisti da pavé, tre gare assolutamente anonime. Voto: 2
Fabian Cancellara: il grande favorito della gara, dopo aver corso una Milano-Sanremo da protagonista assoluto, era pronto a dare spettacolo nelle classiche a lui più congeniali, Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix. Purtroppo la sfortuna si è accanita sull’elvetico e ci ha impedito di godere delle sue imprese in questa classica e non lo vedremo neanche all’attacco nell’Inferno del Nord. Davvero un gran peccato. Voto: S.V.
Francesco Gandolfi.
UN FIANDRE PER TRE. TOM FA TRIS FRA I TRICOLORI
aprile 2, 2012 by Redazione
Filed under 3) GIRO DELLE FIANDRE, News
Il duello che tingeva di leggenda questo Fiandre nuovo di zecca si infrange con la clavicola di Cancellara, ruzzolato al rifornimento. Conquistare la gara sembra allora una mera formalità per Boonen, affiancato da una squadra impressionante. Ma i rinati Ballan e Pozzato si dimostrano indomiti, oltreché i più forti in campo, e mettono all’angolo il campione belga: non riescono però a evitare lo sprint, dove Tommeke impone la propria legge di predestinato.
Foto copertina: il podio del Fiandre 2012 (foto Bettini)
L’epica di Cancellara è, quasi per suggestione dello stemma nazionale che veste, quella di un eroe crociato: determinato, poderoso, a tratti perfino prepotente, circonfuso da un alone di integrità e di etica della dedizione che a stento lasciano intravedere lo spettro di qualche ombra. Dà sempre la sottile impressione di essere convinto che Dio, o quantomeno la Giustizia, siano schierati al suo fianco.
Boonen invece sembra uscito dall’epica greca. Un semidio predestinato alla gloria, apparentemente invulnerabile: fulminante allo sprint, incrollabile sul passo, travolgente sulle pendenze aspre dei muri. Come gli dei e gli eroi greci, però, è platealmente afflitto dal vizio, dalla disgrazia, dal capriccio. Qualcuno vedendolo passare da invincibile fenomeno a bersaglio giustiziato poteva ricordarsi di Achille, e della scelta di una carriera rapida, gloriosa e brevissima, in luogo di una longevità all’insegna della moderazione. Oppure pensare a Giasone, conquistatore del vello d’oro, precocemente passato dalla professione di eroe a quella di donnaiolo.
Oggi però, nel sacrilego teatro di un Fiandre riveduto e mutato, gli dei numerosi e dispettosi (invidiosissimi poi degli uomini che si credono “tutti d’un pezzo”) che affollano l’Olimpo greco hanno decisamente prevalso sulla predestinazione calvinista che avrebbe voluto Cancellara trionfatore e santo ancor prima di partire.
Al rifornimento dei 63km all’arrivo il povero Fabian si schianta al suolo, e il danno appare subito irreparabile: anzi, le notizie del dopo corsa annunciando una frattura in tre punti della clavicola decreteranno pure l’assenza dello svizzero dalla Roubaix. Quando sono gli dei ad abbatterti, non è prevista rivincita. Almeno a breve, perché per fortuna, trattandosi di una “sorte funesta” comunque tutta sportiva, ogni stagione è spesso capace di riavviare da capo la storia, e guardiamo già con aspettativa al riproporsi del grande duello l’anno venturo.
Fino a questa svolta decisiva si era vista la più tipica, corposa fuga del mattino, entro la quale si segnalavano Farrar e Belletti, due velocisti in cerca di una nuova dimensione. Poi un tentativo più serio all’approccio con i muri, sul Molenberg: se ne vanno in sei tra i quali spiccano Hayman (Sky), Vaitkus (GreenEdge) e Boom (Rabobank). Quest’ultimo verrà in seguito messo fuori gioco da una foratura nel momento sbagliato, all’attacco di un muro. La fuga però è presto rintuzzata da Boonen e dai suoi uomini.
La gara in effetti sarà a lungo connotata da un andamento privo di guizzi, con l’Omega Pharma-Quickstep e Cancellara, ben supportato da Bennati e Rast, a lasciare ben poco spazio ai tentativi che si succedevano di volta in volta. Anche dopo la caduta di Cancellara, basterà la sola Omega, superlativa, a blindare la gara fino ai giri finali. Tra gli affondi da segnalare ricordiamo quelli di due uomini BMC indecorosamente sottoforma, Gilbert (che però forse programma una stagione sbilanciata sul secondo semestre) e Hushovd. Altre opzioni, che avrebbero dato spazio a giochi tattici interessanti, proprio come la sortita a sei di cui sopra, sono state prontamente abortite, sia che ci provasse Vansummeren per la Garmin, sia che fosse Leukemans per la Vacansoleil (alla fine sarà lui il capitano, e non uno spento Devolder). La solidità della squadra di Boonen concretizza una deterrenza che spegne la gara: d’altronde pensiamo che l’OPQS alla fine piazzerà tre uomini nei primi dieci, e tutti i non ritirati alla peggio nel gruppo principale, a meno di un minuto.
Difficile dunque emettere un verdetto sul nuovo percorso: certamente l’apertura tattica e la selettività si sono dimostrate carenti, se pensiamo oltretutto che dietro ai tre dominatori di giornata è arrivato un gruppone di una cinquantina di unità con circa un minuto di distacco. Il bel tempo dell’ennesima primavera fiamminga in salsa mediterranea, però, ci ha messo del suo. Altresì probabilmente la novità del percorso e il desiderio di arrivare allo scontro frontale Boonen contro Cancellara ha indotto i due squadroni a sigillare la gara quanto più fosse possibile, stroncando ogni velleità creativa sul piano tattico. L’altra faccia della medaglia è che, con l’attenuante della difficile interpretazione di un tracciato nuovo, gli altri team non si sono dimostrati molto all’altezza, eccezion fatta per la Farnese se vogliamo. Le altre squadre hanno vissuto di performance dei singoli – sia pure eccezionali – e poco più. A proposito di wild card, molte delle scelte degli organizzatori hanno portato a ritiri quasi massivi, nonostante un’edizione non certo da tregenda: indecorosa la Net App che speriamo di vedere meglio al Giro, male la Argos-Shimano, malissimo le formazioni di casa Willems Veranda’s e Topsport Vlaanderen. Curiosamente si rinfaccia – giustamente! – il campanilismo agli organizzatori italiani, ma nessuno apre bocca quando le conseguenze nefaste di scelte di basso profilo si registrano altrove.
Più della tattica poterono le cadute: oltre all’eliminazione clamorosa di Cancellara, se ne va allo stesso modo anche un altro dei possibili favoriti, Langeveld, incocciando con uno spettatore sciagurato che gli taglia la strada a pochi metri. E qui Pozzato se la scampa con un numero di notevole abilità. Più tardi, un’azione potenzialmente decisiva sul penultimo Paterberg verrà propiziata dallo schianto di Vansummeren all’imbocco della salita!
Prima di arrivare lì, tuttavia, si era visto un bel forcing di Vanmarcke per la Garmin sull’Oude Kwaremont, col solo effetto però di allungare il gruppo creando le condizioni per un allungo di, guarda caso, un compagno di Boonen, ovvero Chavanel, nel falsopiano con cui culmina questo muro. L’azione di Chavanel darà adito a sua volta all’anticipo di Jerome dell’Europcar, Flecha per la Sky (attivo a dispetto del recentissimo recupero da una frattura) e un altro corridore che ha firmato un Fiandre di altissimo livello, vale a dire Paolini. Dopo il pasticcio del Paterberg a questo gruppo si uniranno un pugno di uomini, formando così un gruppetto di undici dove per l’Omega abbiamo ben tre rappresentanti, il capitano Boonen con gli scudieri più accreditati, Terpstra e Chavanel; ci sono anche Pozzato, Ballan e Paolini. Questi sei finiranno poi, dopo altre traversie, in una top ten che si caratterizzerà pertanto in due sensi molto chiari: il predominio della squadra di Boonen, e – finalmente – la grande gara, anche senza vittoria, degli italiani. Abbiamo inoltre Vanmarcke, Jerome, Flecha, Iglinsky e… Peter Sagan.
Parlando di predestinati dagli dei, non possiamo omettere una citazione per il fenomenale slovacco, alla fine quinto, battuto solo da un Van Avermaet che oltre ad essere comunque veloce aveva condotto fin lì una gara in difesa. Invece Peter, pur direttamente coinvolto dalla caduta di Vansummeren, si riporta in solitaria con un’azione mostruosa sul gruppetto di testa. Senza dubbio uno dei gesti atletici più significativi di questo Fiandre, anche se le telecamere ce ne regalano solo la conclusione. Per dare un termine di confronto basti pensare che due atleti di qualità indubbie e apparsi oltretutto decisamente in condizione come Gatto e Boasson-Hagen non riusciranno, pur in coppia, nella medesima impresa. Il problema è che la mossa si rivelerà un dispendio inutile, visto che le carte si rimescoleranno nella parte pianeggiante del circuito, complice il gran lavoro là dietro del Team Sky (esito finale? Boasson Hagen diciannovesimo, miglior piazzato del team; e di qui un giudizio complessivo comunque non lusinghiero). Tornando a Sagan, il suo quinto posto, vale a dire la “sconfitta” per mano di Van Avermaet, consegue anche a un altro pazzesco inseguimento solitario, qui comprensibilmente senza fortuna, quando il giovane slovacco aveva tentato di tornare, sempre in solitaria, sul trio di testa. Una forza fisica e mentale impressionante, che andrà condita con la giusta dose di esperienza per massimizzare i risultati. Ma forse a quest’età è ancora più importante dare il massimo che massimizzare…
Giungiamo così all’accoppiata decisiva dei due muri finali con una situazione tuttora fluida e indefinita, un gruppo intorno alle trenta unità molte delle quali però duramente provate dall’inseguimento sul gruppetto selezionatosi per la caduta di Vansummeren.
Qui finalmente il Fiandre si infiamma, e assistiamo a due gesti tecnici eclatanti. Ce li offrono due corridori italiani, entrambi, come in una vera narrazione epica, “rinati”: Ballan tornato a correre le “sue” gare, dopo le assurde sospensioni cautelative da parte del team per via dell’inchiesta che, quest’anno per l’ennesima volta, tira fuori il naso sui giornali guarda caso alla vigilia della campagna nord. Pozzato, rientrato a tappe forzate da una improvvida frattura della clavicola, dimostrando però in questo modo di aver trovato una mentalità che gli mancava, grazie pure a un ambiente in Farnese ben diverso da quello conflittuale vissuto in Katusha l’anno passato.
Ballan fionda una progressione devastante sul Kwaremont. E fa il vuoto. Apre una voragine. Sembra che nessuno sia in grado di colmarla, ma ecco risalire perfettamente composto Pozzato. Ballan intuisce l’importanza di un’azione congiunta e non forza. Il guizzo di Pozzato è stato peraltro repentino e agilissimo, difficile a dirsi se Ballan avrebbe potuto fare altrimenti.
Dietro Pozzato, però, fiammeggia l’aura di Tom Boonen. Il fiammingo è l’unico capace di affiancarsi a questo duo di campioni ritrovati, che arrampicandosi lungo le rampe ciottolate del Kwaremont risalgono prepotenti verso l’empireo del livello tecnico che loro compete.
Il trio è fatto, la gara decisa. Pozzato e Ballan sono due grandi, ma che effetto farà loro correre al fianco di chi ormai è una leggenda vivente? Entrambi l’hanno già vissuto alla Roubaix: Pippo fu l’unico capace di inseguire la cavalcata trionfale di Boonen nel 2009, e Ballan nel 2006 fu con lo stesso Boonen e Cancellara protagonista di un trio delle meraviglie consimile a quello odierno.
Davvero ricordiamo l’Iliade, la grande guerra dove – per l’ultima volta? – gli uomini combatterono al fianco degli dei. Diomede che ferisce il dio Marte… Questa era la nostra speranza vedendo i due grandi eroi umani, troppo umani, al fianco del semidio delle pietre.
Vedere collaborare quei tre per distanziare gli inseguitori ha lo splendore ritmato degli esametri immortali. Prima sfida: il Paterberg. I due italiani, qui forse più Pozzato, colpiscono duro.
Boonen vacilla.
Non crolla.
Ora la gara è atroce. Le forze vengono meno. Un solo copione è scritto: Ballan costretto ad allungare, troppo lento in volata. Boonen costretto a chiudere sempre e comunque, troppo veloce in volata.
Per Pozzato due opzioni: provare a inserire un contropiede su uno degli attacchi di Ballan, oppure attendere la volata senza sforzi supplementari, in modo di incrementare al massimo il differenziale di freschezza contro Boonen.
In televisione sembrano entrambe buone, forse quasi meglio la prima. Però sulla strada c’è un grande vento contro, e Boonen in intervista gli renderà grazie. Ancora una volta un dio greco, stavolta Eolo, dalla parte del predestinato. Dunque meglio la seconda scelta, perché un attacco col vento in faccia ha meno chances, e viceversa in una volata con vento sfavorevole è privilegiata la freschezza, che dal Paterberg Pozzato sa essere dalla sua. Ancor più se mentre Boonen fatica, lui si “riposa”.
Ballan attacca. Una volta, due, tre. Inevitabile in questa storia di terne (il terzetto all’attacco, il pregiatissimo terzo Fiandre per Tom, nella storia lui e altri tre, tra cui Magni). Tre volte, numero del mito. Ma Eolo si oppone.
Con calzari alati e denti digrignanti i due uomini più rapidi volano in volata, Ballan si immola per lanciarla. Ma nonostante ogni calcolo, Boonen è fulminante. Pozzato perde di poco. Qualcuno vede un’incertezza sul rapporto impostato: dio è nei dettagli? Paura di vincere? Destino?
Non lo sapremo mai. Quel che è certo è che per noi hanno vinto tutti e tre. E lo diciamo col cuore, anche se forse non saranno d’accordo Filippo e Alessandro (omonimi di due grandi greci, tra l’altro: ma già grandi della Storia e non più della leggenda).
Però cavalcare a fianco di un dio, sfidarlo, quasi piegarlo… è comunque una vittoria. Ettore non è morto quando Achille gli ha inchiodato la lancia in gola, è diventato immortale.
Per mera cronaca, la volata dei comuni mortali: vinta da Van Avermaet su Sagan (comune mortale?), indorando ulteriormente la gara BMC, sulla quale però pesano gli opachi Gilbert e Hushovd. Ottimo settimo, alla fine, Luca Paolini: ancor migliore del risultato la sua condotta di gara.
Gabriele Bugada
IMPONENTE BOONEN, TRIS ALLE SPESE DI CAVENDISH
marzo 26, 2012 by Redazione
Filed under 2) GAND - WEVELGEM, News
Strepitoso tris del campione belga nella classica di casa, la più facile tra le classiche del Nord, quella che vedeva i velocisti naturali favoriti e, con essi, il campione del mondo Cavendish. Ma il britannico in maglia iridata, nonostante gli sforzi profusi per riagganciarsi al gruppo di testa, è stato abilmente messo fuori gioco dal lavoro dei gregari degli sprinter trovatisi davanti, tra i quali si egregiamente distinto l’italiano Luca Paolini.
Foto copertina: Boonen emerge ancora una volta su tutti (foto Bettini)
Continua lo straordinario stato di grazia di Tom Boonen che, a due giorni dal fresco successo alla E3 Prijs-Harelbeke, si è imposto in volata nella Gent-Wevelgem, quella che sulla carta appare essere la Classica belga meno impegnativa. Il campione della Omega Pharma-QuickStep va a succedere a se stesso nell’albo d’oro della corsa conquistata già due volte, l’ultima nel 2011. E così ad una settimana dal Giro delle Fiandre appare fin da subito chiaro chi sarà l’uomo da battere. Al via della corsa c’erano tutti i grandi nomi da classiche e ad impreziosire la lista dei partenti spiccava anche la presenza del campione del Mondo Mark Cavendish con una squadra all’altezza della situazione, pronta ad affrontare tutti i possibili epiloghi della corsa grazie alle garanzie offerte da chi qui si era già imposto, Edvald Boasson Hagen, e da chi, Bernard Eisel, soltanto pochi giorni fa ad Harelbeke, riusciva a salire sul terzo gradino del podio dietro Oscar Freire, secondo quest’ultimo dietro al già citato Boonen. In tanti si aspettavano proprio il ripetersi della volata con il testa a testa Boonen-Freire ma così non è stato o meglio a piegarsi questa volta alla netta superiorità del fiammingo è taccato ad un ottimo Peter Sagan, bravissimo a tener testa all’attacco, promosso inizialmente al secondo passaggio sul Kemmel da Matti Breschel e poi proseguito in pianura con un allungo di Fabian Cancellara. L’affondo di Cancellara ha portato in avanscoperta un piccolo gruppetto trovatosi così avvantaggiato e riacciuffato, grazie soprattutto al magistrale lavoro della solida e forte Omega Pharma-QuickStep, a soli 25 Km dall’arrivo. In quell’occasione il gruppo si è frazionato in due tronconi, con Cavendish rimasto senza compagni di squadra e costretto ad inseguire, lasciando definitivamente ogni speranza di disputarsi la vittoria quando il secondo gruppo, una volta ripresi i fuggitivi, riusciva nel comune intento di tutti di tagliare fuori dai giochi il temibilissimo campione del mondo. Il gruppo dei 27 uomini rimasti in testa era composto da molti italiani con Daniele Bennati, scortato da Fabian Cancellara, a tenere alte le speranze dei tifosi nostrani visto anche il secondo posto ottenuto dall’aretino lo scorso anno in questa gara. Purtroppo una foratura a poco meno di 10 Km dall’arrivo ha costretto il velocista della Radioshack-Nissan a dover prodigarsi in uno sforzo ulteriore per riportarsi sul gruppo e così piazzarsi soltanto in sesta posizione in una volata che di certo sperava di disputare con più forze. In vista del Fiandre, palesando una buona condizione, annoveriamo anche la presenza tra i migliori di un ritrovato Filippo Pozzato e di Oscar Gatto (Farnese Vini), già ottimi interpreti della trascorsa E3 Prijs-Harelbeke, nonché di Marco Marcato (Vacansoleil-DCM Pro Cycling Team) sempre più a suo agio nella classiche del Nord. Ottima anche la prestazione ed il lavoro di Luca Paolini, per Oscar Freire, (Katusha), e tra i maggiori artefici, insieme a Steegmans (Omega Pharma-QuickStep), prima della chiusura sull’allungo del plotone con Cancellara e Sagan e, successivamente, grazie alla velocità imposta in testa al gruppetto dei 27, del fallito riaggancio del gruppo inseguitore, quello nel quale viaggiava Mark Cavendish. E ci teneva Cavendish a riportarsi sotto, quando tutto solo ha più volte cercato di scuotere il gruppo inseguitore portandosi in prima persona a tirare nella speranza di agganciare i migliori in testa, dove avrebbe trovato un valido compagno di squadra in Edvald Boasson Hagen. Sarebbe questa stata un’occasione ghiottissima per il folletto iridato di imporsi in una Classica del Nord. Così non è andata e in vista di Wevelgem, sotto l’arco dell’ultimo chilometro, ormai il distacco risultava essere superiore ai 2’. Vittime dell’azione di Cancellara sono state anche altri candidati alla vittoria finale come Degenkolb (Project 1t4i), Farrar (Garmin-Cervelo), Greipel (Lotto Belisol Team) ed Hushovd (BMC Racing Team). Nel rettilineo di arrivo a centro strada Freire ha cercato di sorprendere tutti ma ha dovuto inesorabilmente arrendersi ad una poderosa progressione di Tom Boonen, il quale è riuscito a sopravanzare l’uomo della Katusha riuscendo per la terza volta ad imporsi sul traguardo di Wevelgem. Secondo, come già anticipato, Peter Sagan. A completare il podio Matti Breschel (Rabobank Cycling Team), sempre tra i migliori quando si respira aria del Nord. Il buon vecchio Freire stavolta, partito troppo in anticipo, scivola al quarto posto mentre in quinta posizione si piazza Edvald Boasson Hagen.
Antonio Scarfone