FRANANO ANCHE I FAVORITI: SANREMO A KRISTOFF

marzo 23, 2014 by Redazione  
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Il norvegese si impone allo sprint sul traguardo della Classicissima, conquistando il successo più prestigioso in carriera davanti a Fabian Cancellara e Ben Swift. Soltanto 5° e 10° gli uomini da battere, Mark Cavendish e Peter Sagan. Coraggioso ma vano tentativo di Nibali sulla Cipressa, neutralizzato ai piedi del Poggio.

È ancora un nome a sorpresa, per il quarto anno consecutivo, a conquistare la prima classica monumento della stagione: a Goss, Gerrans e Ciolek succede nell’albo d’oro Alexander Kristoff, 26enne norvegese che vantava quali vittoria di maggior rilievo, fino ad oggi, la quinta tappa del Tour de Suisse 2013. Un successo inatteso ma non per questo immeritato o casuale; al contrario, a stupire – quasi più del risultato in sé – è stata la superiorità schiacciante palesata dal vichingo nella volata conclusiva, al cospetto di un Cancellara costretto alla terza piazza d’onore nelle ultime quattro edizioni, di un Cavendish venuto meno proprio sul suo terreno di caccia, e di un Sagan ancora incapace di far sua una corsa sulla carta tagliata su misura per lui.
Lo slovacco, in particolare, si guadagna la palma di grande sconfitto di giornata, specie alla luce di un canovaccio di gara che pareva indicare chiaramente in lui il predestinato al trionfo. Sin dalle prime ore di corsa, la Cannondale si è assunta con autorevolezza la responsabilità dell’inseguimento alla fuga di Bono, de Maar, Tjallingii, Haas, Parrinello, Boem e Barta, nata 4 km dopo il via e in grado di raggiungere i 10’ di margine, e sempre un uomo in verde – l’impagabile De Marchi – è stato il principale artefice della neutralizzazione dell’unico attacco deciso del giorno, quello portato da Vincenzo Nibali sulla Cipressa.
Il siciliano, pur distante dalla miglior condizione – come naturale per chi ha cerchiato sul calendario le date del Tour de France -, ha come sempre dato un senso alla sua partecipazione, promuovendo un’azione che, riscontrando un po’ più di collaborazione in gruppo, avrebbe anche potuto scongiurare il preventivato arrivo a ranghi compatti. I non pochi corridori che avrebbero avuto interesse a giocare di fantasia hanno però preferito attendere non si sa quale altra occasione, e, dopo aver toccato un vantaggio massimo di una cinquantina di secondi e aver sperimentato l’ebbrezza della leadership solitaria, scavalcando de Maar e Tjallingii, ultimi superstiti della fuga del mattino, Nibali è stato costretto alla resa dai 9 km piatti precedenti l’imbocco del Poggio.
Anche grazie alla pioggia e al freddo che hanno accompagnato per il secondo anno consecutivo la Classicissima di Primavera, il plotone si è presentato piuttosto scremato e visibilmente provato ai piedi dell’ultima ascesa, già orfano di atleti quali Ulissi (ritirato), Demare, Gasparotto e Hushovd, oltre che di un Degenkolb che, dopo una foratura, ha dovuto dissipare tutte le energie residue per ritrovare le ruote degli avversari. Appariva lecito, pertanto, immaginare una bagarre accesa sull’ultima possibile rampa di lancio; al contrario, nessuno ha avuto la forza di fare la differenza, o almeno di provarci a fondo: Rast, Battaglin, Gilbert e Van Avermaet, tra gli altri, si sono alternati in allunghi poco convinti, che mai hanno seriamente minacciato le chances degli sprinter.
Dopo un ultimo affondo di Colbrelli, spento a un chilometro e mezzo dal termine, a riprendere definitivamente in mano le operazioni sono state le squadre dei velocisti, ormai troppo stanche e numericamente ridotte, però, per poter garantire una volata lineare. Cavendish, in particolare, è rimasto privo dell’usuale treno, con un Petacchi fuori dai giochi sin dal Capo Berta, mentre Sagan aveva ormai spremuto ogni barlume di energia dai compagni, e forse anche da se stesso.
Gilbert ha lanciato una progressione suicida che ha di fatto spianato la strada a quella di Kristoff, Cannonball (5° alla fine) si è spento non appena ha dovuto fare i conti con il vento, Sagan (10°) non ha neppure abbozzato lo sprint, e Cancellara – a dispetto del comprensibile gesto di stizza cui si è abbandonato sul traguardo – non ha mai neppure potuto pensare di mettere in discussione la supremazia del norvegese. Il podio di Swift (3°), la medaglia di legno di Lobato e il 6° posto di Colbrelli, davanti a Stybar, Modolo e Ciolek, completano il quadro di una top 10 impronosticabile.
In attesa di scoprire se il vincitore odierno darà seguito alla tradizione degli ultimi tre predecessori anche nel percorso post-Sanremo, o se la sua Classicissima sarà l’avvio di una stagione di successi, l’ennesima sorpresa darà con ogni probabilità ulteriore slancio all’iniziativa di Mauro Vegni, deciso a rendere più selettiva una corsa che – nella veste 2014 – sembra in effetti richiedere acrobazie per scongiurare volate di gruppo. Il dibattito sulla Pompeiana rimarrà aperto (potrebbero bastare le Manie per rendere meno scontato il finale, e occorrerebbe ricordare che, di per sé, un vincitore inaspettato non squalifica la corsa), ma, dopo una Sanremo che solo gli opinionisti delle TV che ne detengono i diritti hanno potuto (o dovuto) trovare entusiasmante, l’esperimento avrebbe un suo perché.

Matteo Novarini

ORDINE D’ARRIVO

1 Alexander Kristoff (Nor) Team Katusha 6:55:56
2 Fabian Cancellara (Swi) Trek Factory Racing
3 Ben Swift (GBr) Team Sky
4 Juan Jose Lobato Del Valle (Spa) Movistar Team
5 Mark Cavendish (GBr) Omega Pharma – Quick-Step Cycling Team
6 Sonny Colbrelli (Ita) Bardiani CSF
7 Zdenek Stybar (Cze) Omega Pharma – Quick-Step Cycling Team
8 Sacha Modolo (Ita) Lampre-Merida
9 Gerald Ciolek (Ger) MTN – Qhubeka
10 Peter Sagan (Svk) Cannondale
11 Ramunas Navardauskas (Ltu) Garmin Sharp
12 Salvatore Puccio (Ita) Team Sky
13 Philippe Gilbert (Bel) BMC Racing Team
14 Sebastian Langeveld (Ned) Garmin Sharp
15 Lars Petter Nordhaug (Nor) Belkin-Pro Cycling Team
16 Yoann Offredo (Fra) Fdj.fr
17 Francisco José Ventoso Alberdi (Spa) Movistar Team
18 Daniele Bennati (Ita) Tinkoff-Saxo
19 Grégory Rast (Swi) Trek Factory Racing
20 Fabio Felline (Ita) Trek Factory Racing
21 Sylvain Chavanel (Fra) IAM Cycling
22 Davide Cimolai (Ita) Lampre-Merida
23 Jurgen Roelandts (Bel) Lotto Belisol
24 André Greipel (Ger) Lotto Belisol
25 Greg Van Avermaet (Bel) BMC Racing Team
26 Alexandre Pichot (Fra) Team Europcar 0:00:06
27 Fabian Wegmann (Ger) Garmin Sharp 0:00:07
28 Davide Appollonio (Ita) AG2R La Mondiale 0:00:34
29 Edvald Boasson Hagen (Nor) Team Sky
30 Filippo Pozzato (Ita) Lampre-Merida 0:00:40
31 Thomas Leezer (Ned) Belkin-Pro Cycling Team 0:00:54
32 Nicki Sörensen (Den) Tinkoff-Saxo
33 Luca Paolini (Ita) Team Katusha 0:01:12
34 Arnaud Demare (Fra) Fdj.fr 0:01:22
35 Tony Gallopin (Fra) Lotto Belisol
36 Mauro Finetto (Ita) Yellow Fluo
37 Bauke Mollema (Ned) Belkin-Pro Cycling Team 0:01:33
38 Martijn Maaskant (Ned) Unitedhealthcare Professional Cycling Team 0:01:35
39 John Degenkolb (Ger) Team Giant-Shimano 0:01:54
40 Lloyd Mondory (Fra) AG2R La Mondiale 0:02:09
41 Maarten Tjallingii (Ned) Belkin-Pro Cycling Team 0:02:38
42 Adam Hansen (Aus) Lotto Belisol
43 Enrico Battaglin (Ita) Bardiani CSF 0:03:14
44 Vincenzo Nibali (Ita) Astana Pro Team 0:03:15
45 Jan Bakelants (Bel) Omega Pharma – Quick-Step Cycling Team
46 Oscar Gatto (Ita) Cannondale
47 Rinaldo Nocentini (Ita) AG2R La Mondiale 0:03:22
48 Manuel Quinziato (Ita) BMC Racing Team 0:03:36
49 Daryl Impey (RSA) Orica GreenEdge 0:03:50
50 Kristian Sbaragli (Ita) MTN – Qhubeka 0:04:10

Kristoff si impone nella 105a edizione della Milano - Sanremo (foto Bettini)

Kristoff si impone nella 105a edizione della Milano - Sanremo (foto Bettini)

UNA DOYENNE COL QUADRIFOGLIO

Continua l’omaggio degli ex giornalisti di iciclismo.it nel decennale della fondazione della rivista online. Oggi tocca a Saverio Melegari.

Foto copertina: Martin e Hesjedal, i due grandi protagonisti della Liegi 2013 (foto Cor Vos)

Giratela come volete, ma questa Liegi-Bastogne-Liegi edizione numero 99 passerà alla storia per gli accordi, e soprattutto le gambe, di casa Garmin. Perché quando ti ritrovi, in una classica del genere, a lottare per il successo a 10 chilometri dall’arrivo sei già bravo. Ma se, dalla tua, hai anche la gamba giusta e un gregario che soltanto un anno fa ha vinto il Giro d’Italia ed è pronto a tirare fuori anche i polmoni pur di portarti in rampa di lancio allora sei fenomenale.
E quella rampa, per Daniel Martin, è arrivata sullo strappo di Ans, l’ultima storica cotè che conduce poi al breve rettilineo della periferia di Liegi che mette in palio un pezzo importante di stagione ciclistica.
Uno squillo di tromba in ottica grandi classiche molto importante quello dell’irlandese, una bordata pesante quella del canadese contro i vari Nibali, Contador, Wiggins e soci in vista del Giro d’Italia oramai sempre più vicino.
Rjder ha detto che c’è, che non vorrà venire ancora in Italia a fare una passeggiata e, soprattutto, sulle grandi salite cercherà l’acuto, unitamente alla costanza, che gli ha permesso di riportare in Quebec una storica maglia rosa.
Ci sono poi tutti i “trombati” (in questi tempi di terremoti politici ci sta sempre bene questo termine) della Doyenne e non solo. La Liegi consegna un Alejandro Valverde che ancora una volta si ferma sul più bello, un Joaquin Rodriguez che si fa ingolosire fin troppo quando vede che alle sue spalle c’è solo Daniel Martin e pensa di averla già fatta franca, un Philippe Gilbert che tutti volevano pronto a sgambettare in testa già sulla Redoute per poi tentare un arrivo trionfale ad Ans.
C’è poi, purtroppo, il capitolo peggiore per noi che è quello dei “trombati” con costanza, vale a dire ancora una volta l’Italbici. Anche la Campagna del Nord 2013 è di una stitichezza unica con nessun risultato di prestigio tanto che bisogna prendere come grande segnale il 5° posto di Scarponi ed il 6° di Gasparotto alla Liegi: nessuno ha fatto meglio di loro nelle grandi classiche.
Un rendimento dei corridori italiani al Nord che, oramai, sta diventando una cattiva costante nelle ultime stagioni, sintomo di mancanza di ricambio generazionale ed anche quelli che non sono vecchissimi (Gasparotto, Cunego ecc.) non la combinano giusta. Chi non si è mai tirato indietro in queste settimane, invece, è stato Caruso unitamente allo scatenato Betancour che torna a casa con un pugno di mosche in mano ma la consapevolezza, un giorno, di potersela giocare alla pari con tutti.
Ora ci si tuffa verso la “rosea” per capire se i segnali lanciati al Nord verranno verificati anche nel vecchio stivale oppure salterà fuori qualcuno che nessuno si aspetta.

Saverio Melegari

PAGELLE 2013: PROMOSSI E BOCCIATI DELLA LIEGI-BASTOGNE-LIEGI

Nel giorno della consacrazione di Daniel Martin, brillano anche Scarponi e Betancur mentre deludono Gilbert e Nibali.

Foto copertina: Rodriguez e Martin affiancati sulla salita verso Ans (foto EPA)

Daniel Martin: nelle pagelle dello scorso anno avevamo pronosticato per lui un successo alla Doyenne. Anche nella passata edizione, infatti, era risultato il più competitivo sull’arcigno strappo del St. Nicolàs dove aveva salutato la compagnia di Gilbert per cogliere un importante quinto posto. Oggi, grazie a un tandem perfetto con un pimpante Hesjedal, che si è testato a fondo in vista del Giro d’Italia, ha avuto nel finale la lucidità e le gambe per staccare di ruota con una forte progressione prima un Valverde inaspettatamente alla frutta e, successivamente, un Purito in riserva di energie dopo una delle sue solite sparate. Più che di una sorpresa, dunque, si tratta di una vera e propria consacrazione. Bisognerà marcarlo molto stretto al Campionato del Mondo di Firenze. Voto: 10

Joaquim Rodriguez: la caduta all’Amstel di domenica scorsa ha segnato pesantemente la sua settimana sulle Ardenne. Dopo essersi risparmiato nella gara a lui più congeniale, la Freccia Vallone, era evidente che puntasse tutto sulla Liegi contando una volta di più sull’appoggio di un Daniel Moreno al top della forma. Quest’ultimo, tuttavia, è stato messo fuori gioco da un incidente meccanico e così Purito ha dovuto rivedere tutta la sua strategia di corsa. La fucilata all’ultimo chilometro ha avuto il merito di scardinare certe pratiche attendiste tanto care ad alcuni corridori ma, evidentemente ancora non in perfette condizioni di forma, al capitano della Katusha è mancato il fondo per resistere alla rimonta di Martin. Voto: 8

Alejandro Valverde: uno dei più abili succhiaruote del plotone, oggi ha commesso l’errore di provare in prima persona una azione sul St. Nicolas. Dopo aver passato a doppia velocità Gilbert su quest’ultimo strappo (una piccola rivincita del Mondiale 2012), niente sembrava potesse ostacolare la corsa dell’ Embatido verso uno storico tris. Solo il suo ex gregario di fiducia Rodriguez, conoscendo a fondo le caratteristiche del murciano, giocando d’anticipo, ha evidenziato un momento di difficoltà che difficilmente sarebbe emerso nella volata finale. Conclude sempre piazzato una settimana sulle Ardenne che certamente non soddisfa le sue aspettative. Voto: 7

Carlo Alberto Betancur: anche alla Doyenne, così come accaduto alla Freccia Vallone, ha peccato di inesperienza. Sorretto da un ottimo stato di forma ha tuttavia sbagliato ancora i tempi dello scatto, provando a far saltare il banco con troppo anticipo. Bisogna, però,evidenziare l’intelligenza e la freschezza del giovane colombiano che, accortosi della presenza di Valverde, ha tentato di involarsi da solo verso il traguardo. Con il cambio di ritmo imposto agli inseguitori, ha contribuito a fiaccare definitivamente le resistenze di un Valverde fino a quel momento apparso in stato di grazia. Ancora una volta una vittoria sul San Luca (Giro dell’Emilia 2011), rappresenta un indicatore attendibile delle qualità di un ciclista. Voto: 9

Michele Scarponi: forse troppo in forma per poter lottare con i migliori nell’ultima settimana del Giro d’Italia, ha comunque interpretato splendidamente una corsa che anche in passato ha esaltato le sue caratteristiche di ciclista di fondo. Coadiuvato da un Cunego evidentemente non al massimo della forma, che ha svolto la funzione di stopper nei confronti degli avversari, Scarponi è stato addirittura il primo ad accendere la miccia in salita, mettendo in seria difficoltà Gilbert. Nel finale ha patito un po’ i cambi di ritmo, forse anche a causa dei soliti ‘rapportacci’ che si ostina a tirare, ma ha comunque colto, primo degli italiani, un ottimo quinto posto finale a coronamento di una corsa che lo ha visto tra i più combattivi. Voto: 8,5

Vincenzo Nibali: capitano di una formazione che vedeva schierati gregari come Iglinskiy e Gasparotto, vincitori rispettivamente della Liegi e dell’Amstel della scorsa stagione, non ha recuperato le fatiche imposte da un trionfante ma esigente Giro del Trentino. Ha provato nel finale a far valere la superiorità numerica della sua squadra ma le gambe non hanno risposto come la testa avrebbe desiderato. Apprezzabile, anche se forse tardivo, il tentativo del siciliano di spendere le energie residue per tentare di ricucire sul gruppetto di testa e favorire quindi una volata del compagno Gasparotto (voto: 6). Lo attendiamo alla Corsa Rosa sperando nel mantenimento di uno stato di forma che comunque appare già oggi più che soddisfacente. Voto: 5

Philippe Gilbert: quello che sembrava dovesse divenire il dominatore assoluto delle Ardenne, dopo l’inaspettata tripletta firmata nel 2011, non ha più saputo da allora esprimersi a così alto livello sulle strade di casa. Vedere Philippe, superato a doppia velocità da Valverde, supplicare il gruppetto di cui faceva parte sul St. Nicolàs di collaborare per riprendere quest’ultimo, rappresenta una delle immagini più umilianti per un ciclista come il belga, abituato a deridere gli avversari con prestazioni fuori dal comune. Voto: 4,5

Jelle Vanendert: l’anno scorso ha stupito tutti cogliendo ottimi risultati sulle salitelle delle Ardenne, quest’anno non lo si è mai notato nelle prime posizioni. Voto: 4

Simon Gerrans: l’australiano nutriva forti ambizioni prima di incominciare questa settimana in Belgio ma agli intenti bellicosi della vigilia non sono seguiti i risultati sperati. Voto: 4

Samuel Sanchez: ha sfruttato le Ardenne per rifinire la condizione in vista del Giro d’Italia ma un ciclista con le sue caratteristiche doveva provare ad ottenere almeno qualche piazzamento significativo. Voto: 4

Andy Schleck: vedere un passato vincitore della Liegi non tentare nemmeno di seguire gli altri sulle ultime asperità che presentava la corsa è una delle immagini più deprimenti della giornata odierna. Voto: 4

Francesco Gandolfi
gandolfi.francesco@libero.it

ALLA LIEGI BRINDA MARTIN

aprile 21, 2013 by Redazione  
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Con un’azione di forza nell’ultimo chilometro, l’irlandese stacca i compagni di fuga e si impone in solitaria sul traguardo di Ans, diventando il secondo vincitore irlandese nella storia della Doyenne, dopo Sean Kelly. Piazza d’onore per Joaquin Rodriguez, primo ad attaccare sullo strappo finale. Completa il podio un Alejandro Valverde forse troppo attendista, che ha preceduto allo sprint Betancur e un ottimo Scarponi. Delusi Nibali, sacrificatosi per Gasparotto, e Gilbert, solo settimo.

Foto copertina: Daniel Martin festeggia a braccia alzate il trionfo alla Liegi-Bastogne-Liegi (foto AFP)

Contro i pronostici che vedevano in Gilbert l’uomo da battere e nella Astana la squadra faro, la Liegi-Bastogne-Liegi 2013 è stata il trionfo della Garmin e di Daniel Martin, capace di riuscire laddove l’illustre zio aveva fallito: nel 1987, alla vigilia della leggendaria tripletta Giro–Tour–Mondiale, Stephen Roche si fermò infatti sul secondo gradino del podio, beffato dal rientro in extremis di Moreno Argentin, dopo un’interminabile e fatale melina con il compagno di fuga Criquielion. Ventisei anni più tardi, il nipote d’arte, magistralmente pilotato da un impagabile Hesjedal, ha invece messo in strada la decisione che all’epoca difettò al consanguineo, neutralizzando l’attacco portato da Joaquin Rodriguez in vista del triangolo rosso, e salutando lo spagnolo poco prima dell’ultima curva, concedendosi tempo e spazio per festeggiare a dovere il terzo successo irlandese nella storia della Doyenne, dopo quelli del 1984 e del 1989, targati Sean Kelly.
La vittoria di Martin, sorprendente ma tutt’altro che casuale, si inserisce e si spiega nel contesto di una gara resa difficilmente leggibile dall’attendismo estremo che ha regnato tra i favoriti, forse rei di aver sottovalutato la sostituzione della Roche-aux-Faucons – snodo chiave delle più recenti edizioni – con la più tenera Côte de Colonster. Il risultato è stato che, se negli anni passati le pendenze estreme della Roche avevano compensato la spiacevole ma ormai consolidata tradizione del marcamento sulla Redoute, la bagarre che pure si è accesa sulla salita supplente non è stata sufficiente a scremare significativamente il plotone, forte ancora di una cinquantina di unità ai piedi del Saint-Nicolas.
Probabile che in tal senso abbia inciso anche il ritmo inusitatamente blando mantenuto dal gruppo nelle battute iniziali, nelle quali il vantaggio della fuga a sei della prima ora, prodotta da De Clercq, Jérôme, Fumeaux, Lang, Veuchelen e Armée, era giunto ad un emblematico tetto di un quarto d’ora. La Saxo aveva provato a smuovere le acque con un forcing deciso ma effimero tra Haute-Levée e Rosier, ma per veder ridotte sensibilmente le dimensioni del plotone si è dovuta attendere la Redoute, dove il Team Sky ha spedito in avanscoperta David Lopez, stimolando la replica di Rui Costa prima, e quindi di Fuglsang, Cunego, Frank, Losada, Bardet e Fédrigo.
Gli otto sono stati una prima volta riassorbiti già sullo Sprimont, dove, insieme a Ten Dam, sono nuovamente evasi dal gruppo, andando incontro ad analoga sorte pochi chilometri più tardi.
Sul già menzionato Colonster, Rui Costa ha stoicamente tentato un terzo allungo, soppiantato quindi in testa al gruppo da Caruso prima e Uran poi. La progressione dei tre ha spianato la strada ad un allungo di Alberto Contador, che proprio nel momento dell’attacco ha tuttavia palesato la distanza che ancora lo separa dalla condizione ottimale: in luogo della celeberrima frustata, il madrileno ha messo in scena una scialba accelerazione di poche pedalate, facilmente annullata da Enrico Gasparotto. La terzultima ascesa si è conclusa su un’offensiva di Hesjedal, capace di guadagnare una manciata di metri insieme ad Anton e ai soliti Caruso, Rui Costa e Contador.
Nel successivo tratto di falsopiano, il canadese si è messo in proprio, sbarazzandosi dei poco pimpanti compagni d’avventura, e difendendo in completa solitudine i 20’’ circa di vantaggio fino ai piedi del Saint-Nicolas. Laddove tutti aspettavano Nibali o Gilbert, è stato invece Carlos Betancur il primo a piazzare un affondo deciso, rintuzzato in un secondo momento da Scarponi, Martin e Rodriguez, e, poco prima dello scollinamento, da un Valverde che, passando di slancio un piantato Gilbert, poneva la sua candidatura al ruolo di favorito numero uno.
I cinque hanno raggiunto ma non staccato Hesjedal, che, vedendo sopraggiungere la maglia Garmin di Martin, ha tirato fuori insospettabili energie per pilotare il drappello nei chilometri antecedenti lo strappo di Ans, dando prova di una condizione che rende meno scontata l’abdicazione alla quale dovrebbe sulla carta costringerlo, al prossimo Giro d’Italia, uno fra Nibali e Wiggins. Il sestetto ha così conservato, ai piedi dell’erta finale, 8’’ di margine sul drappello inseguitore, trainato proprio dal siciliano della Astana, messosi al servizio del più veloce Gasparotto.
Rodriguez, temibilissimo su qualsiasi arrivo all’insù, ma più a suo agio su pendenze meno abbordabili, ha provato a giocare d’anticipo; Scarponi è stato il primo a replicare, piantandosi però prima di chiudere. Martin ha prima verificato le idee di Betancur, affaticato, e di Valverde, che per principio non prende però l’iniziativa due volte nella stessa gara, e che comunque aveva forse sparato le cartucce migliori per rientrare sul Saint-Nicolas. L’irlandese si è così messo in prima persona in caccia dello spagnolo, sfilando a velocità doppia Scarponi, e ricucendo poco dopo il gap dal leader.
Per un attimo, i due hanno dato l’impressione di studiarsi, riaprendo uno spiraglio al rientro degli ex compagni di viaggio; forse memore della sciagurata avventura dello zio di ventisei anni fa, cui si è accennato in apertura, l’irlandese ha però rotto gli indugi a 300 metri dalla conclusione, lasciando sul posto un Rodriguez ormai svuotato, costretto alla piazza d’onore per la seconda volta in carriera alla Liegi. Valverde si è dovuto accontentare del gradino più basso del podio, anticipando Betancur e uno Scarponi già in formato Giro. L’uomo più atteso, Philippe Gilbert – dato per favorito, per la verità, più per il sontuoso palmares che per quanto mostrato in questa stagione -, ha chiuso 7°, bruciato anche in volata da Gasparotto, secondo italiano in top 10. Dato, quest’ultimo, che forse non dirà molto, ma che, al termine di una campagna del Nord fallimentare, costituisce di gran lunga il miglior risultato complessivo della primavera azzurra.

Matteo Novarini

BANG BANG YOU SHOT ME DOWN INFANTILE E VIOLENTA, CHE DIVERTENTE È LA FRECCIA

aprile 18, 2013 by Redazione  
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La gara più corta, il chilometro più lungo. Quasi ogni edizione si conclude con la “volata verticale” di un gruppo ancora affollato ai piedi del Muro di Huy: spesso basta seguire gli ultimi due o tre minuti della competizione per goderne il succo. Però in quel chilometro scarso succede di tutto: attacchi da lontano, azzardi, fughe, sfide, crolli.

Foto copertina: il gruppo sul muro di Huy (foto Bettini)

Per fortuna la Freccia, come sempre, è finita in volata. Gli organizzatori avevano ritoccato il percorso per movimentarla un po’ da lontano, ma dopotutto… perché? Ben venga l’evoluzione dell’Amstel, che stava diventando una brutta copia della Freccia. Ben venga l’eterna mutevolezza e imprevedibilità della Liegi. Ma perché mai non possiamo regalarci in una, una sola classica, il divertimento minimalista e in fondo un po’ sciocco dell’epilogo in volata?
Una volata verticale, sia ben chiaro. Una volata in cui si possano godere come al rallentatore le logiche tattiche e i rivolgimenti drammatici che in uno sprint tradizionale, sul piano, scorrono via troppo rapidi per l’occhio umano.
Il “ralenti” al cinema spesso e volentieri è un effettaccio, da film d’azione spaccone che pompa emozioni facili. Quando finisce in mano a un grande regista, però, non gli si può negare quel pizzico di epica.
Ci sono classiche grandi e piccole per specialisti di ogni genere, perché non una per gli scattisti da parete estrema? Il vincitore di quest’anno, Dani Moreno, ha subito detto che da sempre questa è stata la sua gara favorita, anche se fino ad oggi il suo ruolo era stato naturalmente quello dello scudiero di Joaquim Rodriguez, probabilmente il vero fenomeno di questa disciplina.
E dopo tutto perfino chi in bici ci va da ciclista della domenica, con gli amici sulle strade di casa, sa che il divertimento puro è quello del breve strappo in cui scatenarsi in una sfida a tutto gas, senza paura di crampi, crisi di fame, mal di sella, ma abbandonandosi in pieno al gusto di un bel fuorigiri senza remore. Il bello del fiatone!
Quel fiatone che dopo 260km tirati anche se sei un professionista non puoi più cacciartelo dai polmoni, perché le gambe in croce girano a stento e il cuore si preoccupa solo dell’ordinaria amministrazione. Il ciclismo “vero” sta nel trovare la brillantezza quando si è al lumicino, questo sia chiaro; il ciclismo “vero” è quello della Liegi, ci mancherebbe.
Una volta tanto, senza esagerare, ci sta divertirsi con un ciclismo meno “vero”, meno duro e puro, più giocoso e scanzonato, non per questo meno ricco di sussulti drammatici.
E allora viva la Freccia, con Joaquim che gioca a star bene anche se le botte prese in Olanda gli fanno un gran male, e pensa alla Liegi. Però fa la mossa, si mette davanti, e nal girotondo dei marcamenti fa scappare via l’amico Dani. D’altro canto avevano condiviso la stanza fortunata nell’albergo, la leggendaria numero 11 che fu di Argentin!
Viva la Freccia, con i colombiani Henao e Betancur che fanno secondo e terzo, ma sembrano vivere una sfida tra compaesani, tutta giocata tra loro, con Henao che nemmeno si cura di Moreno (avrebbe forse vinto, se l’avesse marcato invece che guardare altrove) e Betancur che tira fuori dal cappello la bravata di un attacco “da lontano”. Tutto finisce con abbracci e pacche sulle spalle. Con tanto di divertente siparietto in merito a quale sia il gradino giusto del podio su cui salire!
È invece andata male, malissimo (sportivamente s’intende), a chi la gara l’ha presa, anche con i propri buoni motivi, troppo sul serio.
Gilbert voleva maledettamente vincere, per raddrizzare finalmente un’altra primavera zoppa. Ha macinato la squadra, poi nel finale si è trovato a dover gestire l’intera situazione in prima persona, a maggior ragione dopo le fiammate esibite sul Cauberg. Perché anche se parliamo di un gioco di meno di un km, i duecento che ci sono prima non sono uno scherzo. Resta ciclismo, e grande ciclismo, anche se lo spettatore può accontentarsi di seguire appena l’ultimo chilometro. Il ritmo di gara, le forze residue, le alleanze, vanno costruendo la situazione che si risolverà in quel rapido crepitio di fucili.
Sagan voleva maledettamente vincere, i crampi del Cauberg hanno scottato il suo orgoglio di campioncino. Ha marcato Gilbert, e come lui ha finito per scoppiare troppo presto. Perché anche se parliamo di un gioco che dura due minuti, in quei due minuti hai un solo colpo da sparare, e come nei duelli del kubrickiano Barry Lindon, sbagliare la giusta distanza all’atto di tirare può voler dire finire steso al suolo. Un gioco, ma un gioco azzardato ed equilibristico, come balzare da un tetto all’altro in una fuga a perdifiato.
La gara della sparata tutto o niente, scoppiettante, sfacciata, che come il gioco d’azzardo lascia musi lunghi e amarezza tra i perdenti, o meglio tra chi… l’ha presa male.
La gara perfetta, se vogliamo, per una ciclista perfetta (anche se per lei sono perfette tutte le gare): Marianne Vos firma la cinquina, davanti a una tenacissima Longo Borghini che gioca duro e fa sul serio fino al colpo di reni, pigliandosi una seconda piazza prestigiosissima con perizia e grinta da professionista consumata; se non la conoscessimo, non diremmo mai che nemmeno ha compiuto 22 anni.
L’immagine che ci resta in testa è però il sorriso smagliante di Marianne, a illuminare la sua maglia multicolore. E le sue parole sono il commento migliore alla Freccia Vallone, a ogni Freccia Vallone, da parte di chi questa gara l’ha capita davvero, meglio di tutti: “può sembrare strampalato, ma nonostante tutto, è ancora così eccitante! Ogni volta che vinco è come se fosse una novità… quell’esplosione di potenza, che su questa salita puoi fare una volta sola”.

Gabriele Bugada

Continuano gli interventi delle “glorie” della nostra testata in occasione del decimo anniversario dell’inizio di questa bella avventura. Stavolta è toccato a uno degli attuali membri della redazione, Gabriele Bugada.

A SORPRESA DA HUY SPUNTA DANI MORENO

aprile 17, 2013 by Redazione  
Filed under 6) FRECCIA VALLONE, News

Grazie ad una potente azione di forza, il corridore della Katusha Dani Moreno è risultato essere il più forte in corsa quest’oggi alla Freccia Vallone, andando così a trionfare sulla salita simbolo della corsa, quel Muro di Huy che tutti credevano potesse ospitare la bagarre tra uomini più quotati, come ad esempio Gilbert e Sagan.

Foto copertina: Dani Moreno torreggia sul muro di Huy (foto AFP)

Il primo tentativo di fuga è ad opera di Cedric Pineau dopo 7 km, ma il gruppo rinviene presto su di lui. Dopo altri scatti in testa al gruppo, alla fine riescono ad evadere Pirmin Lang e Gilles Devillers, al loro inseguimento Jurgen Van Goolen riesce a raggiungere il duo di testa intorno al km 35. Sono ora tre i ciclisti al comando che continuano ad accumulare vantaggio sul gruppo racimolando un vantaggio massimo che sfiora i nove minuti. L’andatura si fa man mano più sostenuta ed al primo passaggio sul muro di Huy il gruppo si allunga grazie al forcing della Vacansoleil. Ai meno 46, dopo oltre 100 km di fuga, i tre fuggitivi vengono ripresi dal gruppo, che già da qualche km aveva nettamente aumentato l’andatura favorita anche dal susseguirsi di molti scatti in testa al plotone. Subito dopo provano l’allungo sia Bardet che Ten Dam. Dopo il secondo passaggio sul muro di Huy, a circa 27 km dall’arrivo, Simon Geschke subentra a Bardet e si unisce a Ten Dam, ma la fuga è tenuta sotto controllo dagli uomini BMC. Il duo di testa viene definitivamente ripreso ai meno 9. In vista del traguardo si alternano in testa BMC, Katusha, Saxo Bank, preannunciando l’azione buona di un proprio capitano. Il gruppo, in vista dell’ultimo km è ora compatto. Il primo ciclista a scattare è Betancur che regge bene. Dietro la bagarre vede tra i migliori Daniel Moreno, Gilbert ed Henao. Ai meno 80 Dani Moreno allunga e il suo allungo è micidiale, lascia sul posto Gilbert e va all’inseguimento di Betancur. Moreno taglia il traguardo e vince la sua prima Freccia vallone. Secondo successo consecutivo per la squadra russa dopo il trionfo di Joaquim Rodriguez lo scorso anno. Al secondo posto il colombiano Sergio Henao mentre chiude il podio il suo connazionale Betancur. Primo degli italiani Nocentini al 10° posto. Freccia quindi che si chiude un po’ a sorpresa con la vittoria di Dani Moreno ma che in realtà, in corsa è sembrato davvero essere l’uomo da battere.

Antonio Scarfone

NON LO SLOVACCO, MA IL CECO: AMSTEL A KREUZIGER

aprile 14, 2013 by Redazione  
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Anticipando i big con un’azione ad una ventina di chilometri dal traguardo, Roman Kreuziger conquista l’Amstel Gold Race 2013, la prima dopo un decennio senza traguardo in cima al Cauberg. Inutile il pur notevole contrattacco di Gilbert nell’ultimo giro, neppure premiato con la piazza d’onore. Sul podio salgono Valverde e Gerrans. Fra gli italiani, nei 10 Gasparotto e Caruso. Da segnalare un attacco solitario di Cunego a 25 km dal traguardo.

Foto copertina: Roman Kreuziger alza le braccia al termine della sua vittoriosa fuga solitaria (foto Roberto Bettini)

Non è ancora chiaro se il nuovo tracciato dell’Amstel Gold Race, con arrivo non più in cima al Cauberg, come avvenuto dal 2003 all’anno passato, ma 2 km oltre, sia più o meno impegnativo del precedente; e neppure basta una singola verifica per affermare che, quanto meno, il diverso disegno favorisce copioni di gara meno scontati di quello usuale, con gruppo pressoché compatto ai piedi dell’ultima scalata, prima di una volata di qualche centinaio di metri. Di certo, però, l’edizione 2013 della classica olandese è stata la meno prevedibile da parecchi anni a questa parte, e non soltanto perché il nome del vincitore non è uscito dalla rosa dei favoriti della vigilia, e forse nemmeno da quella dei principali outsider.
Il nome in questione è quello di Roman Kreuziger, leader Saxo Bank in contumacia di Alberto Contador, che già aveva saputo chiudere nei cinque sulle stesse strade nel 2010 (5°), ed era stato addirittura quarto alla Liegi di due anni fa, senza però mai fugare con ciò la sensazione che il suo terreno ideale restassero le corse a tappe, brevi e non. A lanciare il ceco verso il successo, nonché verso una nuova dimensione di corridore da classiche, è stata l’azione promossa da Marco Marcato ad una ventina di chilometri dal termine, al penultimo transito sulle rampe del Cauberg, poco dopo l’esaurimento di un breve tentativo solitario di Cunego. Kreuziger e Caruso sono stati i soli ad accodarsi in tempo utile, per poi dar man forte all’alfiere Vacansoleil nell’inseguimento a chi ancora resisteva al ritorno del gruppo.
Davanti a tutti, a quel punto, resisteva ancora Mikel Astarloza, ultimo superstite di una fuga della prima ora che comprendeva anche De Troyer, Pliuschin, Van Overberghe, Vansummeren, Vogondy e Sys; sospesi fra il basco e il drappello del futuro vincitore, galleggiavano invece Weening, Tanner, Nordhaug e Grivko, evasi in rapida successione una quindicina di chilometri prima, e il già menzionato Pliuschin, altro reduce del mattino. Gli otto corridori si sono compattati a 17 km dal termine, potendo però contare su un margine di appena una ventina di secondi nei confronti del plotone.
Divario facilmente colmabile da un gruppo collaborativo, ma sensibile in assenza di squadre in grado di prendere in mano la situazione, prima fra tutte la Cannondale di Sagan, sfinita da un lungo lavoro nella fase centrale di gara, comunque non tale da giustificare il totale isolamento dello slovacco nel finale. Qualcuno ha provato a mettersi in proprio (Leukemans il più deciso), ma senza guadagnare più di un centinaio di metri su un plotone che, riassorbiti i contrattaccanti, non riusciva però a dare continuità al proprio inseguimento.
L’accordo fra i battistrada, rimasti nel mentre orfani di Tanner, ha retto fino al Bemelerberg, quando gli scatti di Nordhaug e Kreuziger hanno eliminato dalla contesa Astarloza e Marcato, e soprattutto preparato la situazione di stallo della quale ha saputo approfittare il quasi 27enne di Moravska Trebova, andatosene in un tratto pianeggiante, ai 7 dal traguardo. Gli ormai ex compagni d’avventura non hanno mai dato l’impressione di poter ricucire, sensazione suffragata dal rientro su di loro di Ryder Hesjedal, uscito solitario dal gruppo quasi in concomitanza con lo scatto decisivo del leader.
Con una gara sostanzialmente già chiusa ai piedi dell’ultima ascesa al Cauberg, l’ultimo ad arrendersi è stato Philippe Gilbert, autore di un sparata di straordinaria potenza che ha ben presto messo in croce Sagan, alla quale soltanto Gerrans e Valverde hanno saputo resistere, non senza patemi. I 39’’ che separavano il gruppo da Kreuziger all’imbocco della salita si sono tuttavia prevedibilmente rivelati troppi per il terzetto, i cui indugi nell’ultima sezione pianeggiante hanno lasciato spazio anche al ritorno di un secondo e più nutrito drappello.
Quando Kreuziger già era sfilato sotto lo striscione d’arrivo a braccia alzate, i tre sono comunque riusciti a difendersi per questione di centimetri dal recupero degli avversari, con Valverde e Gerrans giunti, nell’ordine, davanti a Gilbert, la cui prova di forza, combinata con la débacle di Sagan, vale i galloni di favorito per Freccia e Liegi. Meersman, Weening, Leukemans, Gasparotto, Caruso e Wegmann hanno completato una top 10 difficilmente pronosticabile, destinata a modificarsi con ogni probabilità mercoledì, quando il Muro di Huy sarà arbitro della 77a Freccia Vallone.

Matteo Novarini

PAGELLE 2013: PROMOSSI E BOCCIATI DELLA PARIGI – ROUBAIX

aprile 9, 2013 by Redazione  
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Superlativo Cancellara che firma la tripletta, Vanmarcke sorpresa del giorno. Altra delusione da parte di Pozzato e anche un indomito Paolini lontano dalle prime posizioni.

Foto copertina: Fabian Cancellara, promosso con lode (foto Bettini)

Fabian Cancellara: senz’altro la più bella tra le Classiche del Nord conquistate in carriera dallo svizzero perché la più sofferta, complice la doppia caduta patita nell’ultima settimana. Benché non in perfette condizioni fisiche e nonostante tutti gli altri favoriti gli abbiano corso contro sin dalle prime battute di gara, è stato molto intelligente nel gestire la squadra per poi, arrivato il suo momento, infilzare uno dopo l’altro gli avversari con cambi di ritmo “spezza gambe”. La guerra di nervi vinta all’interno del velodromo di Roubaix giunge a coronamento di una gara perfetta, condotta da autentico maestro del pavè: forse il più grande specialista degli ultimi vent’anni. Voto: 10 e lode

Sep Vanmarcke: sorpresa, sì, ma solo parzialmente se è vero che il giovane belga è stato capace di battere Boonen nell’unica gara sul pavè persa da quest’ultimo nella passata stagione. E’ necessario avere tante energie e anche tanto coraggio per non lesinare cambi regolari ad un fenomeno come Cancellara. La freddezza mostrata in volata l’anno scorso contro Boonen, questa volta è mancata, complice anche lo sforzo profuso per contenere le trenate di Cancellara nel finale. Voto: 9,5

Niki Terpstra, Greg Van Avermaet: entrambi partiti come spalle dei rispettivi capitani (Chavanel e Hushovd) si sono ritrovati, per via delle scarse prestazioni dei propri leader, a gestire una situazione di corsa inaspettata ma estremamente favorevole. Il risultato finale premia senz’altro i loro sforzi e rappresenta una giusta misura delle loro potenzialità. Voto: 8

Damien Gaudin: dopo aver tirato come un forsennato tutta la gara, rilanciando continuamente l’andatura dei vari gruppetti in cui riusciva regolarmente ad infilarsi, il tutto per agevolare un eventuale attacco di capitan Turgot (che lo scorso anno meravigliò tutti gli appassionati con le sue progressioni sul pavè che porta a Roubaix), si è trovato infine a giocarsi in prima persona il podio. Voto: 8

Zdenek Stybar: eccelso ciclocrossista, da quest’anno ha deciso di dedicarsi totalmente al ciclismo su strada. Solo la sfortuna lo ha messo fuori dai giochi per la vittoria quando appariva ancora più fresco del compagno di fuga Vanmarcke. Le acrobazie di cui si è reso protagonista nel finale per riuscire a non cadere sono state la testimonianza di una lucidità non ancora appannata dalla fatica. Voto: 8

Juan Antonio Flecha: questo navigato specialista del pavè non ha mai corso nell’anonimato la corsa che più ama e questa edizione non ha fatto eccezione. Lo spagnolo ha tentato più volte di anticipare le mosse degli altri favoriti ed è stato anche uno dei pochi temerari ad azzardarsi a concedere qualche cambio a Cancellara. Nel finale ha colto l’ennesimo piazzamento nei dieci. Voto: 7

Luca Paolini: non ha mai amato particolarmente “L’inferno del Nord” anche per via della sua minuta costituzione che non lo aiuta di certo ad affrontare la ‘corsa delle pietre’. Ciononostante anche quest’anno si è dimostrato tra i più attivi e sebbene abbia interpretato con la giusta lucidità le varie fasi della gara, la sfortuna di una foratura in un momento cruciale lo ha relegato al ventunesimo posto. Voto: 6,5

Lars Boom: capitano e tra i più attesi della corsa, ha dimostrato di non possedere il fondo necessario per competere con i migliori. Al di là di qualche sparata fatta senza troppa convinzione, non si è mai visto. Voto: 4

Thor Hushovd: nonostante tutta la BMC fosse a sua disposizione (in particolare Phinney: voto 7), anche questa gara, dopo il Giro delle Fiandre, si è conclusa nell’anonimato. A parziale discolpa si possono ricordare gli incidenti subiti in corsa che, tuttavia, sono spesso i segnali di un non perfetto stato di forma. Voto: 4

Sylvain Chavanel: dopo la defezione di Boonen, si è trovato capitano unico della Quick-Step. Tuttavia, invece di sfruttare l’occasione della vita data anche la non più giovane età, non ha avuto le gambe e la testa per competere con i primi. Voto: 3

Edvald Boasson Hagen: promessa del ciclismo mondiale ormai da qualche stagione, il polivalente ciclista norvegese in grado teoricamente di vincere tutte le gare in linea, anche in questa occasione è stato respinto e, a 26 anni, deve ancora riuscire a vincere una Grande Classica. Voto: 3

Filippo Pozzato: doveva essere l’anti-Cancellara ma, anche questa volta, Pippo non riesce ad arrivare competitivo, come lui potrebbe esserlo, agli appuntamenti stagionali più congeniali alle sue caratteristiche tecniche. Un inizio di stagione del tutto insufficiente per un atleta dalle sue potenzialità. Voto: 3

Francesco Gandolfi

gandolfi.francesco@libero.it

IL CAPOLAVORO TATTICO DI CANCELLARA A ROUBAIX

aprile 8, 2013 by Redazione  
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Non solo gambe: nel terzo trionfo a Roubaix c’è più testa che cuore. L’analisi tattica del “tutti contro Cancellara”. La sua vittoria più bella?

Foto copertina: la smorfia di Cancellara sul traguardo della Roubaix (foto AFP)

Nel velodromo di Roubaix, Fabian Cancellara è tra lo stremato e lo stupito. “Pure fighting”, ripete per tre volte all’intervistatore. “Pura battaglia”. Conquistare la sua terza Roubaix, dopo 2006 e 2010, nonché 76esima perla in carriera è stata, ammette la Locomotiva svizzera, “la più grande battaglia da quando vado in bici”. Alla fine di un inferno di polvere e pietre, Cancellara si chiede: “Come ho fatto?”. Te lo spieghiamo noi, Fabian: di testa, più che di gambe.

Certo, le gambe non le possiamo dimenticare. Perché quando per 5h45’33” mulini i pedali alla media di 44,02km/h su quelle mulattiere di porfido e chiudi la seconda Roubaix più veloce della storia (dietro solo a quella di Peter Post del ’64 a 45,13km/h), vuol dire che cosce e polpacci hanno fatto il loro lavoro. Eppure, proprio dal dato della velocità media conviene iniziare per spiegare come Cancellara la Roubaix l’abbia portata a casa a colpi di calcoli più che di pedali, di sangue freddo più che di cuore.

Partire da favorito non è cosa semplice. E Cancellara lo ricorda bene: proprio su queste strade nel 2011, il suo strapotere convinse i suoi avversari – o, meglio, i diesse dei suoi avversari – a far attaccare le seconde linee da lontanissimo. Rammentiamo tutti come andò: a nulla valse il feroce inseguimento di un Cancellara a cui Ballan e Hushvod non davano mezzo cambio per recuperare Vansummeren, in fuga dal mattino, che trionfò con appena 19” sullo svizzero.

Oggi come due anni fa, l’avvicinamento all’Inferno del Nord era stato dominato da una sola parola: “anticipare”. Che tradotto dal gergo ciclistico significava: isolare Cancellara dalla sua squadra. La stessa che sette giorni fa al Fiandre aveva dato dimostrazione di avere i corridori per tenere cucita una corsa (Devolder, Popovych, Rast, Irizar ma anche un campione che verrà, Bob Jungels). E per isolare la Radio Shack una e una sola cosa bisognava fare: attaccare a ripetizione.

Ne esce una corsa fulminea, con la prima ora inghiottita a 49,9km/h. Nessuna fuga a prendere un discreto vantaggio. Addirittura Thomas e Boasson Hagen che a meno 135km provano a portar via un’azione di una quindicina di uomini. Niente da fare: la Radio Shack non lascia andar via nessuno. Tirare per così tanti chilometri ha un costo: prima o poi ti squagli. E il punto di ebollizione la Radio Shack lo raggiunge a meno 58km, quando le sue casacche scompaiono dalla testa del gruppo. Da questo momento, Cancellara dovrà far da solo.

E da solo Cancellara fa. O almeno ci prova. 46 chilometri all’arrivo. Pavé di Mons-en-Pévèle. La Locomotiva di Berna apre il gas. Quando terminano pietre e accelerazione, Cancellara resta con gli 11 che si giocheranno la corsa. Qui cambia la Roubaix. E nasce una situazione che manda in solluchero gli amanti della tattica.

Cancellara ha di fronte un dilemma. “Siamo in dodici, non ho compagni di squadra ma l’Omega ha 3 uomini e la Blanco 2. Ho le gambe migliori della truppa ma non dei giorni migliori. Sono caduto, sia allo Scheldeprijs che in ricognizione. Le botte si fanno sentire. Posso fare il vuoto ma poi non ho la continuità per portare l’azione all’arrivo. Di riprovare azioni stile Harelbeke e partire a qualche decina di chilometri dall’arrivo non se ne parla”.

Continua il ragionamento: “Ora si gioca a tutti contro Cancellara. Mi attaccheranno di qui al velodromo. Se li rincorro tutti, mi spremo e il destino mi restituisce lo scherzetto che ho fatto ha Sagan alla Sanremo, dove ha dovuto chiudere su tutti per poi perdere in volata da Ciolek”.

Cancellara tenta l’azzardo. Lasciare andare quelli che suppone essere i gregari per evitare di dover rintuzzare tutti gli allunghi. Tenersi a fianco i più quotati, leggi Terpstra e Boom. E poi, capolavoro, staccarli con un allungo a sorpresa in un tratto insignificante di asfalto a 31 dall’arrivo.

Piano perfetto, non fosse per la forza della Omega. Pur senza Boonen (e una sua costola), alla squadra belga quasi riesce l’altro capolavoro tattico della Roubaix. Perché quando Cancellara sta per rientrare davanti, via radio arriva l’ordine a Vanderbergh di attaccare, portandosi dietro l’apparentemente innocuo Vanmarcke. Di modo da tenere in testa un uomo quando si formerà la fuga decisiva. E addirittura, quando sul pavé di Bourghelles, Cancellara riaccelera, è l’altro Omega Stybar a portarsi sulla ruota dello svizzero. Così, alle porte del Carrefour de l’Arbre, nella fuga a quattro decisiva, ci sono comunque due pedine della squadra belga.

Dicevamo capolavoro quasi riuscito? Già, perché dei due Omega uno capitombola e l’altro si salva solo con un miracolo funambolico ma perdendo l’aggancio del pedale e, di conseguenza, il treno buono. Sfortuna, si dirà. Certo, quando uno spettatore decide di sporgersi proprio quando passi tu si può citofonare solo alla iella. Eppure, entrambi gli Omega sono caduti (uno metaforicamente, l’altro meno) cercando quella sottile linea (non rossa ma) gialla di terra. Se ne hai davvero, il pavé lo puoi anche affrontare a muso duro.

Chiusa la parentesi tattica della Omega, torniamo a quella di Cancellara. Il quale, senza gambe immensamente superiori a quelle dei rivali, è comunque riuscito a portare a casa la Roubaix. Che non fosse il miglior Cancellara di sempre lo si è visto quando ha provato per tre volte a fare il vuoto (alla Cancellara) sul pavé, senza successo. Decisiva per trionfare è stata dunque la lettura della corsa, la capacità di mantenere freddo il sangue nei momenti più frenetici.

Così come la gestione della fuga a due con Vanmarcke. Cancellara la chiamerà “pure fighting”, per noi è “esperienza e mestiere, capitolo uno”. Lo svizzero ha fatto un eccellente uso del proprio carisma nei confronti del giovane belga, costringendolo a dare qualche cambio di troppo, a rincorrere uno scatto a 4,1km dall’arrivo, a ingobbirsi (da spavaldo che era) in vista dello sprint, dove il portacolori della Blanco è comunque partito con troppo anticipo, quei 15 metri in più che le sue gambe non hanno retto.

Quando lo incontrai una mattina di primavera del 2009 in un bar vicino a Bologna, di Fabian Cancellara mi colpì una cosa. Alla domanda se puntasse a vincere la cronosquadre d’apertura del Giro del centenario a Venezia, mi rispose che sì, ci teneva, soprattutto perché era a Venezia e nel Giro del centenario e perché lui cerca sempre di dare un valore aggiunto ai suoi successi. Oggi, a Roubaix nel sacco, lo svizzero ha commentato: “E’ bello arrivare da solo, per lo spettacolo. Stavolta invece è stata una lotta fino all’ultimo millimetro”. Non mi stupirei se, nelle sue memorie, Cancellara ricordasse questa come la sua vittoria più bella. Io, nella mia, ne sono già convinto.

Federico Petroni

Continua l’omaggio delle firme storiche di ilciclismo.it in occasione del decennale della testata. Oggi è tornato a scrivere per noi l’ex condirettore Federico Petroni, che ringraziamo.

La redazione

SEMPRE CANCELLARA: A ROUBAIX PIEGA UN IMMENSO VANMARCKE

aprile 7, 2013 by Redazione  
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Dopo il pezzo di bravura del Giro delle Fiandre, lo svizzero bissa alla Parigi – Roubaix, sia pur faticando più del previsto per spezzare la resistenza di uno strepitoso Sep Vanmarcke, battuto allo sprint. Tagliati fuori da due contatti con i tifosi a bordo strada Vandenbergh e Stybar, giunti al Carrefour de l’Arbre in compagnia dei due. Male gli italiani, con Paolini messo fuori causa da una foratura e Pozzato mai in corsa per le posizioni di testa.

Foto copertina: Uno stremato Fabian Cancellara al termine della Parigi – Roubaix (foto AFP)

In assenza di Sagan e Boonen, la 111a Parigi – Roubaix poteva essere poco più di una passerella per Fabian Cancellara, ingiocabile per chiunque appena una settimana fa, sulle strade del Giro delle Fiandre. Proprio lo status di stra-favorito, combinato forse con un paio di cadute nei giorni scorsi, ha invece rischiato di mandare all’aria i propositi di trionfo dello svizzero, costretto a chiudere in prima persona su qualsiasi tentativo negli ultimi 50 km di gara, e non straripante come al Fiandre quando ha preso l’iniziativa e ha tentato di involarsi in solitaria verso il Velodromo, come in occasione dei due precedenti successi sulle pietre.
Che la giornata di Spartacus potesse rivelarsi meno rilassante del previsto – per rilassante che possa essere una Roubaix – lo si era capito già prima di metà gara, quando, dopo quasi tre ore di gara a medie da prima settimana di Tour de France, BMC e Team Sky avevano provato a stuzzicarlo con un’azione a sorpresa, con l’arrivo distante ancora 135 km: Phinney, Boasson Hagen e Thomas si sono intrufolati in un drappello di dodici uomini, costringendo la Radioshack ad un inseguimento di una decina di chilometri che ha contribuito ad isolarne il leader prima del giusto.
Poco più avanti, ad avvantaggiarsi sono stati Hayman (sempre Team Sky), Koretzky, O’Grady e Steegmans (Omega Pharma, formazione che strada facendo sarebbe diventata la principale minaccia per Cancellara), capaci di acquisire un vantaggio massimo prossimo ai due minuti, calato però drasticamente durante l’attraversamento della Foresta di Arenberg. A pilotare il gruppo attraverso il passaggio simbolo della Roubaix è stato ancora Phinney, il cui ritmo non ha prodotto la selezione vista in altre edizioni, ma è stato sufficiente a dimezzare il plotone, generando sufficiente confusione da consentire la sequenza di attacchi dei chilometri immediatamente successivi.
A trovare l’attimo buono per evadere sono stati Michael Schär (ancora BMC) – costretto però ad un inseguimento di una ventina di chilometri prima di agguantare il drappello di testa, nel frattempo ridottosi ai soli Hayman e Steegmans – e Damien Gaudin, tanto scomposto in bicicletta quanto attivo nell’ultimo quarto di gara. Non altrettanto fortunati i tentativi di Koren, Boom, Stannard, Guarnieri, Bonnet, Breschel, Elmiger, Sinkeldam, Vansummeren, Terpstra e Paolini, che hanno tuttavia contribuito a vario titolo ad animare un frangente potenzialmente interlocutorio, e soprattutto a falcidiare un fronte Radioshack a lungo rimasto compatto, ma dissoltosi improvvisamente con l’avvicinarsi della fase calda.
Per assistere alla prima vera selezione si è dovuto attendere il tratto di Mons-en-Pévèle, dove a dare la scossa è stata la Omega Pharma, con Vandenbergh e Terpstra. Ai due si sono uniti il compagno Stybar, le coppie Vanmarcke – Boom (Team Blanco) e Gaudin – Turgot (Europcar), e gli indipendenti Langeveld, Flecha, Paolini, Van Avermaet ed Eisel, oltre all’ovvio Cancellara.
Vandenbergh ha confermato la gran vena nel tratto di Pont-Thibaut à Ennevelin, portando una nuova accelerazione cui hanno replicato soltanto Vanmarcke, Langeveld e Gaudin, orfano del compagno, vittima di una foratura. Flecha, Paolini, Van Avermaet e Stybar sono tornati sotto a 31 km dal termine, mentre Cancellara, rimasto per un attimo attardato insieme agli altri componenti del gruppetto di testa, è stato costretto ad impegnarsi in una trenata delle sue per rientrare, evitando che la situazione di otto contro quattro potesse tagliarlo fuori.
In contemporanea con il recupero dello svizzero è nata – tanto per cambiare sotto l’impulso di Vandenbergh – l’azione che avrebbe deciso la gara: Vanmarcke è stato l’unico ad accodarsi al tarantolato belga della Omega Pharma, mentre Cancellara, perso di nuovo l’attimo, si è lanciato al contrattacco nel settore di Bourghelles à Wannehain, seguito dal solo Stybar, mentre Paolini veniva estromesso dai giochi da una foratura.
La progressione con cui l’elvetico aveva recuperato 40’’ in un pugno di chilometri ai due fuggitivi, senza ricevere cambi da Stybar, pareva il prologo all’ennesima dimostrazione di forza, salvo poi rivelarsi invece il suo massimo exploit di giornata. Nemmeno sul Carrefour de l’Arbre è giunto il tanto atteso affondo del bernese, cui ha però semplificato la vita il più che riuscito tentativo della Omega Pharma di battere il record del mondo di sfiga in corsa ciclistica: Vandenbergh (per la verità già in affanno) è stramazzato a terra dopo pochi metri di pavé, in seguito al contatto con uno spettatore che ha assimilato troppo letteralmente il concetto di “dentro la gara”, mentre Stybar, ancora pienamente in lizza per il successo, ha atteso gli ultimi metri del settore per urtare un altro tifoso, ebbro di entusiasmo e forse non solo (ma la scena è poco chiara, causa riprese solo dall’alto), e perdere la pedalata quanto bastava per veder scappare i compagni d’avventura.
Vanmarcke, per la prima volta in un condizione di giocarsi una grande classica, ha mostrato una personalità non da neofita, affrontando in testa gli ultimi tratti sulle pietre e collaborando quasi alla pari con Cancellara, perfino dopo l’ultimo scatto ai -4 dello svizzero. La maggiore esperienza ha però consentito a Spartacus di intraprendere lo sprint doveva voleva, partendo alla ruota del belga, per poi sfilarlo sul rettilineo d’arrivo.
31’’ più tardi, recuperando quasi un minuto per via del quasi-surplace inscenato dai leader all’interno del velodromo, Terpstra ha regolato Van Avermaet e Gaudin, salvando quantomeno il podio per la Omega. Stybar, Langeveld e Flecha, giunti nell’ordine a 39’’, sono riusciti a resistere per 11’’ al ritorno di quello che era stato a lungo il terzo gruppetto, comprendente, fra gli altri, Chavanel e gli sfortunati Paolini e Vandenbergh.
Cancellara ha così affiancato il suo nome a quelli di Lapize, Rebry, Van Looy, Merckx, Moser e Museeuw, grazie ad un successo paradossalmente ancor più prezioso e significativo in quanto non frutto della solita, schiacciante superiorità: per la prima volta in carriera, Fabian ha saputo prevalere su un rivale per un giorno alla sua altezza, trovato sorprendentemente in Vanmarcke. È forse proprio il ragazzo di Kotrijk l’eroe di giornata, nonché il nome attorno al quale i belgi, ormai prossimi al tramonto dell’era Boonen, possono pensare di costruire il futuro nelle corse a loro più care.

Matteo Novarini

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